23 luglio 2009

Armagheddon?

Recentemente, Maurizio Blondet ha pubblicato un articolo (per i soli abbonati[1]) dal titolo eloquente: L’Europa a Sion: bomb Iran, nel quale affermava che un attacco all’Iran da parte di Israele è in agenda, da oggi alla fine del corrente anno.
Ripercorrerò molto brevemente le tesi esposte per chi non l’abbia letto:

- Durante il recente G8, l’Europa avrebbe dato il “via libera” per il bombardamento dell’Iran;
- Quattro navi da guerra israeliane (2 sommergibili e 2 caccia, con armamento nucleare) hanno attraversato il canale di Suez e sono in navigazione nel Mar Rosso;
- Alcun squadriglie di cacciabombardieri israeliani sono stato spostate nel Kurdistan iracheno;
- Il “ritorno” economico dell’impresa sarebbe da identificare nel nuovo oleodotto Nabucco – che non passa per la Russia, ma “raccoglie” il greggio delle ex Repubbliche sovietiche asiatiche – il quale, però, senza l’apporto del petrolio iraniano, non raggiungerebbe volumi di transito sufficienti per renderlo economicamente vantaggioso.

Fin qui i dati salienti, considerando anche una dichiarazione del vicepresidente USA Biden il quale, senza mezzi termini, affermava: “Israele è libero di fare quel che ritiene necessario per eliminare la minaccia nucleare iraniana”.

Blondet presenta il quadro come un evidente approccio al bombardamento dell’Iran e, ad osservare soltanto i dati esposti, non fa una grinza. Ci sono, però, argomenti che Blondet non approfondisce e che sarebbe, invece, meglio presentare.
Ritengo che molti lettori siano stufi della “querelle” iraniana, poiché da anni va avanti questo balletto: “Una flotta USA in partenza per il Golfo!”, “Israele pronto a bombardare l’Iran con l’atomica!” e via discorrendo. Poi, non succede nulla.
Vorrei precisare che questo articolo non vuole essere assolutamente un attacco a Blondet, che per alcune doti stimo, ma più che altro una precisazione.

Mi rendo perfettamente conto che il lettore cerca risposte alla domanda “Ci sarà una guerra all’Iran?” – e così è giusto che sia – ma il lettore accorto avrà compreso che nessuno – né Blondet, né chi scrive – è in grado di fornirgli un’assicurazione in merito, certa al 100%. D’altro canto, non ho mai nascosto la mia profonda convinzione che una guerra all’Iran sia un evento troppo pericoloso per gli attuali equilibri politici e, soprattutto, economici: di conseguenza, ritengo che, prima di scatenare Armagheddon, ci sia qualcuno che ci pensa su due e più volte.
Vediamo gli attori della contesa ed i loro equilibri interni, che sono la prima cosa da porre sotto la lente d’ingrandimento quando si parla di guerra.

Iran
Le recenti elezioni iraniane – di là degli evidenti interventi esterni per mettere in crisi l’attuale governo – hanno portato all’attenzione le frizioni interne della società iraniana, più che una mera questione elettorale o di voti.
Nella storia dell’Iran (ossia della moderna Persia), soprattutto dalla metà del secolo scorso, la società iraniana ha vissuto le stesse contraddizioni che abbiamo visto in piazza a Tehran.
Gli introiti petroliferi trasformarono la società iraniana: come avvenne in Europa, una borghesia dedita al commercio, alla nascente industria petrolchimica ed alle attività corollari, affiancò le tradizionali agricoltura e pastorizia.
Ciò avvenne con Mossadeq – che cercò una sintesi meno traumatica, ma anche meno favorevole alla borghesia, e per questo fu detronizzato con l’aiuto degli americani – poi con Reza Phalavi: la rivoluzione iraniana del 1979 fu una rivoluzione popolare, sorretta proprio dai milioni di diseredati che lo Shah, corrotto e succube delle ingerenze esterne (soprattutto statunitensi), aveva necessariamente trascurato per sorreggere la borghesia. La quale, non dimentichiamo, vive soprattutto a Tehran e nelle città.

