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03 gennaio 2018

L’universale degli i....i è in costante aumento. E scrivono pure


(Nel titolo) Sostantivo plurale, 6 lettere: al singolare è il titolo di una notissima opera di Dostoevskij.

Come altro si potrebbe definire un certo Massimo Famularo – che, in realtà, si dovrebbe appellare Fabularo, ossia affabulatore, ma passi se ha scelto un nick come giornalista… – dove scrive? Sul Fatto Quotidiano: che sia stato raccomandato dal “grande” Scacciavillani? Non ci sarebbe da stupirsi perché il Fatto, da qualche tempo, è tutto uno spasso, un giardino dove si nutrono quelle bufale che il Governo racconta di dover estirpare alla radice, cosicché la mala pianta scompaia dai nostri pascoli, lasciandovi incontrastate praterie della Verità.

Il travagliato parto del nostro affabulatore ha un titolo: “I super ricchi sono sempre esistiti. Con la differenza che ora possiamo diventarlo tutti” (1).
Detto così, parrebbe uno spassionato elogio verso l’American Way of Life: purtroppo, non è così, ed il seguito arranca su sponde mai visitate da autori degni di un minimo di saggezza letteraria. Ed economica.
Chi è Massimo Famularo?

Le scarne notizie che abbiamo di lui ci narrano che è un “esperto di crediti bancari in sofferenza”. Curioso: un tizio che vive a contatto con i nuovi poveri, o comunque con gente indebitata con le banche, ci racconta che la ricchezza è a portata di mano. Sarebbe arrischiata l’inferenza “sofferenza bancaria = maggior ricchezza dei singoli”?
Non la esploriamo, poiché lui non cita nulla del genere.
Il buon Massimo fa un temino, un temino buono per prendere un 6- durante l’anno scolastico ma che – alla maturità – sarebbe stato un flop completo, soprattutto in Storia.

In sostanza, il buon Massimo c’indottrina con una teoria semplice e di nessuna utilità: in epoche storiche lontane, la sperequazione della ricchezza era maggiore di oggi.
Non ho nessun dubbio nel credere che Alessandro Magno fosse il greco più ricco oltre ogni limite. Che il duca di Wellington e re Giorgio IV fossero in testa alla “hit parade” dell’epoca, come gli hidalgo spagnoli, gli aristocratici russi, eccetera, eccetera…

Ma, fra quel tempo e noi, sono intervenuti due fattori molto importanti:
1) Le rivoluzioni francese e russa;
2) La fine degli stati assolutisti, ossia la concessione (forzata) delle Costituzioni.

Per non parlare dell’affermazione della borghesia sulla nobiltà…poi le organizzazioni sindacali e politiche dei  lavoratori, i fascismi, il socialismo reale…ma dove ha studiato la Storia il buon Massimo? Alla Scuola Radio Elettra? E lo fanno scrivere su un giornale?!?

Oggi, un economista che vuole indagare in tal senso, va a cercare l’indice di Gini (2), poiché dalla classifica (3) si evince che l’Italia è al 52° posto, però con ultima rilevazione nell’anno 2000. Già con questo dato, sopra di noi (cioè con meno disuguaglianze) troviamo Francia, Svizzera, Austria, Danimarca…sotto di noi, decine di repubbliche delle banane, ma anche Portogallo, Brasile, Uruguay e…Stati Uniti.

Se desidera ampliare le sue conoscenze nel campo, caro Massimo, studi: perché l’indice di Gini ha parecchie peculiarità, che lo rendono sì duttile, ma che richiedono molta attenzione. Soprattutto, non basarsi su rilevazioni di 18 anni fa ed imparare ad evitare i trucchi contabili dei governi.

Però, se si trattava solo di capire che il Re Sole era il più ricco fra i francesi ha ragione lei: non serve scomodare Gini. Peccato che il suo articolo, parimenti, non serva a nessuno: lo sapevamo già, tutti. Saluti

11 luglio 2016

Brutta storia



I cinque poliziotti uccisi a Dallas – Dallas? Curioso, vero? – rappresentano uno spartiacque da molto tempo mai più oltrepassato. Dai tempi delle Pantere Nere? O dalla rivolta di Sand Creek? Forse. Il presidente nero si limita a commentare “Tutte le persone imparziali dovrebbero essere preoccupate”, e non ci sentiamo di dargli torto, ma riecheggiano ancora, nelle nostre orecchie, le parole di Malcolm X pronunciate all’indomani dell’assassinio di John F. Kennedy: “La violenza che i Kennedy non sono riusciti a calmare ha finito per rivolgersi loro contro”. Purtroppo, nemmeno a questa riflessione riusciamo a dar torto. E si torna a Dallas.

