“Chi mi riparlerà, di domani luminosi,
dove i muti canteranno e taceranno i noiosi…”
Fabrizio de André – Cantico dei drogati – dall’album Tutti morimmo a stento, 1968.
Lo scorso 4 Dicembre ho battuto il mio record personale di sopportazione a Porta a Porta: ben 16 minuti. Senza cosce e tette al vento, né truculenti sabba di sangue per l’ultimo delitto “inspiegabile”.
C’era solo, praticamente, Giulio Tremonti che spiegava, ad un uditorio tranquillo e sottomesso, le meraviglie delle sue alchimie economiche. Sedici minuti sono tanti, credetemi.
Ho ascoltato distrattamente, poiché ho preferito cercare sul suo viso, nella scarna scenografia, segni di una Gestalt che potesse spiegarmi come si possa essere così ingenuamente fanciulleschi, scipitamente naif, incoerentemente saltafossi. Nemmeno una cortigiana ritratta da Caravaggio riesce a comunicare sì placida acquiescenza, evanescente e malcelata boria, orgoglio smisurato in un carapace francescano.
Giulio Tremonti è un mago: è il re degli ossimori trasfigurati, il genio dell’eloquio misurato in salsa di peperoncino calabrese. E pochi se n’accorgono.
Ogni suo intervento, anche per spiegare il corretto e parsimonioso uso della carta igienica, si muta incredibilmente in una Lectio Magistralis, nella sapiente codifica dei massimi sistemi i quali – magicamente, in un batter d’ali – si alterano e diventano pragmatismo quotidiano, da spendere nell’edicola sotto casa per l’acquisto di una bustina di figurine.
Anche l’occhio vuole la sua parte, ovvio, e non essendo riuscito a diventare una star della pubblicità – per propagandare la rasatura con il Prep – s’è accontentato di spiegare l’economia per il volgo. Gaudete, pauperes.
A dire il vero, non è che i suoi colleghi lo aiutino molto: prima il Capoccia – quello che ha sempre usato la brillantina Linetti – rassicura che non c’è nessun pericolo, per l’Italia, di precipitare nella crisi economica. Quindi, partendo in contropiede sul filo del fuorigioco, Sacconi anticipa tutti ed insacca con una “rasoiata” a pelo d’erba: finiremo come l’Argentina.
Non s’è ancora spento l’urlo del pubblico che scende in campo Tremonti, il quale afferma che saranno altri a finire come l’Argentina. Non aggiunge altro: a Parigi e a Berlino si trema e l’inquietudine monta – anzi, tremonta – nelle cancellerie europee (!).
Sono un po’ disorientato da sì tanti, dissimili messaggi nell’etere e mi salta alla mente che siano “pizzini” gettati al vento e basta, senza senso. Oppure un senso l’hanno, se trasposti in un’altra storia, non nella pantomima che va in scena nell’Alveare, laddove chiedono a Tremonti se aboliranno le Province e lui – serafico – risponde che tutte le infrastrutture in programma riceveranno, ognuna, uno specifico commissario. Un po’ come se chiedessimo ad un allievo «Parlami del Boccaccio» e lui, sereno, iniziasse con «Dunque…nella letteratura del Novecento…»
Il “glissare” sulle Province è oramai un artifizio retorico, giacché Calderoli – detto “El gordo” – per la sua bozza di riforma federale ha rassicurato: “Tutti saranno garantiti”. Meno gli italiani.
A chi parla allora Tremonti il quale, solo pochi mesi fa, addossava alla globalizzazione ed allo strapotere delle burocrazie finanziarie tutti i mali, mentre oggi rassicura che “ci saranno solo interventi concordati”? Il personaggio non è nuovo a queste sconvolgenti dicotomie – anche nei suoi libri più datati non era tenero con la globalizzazione e le nequizie del sistema economico – solo che la cosa, quando si siede sulla poltrona del Ministero dell’Economia, pare non aver più peso.
C’è, sinceramente, da temere per la salute psichica del pover’uomo, insidiata da molteplici, dirompenti, incontrollati ossimori che rasentano la scissione.
Sarebbe come se il sottoscritto, dopo anni trascorsi a sostenere le energie rinnovabili, presentasse domanda per dirigere una centrale nucleare oppure se Marco Cedolin divenisse, improvvisamente, direttore del progetto TAV. C’è qualcosa che non quadra.
La musica: quando non riesci a superare l’ostacolo, ascolta un po’ di musica. Canta che ti passa.
«Aqualung my friend…» urla nelle cuffie Jan Anderson, ed io vorrei coccolare Tremonti e rassicurarlo: no, my friend, non finiremo in una parco industriale in disuso della vecchia Rotterdam, non dormiremo all’addiaccio fra le lamiere di una rugginosa Liberty semiaffondata. No, non è questo ciò che c’attende.