Oggi, le migliorate condizioni economiche, ci hanno mostrato il volto di una borghesia che vuole occidentalizzarsi – ossia desidera partecipare alla spartizione della ricchezza nei modi e nei termini di quelle occidentali – a scapito proprio dei ceti popolari, che a loro volta si sentono più protetti da quella specie di “socialismo reale” (riconosciamo un’evidente difficoltà nell’identificare, economicamente, il sistema iraniano) instaurato da Mahmud Ahmadinejad.
Il quadro si complica, poiché rivendicazioni di “cassetta” si mescolano con le “tinte” islamiche del regime: apparentemente, assistiamo all’appoggio ad Ahmadinejad da parte dei ceti popolari mentre, dall’altra, la borghesia cerca “sponda” anche nel clero, nella figura di un corrotto Rafsanjani. In altre parole, se si gratta via un po’ di “vernice” religiosa, appare l’eterno scontro di classe.

Le ultime elezioni, vinte da Ahmadinejad molto probabilmente con i due terzi dei voti, indicano proprio la frattura della società iraniana: semplificando, le città a Moussavi e le campagne ad Ahmadinejad.
Ciò nonostante, Ahmadinejad è uscito fortemente indebolito dalle ultime elezioni, poiché la borghesia iraniana ha compreso che opporsi con i mezzi delle borghesie internazionali – supporto mediatico, internazionalizzazione del conflitto interno, ecc – può, alla lunga, riportare il Paese ad un equilibrio più favorevole per i ceti cosiddetti “moderati”, ossia per il commercio, gli affari, ecc.
Allo stato dell’arte, non scorgiamo – però – da parte di Ahmadinejad nessun cedimento: d’altro canto, il presidente non ha scelta, se non quella di continuare ad appoggiare (ed a farsi appoggiare) dalla popolazione rurale, dai settori dello Stato, dalle industrie controllate dal governo stesso.
Una guerra, in questa prospettiva, chi avvantaggerebbe?

Certamente non i sostenitori di Moussavi e di Rasfanjani, poiché un attacco dall’esterno condurrebbe inevitabilmente a zittire ogni contrasto interno. Più probabilmente, il tintinnio di sciabole inscenato da Israele è indirizzato più alla borghesia iraniana – “non siete soli!” – che ad un vero e proprio attacco all’Iran.
Per riuscire a rovesciare il governo iraniano, e l’impianto stesso della Repubblica islamica, sarebbe necessaria una vera guerra con tanto d’invasione: dubitiamo che qualche bomba farebbe crollare gli Ayatollah.

USA
Blondet afferma che il vicepresidente Biden avrebbe dato il “via libera” ad Israele con la frase sopra citata: verrebbe da dire che ciascuno è libero di dire quel che vuole, perché non scorgiamo proprio quali potrebbero essere i vantaggi, statunitensi, dell’avventura israeliana.
La presenza, in Kurdistan, degli aerei israeliani implica una sostanziale indipendenza del Kurdistan dall’Iraq ed una sua alleanza con Tel Aviv? E gli USA, che cercano di calmare le acque in tutto il Paese per andarsene?
Un attacco all’Iran partendo dal Kurdistan farebbe scoppiare la polveriera irachena ancor più, considerando che il Kurdistan iracheno non confina solo con l’Iran, ma anche (a Sud-Est) con le zone interne a maggioranza sciita. E, gli sciiti iracheni, si sentono di certo più vicini a Tehran che a Baghdad.

