22 ottobre 2019

Filippo Rossi de Bergerac

Strano a dirsi, ma ogni tanto spunta qualcosa di nuovo: un tenero porcino, una vellutata farfalla, un bocciolo di pesco…e un uomo che pensa, riflette e giunge a scrivere un libro per rifondare la Destra italiana. Per carità: niente di male, hanno pubblicato libri sulle barzellette dei Carabinieri o su quelle di Totti e c’è posto per tutti. C’è posto persino per la velleità di Filippo Rossi, che porta un nome prosaico ma anonimo, e ben si presta per presentare la rébellion d’un garçon plein d’air et de nullité, che al giorno d’oggi vorrebbe entrare nella parte del grande Savinien Cyrano de Bergerac (1619-1655) e calcar le scene (televisive?) dopo esser stato ristrutturato per il teatro e reso celebre da Edmond Rostand (1868-1918). Meraviglie della modernità.

Obiettivamente, sono stato troppo duro con Filippo Rossi ed il suo Dalla parte di Jekill, perché l’intento è buono…almeno…passabile, ossia raccontare (per sommi capi) che cosa è stata la Destra italiana da Cavour a Salvini, da come sono avvenuti trecentoquarantatré contrappassi, ventotto tradimenti, otto ristrutturazioni e, infine, la creazione di una coalizione che potrebbe anche vincere delle elezioni. Quando saranno.

Rossi (non Paolo) ha tirato sì in porta, ma diciamo che ne è nato solo un modesto calcio d’angolo dopo una sterile deviazione in corner. Perché?
Perché Filippo (non di Edimburgo) ha regalmente declamato la parola chiave, sulla quale ha intessuto capitoli di storie sulle disgraziate vicende della perduta nelle nebbie Grande Destra Italiana: Patria.

Oddio, non è il solo…
Giorgia Meloni pensa, addirittura, di affidare l’Italia alla grande Triade: Dio, Patria e Famiglia. Se il primo si degna di uno sguardo, se la seconda veramente esiste (come vedremo in seguito) e la terza, da tempo, ha smesso di far parte dell’insieme: ogni 72 ore, una donna (e spesso madre) viene uccisa (1).
Matteo Salvini si limita a misteriosi segni con le mani ed agita crocifissi e medagliette: la sua attuale famiglia (se è vero) è la di Verdini figlia, mentre per la Patria omette. Dovrebbe menzionare troppe patrie, quelle venete e lombarde in primis, e poi il vecchio regno piemontese, la repubblica ligure…mamma mia! Meglio star zitto.
Il BerlusKaiser ha smesso i panni neri od ossigenati per gli indumenti dai colori meno cangianti, come fanno tutti i vecchietti, e dopo aver partecipato alla grande kermesse del 19 Ottobre – dove hanno salutato “vigorosamente” coloro che partiranno per santificare il loro grande anniversario, la Marcia su Roma del 27-29 Ottobre – giunto a casa, sistemato nel suo lettuccio caldo, avrà aperto le pagine di Dalla parte di Jekyll e si sarà messo a sognare: oh, bei ricordi…un Montanelli giornalista, un Cossiga Presidente, un Andreotti agli Esteri…gli sarà sfuggita una lacrima, perché anche lui – come quelli che credono nel fulgore dell’amor patrio che tutto supera, travolge e calcina, oppure quelli che sognano una Destra in guanti bianchi a cena al Ritz – non ha capito una mazza. Oppure, persone che si sono rese conto che il problema esiste , ma che il problema stesso ha scarse possibilità di soluzione.

Sgombriamo subito il campo da stravaganti collusioni fonetico-culturali: possiamo subito affermare che il termine “Patria-Europea” è l’ossimoro più evidente in campo linguistico, perché non esiste un sentiero europeo sotto questo aspetto. I circa 50 milioni di morti nelle guerre nazionaliste o para-nazionaliste del ‘900 crediamo che bastino ad evidenziarlo. Non si possono creare “Patrie” dopo una simile, recente voragine: al più, si può parlare di reciproca tolleranza.