Sacconi, invece, non possiamo aiutarlo poiché non riesce a trasfigurare nulla, e la malvagità del suo animo è malamente mascherata dalle timide fattezze da fattorino della UPS. Lo dimenticheremo a dormire nel Chaco, nella notte battuta dal vento che scende dalle Ande, con un poncho cinese pagato 5 euro e la cassetta dei Buena Vista Social Club. Il giusto contrappasso.
Brunetta non esprime pareri: dopo la vigorosa partenza nel “fannulloni trail”, è stato colpito da saudade ed il Capoccia lo lascia sempre più spesso negli spogliatoi.
Il Capoccia ha sempre problemi di formazione, non d’informazione, visto che è suo lo stadio, sono controllate tutte le squadre del campionato ed è il Presidente (ed azionista unico) della Lega Calcio.
La formazione, però, lo preoccupa: è una questione di tempo e di decenza. Entrambe, in qualche modo, importanti, anche se la seconda si può tentare d’esorcizzarla con un’alzata di spalle ed una citazione da Erasmo.
Il tempo e lo spazio sono intimamente correlati, già lo raccontava quel violinista che s’arruffò fino a trasfigurare in fisico. Maledizione a quell’Einstein: se avesse vinto Horbigger, sarebbe stato tutto più semplice.
A forza di far giocare sempre gli stessi, nel non voler lasciar strada a qualche nuovo acquisto, finisce che la difesa va in bamba e ti tocca far giocare Maldini a 40 anni. La cosa lo assilla.
Ha tentato la via degli stranieri con un brasiliano naturalizzato – Angeliňo Victor Conçalvo Alfaňo, detto dapprima “Alphan la Tulipe”, poi “Tulipero” – ma non si è rivelata una scelta avveduta: durante un incontro d’ennesima categoria fra la Salernitana ed il Catanzaro, le due tifoserie si sono azzuffate a suon di carte bollate in testa. Papiri di bronzo.
E’ quindi tornato sui suoi passi, cercando nel vivaio nazionale, ma lo scenario è deprimente: gli è toccato nominare vice ministra una pischella che si trastullava nei locali simil hard spagnoli. L’altra pischella un po’ cresciuta l’ha inviata a studiare Biologia ed Economia per fare il ministro dell’Ambiente, ma i risultati sono ugualmente deludenti.
Quando giunse in visita in Italia Gilberto Gil – musicista ed (ora) ex Ministro della Cultura brasiliano – non sapeva se fosse meglio inviare a riceverlo Bondi o Mogol. Dopo aver consultato il sacro testo d’Erasmo, propose Mariano Apicella.
Insomma, dopo Forza Italia – per il neonato PdL – ci vorrebbero forze nuove, e Forza Nuova c’è già: marchio registrato, accidenti.
Nemmeno si può bussare alla porta delle squadre “associate”, perché dopo ti chiedono giocatori in prestito…quelli della Nazionale Alleata – cantine zeppe di gagliardetti littori – non la prenderebbero bene. Soprattutto dopo aver inviato il loro duce nel nuovo Aventino – oggi ha sede presso la Presidenza della Camera – per un curioso contrappasso: chi d’Aventino ferisce, d’Aventino perisce.
Niente, con questi giocatori non si va da nessuna parte – gli balugina in mente nelle notti insonni, quando si vede alzare la coppa del Mondo mentre cavalca un destriero bianco sotto le Piramidi – al massimo si fa uno scopone scientifico, con Fini e Cofferati – rinnovelli padri – in coppia contro i “nonni” Bertinotti e Prodi.
Alza allora la cornetta e chiama lo studio associato “Letta”, zio e nipote, specializzati in emergenze non rimandabili e in soluzioni impossibili.
I due si mettono alacremente al lavoro: consultano il Censis, la Reuters, l’INPS, l’Almanacco di Chiaravalle, l’ISTAT, l’Ansa e il Mago di Forcella poi, a loro volta, chiedono un incontro.
La soluzione è semplice – azzardano i due Dioscuri – se non puoi avele ciò che desideli natulalmente, allola complalo. Così ha sentenziato il saggio del Lifugio della Montagna senza Litolno. Ce lo ha laccontato mentle tolnava.
E dove li prendo, io, i soldi per comperare un’intera squadra di governo? E poi: sindaci, presidenti di Province – non avrete mica creduto alla panzana della loro abolizione, io ho abolito scuola e ricerca, meno problemi, poi abolirò anche quel nanetto saccente di Brunetta, altrimenti nessun dipendente pubblico mi voterà più – ma sapete quanto mi costerebbe? Chi credete ch’io sia, Babbo Natale?
Lo sbotto è stato troppo veemente per la pacata flemma dei due Letti, che si ritirano con un inchino: di più non sappiamo, e il Saggio è già tolnato sulla Montagna senza Litolno. Punto.
Sbollita la rabbia, rilegge in una notte tutta la storia della Filosofia – da Socrate a Popper – e, alle quattro del mattino, è colto da fulminante illuminazione. Un’Epifania in pieno stile agostiniano.
