16 maggio 2006

Di crisi d’astinenza da calcio non è mai morto nessuno

Tutto c’attendevamo, in questa infuocata primavera elettorale, meno che il mondo del calcio crollasse su sé stesso. Qualcuno potrà affermare che non è una novità: chi non ricorda giocatori che si vendevano le partite, “combine” d’ogni tipo e quant’altro?
La crisi del calcio fa paura non per gli effetti che produrrà – i quali saranno in ogni modo catastrofici per le finanze d’alcune squadre – bensì perché ha rivelato che l’intero mondo del pallone era un simulacro vuoto, un quadro dipinto solo con i pennelli della corruzione e dell’inganno: qui non si tratta delle solite “mele marce”, è l’intero frutteto che è andato in malora.
Eppure, decine di solerti giornalisti dell’informazione hanno dissertato per decenni sul nulla: serate passate di fronte al teleschermo per capire se un arbitro aveva sbagliato oppure no sono da buttare nel cestino come carta straccia. Hanno rubato milioni di ore agli italiani presentando uno spettacolo completamente fasullo: sarebbe come se oggi – dopo aver trascorso una campagna elettorale lunga un anno – ci raccontassero che avevano scherzato, che Berlusconi e Prodi sono amici per la pelle e che si è trattato solo di una burla.
Lo scherzo però finisce se riflettiamo che quelle migliaia di ore di trasmissioni sono servite per rimpinguare le casse degli sponsor, delle squadre, dei giocatori, delle TV, dei vari “faccendieri”…
Il problema – che in questi giorni tutti cercano di dribblare – è la pesante sconfitta del mondo dell’informazione: qualcuno può ragionevolmente pensare che il mondo dell’informazione sportiva fosse all’oscuro di tutto? E’ veramente difficile da sostenere.
Se ampliamo un poco l’orizzonte, potremmo chiederci come lo stesso mondo dell’informazione ci tratta per cose assai più importanti – la guerra, la situazione economica, l’energia, la giustizia – perché non possiamo pensare che tutti gli allocchi finiscano per fare i giornalisti sportivi e le “teste pensanti” siano convogliate verso la politica e l’economia.
Se il sistema dell’informazione è così fragile da non accorgersi che pochissime persone gestivano in piena libertà il mondo del calcio, ci sarebbe da rabbrividire al pensiero che – nella stanza accanto – chi scrive la pagina politica o quella economica usi gli stessi (fasulli) metodi d’indagine.
In realtà, è il sistema dell’informazione ad essere crollato su sé stesso – prima di quello del calcio – e ciò trae origine dalla struttura stessa dell’informazione. Su quella televisiva c’è poco da dire: il solo paese al mondo che ha come Presidente del Consiglio il maggior proprietario di TV private (oltre all’Italia) è la Thailandia, dove un discusso presidente “muove” maggioranze e parlamentari a suon di scoop sui suoi network.
Il vero “buco nero”, però, è la carta stampata dove – grazie al finanziamento governativo concesso ai giornali di “area politica” (600 milioni di euro l’anno) – il potere politico ha in mano i “cordoni della borsa” per controllare cosa scrivono migliaia di giornalisti, controllati a loro volta da centinaia di direttori, i quali sanno bene che non possono correre il rischio di scontentare i loro mecenate. I quali, a loro volta, per controllare l’informazione usano i soldi pubblici, ossia i nostri.
Non vorremmo che a questo asfittico mondo dell’informazione fosse sfuggito che un certo Licio Gelli ha manovrato per anni la politica italiana come Moggi ha fatto nel calcio, oppure che qualche parlamentare si sia lasciato “comprare” come gli arbitri.
Senza calcio si può anche sopravvivere: senza limpida informazione si finisce per diventare una landa d’automi lobotomizzati, gente senza speranza che si racconta storie mai avvenute, oppure storie accadute e mai conosciute. Enrico Mattei, Piazza Fontana, Ustica, Bologna, Ilaria Alpi…che in Italia sia esistito un “Moggi” che non s’occupava di calcio?

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