Se non basta l’Iraq, riflettiamo sulla situazione interna americana: non ho mai creduto che Obama sia la colomba di pace che ci propinano, e lo scrissi in tempi non sospetti, addirittura nel Gennaio del 2008[2].
La situazione economica prospettata da molti analisti[3] è una sentenza priva d’appello: gli USA devono correre ai ripari – ed in fretta! – se non vogliono incorrere in traumi economici ancor peggiori. La prospettiva di Bush – ovvero compensare l’inevitabile declino economico statunitense con le avventure militari, sostenere il dollaro con l’aumento del greggio ed appropriarsi delle risorse energetiche altrui con la forza – è fallita miseramente nella bolla speculativa.
Obama, oggi, non ha altra scelta che quella di ridurre il deficit statale, ed ha già mosso i primi passi per andarsene dall’Iraq. Inoltre, ha già parlato di “exit strategy” anche per l’Afghanistan.

In definitiva, Obama ritiene più vantaggioso per gli USA ridurre l’esposizione militare nel Pianeta, per tentare difficili (e costose) ristrutturazioni industriali, per “agganciare” la “locomotiva” delle rinnovabili e, in futuro, sperare di tornare potenza industriale.
Tutto ciò è un sentiero colmo di dubbi, trabocchetti ed incertezze: vogliamo aggiungerci una guerra all’Iran?
Per quanto ci scervelliamo, non riusciamo proprio a trovare una sola ragione per la quale, oggi, convenga a Washington imbarcarsi in un’avventura militare – sia pure per sperare nei profitti del Nabucco – poiché è evidente che, una guerra all’Iran, non potrebbe mai essere intrapresa e sostenuta da Israele.
C’è la possibilità che gli USA restino a guardare ma, per quanto sopra esposto, l’attacco israeliano finirebbe per trasformarsi in una mera distruzione d’entrambi, che lascerebbe il Pianeta messo peggio di quanto già oggi è.

Israele
Non ci sembra che Israele, con l’avvento della nuova amministrazione statunitense, abbia di che temere: sono state fatte timide avance per la creazione del solito Stato palestinese, ma niente di più che la solita aria fritta.
Anche la cessione del West Bank, in cambio di un “via libera” per bombardare l’Iran, ci sembra un non sense: cosa rimarrebbe del West Bank – e della stessa Israele – se avvenissero attacchi reciproci con armi nucleari da un lato e batteriologiche dall’altro?

Inoltre, Israele non ha una struttura militare adatta per operazioni a vasto raggio: in tutta la sua Storia – salvo il bombardamento del quartier generale di Arafat a Tunisi, una complessa operazione di rifornimento in volo per sganciare solo poche bombe – ha sempre combattuto a ridosso dei suoi confini.
Un attacco partendo dal Kurdistan necessiterebbe di una logistica d’appoggio troppo complessa per chi non ha esperienza bellica in operazioni distanti dalle proprie basi. Inoltre, gli aerei israeliani dovrebbero vedersela con la caccia e la contraerea iraniana.
Se, invece, l’attacco dal Kurdistan fosse solo la miccia per innescare la ritorsione balistica iraniana ed il contrattacco atomico israeliano, non si comprende quale differenza facciano due sottomarini e due cacciatorpediniere in più: Israele può colpire con i missili Jericho dal territorio metropolitano.

Conclusioni
In tutta onestà, ci sembra che queste siano solo manovre militari destinate – come ricordavamo – a gettare un po’ di benzina sul fuoco, per sperare che l’opposizione iraniana “abbocchi”. Una sorta di “Naval diplomacy” e nulla più.
La strategia nei confronti dell’Iran – questo è chiaro da tempo – mira alla destabilizzazione interna, non ad un attacco militare. Perché?