Se raccontassi che c’è una terribile crisi…che per far ripartire i consumi è necessario varare un colossale piano d’infrastrutture, e se per ogni singola infrastruttura nominassi un commissario con il compito di rastrellare una parte del denaro…d’accordo, diremo che è per controllare i tempi di realizzazione, per la trasparenza, per…va beh, qualcosa inventeremo…potrebbe funzionare…
Sono le cinque e un quarto del mattino quando chiama Tremonti, che si sta impomatando il viso per la rasatura, prima di partire per l’Ecofin numero 34 del corrente mese.
Quanto si potrebbe rastrellare con i fondi europei, considerando per noi una commissione del 30%...più i fondi speciali…più quelli acchiappati da Brunetta con la sua “tassa sui malati”, più la vendita di Paolo Guzzanti agli iraniani?
Tremonti, colto di soprassalto, acchiappa la calcolatrice ed il Prep s’infila fin sotto il display, rendendola inservibile. Allora prende il libretto delle giustificazioni del figlio per scrivere, ma il maledetto Prep fa scivolare la penna come sul sapone.
Potresti chiamarmi più tardi? Prova ad azzardare.
E piantala! Devi andare un’altra volta a quegli Ecofin del picchio, dove vi raccontate barzellette sconce, toccate il sedere alle segretarie e poi uscite a dire che avete trovato una soluzione comune? Dammi retta, montanaro, fa ‘sti conti…
Tremonti si lava e riprende la vecchia calcolatrice a manovella…rattle rattle…eh, potrebbe funzionare…con 80 miliardi gettati in cemento, potremmo metterne da parte quasi una trentina, quasi…
E cosa si compra con trenta miliardi?
Dipende: se li vuoi dal vivaio oppure se già giocano…
Fai un mix…insomma…dammi qualche riferimento!
Guarda, con trenta miliardi potrei assicurare cinquecento sindaci – presi dal vivaio, s’intende – poi…un centinaio di Presidenti di Provincia…una decina di Governatori per le Regioni e quattro, cinque ministri decenti…
Non potresti incrementare un po’ i Governatori e i Ministri?
Si può provare…magari riducendo i Presidenti delle Province…
Ma sì, anche se ne lasciamo una ventina a Walter quello s’accontenta: adesso, figurati che fa la lampada per assomigliare a Obama…
Ridono.
Sì, ma come si fa a raschiare 80 miliardi e gettarli tutti in cemento? La gente…
Cosa vuoi che me ne freghi della gente! Facciamo così: io tranquillizzo, dirò che tutto va bene. Poi manderemo quel fattorino dell’UPS…come si chiama, quel Pacconi, Macconi…sì, Tacconi!
E’ Sacconi, l’altro è un portiere…
Va beh, quello. Mandalo a spararla grossa: fagli dire che cadrà il cielo sulla terra…che caleranno gli Unni, insomma, inventatene una…
E poi?
Poi andrai in TV a fare qualche discorso confuso – tu ci riesci, se vuoi, ti viene naturale – per dire metà e metà, che non va bene e che non va male, che si può fare e che non si può fare, che sarà bene e che sarà male…inventati qualche balla come quella della carta d’identità elettronica c’architettammo cinque anni fa. Ricordi?
Si, ma poi non l’abbiamo fatta…
Ma chi si ricorda?
Trova quattro spiccioli alla Caritas – dì loro che renderemo i 120 milioni per le scuole cattoliche – e fai stampare delle tesserine per i poveri…ma insomma: ti devo dire tutto io?
Ma…non sarebbe più semplice mettere quei quattro euro in più direttamente sulla pensione?
Ah, ma allora non capisci proprio una mazza! Gli italiani sono dei fessi: se gli dai 40 euro in più d’aumento, pensano che sia una miseria e – detto fra noi – è vero. Se, invece, dai loro una tesserina magnetica con 40 euro, si sentono importanti: hanno anche loro la loro piccola carta di credito, come quelli che vedono in TV ballare al Billionaire! Sono fatti così: è come se avessero vinto, ogni mese, un “gratta e vinci” da 40 euro. Vuoi mettere la soddisfazione?
Va beh, se lo dici tu…comunque mi sembra un po’ complicato: tu rassicuri, Sacconi spaventa ed io mezzo e mezzo, poi le tesserine…e poi?
Poi…ma come, non hai capito? Li sconcerteremo, così penseranno che – se siamo così sconclusionati – vorrà dire che la situazione è grave, che servono misure eccezionali, magari che i commissari possano anche by-passare la normativa vigente…l’importante è creare il giusto clima…
Dopo facciamo partire il piano, incassiamo – grazie ai commissari – il 30% e torniamo sul mercato, facciamo Bingo! Avremo soldi per sistemare sul territorio, finalmente, un vero partito: mica un’accozzaglia di derelitti che devo sempre pescare io qui e là, e Fini e Bossi conteranno come il due di coppe!