Ma, all’interno del nostro Paese, si può parlare di “Patria”?
Abbiamo circa 150 anni di storia unitaria: fu l’Esercito Piemontese ad unificare il tutto, con l’aiuto francese in funzione anti-austriaca fino a quello tedesco in funzione anti-francese per il Veneto e la presa di Roma. E qualche “aiutino” britannico (per gli interessi di Sua Maestà, antifrancesi), che – dopo aver impiccato l’ammiraglio Caracciolo a Napoli nel 1799 – concesse a due fregate inglesi di sostare a Marsala ed attendere i due vascelli di Garibaldi (per non esporli prima dello sbarco al fuoco dei vascelli partenopei).

Negli anni successivi, reggimenti piemontesi iniziarono la guerra contro il brigantaggio – dovuto principalmente al tradimento delle promesse “unitarie” – ed uccisero circa 75.000 persone (2) ma c’è un particolare che agghiaccia: cosa capivano, l’uno dell’altro, ribelli e soldati?
Eseguimmo una prova, a cena: un gruppo di piemontesi con due amici napoletani in un ristorante a Napoli.
I napoletani zitti, mentre noi discorrevamo in piemontese “stretto”, ma certamente più “largo” di quello post-unitario. Alla fine, i due amici napoletani chiesero così, in giro, a qualcuno chi ritenevano che fossimo: le risposte furono equamente suddivise fra francesi e tedeschi. Nessuno pensò nemmeno per un istante che fossimo italiani: saranno turisti…eppure era la Napoli della fine del Novecento, che aveva già vissuto l’emigrazione…niente: stranieri.

Oh certo, la “lingua di Dante” già esisteva…Manzoni aveva già sciacquato i suoi panni in Arno…ma questa era soltanto roba, nell’Ottocento, per gli ufficiali piemontesi ed i baroni meridionali che facevano parte – guarda a caso – della medesima alleanza.
Tuttora, non riesco a comprendere i pescatori pugliesi se parlano nel loro dialetto: eppure, in mare dovrebbe essere più facile…no, non è così: le connessioni linguistiche storiche, soprattutto fra italiani, spagnoli e portoghesi hanno un’altra radice: il Latino.
Quindi, la nostra “Unificazione” che doveva condurre ad una “Patria”, fu condotta da eserciti che parlavano lingue diverse – dove solo gli ufficiali potevano capirsi (a volte, a fatica) – mentre per la truppa c’era soltanto la legge del piombo e della sciabola.

Giunse, però, il gran momento: durante la Prima Guerra Mondiale – che i cantori del regime salutarono come “la grande offerta alla Patria in armi” – e, finalmente, i sarti napoletani ed i villici siciliani, calabresi, ecc ebbero il grande onore di crepare, con la bocca piena di fango, su terre che non sapevano manco riconoscere su una carta geografica. In mezzo a popolazioni che non capivano, vessati da ufficiali che non comprendevano se non per i comandi essenziali: fuoco! all’assalto! Savoia! E vi meravigliate se esiste una “questione meridionale”?

E venne il Fascismo. I fascisti erano tutt’altro che stupidi e compresero che per ottenere una “Patria” bisognava affidarsi ad un universale comune, ma anche loro poterono farci ben poco, perché l’unico “universale comune” che riuscirono a scovare fu l’Impero Romano.

Sempre per usi propagandisti, ossia per creare quella liaison fra i lontani Latini ed il Novecento, crearono una nuova architettura, che ha avuto il suo fulcro nella creazione dell’EUR, a Roma. Come tutte le scelte in capo architettonico, a qualcuno piacque, ad altri no, ma non per fedeltà/infedeltà verso il regime: quello che si può senz’altro affermare è che pochi compresero quel tentativo di celebrare gli antichi fasti dell’impero romano. Guardavano col naso all’insù le geometriche architetture…qualcuno diceva “Bello…” altri “Bah…”

Quel poco di Patria raffazzonata, molto esaltata sì, ma senza reali e solide radici per giungere ad essere interiorizzata, però, si squagliò al sole dopo due anni di occupazione straniera, tedesca ed anglo-americana. Gli italiani urlarono “basta!”, c’avete fregati un’altra volta, torniamo al nostro paese (il nostro piccolo Heimat? Vedremo in seguito) e non rompeteci più con fandonie del genere.