Eppure, qualche segnale, qualche sforzo per cambiare c’era stato, come quando la Guardia Nazionale accompagnò fra i banchi della recalcitrante università dell’Alabama gli studenti neri: la scena è riportata nel film “Forrest Gump”, e molti altri film come “La calda notte dell’ispettore Tibbs” cercarono di “rieducare” un popolo che non vuole e non riesce a comprendere dove finisce la propria libertà ed inizia quella altrui.
Le pistole sono solo il triste epilogo di un pensiero mai evoluto, mai interiorizzato completamente: pur essendo presente un vigoroso patriottismo, l’americano medio, nei suoi sogni proibiti, desidererebbe ogni giorno una bella prateria, solo per lui, con relativi indiani da prendere a fucilate.
La vicinanza lo urta, le mode lo condizionano – se fumate in una strada di una qualsiasi città degli USA, la gente si scansa – soffrono il prato del vicino di casa perché meglio rasato, la macchina nuova del cognato…sono un popolo prigioniero dei media – che devono veicolare consumi – i quali sono decisi dalle lobbies, alle quali basta corrompere poche centinaia di parlamentari per raggiungere i loro obiettivi.

Non volevo parlare di armi, ma togliamoci il sassolino dalla scarpa. I due ingredienti: una costituzione del ‘700 – vergata quando la gente portava naturalmente la spada al fianco – e la fortissima American Rifle Association la quale, ogni volta che si deve votare sulle armi, paga qualche parlamentare e la legge va nel cestino. Cosa cambia se una pistola te la consegnano solo dopo una settimana (Stato di New York)? La moglie l’ammazzi dopo.

Il problema non è qui, come ha spiegato esaurientemente Michael Moore. Il problema è accettare il “diverso” da te, impedire che nascano plotoni di “giusti” e di “diversi”, “Ragazzi della via Pal” che si sparano.
I neri, in America, li hanno portati gli americani stessi: qui c’è una enorme differenza con l’Europa. Per noi si tratta di un fenomeno nuovo: se seminassimo un po’ di bombe in meno, se non distruggessimo gli habitat naturali (le strade, in Ciad, sono disseminate di residui della raffinazione dell’Uranio: leggi AREVA, capisci FRANCIA), se non riducessimo i fiumi a delle cloache ove gettare gli scarti del petrolio (vedi Nigeria, compagnie petrolifere, ENI in testa) forse, la gente non scapperebbe.
Finché non abbiamo realizzato un bel gioco a “RISIKO” in Siria, i siriani stavano a casa loro, in Libia (sotto “il despota” Gheddafi) nascevi con la pensione (o reddito di cittadinanza che dir si voglia) ed era, per reddito pro-capite, la seconda nazione africana, dietro il Sudafrica.
Quindi, chi è senza colpe scagli la prima pietra.

Gli americani, di colpe, ne hanno un intero mazzo. Prendetevene una vista, ma è solo l’antipasto: di queste foto, ce ne sono a decine, e tanto è successo prima dell’invenzione della  fotografia:





Come si uscì da quell’abisso di turpitudine?
Con la promessa, in parte esaudita dal 1960 in poi, d’aprire le porte dell’American Dream anche ai neri. Perché?
Poiché l’alternativa sarebbe stata un ruzzolone non verso una guerra civile, bensì verso la guerriglia senza quartiere fra il KKK ed i Black Panthers. Per questa ragione i neri entrarono nelle Università americane, finì la discriminazione razziale nell’istruzione e nel welfare: per non passare ai massacri a 2, 3, poi 4 cifre. Per giunta endemici: come disse Mao-Tse-Dong, “Il potere passa nella canna del fucile”, e Dio sa quanto è vero!
Cos’è successo oggi?