Potreste credere che questa sia solo una storia strampalata, suggerita in qualche modo dalle fantasiose filastrocche dei Jethro Tull: padroni di crederlo, se volete. Ma il buon giorno si vede dal mattino, e gli imperi iniziano a crollare dalle periferie, mai dal centro.
Ecco allora che un’altra vicenda – apparentemente poco spiegabile – sorge in cielo: Renato Soru, Presidente della Regione Sardegna, cade in un’imboscata tesagli dai suoi stessi consiglieri di maggioranza. E su cosa rischia di crollare?
Sulla una legge urbanistica, sui limiti posti alla cementificazione del territorio sardo.
Soru compie una scelta politica lungimirante ed afferma: tramontata all’orizzonte ogni possibilità di re-industrializzazione della Sardegna – anzi, l’isola perderà ancora investimenti e posti di lavoro – l’unico “capitale” che rimarrà saranno le sue bellezze paesaggistiche. Che vanno, quindi, salvaguardate, anche per una mera questione di convenienza economica di lungo periodo.
Se, oggi, la Croazia può vantare dei paradisi ecologici (e turistici) incontaminati, lo deve alle restrizioni che posero a suo tempo i governi cosiddetti comunisti: alle Incoronate, non vi lasciano nemmeno portare un misero fucile subacqueo ad elastici, ed una legge proibisce di “trarre dall’acqua qualsiasi essere vivente”.
Per onestà, riconosciamo che non dappertutto le cose vanno in questo modo: basti pensare allo scempio che, negli ultimi anni, ha sfigurato il litorale da Spalato alla foce della Neretva.
Si tratta quindi di una scelta politica che ha i suoi pro ed i suoi contro, ma che per la Sardegna sembra una via obbligata, altrimenti l’isola perderà il fascino di “perla” del Mediterraneo.
Il compito di bilanciare la necessità di mantenere accessibili i prezzi delle mete turistiche, con l’esigenza di salvaguardare il territorio, è cosa ardua. Certamente, una volta cementato tutto il cementabile, non rimane nulla di bello che valga la pena per andarci in vacanza: se ci rechiamo in un posto dove ritroviamo, nel paesaggio, le stesse icone che scorgiamo dalla nostra finestra, sale in noi la netta sensazione d’essere stati fregati, d’aver buttato i soldi nel nulla.
Eppure, l’attuale governo crede che si possa, ancora una volta, rimediare agli antichi mali italiani con una robusta “iniezione” di ferro e cemento sulle nostre coste. Oppure costruendo ponti, gallerie, viadotti e case a schiera ovunque. E qualcuno, in Sardegna, pare aver dato credito a questo novello “canto delle sirene”, temendo che il fiume di cemento (ed il corrispondente robusto torrente di tangenti) s’arresti agli imbarchi per l’isola.
La panzana che devono raccontare, per un siffatto incedere, è che le fondamenta italiane siano solide: gli italiani sono “naturalmente” parsimoniosi e dediti al risparmio, a differenza degli americani. Il che, è vero e falso allo stesso tempo.
E’ vero che gli italiani sono parsimoniosi, che sanno cavare sangue anche dalle rape, ma è altrettanto vero che il risparmio delle famiglie scema, “attaccato” su più fronti: perdita di posti di lavoro, imprese che chiudono, contratti sempre più precari, welfare da Terzo Mondo, ecc. Oramai, ti paghi tutto: dalle medicine ai figli da mantenere ben oltre i trent’anni.
Sempre più famiglie vivono “a debito”, rientrando (quando ci riescono!) a quota “zero” sul conto solo quando incassano lo stipendio. Per il resto, sono interessi bancari che corrono.
A questo punto, è meglio trarre dall’armadio uno scheletro sempre evocato e fissarlo negli occhi: credere che sanando la truffa sulla moneta tutto, magicamente, si componga in armoniose spire.
Non abbiamo mai nascosto né sottovalutato l’importanza della truffa che viene compiuta sulla moneta, e le poche sperimentazioni condotte – lontano e vicino nel tempo – mostrano che una moneta emessa senza debito è, oltre che eticamente corretta, salutare per l’economia.
Non bisogna, però, affidare solo all’esasperato tecnicismo – quasi fosse salvifico! – la soluzione di tutti i mali: in altre parole, potremmo ritrovarci in una società più ricca, ma ugualmente ingiusta e prevaricatrice per i più deboli.
Il Censis afferma che scorge possibilità di riscatto ma, a leggere con attenzione le dichiarazioni di De Rita, l’amara sentenza è che siamo giunti ad un tale punto della china che saremo obbligati ad un vigoroso colpo di reni. Una tale ipotesi è ovviamente auspicabile, ma non si vede come possa realizzarsi, in un quadro di sempre maggior prelievo di ricchezza dalle classi meno abbienti per il sollazzo di pochi. Pare magia, speranza, più che solida analisi.
Ciò che veramente serve, a questa Italia dissanguata, è definire finalmente chi è l’italiano. Cittadino o suddito?