L’inno italiano non si può dire che, musicalmente, sia un gran che: una marcetta, più noiosa della Marsigliese, che non raggiunge mai i toni aulici dell’inno tedesco od inglese.
Il nuovo regno d’Italia impose subito la Marcia Reale come inno ufficiale, ed il Fascismo s’accontentò di canzonette come Giovinezza per render gai gli animi, anche quando c’era poco da stare allegri. Mussolini, nella Repubblica Sociale finì per tollerare l’antico inno di Mameli, ma non lo appoggiò mai.
Così, finita la guerra, tutti s’affidarono “all’elmo di Scipio”: vorrei sapere quanti conoscevano o si riconobbero in un fumoso console latino di duemila anni prima, che era andato a soggiogare una lontana provincia d’origine fenicia, tale Cartagine. Difatti, diciamolo a chiare lettere: possiamo anche tollerare quell’inno perché non abbiamo alternative, però che piaccia e – soprattutto – che racconti qualcosa, non venite a raccontarcelo.
Alla Lega è piaciuto di più il coro del Nabucco – che per versi e musica non ho difficoltà ad avvertirlo come più gradevole – ma è una storia d’antichi esuli ebrei nella terra di Babilonia!

Come hanno affrontato la loro quasi contemporanea unificazione i tedeschi?
Non ci fu nessuna guerra, bensì un processo definito Zollverein, ossia “unificazione doganale”, facilitato dalle precedenti invasioni napoleoniche, che avevano fatto “saltare” molti confini fra piccoli ducati o contee ecclesiastiche. La Prussia era la più forte militarmente: difatti, subito dopo l’unificazione rese il favore fatto da Napoleone (qui, è interessante il carteggio ed il rapporto con Goethe!) sconfiggendola brutalmente nella guerra del 1870.
E sotto l’aspetto linguistico?

La Germania ha anch’essa dei dialetti (non così diversi come quelli italiani), ma fu molto facilitata dalla diffusione dei testi luterani – che furono anche un fattore linguistico unificante – poi da una serie di riforme sui codici e sul lessico (caratteri gotici, ecc), per giungere a Giuseppe II d’Austria, che “accomunò” le due lingue (austriaco e tedesco), infine da altri regnanti germanici che seguirono i medesimi impulsi. E i concetti di riferimento?
La “Patrie”, in Germania, sono due: il Vaterland la “terra dei padri” (e qui non ci sono problemi a capirlo) e l’Heimat, termine che non ha traduzione in italiano e nelle principali lingue europee. Significa pressappoco il luogo dell’anima, il mio “posto”…insomma, qualcosa che coniuga la “Patria personale” con quella grande, comune a tutti. E l’inno?

Il noto Deutschland über alles (3), nella sua traduzione, si presta ad una mistificazione: quel “über alles” può essere tradotto in vari modi, ossia molto frettolosamente in “sopra tutti” oppure, semanticamente corretto, in “sopra ogni cosa” o “prima di tutto”. Ed è così che l’intese chi lo scrisse all’inizio dell’800, che poi lo accoppiò con la musica di Haydn. Un inno molto pacifico, dove si esaltano i valori nazionali…donne tedesche, vino tedesco…nessun impeto guerresco, perché c’era da unificare, non da guerreggiare.

Come si può notare, si trattò di due percorsi analoghi, vissuti nel medesimo periodo storico, con due potenze regionali a guidarlo – Prussia e Piemonte – ma realizzate in modo completamente diverso: mentre in Germania ci fu molta attenzione sul versante linguistico ed anche sulla questione dei termini – l’uso dei due sostantivi, Vaterland ed Heimat, sostanzialmente, acquietò possibili incomprensioni e “fughe” mirco-nazionaliste – e nemmeno il regime nazista si sognò di toccare l’inno tedesco.
I nazisti diffusero molti inni  “accessori” come quelli militareschi ed usarono il famoso Horst-Wessel-Lied (4), l’inno dei lavoratori tedeschi (nazisti), che dopo la 2GM fu proibito in tutta la Germania, con ben due appositi articoli del codice penale. E, soprattutto, fatto rigidamente rispettare.

