24 novembre 2015

Un missile di troppo


Sukhoi-27

L’abbattimento del cacciabombardiere Su-24D russo sul confine turco-siriano è un affare di poco conto, oppure una vera e propria “boa” scapolata dai turchi, secondo come il Ministro degli Esteri russo Lavrov si esprimerà domani (25 Novembre) ad Ankara. E da come risponderanno i turchi.
In altre parole, le carte – oggi – sono tornate in mano russa ed i turchi potevano, francamente, non andarsi a cercare “grane” col potente vicino, visto che dimostrare la territorialità dell’abbattimento sarà molto arduo e, in definitiva, di scarsissimo interesse: ciò che conta, è il dato politico.

Avremo modo di conoscere com’è andata la missione turca di Lavrov nelle prossime settimane, tenendo d’occhio la composizione aerea della missione russa in terra siriana: oggi, è composta soltanto da cacciabombardieri, quali sono i Su-24D e, parzialmente, anche i Su-34. La differenza fra i due velivoli non è soltanto una questione di “età elettronica” (anche i Su-24D, ampiamente rimodernati, sono comunque ottimi velivoli) bensì di “qualità radar”. Semplificando: mentre il Su-24 può soltanto lanciare – nel confronto aria-aria – missili con guida all’infrarosso e poche miglia di gittata (autodifesa), il Su-34 può lanciare anche missili a guida radar attiva, con portate dell’ordine delle 25 miglia nautiche, 50 chilometri circa, che è tutto un altro affare. Pur rimanendo un aereo per l’attacco al suolo.

Politicamente, quindi, la scelta di puntare sul Su-24 è stata una scelta politica, un modo per dire “svolgiamo la nostra missione anti-ISIS e basta”, lasciando ai pochi Su-34 schierati il compito, più che altro, di “mostrare la bandiera”.
Non si spiega altrimenti la scelta d’inviare una missione aerea senza protezione in aria, giacché l’ISIS non ha aviazione – e in aggiunta c’è l’aviazione siriana a sorvegliare i cieli – in un territorio molto conteso, dove operano due aviazioni temibili e ben equipaggiate, come quella israeliana e quella turca.
Di certo, Lavrov chiederà la certezza assoluta che simili attacchi – da ogni parte provengano – non abbiano più luogo, giacché è evidente che uno sconfinamento di poche miglia non implica nessun pericolo per la Turchia.

Solo per citare un esempio, durante le prime fasi dell’ultimo conflitto in Jugoslavia, un giorno d’Estate una mia cara amica era al mare, ed andare al mare – per i triestini – significa spostarsi o verso Miramare, o verso Muggia, che è cittadina di confine. Ebbene, quel giorno s’era recata in una spiaggia nei pressi di Muggia, quando udirono un frastuono assordante e, dalle loro spalle, sbucò una formazione di cinque Mig-29 (sloveni? croati? serbi?) la quale – probabilmente per l’abbrivio e l’inerzia del volo a quelle velocità – era ampiamente sconfinata in territorio italiano. I Mig virarono subito e cabrarono in alto (per diminuire la velocità e manovrare meglio): in ogni modo, giunsero quasi sulla città di Trieste prima di rientrare in Slovenia.  Tutto avvenne in pochissimi minuti e nessun aereo italiano, ovviamente, si alzò poiché fu preponderante il dato politico: nessuno di quegli aerei ce l’aveva con l’Italia, ed avevano abbastanza guai in casa propria per cercarne degli altri.
Così saranno andate le cose anche su quel confine fra Turchia e Siria, ma i turchi hanno reagito: perché?
Poiché il dato politico è diversissimo.

L’ordine d’abbattere l’aereo russo è probabilmente giunto dal quartier generale Nato di Bruxelles – sconfinamenti di questo tipo, in quelle situazioni, sono comuni – ed alla Turchia poteva far piacere oppure no, ma ha dovuto obbedire.
La Turchia non vede poi così male la missione russa, poiché l’ISIS è una minaccia anche per il partito moderato di Erdogan, però c’è l’altro aspetto, ossia l’alleanza con Assad, la sua difesa come fedele alleato del fianco Sud dell’Orso Russo. E, questo, è un bastone fra le ruote per Ankara: ma la contrapposizione fra russi e turchi è vecchia di secoli, dalla battaglia di Sinope in poi.

Quello turco è stato dunque un avvertimento, una sfida che – ovviamente – non viene lanciata da Ankara, bensì da Washington (per la questione ucraina), Bruxelles (per servaggio nei confronti USA, l’UE non ha interessi a controllare militarmente l’Ucraina, anzi) e da Tel Aviv, per una sorta di “no fly zone” che la presenza dei russi ha stabilito – di fatto – nell’area, e che “infastidisce” molto Israele.

C’è, infine, la questione petrolifera che ruota intorno al porto di Tartus, alla quale tutti sono interessati, ma è una contrapposizione meno rischiosa: in ambito energetico, tende a prevalere l’accordo piuttosto che la violenza, soprattutto quando gli attori sono “di calibro”.

Per Mosca si pone quindi un dilemma, che ha – a ben vedere – un’unica soluzione: se la scelta è stata quella di tornare grande potenza sullo scenario mondiale – Georgia, Ucraina, Siria – ora non possono mettere la coda fra le gambe.
Perciò, Lavrov chiederà una sorta di “pass” senza problemi, e senza arretrare di un millimetro nella difesa del regime di Assad: se lo otterrà, non avverrà nulla. Al contrario, vedremo arrivare a Latakia anche i Su-27 e, forse, addirittura qualche Su-35: roba che non ha certo paura degli F-16, turchi od israeliani essi siano.


1 commento:

Roberto ha detto...

Ciao.

E' una di quei fatti dei quali non si saprà
mai la verità, in assoluto.

Però a me pare plausibile "l'ordine del capo"
piuttosto che un passaparola da ovest.

E' un gioco fra bulli.

Che poi molti ci vogliono lucrare sopra
sarà senz'altro vero ma l'inizio è,
secondo me, una cosa banale come
un confronto fra chi ce l'ha più...

saluti

RA