Poiché un attacco all’Iran significherebbe il blocco dello stretto di Hormuz per chissà quanto tempo, con prezzi del petrolio alle stelle. Altro che i 150 $/barile del record!
Inoltre, Siria ed Iran sono legate da una alleanza che prevede il mutuo soccorso in caso d’attacco: nel 2006, Israele si guardò bene dall’attaccare il territorio siriano. In caso d’attacco, sarebbe tutta la regione a saltare per aria, con scenari veramente imprevedibili.
E, con tutte le prudenze espresse nei vari G8 – per tentare di salvare quel poco che resta ai sette grandi con le pezze al sedere – la “bella pensata” è quella d’attaccare l’Iran?
Francamente, mi sembra una follia. Aggiungere Armagheddon al fallimento economico del liberismo è cosa assai diversa rispetto alla “soluzione” della crisi degli anni ’30 con la guerra mondiale: all’epoca, gli USA erano pochissimo indebitati ed erano una potenza economica in ascesa, non un paese di disoccupati senza prospettive.

Perciò – pur apprezzando la puntualità di Blondet nell’informare – le conclusioni che sottende non mi trovano d’accordo. Certo, la follia umana non ha limiti, ma continuo a credere che le guerre servano per incrementare i profitti del capitalismo, non per dargli il colpo di grazia, come avverrebbe se lasciassimo correre Armagheddon.

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10 commenti:

Orazio ha detto...

Blondet è apprezzabile come analista politico e in specie di politica internazionale, meno per le sue idee sociali e religiose. Però bisogna ricordare che non sempre le sue previsioni sono azzeccate, infatti al tempo dell'elezione di Obama aveva, nei suoi articoli, previsto e ventilato un ottobre surprise, (una specie di 11 settembre che avrebbe dovuto bloccare l'elezione di Obama), leggete i suoi articoli del tempo. La verità è che chi si avventura in previsioni del futuro, spesso fallisce, e qualche volta ci prende. Si tende solo a ricordare i successi, ma non i fallimenti. Per quanto riguarda l'attacco all'Iran credo che farlo da parte degli USA e Israele sarebbe una catastrofe per questi paesi accelerandone la decadenza, specie per l'America. Noi guidati dal macho nano di villa certosa ne pagheremmo le tragiche conseguenze, specie per il fatto che i nostri governanti si metterebbero al sicuro con moglie e amanti e lascerebbero il popolo a morire di contaminazione radioattiva. A questa eventualità ci avete pensato amici del Blog?

ladnag ha detto...

Concordo con la tua ultima frase: "continuo a credere che le guerre servano per incrementare i profitti del capitalismo, non per dargli il colpo di grazia". le guerre (come da te già citata la seconda guerra mondiale) servono per fare soldi. per adescare i polli si colorano le intenzioni con altre parole ma alla sostanza ci sta ben altro. è sempre stato così e sempre sarà.

posso farti una domanda? (tanto te la faccio lo stesso gnè gnè gnè):
"Le recenti elezioni iraniane – di là degli evidenti interventi esterni per mettere in crisi l’attuale governo – hanno portato all’attenzione le frizioni interne della società iraniana, più che una mera questione elettorale o di voti."
1)cosa s'intende per "interventi esterni"?
2)non pensi ad amainesgiad come ad un pazzo?
3)anch'io credo che obama non sia oro-colato. l'avrebbero fatto fuori da tempo (terminato direbbe svarzneggher). quindi se la storia americana insegna che la guerra è il loro modo di "sostenersi" da quando sono nati a... oggi, perchè pensi agli usa come a probabili spettatori del conflitto "probabile"?
4)cos'altro è rimasto da dire su israele?

ladnag ha detto...

PS
ho detto "per adescare i polli". riflettendoci non ne sono del tutto sicuro. questa è la versione probabilmente distorta che ho io dei camicazze oggi.
penso alle guerre dell'antichità. gli uomini seguivano re/imperatori/generali per fare bottino e, nel caso di assedio, divertirsi con quante più donne possibile in caso di ... città espugnata.
quindi non penso ai guerrieri/soldati come a dei gonzi bensì come ad altra gente pronta ad arricchirsi e a sollevarsi dalle loro miserie.
forse i camicazze sono davvero gonzi

Carlo Bertani ha detto...

