Dopo l’atroce morte dei militari italiani a Nassirya è scattata l’inevitabile – quanto vana – caccia ai responsabili, come se fosse possibile decifrare dalle fumose rivendicazioni sul Web oppure dai dati tecnici dell’attentato stesso la “matrice” dell’attacco.
Nella complessa galassia irachena è praticamente impossibile risalire a chi ha deposto materialmente la mina: tutti i gruppi della guerriglia irachena se ne assumeranno la paternità, fin troppo facile da prevedere.
Dai dati tecnici si potrà sapere ancor meno: si tratta di una comunissima mina anticarro costruita negli ultimi vent’anni e qualsiasi esercito del pianeta ne ha a disposizione decine di migliaia. Lo scoppio dell’ordigno espelle verso l’alto un dardo formato da metallo fuso ad altissima temperatura (migliaia di gradi) che penetra la corazza fondendola come una lama calda penetra nel burro: dopodichè, si sprigiona nell’angusto abitacolo un calore pari a centinaia di gradi centigradi. Gli abiti s’incendiano all’istante e si è uccisi in pochi attimi dall’aria rovente che penetra nei polmoni: una fine orribile, possiamo solo sperare che abbiano perso i sensi nell’attimo stesso dell’esplosione.
Più facile invece capire l’obiettivo strategico di un attentato realizzato chiaramente per uccidere in una zona ritenuta “tranquilla” o, almeno, meno pericolosa del resto del paese.
Qui s’innestano due vicende: il contrattacco americano nella zona di Ramadi, che ha lo scopo di colpire uno dei “santuari” della guerriglia sunnita: si tratta dello stesso copione già messo in atto a Falluja, che produrrà migliaia di morti fra la popolazione civile e scalfirà appena le formazioni guerrigliere.
Il secondo motivo è invece più velato e guarda più al domani che all’oggi: qualora il tam tam di guerra nei confronti dell’Iran aumentasse di tono, sarebbero proprio le province meridionali dell’Iraq – Bassora, Nassirya, la zona dei laghi di Amara – ad essere investite poiché di fede sciita e confinanti con l’Iran.
Questo strano attentato ha quindi il sapore di un duplice avvertimento: siamo in grado di colpire le truppe occupanti ovunque – sembrano affermare i guerriglieri – e se sarà attaccato l’Iran nel sud dell’Iraq scoppierà l’inferno. Una ragione in più per limitare il finanziamento della missione (che dovrà essere approvato a giugno) alla sola “benzina per tornare a casa”: altrimenti, i nostri soldati precipiteranno dall’oggi al domani nel prossimo tritacarne che Washington sta preparando per l’Iran. Siamo stanchi di vedere sbarcare le bare dei nostri soldati a Ciampino: cambiamo canale, per favore.
Nella complessa galassia irachena è praticamente impossibile risalire a chi ha deposto materialmente la mina: tutti i gruppi della guerriglia irachena se ne assumeranno la paternità, fin troppo facile da prevedere.
Dai dati tecnici si potrà sapere ancor meno: si tratta di una comunissima mina anticarro costruita negli ultimi vent’anni e qualsiasi esercito del pianeta ne ha a disposizione decine di migliaia. Lo scoppio dell’ordigno espelle verso l’alto un dardo formato da metallo fuso ad altissima temperatura (migliaia di gradi) che penetra la corazza fondendola come una lama calda penetra nel burro: dopodichè, si sprigiona nell’angusto abitacolo un calore pari a centinaia di gradi centigradi. Gli abiti s’incendiano all’istante e si è uccisi in pochi attimi dall’aria rovente che penetra nei polmoni: una fine orribile, possiamo solo sperare che abbiano perso i sensi nell’attimo stesso dell’esplosione.
Più facile invece capire l’obiettivo strategico di un attentato realizzato chiaramente per uccidere in una zona ritenuta “tranquilla” o, almeno, meno pericolosa del resto del paese.
Qui s’innestano due vicende: il contrattacco americano nella zona di Ramadi, che ha lo scopo di colpire uno dei “santuari” della guerriglia sunnita: si tratta dello stesso copione già messo in atto a Falluja, che produrrà migliaia di morti fra la popolazione civile e scalfirà appena le formazioni guerrigliere.
Il secondo motivo è invece più velato e guarda più al domani che all’oggi: qualora il tam tam di guerra nei confronti dell’Iran aumentasse di tono, sarebbero proprio le province meridionali dell’Iraq – Bassora, Nassirya, la zona dei laghi di Amara – ad essere investite poiché di fede sciita e confinanti con l’Iran.
Questo strano attentato ha quindi il sapore di un duplice avvertimento: siamo in grado di colpire le truppe occupanti ovunque – sembrano affermare i guerriglieri – e se sarà attaccato l’Iran nel sud dell’Iraq scoppierà l’inferno. Una ragione in più per limitare il finanziamento della missione (che dovrà essere approvato a giugno) alla sola “benzina per tornare a casa”: altrimenti, i nostri soldati precipiteranno dall’oggi al domani nel prossimo tritacarne che Washington sta preparando per l’Iran. Siamo stanchi di vedere sbarcare le bare dei nostri soldati a Ciampino: cambiamo canale, per favore.
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