Il neo-liberismo imperante ha richiesto la chiusura dell’American Style of Life: troppo costoso, che si adattino alla paga minima sindacale, 6 dollari e pochi centesimi l’ora, così i profitti delle Major crescono, le azioni pure ed esporremo in pianta stabile il toro a Wall Street.
I risvolti sociali? Cavoli dei governi, e della Guardia Nazionale. Se vogliamo trovare riscontri in Europa, cavoli dei governi nazionali, l’Europa tira dritto e non si tocca.
Così avvenne: la famosa middle class, la spina dorsale degli USA, iniziò ad essere intaccata dal basso: sempre più americani lasciarono le casette col prato, con la scritta “For sale”. Crollo del mercato immobiliare, come in Italia.

Dopo tanti anni di corsa verso l’integrazione, però, non furono solo più i neri degli slums a pagare il prezzo: una bella fetta di bianchi fini sulla strada, bianchi certificati, WASP in piena regola che campavano coi sussidi statali o le Charities delle fondazioni.
Al contrario, neri “rampanti” s’erano arricchiti ed erano saltati oltre la siepe: Obama ne è una prova, avvocato di grido prima di diventare presidente.
Risultato: io, bianco purissimo, discendente dei Padri Pellegrini, faccio il poliziotto con una paga da fame, che non mi consente certo il reddito del commerciante nero, del medico nero, dell’avvocato nero. Eppure, quello è nero. Giuro che il primo bastardo nero che mi capita sotto, e muove solo un’unghia, lo ammazzo.
Altrimenti, non si spiega la mattanza di neri da parte della polizia americana: c’è il solito odio sotto, quella del mio prato perduto, della mia prateria svanita, della vita di merda che faccio al posto di quella che m’avevano promesso, che hanno avuto i miei genitori.

Qui c’è un parallelo con l’Europa: il tizio che ha ammazzato il nero perché aveva reagito all’insulto (scimmia!) non era certo un banchiere od un capitano d’industria. Viveva in mezzo ai campi in una baracca, e non conosceva i motivi della fuga di Emanuel dall’Africa – ed era inutile spiegarglieli, perché non li voleva capire! – dato che la percezione del sottoproletario è questa, già Marx scriveva dell’incapacità di essere “classe” (o gruppo, unione, ecc) dell’Umproletariat. Il limite dei sottoproletario è proprio quello di non saper riconoscere altri sottoproletari come lui: questioni di razza, religione e colore della pelle lo confondono.

Un altro aspetto, comune alle due sponde dell’Atlantico, è la sostanziale impunità della quale godono le forze cosiddette dell’ordine. In America, pistola elettrica per immobilizzare: quindi, colpo da 357 Magnum in testa per finire il lavoro. In Italia, niente armi da fuoco: bastano le botte ad ammazzare la gente, come nei casi Uva, Cucchi, Aldrovandi…poi la caserma Diaz, chiaro esempio di depistaggio e di insabbiamento.
Per i politici è necessità primaria mantenere la fedeltà delle forze cosiddette dell’ordine: stralciati dalle riforme pensionistiche, favoriti nell’assegnazione delle case popolari e perdonati se alzano troppo le mani. Quando ci scappa il morto, partono i depistaggi e gli attacchi contro magistrati “persecutori”.
Insomma, basta che non rompano i maroni e ci difendano, poi, se ammazzano qualche “tossico” (così definito dal loro alfiere Giovanardi), si perdonano…i nostri padroni non vogliono grane.  
E i padroni del vapore, come la pensano?

I grandi capi (ovunque siano, fate voi) hanno, fra di loro, un dissidio permanente – se riesco a fregarti un pezzo di prato, di banca, di fabbrica, di mercato o d’Ucraina quello è mio, e ci godo – ma una percezione della vita univoca: inizia con il gonfiore alla natica destra, dove tengono il portafogli, e termina con il culo della escort, che hanno pagato, e dunque è merce anch’esso. Una conferma.
Gli altri?

Sono soltanto i destinatari della merce, quella cosa che ti fa guadagnare soldi per il prato, la Ferrari e tutto il resto. A ben vedere, non c’è gran differenza di pensiero fra un sottoproletario ed un iper-capitalista: entrambi reagiscono ad istinti primari, che devono semplicemente soddisfare i loro bisogni. Non hanno alcuna percezione di spazi comuni, perché il mondo termina all’esterno del loro corpo (al più la famiglia, naturale o mafiosa) e dunque sono portati a disinteressarsene.