Dall’Unificazione in poi, il cittadino italiano è transitato – quasi fosse un pacco postale – da un’amministrazione all’altra e da un regime ad uno successivo. Rimanendo suddito.
Ne scorgiamo abbondanti tracce nella nostra storia: dai meridionali, che s’affidarono a Garibaldi e si ritrovarono un re Savoia pari al Borbone. O la truffa compiuta dal Fascismo, nato da fermenti popolari e, alla fine, solidamente coniugato con le borghesie industriali, clericali e finanziarie. Ancora: l’est, che oggi quasi rimpiange la buona amministrazione austriaca.
Infine il dopoguerra, nel quale la democrazia nata dalla terribile guerra sarebbe dovuta essere composizione e sintesi di tutte le istanze dimenticate, mai giunte a compimento, mai sbocciate. L’ennesima delusione, maturata nelle segreterie romane zeppe di continuità con l’Italia Umbertina e Fascista. Ricordiamo che Andreotti si recò personalmente a trattare con Graziani (che la passò “liscia”) per “ricevere” il feudo ciociaro.
L’apoteosi fu la commistione totale della politica italiana degli anni ’80, quando tutti – indistintamente – accettarono il teorema della pura spartizione come modello di prassi politica.
La differenza rispetto a Francia e Germania?
Semplice: in Francia, una bazzecola chiamata Rivoluzione che segnò i francesi per sempre, rendendoli coscienti della loro appartenenza non ad un quarto stato, ma a quello dei citoyen. In Germania, la presenza di un vigoroso movimento marxista, rivoluzionario e socialdemocratico, il quale pone ancora oggi una cristiano democratica come Angela Merkel più a “sinistra” dei nostri rifondaroli.
A cosa serve, allora, questo colossale piano di cementificazione proposto dal governo? A niente, perché non affronta nessuno dei problemi italiani: dalla re-distribuzione della ricchezza al welfare, dal rispetto dei diritti essenziali del cittadino ad una giustizia che non sia burletta che si trascina per decenni.
Inutili sono le rievocazioni retoriche di lontane vittorie pagate con fiumi di sangue, i richiami dai più alti colli alla “responsabilità”, quando si è fatto parte per anni del gran circo della spartizione, o le vuote promesse pre e post elettorali. Nessuna voce giunge al mio cuore, non c’è più verso o parola che riesca ad ingentilirlo.
Adesso, non so se qualcosa vi sembrerà più chiaro ma il cd è terminato, ed ho sonno. Ricordo solo il titolo dell’ultima canzone.
Thick as a brick.
dove i muti canteranno e taceranno i noiosi…”
Fabrizio de André – Cantico dei drogati – dall’album Tutti morimmo a stento, 1968.
Lo scorso 4 Dicembre ho battuto il mio record personale di sopportazione a Porta a Porta: ben 16 minuti. Senza cosce e tette al vento, né truculenti sabba di sangue per l’ultimo delitto “inspiegabile”.
C’era solo, praticamente, Giulio Tremonti che spiegava, ad un uditorio tranquillo e sottomesso, le meraviglie delle sue alchimie economiche. Sedici minuti sono tanti, credetemi.
Ho ascoltato distrattamente, poiché ho preferito cercare sul suo viso, nella scarna scenografia, segni di una Gestalt che potesse spiegarmi come si possa essere così ingenuamente fanciulleschi, scipitamente naif, incoerentemente saltafossi. Nemmeno una cortigiana ritratta da Caravaggio riesce a comunicare sì placida acquiescenza, evanescente e malcelata boria, orgoglio smisurato in un carapace francescano.
Giulio Tremonti è un mago: è il re degli ossimori trasfigurati, il genio dell’eloquio misurato in salsa di peperoncino calabrese. E pochi se n’accorgono.
Ogni suo intervento, anche per spiegare il corretto e parsimonioso uso della carta igienica, si muta incredibilmente in una Lectio Magistralis, nella sapiente codifica dei massimi sistemi i quali – magicamente, in un batter d’ali – si alterano e diventano pragmatismo quotidiano, da spendere nell’edicola sotto casa per l’acquisto di una bustina di figurine.
Anche l’occhio vuole la sua parte, ovvio, e non essendo riuscito a diventare una star della pubblicità – per propagandare la rasatura con il Prep – s’è accontentato di spiegare l’economia per il volgo. Gaudete, pauperes.
A dire il vero, non è che i suoi colleghi lo aiutino molto: prima il Capoccia – quello che ha sempre usato la brillantina Linetti – rassicura che non c’è nessun pericolo, per l’Italia, di precipitare nella crisi economica. Quindi, partendo in contropiede sul filo del fuorigioco, Sacconi anticipa tutti ed insacca con una “rasoiata” a pelo d’erba: finiremo come l’Argentina.
Non s’è ancora spento l’urlo del pubblico che scende in campo Tremonti, il quale afferma che saranno altri a finire come l’Argentina. Non aggiunge altro: a Parigi e a Berlino si trema e l’inquietudine monta – anzi, tremonta – nelle cancellerie europee (!).
