La storia dell’Uomo, se espansa fino ai primordi, non supera i 20 milioni di anni: la Terra come pianeta, invece, ha 4,5 miliardi di anni. A dire il vero l’Uomo che conosciamo – ossia l’Homo Sapiens – ha appena 200-300.000 anni mentre gli ominidi che già erano bipedi e sapevano scheggiare qualche pietra non superano i 5 milioni di anni: siamo giovani, giovanissimi.
Il Covid-19 è un bruscolino, se confrontato alle tragedie che ha vissuto la vicenda umana nel suo svolgersi per milioni di anni, eppure – nonostante siamo la specie che è giunta agli apici della conoscenza – non siamo nemmeno in grado di gestire un bruscolino come il Covid.
Non siamo nemmeno in grado, a livello planetario, di gestire una pianificazione dei vaccini che risponda ad una domanda semplice: cosa serve per la sopravvivenza della specie?
Il Covid, nel suo comportamento, ci ha mostrato di non essere in grado di sterminare l’umanità: però, se lasciato libero di circolare come vuole, sappiamo essere in grado di sterminare facilmente una grossa fetta del genere umano. In realtà, non siamo nemmeno così certi che, una volta uccise le persone più anziane, non sia in grado – con qualche mutazione – di rivolgersi ai più giovani. Il virus della Spagnola, ad esempio, ebbe un comportamento simile.
Eppure, una quota importante della popolazione umana ha scelto di non comprendere, di non capire i rischi alla quale è esposta: sono i comportamenti infantili dei negazionisti, i rifiuti fra il personale sanitario alla vaccinazione, fino alle “rivolte” dei ristoratori, che non comprendono che il virus non è “diverso dalle 8 del mattino alle 8 di sera” (come affermano), bensì che il virus infetta per vicinanza, e se non c’è distanza fra gli esseri umani, infetta.
Detto questo, vediamo come affrontiamo il problema del clima – che è senz’altro più grave del Covid – pur essendo la nostra civiltà la più evoluta che mai ci sia stata sulla Terra: almeno, secondo le nostre conoscenze.
Il grafico che ho mostrato, deriva da uno studio delle temperature sulla Terra eseguito con un “carotaggio” in Antartide e ci fornisce dati per gli ultimi 800.000 anni: è stato eseguito con il metodo di rilevazione sugli isotopi dell’Ossigeno, che fornisce risultati validi. Dunque, per un periodo nel quale il genere umano era già presente.
Osservando il grafico, scopriamo che le aree nelle quali la temperatura media del Pianeta è stata superiore a 0° gradi centigradi, rappresentano circa il 10% del totale, mentre quelle inferiori a 0° gradi centigradi sono il 90%: la Terra risulta, in genere, un pianeta freddo: solo eccezionalmente temperato, per brevissimi periodi caldo.
Eppure, siamo sopravvissuti.
Infatti, i reperti più importanti e significativi che siamo riusciti a trovare negli scavi paleontologici si trovano quasi tutti in Africa e tutti nella fascia equatoriale: proprio le aree dove il clima, durante le glaciazioni, era almeno tollerabile, consentendo la caccia e la raccolta di frutti ed ortaggi selvatici.
Perché questo squilibrio di 90 : 10 a favore del freddo?
Anzitutto, il clima sulla Terra è ciclico ed il freddo è favorito sul caldo dalla velocità di reazioni termodinamiche: il freddo giunge in fretta e si stratifica, mentre il caldo – per affermarsi – richiede un tempo più lungo, per rompere i legami cristallini dell’acqua ghiacciata.
Ci sono poi altri motivi legati ai cosiddetti feedback: fenomeni complessi, che possono essere positivi o negativi, secondo il feedback. Uno su tutti, ad esempio, è che le superfici ghiacciate riflettono verso l’infinito la maggior parte della radiazione solare, un fenomeno chiamato albedo. Siccome l’unico apporto esterno d’energia è la radiazione solare, è ovvio che se viene riflessa verso l’infinito non può riscaldare.
Ma, anche col clima più caldo, ci sono rischi di freddo: le grandi masse di nuvole generate dall’evaporazione schermano la radiazione solare, impedendogli di giungere a terra: ecco perché il freddo prevale sul caldo.
Vero è che l’effetto serra – fino ad un certo punto – consente una radiazione più calda, a causa della rifrazione che alcune molecole provocano nella luce, trasformandola in radiazione infrarossa, ma stiamo giocando una partita da apprendisti stregoni con – in aggiunta – interessi di cassa che cercano di “deviare” il corso delle conoscenze scientifiche delle quali siamo certi.
In fin dei conti, non rischiamo solo una desertificazione bensì, in un periodo più lungo, una glaciazione.
E, su questo problema, lavorano alla grande gli avvocati delle compagnie petrolifere, come nel Covid lavorano gli avvocati dei ristoratori: l’unica nazione che è riuscita a (quasi) sopprimere la presenza del virus sul suo territorio è la Cina, il meno democratico, che quindi non permette le gazzarre degli avvocati di parte.
Una nuova glaciazione si presenta abbastanza rapidamente – tenendo conto dei tempi geologici – ossia poche migliaia di anni: l’umanità sarebbe in grado di sopravvivere in quelle condizioni climatiche? Sopravvivere certamente, vivere assolutamente no: altro che la bagarre dei ristoratori per il Covid!
La sfida non è tanto quella di eliminare i gas che generano l’effetto serra, quanto di dosarli, il che è francamente molto difficile. Questo non significa non intervenire sul sistema d’approvvigionamento energetico ma di farlo con sapienza, senza eccedere da un estremo ad un altro per motivi semplicemente ideologici.
Se non riusciamo ad eliminare un bruscolino come il Covid – semplicemente con norme igieniche da far rispettare e vaccini distribuiti con saggezza alle categorie che più ci proteggono – pensiamo di riuscire a mantenere la concentrazione di gas serra senza finire in uno dei due estremi?
La vedo dura.