In Italia, invece, incomprensioni linguistiche, conquista militare, comportamento coloniale, uso di un inno sconclusionato e guerresco ed ampie repressioni successive finirono per proporre una forma di Patria grifagna, infida e nemica, che continua ad essere percepita, oggi, come inquisitrice, ingiustamente impositrice di gabelle, dilapidatrice di patrimoni pubblici ed incapace di portare all’Italia ciò che gli italiani hanno sempre desiderato: un posto da cittadini, con diritti e doveri uguali per tutti.

Qui termina il gran sogno di Filippo Rossi: se fossimo a scuola potrebbe meritare anche un buon voto, perché sviluppa con buona lena molti aspetti delle vicende della Destra italiana, partendo però da un presupposto errato: qualsiasi Destra che si rispetti – dai conservatori inglesi ai cattolici spagnoli – presuppone l’esistenza di una entità superiore ai singoli individui, e che sia percepita come tale! Quando non c’è, tutto crolla.

E torniamo al nostro Hercule Savinien (!) Cyrano de Bergerac, che in una nuova epoca intrisa di dubbi sul futuro delle Nazioni e sui loro destini – politici, economici, ambientali, ecc…come lo fu, in qualche modo, il tempestoso Seicento che doveva prender coscienza del “allargamento” del mondo abitualmente conosciuto da millenni – s’arrocca in una versione del tradizionale mondo “cortese” che la memoria ante-Americhe ancora gli rammenta. Ma lo declina da uomo del Seicento: un mondo tempestoso, corrugato da nuovi filosofi, sbalorditivi concetti, proto-ideologie…e viene considerato il primo precursore della letteratura fantascientifica.

Qui è la sintesi, o il parallelo, con la situazione della Destra italiana: Giorgia Meloni – oggi “sovranista” – non sa, o non ricorda, o fa finta di non ricordare quanto il partito che frequentò – Alleanza Nazionale – era proiettato in Europa, fidente e gagliardo, senza nessun dubbio su moneta comune e quant’altro, fino ad essere inclusa nel raggruppamento parlamentare “Alleanza per l'Europa delle Nazioni” che era, evidentemente, una tagliola in embrione, perché non puoi mantenere diviso (delle “Nazioni”) ciò che vuoi unire (l’Unione Europea).

Silvio Berlusconi, con la famosa “discesa in campo”, cercò prosaicamente – da buon imprenditore qual è – d’accaparrarsi quella “fetta di mercato” che la DC aveva lasciata libera e senza più referenti. Un cattolico conservatore, in sintesi, senza troppi orpelli. E che differenza c’è fra un cattolico italiano ed uno tedesco?

Per Umberto Bossi, invece, il sentiero era contiguo ma molto differente: non aderiva ad un concetto di “Patria” italiana, perché il suo obiettivo era un’Europa “delle Regioni”, qualcosa che gli consentisse di far convivere il Diavolo con l’Acqua Santa, ossia il suo Lombardo-Veneto indipendente purché “sistemato” in una personale visione europea.
Oggi, è molto difficile comprendere il nuovo lessico leghista: relegato in un angolo il “Grande Nord”, l’Italia intera deve diventare “Nord” per difendersi dal “Sud” del mondo? E i voti che deve prendere dai piccoli imprenditori padani? Mah…

Come si può notare, gli assiomi di base della Destra italiana sono fortemente divergenti: “Patrie” (europee) per il segmento Fini-Meloni, unione dei cattolici europei (DC-CDU, ecc) per Berlusconi, un pot-pourri di regioni affastellate per Bossi. Poi, c’è sempre il “non so” di Salvini: domanda non pervenuta.