Sono un po’ disorientato da sì tanti, dissimili messaggi nell’etere e mi salta alla mente che siano “pizzini” gettati al vento e basta, senza senso. Oppure un senso l’hanno, se trasposti in un’altra storia, non nella pantomima che va in scena nell’Alveare, laddove chiedono a Tremonti se aboliranno le Province e lui – serafico – risponde che tutte le infrastrutture in programma riceveranno, ognuna, uno specifico commissario. Un po’ come se chiedessimo ad un allievo «Parlami del Boccaccio» e lui, sereno, iniziasse con «Dunque…nella letteratura del Novecento…»
Il “glissare” sulle Province è oramai un artifizio retorico, giacché Calderoli – detto “El gordo” – per la sua bozza di riforma federale ha rassicurato: “Tutti saranno garantiti”. Meno gli italiani.
A chi parla allora Tremonti il quale, solo pochi mesi fa, addossava alla globalizzazione ed allo strapotere delle burocrazie finanziarie tutti i mali, mentre oggi rassicura che “ci saranno solo interventi concordati”? Il personaggio non è nuovo a queste sconvolgenti dicotomie – anche nei suoi libri più datati non era tenero con la globalizzazione e le nequizie del sistema economico – solo che la cosa, quando si siede sulla poltrona del Ministero dell’Economia, pare non aver più peso.
C’è, sinceramente, da temere per la salute psichica del pover’uomo, insidiata da molteplici, dirompenti, incontrollati ossimori che rasentano la scissione.
Sarebbe come se il sottoscritto, dopo anni trascorsi a sostenere le energie rinnovabili, presentasse domanda per dirigere una centrale nucleare oppure se Marco Cedolin divenisse, improvvisamente, direttore del progetto TAV. C’è qualcosa che non quadra.
La musica: quando non riesci a superare l’ostacolo, ascolta un po’ di musica. Canta che ti passa.
«Aqualung my friend…» urla nelle cuffie Jan Anderson, ed io vorrei coccolare Tremonti e rassicurarlo: no, my friend, non finiremo in una parco industriale in disuso della vecchia Rotterdam, non dormiremo all’addiaccio fra le lamiere di una rugginosa Liberty semiaffondata. No, non è questo ciò che c’attende.
Sacconi, invece, non possiamo aiutarlo poiché non riesce a trasfigurare nulla, e la malvagità del suo animo è malamente mascherata dalle timide fattezze da fattorino della UPS. Lo dimenticheremo a dormire nel Chaco, nella notte battuta dal vento che scende dalle Ande, con un poncho cinese pagato 5 euro e la cassetta dei Buena Vista Social Club. Il giusto contrappasso.
Brunetta non esprime pareri: dopo la vigorosa partenza nel “fannulloni trail”, è stato colpito da saudade ed il Capoccia lo lascia sempre più spesso negli spogliatoi.
Il Capoccia ha sempre problemi di formazione, non d’informazione, visto che è suo lo stadio, sono controllate tutte le squadre del campionato ed è il Presidente (ed azionista unico) della Lega Calcio.
La formazione, però, lo preoccupa: è una questione di tempo e di decenza. Entrambe, in qualche modo, importanti, anche se la seconda si può tentare d’esorcizzarla con un’alzata di spalle ed una citazione da Erasmo.
Il tempo e lo spazio sono intimamente correlati, già lo raccontava quel violinista che s’arruffò fino a trasfigurare in fisico. Maledizione a quell’Einstein: se avesse vinto Horbigger, sarebbe stato tutto più semplice.
A forza di far giocare sempre gli stessi, nel non voler lasciar strada a qualche nuovo acquisto, finisce che la difesa va in bamba e ti tocca far giocare Maldini a 40 anni. La cosa lo assilla.
Ha tentato la via degli stranieri con un brasiliano naturalizzato – Angeliňo Victor Conçalvo Alfaňo, detto dapprima “Alphan la Tulipe”, poi “Tulipero” – ma non si è rivelata una scelta avveduta: durante un incontro d’ennesima categoria fra la Salernitana ed il Catanzaro, le due tifoserie si sono azzuffate a suon di carte bollate in testa. Papiri di bronzo.
E’ quindi tornato sui suoi passi, cercando nel vivaio nazionale, ma lo scenario è deprimente: gli è toccato nominare vice ministra una pischella che si trastullava nei locali simil hard spagnoli. L’altra pischella un po’ cresciuta l’ha inviata a studiare Biologia ed Economia per fare il ministro dell’Ambiente, ma i risultati sono ugualmente deludenti.
Quando giunse in visita in Italia Gilberto Gil – musicista ed (ora) ex Ministro della Cultura brasiliano – non sapeva se fosse meglio inviare a riceverlo Bondi o Mogol. Dopo aver consultato il sacro testo d’Erasmo, propose Mariano Apicella.