Ammazzano i neri? E chissenefrega! Ammazzano i bianchi? E chissenefrega! Ammazzano gli Utu? E chi cazzo sono ‘sti Utu?
Il mestiere della politica – che entrambi non riescono a comprendere – è quello, paradossale, di far sopravvivere il loro mondo, che permette il grande Monopoli di un euro il pezzo di profitto. E’ il capitalismo bonario dei Kennedy, di Obama, di Prodi e Berlusconi, di papa Francesco…e di tutti i “buonisti” della terra.
I quali riescono a spacciare questo sistema come “accettabile” fin quando si ammazzano 100.000 persone. Abbastanza lontane che nessuno possa accorgersene, se non di striscio. Dai, c’è la finale degli Europei, c’è il motomondiale, zitto e mosca.

Poi, un giorno qualsiasi, spunta un Micah Xavier Johnson qualunque con il suo fucile d’assalto di ex combattente in Afghanistan ed ammazza 5 poliziotti bianchi. La polizia lo ammazza e, nei giorni seguenti, uccide altri neri.
Per gli uomini di Wall Street non cambia nulla: e chi è mai Micah Xavier Johnson? Come va il titolo di Unilever? E quello della Mac Donnel Douglas? E allora…dammi cinque!
Non sono addestrati a capire, solo ad eseguire.
Gli uomini di governo, in versione “pompiere”, si danno un gran daffare a spedire messaggi nell’etere. Era uno sbandato! Non era legato a nessuna organizzazione! Un cane sciolto! Già, vero.

Non si rendono conto che, in una società come quella americana, Micah Xavier Johnson è già un idolo per i disperati neri, per i quali trovare un ferrovecchio che spara è più facile che, per noi, trovare una bottiglia di birra vuota ai lati di una strada. Quanti decideranno di non farsi più ammazzare in silenzio, per soddisfare le turbe psichiche dei poliziotti frustrati?

I politici?
Non hanno più il potere di far spendere qualche spicciolo in più per mostrare che esistono, per fare in modo d’allargare le maglie, e permettere che un poco di ricchezza in più calmi le acque. Non c’è più la ricchezza di un tempo (per ragioni geopolitiche) e nemmeno la speranza di procurarsela limando le unghie ai profitti: Wall Street nega. In questo, c’è un parallelismo inquietante fra USA ed Europa: il liberismo detta l’agenda, gli altri obbediscano.

Quindi?
In entrambe le sponde dell’Atlantico, il vero problema si chiama liberismo. Non è possibile che, in questa grave situazione, l’indice di Gini (che misura la disparità di ricchezza all’interno delle popolazioni) continui ad aumentare nella direzione di ancor maggiore disparità: ricchi ancora più ricchi e poveri ancora più poveri.
Negli USA, per un fatto singolare – la gran diffusione di armi – tale processo può condurre a mattanze senza fine, ad una situazione di scontro latente: molto dipenderà dal nuovo presidente, perché la Clinton o Trump hanno ricette molto diverse, ed è inutile fare previsioni. Anche se, come scrivevamo poco sopra, il margine di manovra della politica è veramente esiguo.
In Europa è la dissoluzione dell’UE il segnale precipuo: una dissoluzione oramai conclamata che porterà Olanda, Grecia, Svezia…poi tutti gli altri in coda. Ma non risolverà il problema, perché attinente ad altre cause. I vecchi stati nazionali sono ancora più deboli.

Solo una redistribuzione della ricchezza, ed una bella “calmata” sulle velleità imperiali, potrà far virare la nave verso nuovi lidi. In un caso o nell’altro, il capitalismo è spacciato: può scegliere fra una lunga agonia (in mano ai “buonisti”), oppure un colpo alla testa (con le ricette degli iper-liberisti). Altre alchimie non esistono.
Ci vorrebbero teste pensanti per immaginare il futuro, ma non ne esistono più, o molto rare e zittite. I passi da fare sarebbero di portata epocale, e la Storia non si ferma ad attendere chi rimugina senza scegliere.
Semplicemente, lo macina: servirà come concime per nuove società. Così è sempre stato, e così sarà.

12 gennaio 2014

L’ultima Finanziaria



“Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'ndera


ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.

Buon Dio è già scappato, dove non si sa

buon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà.”

Fabrizio de André – Girotondo – dall’album Tutti morimmo a stento – 1968.