Qualcuno si chiederà perché la Sinistra, in questa narrazione, sia totalmente assente: per due motivi.
1) Tradizionalmente, il concetto di Patria è sempre stato associato alle formazioni politiche conservatrici, che ne hanno fatto il loro stendardo storico;
2) La Sinistra italiana, per sua genesi, fu sempre attratta/associata all’internazionalismo cosmopolita – due figure: Mazzini e Garibaldi – poi la lunga avventura degli internazionalismi socialisti/comunisti del Novecento, culminati, poi, con la piena adesione (come avvenne per la maggior parte della Destra) all’Unione Europea.
Ciò che distingue le due ideologie è che, mentre per le Destre la Patria è un concetto primario ed incomprimibile né “traslabile” in altre fumose concezioni (si noti la vicenda catalana), per la Sinistra è un concetto accessorio, non presente nel suo DNA costituente.

Ma i voti, i consensi, si prendono con concetti forti, che raggiungono gli animi e li scuotono, li seducono, fanno sentire gli elettori “partecipativi” ai processi in corso: era nato un nuovo partito, il M5S, che proponeva un concetto semplice da ricordare e da interiorizzare. L’onestà assoluta di chi è chiamato al governo della cosa pubblica, come avviene quasi dappertutto in Europa, dove il minimo scandalo conduce alla porta. Come reagire?

Per chiedere consensi o anche sacrifici, o cambiamenti sostanziali, bisogna trovare un altro concetto “forte” da contrapporre alla “onestà”: già, come fare? La Patria non funziona, o molto poco: due guerre mondiali l’hanno “consumata” parecchio, decenni di malgoverno l’hanno trasformata in un campo di battaglia a colpi di tangenti.
Ecco, allora, che si trova un escamotage, molto avvincente ma pericoloso: difendere la piccola Patria personale – potremmo scambiarla con l’Heimat tedesco, ma il nostro Vaterland è corroso e deriso – non importa, si va avanti a forza di tweet e di Facebook, fidando sull’ignoranza collettiva della Storia. E sottovalutando molti rischi sul fronte sociale.

Si giunge ad affermare che i tortellini col pollo al posto del maiale sono un insulto alla cultura culinaria nazionale: vade retro, Satana! Mia madre, ferrarese “doc”, li faceva col ripieno di cappone: a me non piacevano, ma il resto della famiglia s’abbuffava.

I crocifissi, nelle scuole, vennero re-introdotti poco prima del 1990, giacché prima – per un anelito di laicità della scuola negli anni ‘70 – erano spariti: me n’accorsi perché vidi un bidello, col martello in mano, risistemarli dietro la cattedra. Nessuno s’era accorto della loro sparizione, e nessuno s’accorse della loro ricomparsa.

Poi si devono armare tutti, contro il nemico incombente: all’armi! all’armi! Cosa non vera – provate ad andare in armeria e vedrete cosa vi daranno, ossia niente o troppo, esattamente come prima – però il messaggio che passa è che “potremo armarci” e difenderci dall’invasione della nostra Patria (che come universale presente nella vita comune non esiste più da tempo). E chi ci minaccia?
Gli immigrati, i negher, i musulmani, che stuprano le nostre donne e diffondono le droghe per i nostri giovani: se leggete anche solo un po’ la cronaca, vedrete che sì s’ammazza, ma soprattutto all’interno delle famiglie italiane, che il controllo delle droghe è sempre nelle mani dei cartelli italiani, che oggi sono insediati a Medellin per la coca ed in Albania per l’hascisc. Più un po’ di robaccia chimica che viene d’oltralpe o da chissà dove: non certo dall’Africa.

Ma il concetto è passato, e gli spin-doctor hanno saputo addobbarlo bene: il problema, oggi, è farlo durare, perché un Governo c’è, governa – come può, come sa fare, non è il Pico della Mirandola dei governi, ma nemmeno con i bilanci alla Paolo Cirino Pomicino! – e si deve programmare una lunga traversata nel deserto, fino all’Oasi del 2022, quando ci si fermerà, si apriranno i bloc notes, e ci si conterà di nuovo.

E tornerà la sempre difficile riesumazione di una Patria che non esiste, che non è mai esistita, per giudicare e scegliere fra questo o quello. Con l’Europa? Senza l’Europa? E chi lo sa!

Prendetela come meglio gradite, ma non ditemi che le cose non stanno proprio così: è un problema serio, che spesso non riusciamo a percepire.
Buona patria (o pappa, zuppa, sbobba…) a tutti.