Insomma, dopo Forza Italia – per il neonato PdL – ci vorrebbero forze nuove, e Forza Nuova c’è già: marchio registrato, accidenti.
Nemmeno si può bussare alla porta delle squadre “associate”, perché dopo ti chiedono giocatori in prestito…quelli della Nazionale Alleata – cantine zeppe di gagliardetti littori – non la prenderebbero bene. Soprattutto dopo aver inviato il loro duce nel nuovo Aventino – oggi ha sede presso la Presidenza della Camera – per un curioso contrappasso: chi d’Aventino ferisce, d’Aventino perisce.
Niente, con questi giocatori non si va da nessuna parte – gli balugina in mente nelle notti insonni, quando si vede alzare la coppa del Mondo mentre cavalca un destriero bianco sotto le Piramidi – al massimo si fa uno scopone scientifico, con Fini e Cofferati – rinnovelli padri – in coppia contro i “nonni” Bertinotti e Prodi.
Alza allora la cornetta e chiama lo studio associato “Letta”, zio e nipote, specializzati in emergenze non rimandabili e in soluzioni impossibili.
I due si mettono alacremente al lavoro: consultano il Censis, la Reuters, l’INPS, l’Almanacco di Chiaravalle, l’ISTAT, l’Ansa e il Mago di Forcella poi, a loro volta, chiedono un incontro.
La soluzione è semplice – azzardano i due Dioscuri – se non puoi avele ciò che desideli natulalmente, allola complalo. Così ha sentenziato il saggio del Lifugio della Montagna senza Litolno. Ce lo ha laccontato mentle tolnava.
E dove li prendo, io, i soldi per comperare un’intera squadra di governo? E poi: sindaci, presidenti di Province – non avrete mica creduto alla panzana della loro abolizione, io ho abolito scuola e ricerca, meno problemi, poi abolirò anche quel nanetto saccente di Brunetta, altrimenti nessun dipendente pubblico mi voterà più – ma sapete quanto mi costerebbe? Chi credete ch’io sia, Babbo Natale?
Lo sbotto è stato troppo veemente per la pacata flemma dei due Letti, che si ritirano con un inchino: di più non sappiamo, e il Saggio è già tolnato sulla Montagna senza Litolno. Punto.
Sbollita la rabbia, rilegge in una notte tutta la storia della Filosofia – da Socrate a Popper – e, alle quattro del mattino, è colto da fulminante illuminazione. Un’Epifania in pieno stile agostiniano.
Se raccontassi che c’è una terribile crisi…che per far ripartire i consumi è necessario varare un colossale piano d’infrastrutture, e se per ogni singola infrastruttura nominassi un commissario con il compito di rastrellare una parte del denaro…d’accordo, diremo che è per controllare i tempi di realizzazione, per la trasparenza, per…va beh, qualcosa inventeremo…potrebbe funzionare…
Sono le cinque e un quarto del mattino quando chiama Tremonti, che si sta impomatando il viso per la rasatura, prima di partire per l’Ecofin numero 34 del corrente mese.
Quanto si potrebbe rastrellare con i fondi europei, considerando per noi una commissione del 30%...più i fondi speciali…più quelli acchiappati da Brunetta con la sua “tassa sui malati”, più la vendita di Paolo Guzzanti agli iraniani?
Tremonti, colto di soprassalto, acchiappa la calcolatrice ed il Prep s’infila fin sotto il display, rendendola inservibile. Allora prende il libretto delle giustificazioni del figlio per scrivere, ma il maledetto Prep fa scivolare la penna come sul sapone.
Potresti chiamarmi più tardi? Prova ad azzardare.
E piantala! Devi andare un’altra volta a quegli Ecofin del picchio, dove vi raccontate barzellette sconce, toccate il sedere alle segretarie e poi uscite a dire che avete trovato una soluzione comune? Dammi retta, montanaro, fa ‘sti conti…
Tremonti si lava e riprende la vecchia calcolatrice a manovella…rattle rattle…eh, potrebbe funzionare…con 80 miliardi gettati in cemento, potremmo metterne da parte quasi una trentina, quasi…
E cosa si compra con trenta miliardi?
Dipende: se li vuoi dal vivaio oppure se già giocano…
Fai un mix…insomma…dammi qualche riferimento!
Guarda, con trenta miliardi potrei assicurare cinquecento sindaci – presi dal vivaio, s’intende – poi…un centinaio di Presidenti di Provincia…una decina di Governatori per le Regioni e quattro, cinque ministri decenti…
Non potresti incrementare un po’ i Governatori e i Ministri?
Si può provare…magari riducendo i Presidenti delle Province…
Ma sì, anche se ne lasciamo una ventina a Walter quello s’accontenta: adesso, figurati che fa la lampada per assomigliare a Obama…
Ridono.
Sì, ma come si fa a raschiare 80 miliardi e gettarli tutti in cemento? La gente…
Cosa vuoi che me ne freghi della gente! Facciamo così: io tranquillizzo, dirò che tutto va bene. Poi manderemo quel fattorino dell’UPS…come si chiama, quel Pacconi, Macconi…sì, Tacconi!