Tempo di finanziarie, tempo di mille questue ma anche di corruzioni in corso d’opera, sponsorizzazioni più o meno regolari – più o meno occulte – a questo o quel partito o corrente per ottenere sgravi, sovvenzioni, leggi ad hoc. Poche settimane fa è salito alla ribalta De Benedetti per la sua Sorgenia, ma non è l’eccezione, bensì la regola: non indigniamoci più di tanto, un De Benedetti qualunque non fa Primavera.

Un capitolo sempre chiuso e silente, in Italia, è quello che riguarda l’IRPEF, ossia l’imposta sul reddito: eppure è l’imposta più importante della Finanziaria, poiché lo Stato trae da quel gettito circa il 30% delle sue entrate. E sono sempre alla ricerca di nuove tasse e balzelli per incrementare la parte attiva.

Sulla gestione dell’economia italiana non stiamo a perdere troppo tempo: è amministrata da tecnici, in continua contrapposizione con la volontà di famelici dilettanti allo sbaraglio. Più in alto, i voleri dei potentati europei che dirigono a bacchetta i dilettanti allo sbaraglio: gente che non sarebbe nemmeno in grado di gestire un negozio e pretendono di guidare una nazione.

Beh, queste cose le sappiamo ma – proprio perché il dibattito è rovente (euro/no euro) – vi voglio ricordare le attuali aliquote dell’IRPEF, che contengono qualche sorpresa. Eccole:



0 – 15.000 euro ; 23%

da 15.001 a 28.000 euro ; 27%

da 28.001 a 55.000 euro ; 38%

da 55.001 a 75.000 euro ; 41%

oltre i 75.000 euro ; 43%



Oltre all’aliquota, scattano le detrazioni: queste, però, sono oggetto di continui cambi e “rimodulazioni” che renderebbero questo articolo un dramma per tener dietro a tutte le invenzioni di questi governi. Una cosa, però, salta subito agli occhi.



Dalla tabella, si nota come un contribuente che dichiari 75.000 euro lordi (che corrispondono pressappoco a 40.000 euro netti, 3.300 euro al mese approssimati) paga la stessa aliquota di chi guadagna milioni di euro. Ossia: io che guadagno (magari!) 20.000 euro netti il mese (è il caso di politici e boiardi di stato) – approssimativamente – sono trattato come colui che ne guadagna 3.300, come se fosse la stessa cosa! Ancor più chi, di euro, ne guadagna 300.000 il mese: sempre come chi ne guadagna 3.300!

Un siffatto lavoro è stato portato avanti soprattutto dai governi di Silvio Berlusconi, ma gli altri mica hanno cambiato le aliquote: della serie, Dio li fa e poi li accoppia. La giustificazione? Semplice: non si riteneva “morale” che qualcuno fosse tassato per più di metà del proprio reddito.



Questo comporta – secondo la Consulta (vedi la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle “pensioni d’oro”) – che i pensionati “d’oro” non possono pagare aliquote più alte rispetto a quelle che pagavano quando lavoravano. Sempre per la stessa ragione, una “morale” molto discutibile.

Così, dobbiamo sentirci ammansire discorsi sulla morale da chi ha dilapidato il bilancio dello Stato in mille rivoli di corruzione: si va da “er Batman” alla Di Girolamo “mandagli i controlli e vaffanculo”, e non stiamo a farla lunga.

A parte la morale, c’è un articolo della Costituzione che recita:



art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.



Il debito pubblico è volato al 132% sul PIL (2008 = 106%) e la giustificazione è sempre la stessa: la crisi...eccetera, eccetera...

Bighellonando sul Web, mi sono imbattuto nella serie storica delle aliquote IRPEF ed ho preso a paragone la Finanziaria 1983: trent’anni esatti. Nel 1983 – lo dico per i più giovani – non si stava tanto male, perché la politica di Reagan non aveva ancora generato i suoi devastanti frutti negli USA, poi ricaduti sul mondo intero. Della serie: bisogna pagare di meno la gente e farla lavorare di più e con meno certezze per il futuro, il nuovo diktat del potere. Grandi investimenti in armi – la marina delle “600 navi” per piegare l’URSS nella corsa agli armamenti – ed uno spiccato senso “morale” della ricchezza, già presente nel mondo protestante: risultato, l’indice di Gini (1) – che misura la disparità nella distribuzione della ricchezza – è schizzato verso l’alto.



In quegli anni, era considerato normale uscire la sera per andare a mangiare una pizza senza fare i conti col portafogli, oppure fare un acquisto – anche abbastanza oneroso – per la casa un Sabato pomeriggio qualunque, passando di fronte ad una vetrina.