(4) https://it.wikipedia.org/wiki/Alleanza_Nazionale_(Italia)

6 commenti:

giuseppe castronovo ha detto...

Intanto complimenti per l’articolo che spazia su questioni che spesso vengono trascurate del tutto, nella comune comunicazione nostrana e sul web, ed anche sulla pubblicistica storica più documentata.
Partiamo da qualcuno che la storia d’Italia l’aveva studiata sul serio, condannato dal carcere fascista. Gramsci diceva che lo strato unitario degli intellettuali italiano nel meridione era sottilissimo, oggi potremmo con una battuta dire che questo strato in Italia sia divenuto non solo ancor più sottile, ma soprattutto molto più ignorante e stupido, anche a latitudini più elevate.
Basta riflettere sullo stato comatoso della scuola, stravolta dalle riforme scolastiche che dal ministro Berlinguer in poi hanno distrutto la scuola secondaria, elementare e l’Università, non riuscendo a rimediare ai difetti congeniti della vecchia riforma gentiliana. Ma quest’ultima era stata pensata per una piccola élite e non certo per una scuola di massa.
Giriamo e rigiriamo ma il problema è sempre quello del povero d’Azeglio, fare gli italiani. Quest’ultimo aveva almeno chiaro il problema, che esplose durante la guerra del 1915-18. Quando divenne lancinante, dopo Caporetto, che non fu uno sciopero militare, bensì una sconfitta militare che un piccolo gruppo di intellettuali militari non pensò possibile per superbia intellettuale e reale impreparazione professionale va detto sempre, allora qualcosa si mosse, ma fu poco.
Quel poco se vogliamo fu ancora peggio rispetto alla risposta dell’Italietta liberale. Arrivò il fascismo, tronfio e retorico, che acquisì tutti i difetti della nostra peggiore classe dirigente, oltre ad una colata di retorica tremenda che produsse poi il rifiuto di una patria dopo la palese sconfitta del Seconda guerra mondiale. I vincitori, ed in particolare i grandi partiti di massa del dopo guerra, non furono assolutamente capaci di pensare al nostro paese e a dotarla di una struttura amministrativa e burocratica adeguata, e si badi i suggerimenti c’erano.
Togliatti e i cattolici non pensarono assolutamente a superare la vecchia struttura burocratica sabauda, retaggio costruito sulla lezione napoleonica. Quindi province, sempre dilatate ed aumentate per esigenze elettorali, ma soprattutto regioni, ritagliate a casaccio. Era più utile una struttura, detta macro-regionale, che nel vecchio programma del PCD di italiana del 1926 era presente: nord, centro, mezzogiorno, isole e poi strutture particolari dove esistevano minoranze nazionali come Val d’Aosta, sud Tirolo e Friuli-Venezia Giulia.
I Risultati sono sotto gli occhi di tutti!
Oggi la situazione è pessima sotto tutti i punti di vista: l’Europa è un fallimento e non si sa come uscirne, ci resta che sperare che i tedeschi gli unici liberi nelle loro scelte se ne escano; l’Italia rischia seriamente in caso di crisi economica e finanziaria gravissima, unita a una crisi politica di frantumarsi. D’altra parte, il nord potrebbe interessare alla Germania, mentre il sud e la Sicilia agli Usa.
Questo è lo stato delle cose. La crisi catalana parla a noi, sapremo comprenderla ed evitare inutili tragedie? Perché c’è un altro dato storico che sta sempre più prepotentemente venendo alla luce. La dissoluzione della vecchia unità nazionale, nata con le rivoluzioni borghesi. Non andando avanti i processi di unificazioni, in realtà con una evidente crisi economica, regredisce l’unificazione nazionale e risorgono le vecchie minoranze nazionali a suo tempo assimilate o inglobate.

Carlo Bertani ha detto...

Ottima disanima, anche se io sono più ottimista: non vedo grandi problemi all'orizzonte, salvo le gravi crisi internazionali, che portano alla sofferenza milioni di persone. L'Europa, oramai, è una realtà: mal fatta, mal gestita, ma irrimediabile anche nei suoi errori. I tedeschi ci faranno sperare, o...sparare? meglio la prima, e anche loro lo sanno.
La Storia d'Italia è questa, e solo gli idioti non la capiscono e si ostinano a credere ad un Salvini qualunque.
Grazie

Roberto ha detto...