Cari amici,
sono tornato a casa, e sarò più presente sul blog. Vi basti pensare che, da mia madre, appena attaccavo il pc col vecchio 56k, i discorsi cambiavano immediatamente.
"Chissà se tuo fratello chiama...chissà la zia di Milano...". Basta, spegnevo. Chiusa parentesi.
Concordo con Orazio su Blondet: l'uomo ha delle innegabili doti e una proprietà di linguaggio encomiabile. Credo che sia troppo solo, che non ci sia nessuno a calmierare i suoi eccessi. Certo, a "spararle grosse" qualcosa si guadagna nell'immediato, ma alla lunga si perde credibilità: è l'esatto opposto della mia filosofia comunicativa.
Contrariamente a quel che si crede, il nano non è fra gli alfieri per una guerra all'Iran: lo sono di più i suoi tirapiedi, più una buona dozzina di PD.
Berlusconi teme, come Mussolini, di fare il passo più lungo della gamba e tentenna: qualcuno dirà che Mussolini, poi, lo fece, quando riteneva d'avere il bottino nel sacco. Non so dove possa finire il parallelismo, giacché i tempi sono molto diversi, ma - a lume di naso - punterei su un Berlusconi "astensionista".
Cercherò di rispondere alle tue domande, ladnag:
1) Gli interventi esterni sono la prassi, il lavoro quotidiano dei servizi segreti. In ogni elezione, i servizi cercano d'avvantaggiare le mire del proprio Paese: negli USA, in Italia, in Iran. Lo fanno ingigantendo notizie, creandone di sana pianta, a volte spargendo sangue: è la normalità.
In una Paese dove la politica è molto sentita, come l'Iran, era evidente che l'effetto sarebbe stato eclatante.
2) Non penso che Ahmedinejad sia pazzo, per niente. Gioca la sua politica antimperialista come Chavez, perché non hanno alternativa. Stanno seduti su laghi di petrolio e devono difenderlo da quelli che vorrebbero rubarglielo: tu, che faresti?
Poi, siamo abituati - da decenni - a figure paludate in politica: appena uno è un po' fuori del coro, ci sembra un po' tocco.
3) Volevo semplicemente dire che gli USA, messi come sono, non potrebbero permettersi un "fronte iraniano": ne andrebbe la popolarità interna di Obama e, più ancora, si svuoterebbero le casse del poco che rimane!
4) Israele alterna periodi di interventismo quando sa d'essere completamente appoggiata dall'estero (leggi: USA, per il veto all'ONU) a quelli d'attesa quando sa di non poterci contare al 100%.
Con un po' di cinismo, potremmo affermare che la politica israeliana è accorta: sparge sangue e consuma assassini, ma riesce sempre a non pagare dazio.
Certamente contano le "aderenze" con il sistema bancario, ma non basta. Nonostante abbiano una classe politica risibile, se la cavano sempre cambiando un asino con un mulo. I cavalli sono finiti da tempo.
I "gonzi" sono quelli che corrono dietro ai nazionalismi, che credono negli slogan guerrieri: in genere, si ritrovano nei cimiteri per piangere, ma continuano a guardarsi in cagnesco. Jugoslavia docet. Per questa ragione sono gonzi.
Ciao a tutti e grazie
Carlo

Spartaco ha detto...