Insomma, le potenzialità di spesa degli italiani erano enormemente più alte perché il lavoro c’era, il potere d’acquisto era garantito dalla “scala mobile”, i contratti erano rispettati e nessuno si sognava – com’è successo pochi giorni fa – di chiedere ai docenti di restituire lo scatto d’anzianità percepito nell’anno precedente.



Qualcuno dirà: non c’era l’euro. Vero. Siamo proprio sicuri che la ragione sia tutta lì? Non si discute, qui, l’emissione della moneta e tutte le truffe che si trascina appresso, bensì che – magicamente – risolta quella sia risolto tutto.

Così, ho preso la tabella IRPEF del 1983 (ovviamente in lire, anzi, milioni di lire) e l’ho “trasformata” in una tabella in euro col cambio 1 euro = 1.000 lire, com’è poi avvenuto nel grande impoverimento “programmato” iniziato nel 2002.

Ecco cosa ne è uscito:



fino a 11.000 euro ; 18,00%

da 11.000 a 24.000 euro ; 27,00%

da 24.000 a 30.000 euro ; 35,00%

da 30.000 a 38.000 euro ; 37,00%

da 38.000 a 60.000 euro ; 41,00%

da 60.000 a 120.000 euro ; 47,00%

da 120.000 a 250.000 euro ; 56,00%

da 250.000 a 500.000 euro ; 62,00%

oltre i 500.000 euro ; 65,00%



La “trasformazione” s’è rivelata più congrua rispetto a quella col cambio normale (quasi due euro): ad esempio, notate che la prima aliquota non avrebbe senso (5.500 euro al 18%), mentre in questo modo un senso di realtà ce l’ha (ricordo che sono redditi lordi).



Se confrontate questa tabella con la precedente, osservate che gli scaglioni di reddito non sono poi così diversi, ed anche le aliquote non si discostano troppo dall’oggi. C’è, però, una differenza abissale sui redditi alti.

Come dicevamo sopra, oggi in Italia chi guadagna 75.000 lordi paga la stessa aliquota (ovviamente per la parte eccedente) di chi ha un reddito di 300.000 euro: i quali, ad onor del vero, non sono poi così poco numerosi come si crede.



In quell’Italia, chi aveva alti redditi (es. da 120 a 250 milioni) pagava un’aliquota del 56%, e chi era proprio un Paperone pagava il 65%: aliquote sparite nei parametri italiani.

Non all’estero: se ricordate la nota vicenda della cittadinanza russa dell’attore Gérard Depardieu – per protesta contro l’aumento delle tasse nel suo Paese – in Francia le tasse per gli alti redditi sono di circa il 70% e, nel caso dell’attore, arrivavano all’85%.



Aliquote molto alte, senza dubbio, che permettono, però, alla nazione francese di mantenere un welfare nel quale – ad esempio – vai da qualsiasi medico specialista e lo Stato ti rimborsa quasi tutto (una percentuale fra l’80 ed il 90%).

In questo modo, però, tu chiedi la ricevuta ed il medico è obbligato a consegnarla e dunque a pagare le tasse: in Italia, invece, l’abitudine consolidata e tollerata verso l’evasione si abbatte (ad esempio) come una nemesi sugli studi dentistici, e li sta rovinando. Gli italiani non sono più in grado d’accendere un mutuo per pagare le cure dentistiche: o vanno all’estero, oppure si rivolgono a studi consociati fra dentisti ed odontotecnici che tengono bassi i prezzi. Oppure, per cure di poco conto, si rivolgono alla sanità pubblica.

Anche in Spagna, mentre da noi impazzava la Fornero con le sue devastanti controriforme, il Parlamento aumentava le aliquote della loro IRPEF.



In Italia no: la radice del pensiero di Silvio Berlusconi è proprio che le tasse sono un furto, di conseguenza si preferì danneggiare l’economia vera – “Main Street” – piuttosto che toccare le aliquote. Se ne disinteressò anche Monti, e Letta prosegue sulla stessa strada: non ci sono “voci” – il M5S “ascolta” Stiglitz, ma non ha nel suo programma (2) un punto specifico al riguardo – che qualcuno voglia toccare le aliquote IRPEF, considerate oramai una “sciagura”. Meglio osservare la gente che si suicida, oppure che scappa all’estero: nessuno fiata.