Salve!

Vorrei solamente fare una annotazione parallela al tema:

la parola "cattolica" significa "universale"

Lo so bene che molti di voi conoscono già il significato
della parola, Bertani in testa ...
ma ho personalmente scoperto che molti, moltissimi, anche
sedicenti cattolici, invece, non ne conoscono il significato...
quindi 'repetita iuvant' come diceva sempre il mio professore
di Italiano (assieme a "gutta cavat lapidem")...

Il conservatorismo italiano ed europeo, ma potrei dire
'universale' (guardiamo anche l'Islam...), come ben detto
dal Bertani, ha bisogno di D-o. Un D-o reale e vissuto,
vivente, ma sopratutto "cattolico" cioè universale,
parola che mette in testa l'idea di "unicità" di direzione
e di intenti, unificazione politica e sociale.

Parafrasando Chesterton potrei dire anche: "chi non crede
in D-o finisce per attaccarsi a qualsiasi altra idea"
usando "idea" nel senso in cui lo intende la parola "vanità"
dell'Ecclesiaste (Qoèlet).

L'Italia e l'Europa stessa non stanno in piedi senza il
cristianesimo checché ne dica chiunque la pensi diversamente.

Il "problema" in questo caso è triplice, ovvero duplice
dalla parte laica con l'aggiunta delle profonde trasformazioni
della Chiesa cattolica in primis ma anche protestante.

I conservatori sono corsi dietro ai soldi ed hanno sostituito
D-o con i soldi, anzi hanno fatto diventare dio i soldi.
I progressisti non hanno mai trovato l'unicum al quale
puntare i desideri delle persone ed anzi hanno proprio
dimenticato i desideri delle persone sostituedovi
delle "idee" che l'Ecclesiste aveva già ben valutato
secoli prima.

In più la Chiesa si è messa di traverso di brutto
con la vera grande Riforma ancora in atto
i tempi della chiesa sono millenari)
pensata da un genio della spiritualità,
Papa Giovanni XXXIII, con il Vaticano II.

La Chiesa di oggi non cerca più il potere
(mi rendo conto che ci sono ancora ampi ambienti
cattolici che invece lo cercano ancora e queste aree
sono tutte affini anche al Salvinismo) ma predica
l'umiltà.
La Chiesa di oggi si sta lentamente trasformando
da "ordine-ordinamento" a "testimonianza" ed anche per questo
(assieme alla grande riduzione del numero dei credenti)
non va più bene per la politica.
Direi che per capire cosa è la Chiesa di oggi
ed rapporti che potrà avere coni movimenti "latinorum-nostalgici"
(e "conservator-leghista") di oggi è consigliabile
una lettura del libello di Soloviev: "anticristo".

I Vescovi di oggi parlano di piccole comunità,
di riduzione o cancellazione delle parrocchie,
di "trasferimento", di funzioni ex-clero ai laici
di "testimonianza", di "umiltà" di ritorno alle
piccole comunità cristiane dei primi secoli,
di sgretolamento del "clericalismo"...
insomma si ritorna ai 12-1(+3 Paolo e Maria di Magdala
e Mattia) apostoli, ed al primato dei "poveri".

E ci domandiamo perché non "funzionano" più
in politica?

saluti

RA

Lanzo ha detto...

Sono agnostico a NON ateo militante, i crocefissi al massimo mi hanno ispirato solo un senso di depressione e tristezza, ma se li vogliono avere appiccicati ai muri delle scuole, la cosa mi e' indifferente.
Invece smisi di frequentare un certo albergo/pensione a Cesenatico, ottima posizione,vicino al canale, al mare, al viale, camere piccole ma con tutti i servizi, solo perche' ogni cameretta aveva il suo crocefisso !
Mi sembrava di stare in un convento, solo che pagavo.
Quando ricordo Cesena e Cesenatico, mi viene sempre in mente SGABANAZZA ed il suo romagnolo verace.
Ad salut.

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