Ciao Carlo. Sono un abbonato al sito Effedieffe e ho letto l'articolo in questione. Blondet non ha mai affermato che Israele attaccherà l'Iran entro l'anno, ma cita il Jerusalem Post che lo afferma.
Questa la fonte portata da Blondet:
1) «World may back Iran op as part of deal», Jerusalem Post, 16 luglio 2009.
Questa ipotesi è avvalorata anche dal Times e Haaretz, altre due fonti citate da Blondet.
Forse, come ha detto qualcuno, Blondet non nutre molta simpatia per Israele, le sue analisi però non sono mai mosse da emotività e pregiudizio, ma sempre corroborate da fonti, fatti e citazioni. Leggete Barnard, Finkelstein, Pilger o Chomsky, vi sembreranno tutti antisemiti o filoislamici, e invece sono intellettuali e reporter riconosciuti a livello internazionale.
Carlo, spero che tu abbia letto bene tutto l'articolo e non ti sia fermato a ciò che ti hanno riferito.
Marco Messina
http://marcomessina.wordpress.com/

Luca C. ha detto...

Bentornato Carlo, anche io sono tornato ieri dalle vacanze (più brevi delle tue, tuttavia).
Ero un lettore piuttosto assiduo di Blondet fino a quando non ha imposto il pagamento dell'abbonamento per circa il 99% per cento dei contenuti di Effedieffe (a un prezzo anche piuttosto alto, a mio avviso, e per motivi che temo non siano esattamente quelli da lui indicati pubblicamente).
Come giornalista ha talento, è persona di notevole intelligenza e cultura, tuttavia mostra anche delle idiosincrasie piuttosto fastidiose e irrazionali. Probabilmente è troppo solo, è vero, i suoi collaboratori sono persone di cultura ma tutti cattolici tradizionalisti lefebvriani o sedevacantisti, persone di talento ma che non mi sembrano capire molto di politica.
Queste sue analisi di politica internazionale vanno prese con le molle, già in passato prese delle cantonate, non perché le sue notizie fossero false ma perché ne faceva un'interpretazione troppo romanzata.
Nel complesso condivido in pieno la tua disamina, che mi sembra la migliore che tu abbia mai scritto da quando ti leggo per efficacia politica... a leggerti sembreresti quasi un comunista dei tempi andati (considera che da parte mia è una lode, in fondo sono pur sempre un ex comunista).

Carlo Bertani ha detto...

Caro Spartaco,
la prassi del giornalismo insegna che, quando si cita una fonte, o la si critica o la si sposa. Ed è proprio quello che Blondet ha fatto. per carità, nulla di peccaminoso, e Blondet è liberissimo di credere al Jerusalem Post (leggo ogni tanto Haaretz, ma da tempo ho capito che è solo un gioco delle parti) ma, per questo articolo, mi sono fidato di Blondet, senza andare a verificare le fonti. Perciò, l'ho letto bene, fino in fondo, ed attentamente.
Saluti
Carlo Bertani

Che dire Luca...Blondet è una mente eccelsa...forse partorita dal seminario di Econe?
Io non sono mai stato comunista, ma socialista sì. Socialismo storico, s'intende.
Un abbraccio
Carlo

Luca C. ha detto...

Lo so, Carlo, che tu non sei mai stato comunista, ma appunto socialista (non craxiano, certo, se non ricordo male fosti compagno di partito di un certo Bertinotti nel Psiup). A ogni modo, ormai sono passati secoli.
Blondet dal seminario di Econe? Si sarebbe fatto cacciare anche da lì, temo.
Comunque, sia lui che i suoi collaboratori uniscono a buone doti intellettuali e a una solida preparazione una rigidità psicologica da far paura, un tratto tipico del tradizionalismo cattolico in generale.

Orazio ha detto...

Blondet è molto rigido nella sua visione di una società cristiana, quasi medioevale. Intelligente fino a quanto volete, ma rigidissimo sulle debolezze umane. Il Vaticano II è da abolire, Benedetto XVI troppo morbido e poco comprensivo con i lefebriani. Peccato perchè ha idee lucide in politica internazionale. Certo deve essere drammatico per lui conservatore vedere un mandrillo come Berlusca al potere e farne un usa sessuale dello stesso.

Luca C. ha detto...

A mio avviso molto meno di quanto si possa pensare, Orazio. E' pur sempre un uomo di mondo, sebbene non "del" mondo.