In altre parole: il “sogno” reaganiano iniziato con la “reaganomics” ha raggiunto il suo compimento oggi, quasi 30 anni dopo, e non è detto che non si vada oltre.



Come si può notare, l’euro giunge molto dopo quelle vicende, e non si tiri in ballo l’ECU che non ha mai avuto effetti così devastanti: in ogni modo, il destino dell’UE è segnato per il 2015, anno nel quale entrerà in piena attuazione il “fiscal compact”.

Nessuna delle economie mediterranee è in grado di reggere ad un simile impatto: l’Italia – partendo dal disastro odierno – dovrebbe “risparmiare” (tagli su tutto: chi più ha immaginazione non riesce a raggiungere nemmeno la periferia di quello che ci aspetta) 50 miliardi l’anno. Riflettiamo che il taglio di “soli” 8 miliardi in tre anni (che servì a saldare il debito elettorale di Berlusconi sull’ICI), nella scuola, sta distruggendo l’istruzione italiana.

Non siamo in grado d’affrontare simili scenari, come non lo è la Spagna, il Portogallo e la Grecia, ma nemmeno alcune nazioni balcaniche o l’Irlanda. E la Francia?



Inutile accampare scuse: l’Europa – un bel sogno, nulla da eccepire, ma forse al tempo del Trattato di Roma – oggi sta fallendo. Come si può immaginare che l’Italia tiri fuori ogni anno 50 miliardi per vent’anni??? Partendo dal disastro attuale???

Se vogliamo puntualizzare un giro di boa di tutta la situazione – ma solo per la Storia, sia chiaro – lo possiamo cogliere nella famosa lettera (3) della BCE al governo italiano, a firma congiunta Draghi/Trichet, nella quale (per la prima volta!) un’istituzione tecnica esterna allo Stato inviava una lettera “d’intenti” al governo italiano.

Non è una cosa da poco: significa la fine della sovranità nazionale, anche per il contenuto politico che conteneva. Lì, erano già condensati tutti i punti poi approvati da Monti e, oggi, da Letta: leggete attentamente quelle righe, hanno eseguito il compito come degli scolaretti.



Siccome il prelievo di 50 miliardi l’anno per 20 anni sbaraccherà l’Italia già alla prima “rata”, il dibattito sull’uscita dall’euro non ha più molto senso: più realistico è quello sul “dopo euro”.

Diciamo subito che la moneta non ha importanza: può essere un “Euro2” con tasso di cambio diverso oppure una nuova moneta, perché – se noi torniamo alla Lira da soli e basta – il futuro è fosco.



Politicamente, sarebbe più vantaggioso stabilire accordi con i Paesi “PIIGS” i quali, a loro volta, sarebbero liberi di scegliere – in ambito internazionale – nuove alleanze guardando a nuovi mercati. Questa mossa scatenerebbe una nuova guerra in Europa, magari nucleare? Mi sembra poco probabile: è un altro degli escamotage che usano per tenerci buoni.

Non sarebbe una bestemmia stabilire accordi con i Paesi del BRICS che contengano nuovi scambi, magari del tipo merci/tecnologia, poiché siamo perfettamente in grado – se lo vogliamo – di reggere la concorrenza di Berlino sulla qualità (e soprattutto sul design) dei beni tecnologici.

Certo, si tratta di cambiare ragionamenti e priorità: vedremo se il M5S è all’altezza di questi, ardui, compiti perché non abbiamo il tempo d’attendere la “crescita” dei pur bravi ragazzi di Grillo. Purtroppo, l’emergenza vera – il fiscal compact – è dietro la porta.



In fin dei conti, siamo il Paese di Michelangelo e di Galileo, di Volta e di Marconi, della Levi Montalcini e di Rubbia. Ricordiamocelo, ogni tanto.



(1) http://www.corriere.it/economia/13_marzo_11/italia-regina-europea-delle-diseguaglianze-cosi-la-crisi-ha-impoverito-la-classe-media-giuliana-ferraino_6ce2bd86-8a0d-11e2-8bbd-a922148077c6.shtml



(2) http://www.beppegrillo.it/movimento/2010/06/test.html



(3) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-29/testo-lettera-governo-italiano-091227.shtml?uuid=Aad8ZT8D (al fondo c’è il collegamento per la seconda parte)