E’ Sacconi, l’altro è un portiere…
Va beh, quello. Mandalo a spararla grossa: fagli dire che cadrà il cielo sulla terra…che caleranno gli Unni, insomma, inventatene una…
E poi?
Poi andrai in TV a fare qualche discorso confuso – tu ci riesci, se vuoi, ti viene naturale – per dire metà e metà, che non va bene e che non va male, che si può fare e che non si può fare, che sarà bene e che sarà male…inventati qualche balla come quella della carta d’identità elettronica c’architettammo cinque anni fa. Ricordi?
Si, ma poi non l’abbiamo fatta…
Ma chi si ricorda?
Trova quattro spiccioli alla Caritas – dì loro che renderemo i 120 milioni per le scuole cattoliche – e fai stampare delle tesserine per i poveri…ma insomma: ti devo dire tutto io?
Ma…non sarebbe più semplice mettere quei quattro euro in più direttamente sulla pensione?
Ah, ma allora non capisci proprio una mazza! Gli italiani sono dei fessi: se gli dai 40 euro in più d’aumento, pensano che sia una miseria e – detto fra noi – è vero. Se, invece, dai loro una tesserina magnetica con 40 euro, si sentono importanti: hanno anche loro la loro piccola carta di credito, come quelli che vedono in TV ballare al Billionaire! Sono fatti così: è come se avessero vinto, ogni mese, un “gratta e vinci” da 40 euro. Vuoi mettere la soddisfazione?
Va beh, se lo dici tu…comunque mi sembra un po’ complicato: tu rassicuri, Sacconi spaventa ed io mezzo e mezzo, poi le tesserine…e poi?
Poi…ma come, non hai capito? Li sconcerteremo, così penseranno che – se siamo così sconclusionati – vorrà dire che la situazione è grave, che servono misure eccezionali, magari che i commissari possano anche by-passare la normativa vigente…l’importante è creare il giusto clima…
Dopo facciamo partire il piano, incassiamo – grazie ai commissari – il 30% e torniamo sul mercato, facciamo Bingo! Avremo soldi per sistemare sul territorio, finalmente, un vero partito: mica un’accozzaglia di derelitti che devo sempre pescare io qui e là, e Fini e Bossi conteranno come il due di coppe!
Potreste credere che questa sia solo una storia strampalata, suggerita in qualche modo dalle fantasiose filastrocche dei Jethro Tull: padroni di crederlo, se volete. Ma il buon giorno si vede dal mattino, e gli imperi iniziano a crollare dalle periferie, mai dal centro.
Ecco allora che un’altra vicenda – apparentemente poco spiegabile – sorge in cielo: Renato Soru, Presidente della Regione Sardegna, cade in un’imboscata tesagli dai suoi stessi consiglieri di maggioranza. E su cosa rischia di crollare?
Sulla una legge urbanistica, sui limiti posti alla cementificazione del territorio sardo.
Soru compie una scelta politica lungimirante ed afferma: tramontata all’orizzonte ogni possibilità di re-industrializzazione della Sardegna – anzi, l’isola perderà ancora investimenti e posti di lavoro – l’unico “capitale” che rimarrà saranno le sue bellezze paesaggistiche. Che vanno, quindi, salvaguardate, anche per una mera questione di convenienza economica di lungo periodo.
Se, oggi, la Croazia può vantare dei paradisi ecologici (e turistici) incontaminati, lo deve alle restrizioni che posero a suo tempo i governi cosiddetti comunisti: alle Incoronate, non vi lasciano nemmeno portare un misero fucile subacqueo ad elastici, ed una legge proibisce di “trarre dall’acqua qualsiasi essere vivente”.
Per onestà, riconosciamo che non dappertutto le cose vanno in questo modo: basti pensare allo scempio che, negli ultimi anni, ha sfigurato il litorale da Spalato alla foce della Neretva.
Si tratta quindi di una scelta politica che ha i suoi pro ed i suoi contro, ma che per la Sardegna sembra una via obbligata, altrimenti l’isola perderà il fascino di “perla” del Mediterraneo.
Il compito di bilanciare la necessità di mantenere accessibili i prezzi delle mete turistiche, con l’esigenza di salvaguardare il territorio, è cosa ardua. Certamente, una volta cementato tutto il cementabile, non rimane nulla di bello che valga la pena per andarci in vacanza: se ci rechiamo in un posto dove ritroviamo, nel paesaggio, le stesse icone che scorgiamo dalla nostra finestra, sale in noi la netta sensazione d’essere stati fregati, d’aver buttato i soldi nel nulla.
Eppure, l’attuale governo crede che si possa, ancora una volta, rimediare agli antichi mali italiani con una robusta “iniezione” di ferro e cemento sulle nostre coste. Oppure costruendo ponti, gallerie, viadotti e case a schiera ovunque. E qualcuno, in Sardegna, pare aver dato credito a questo novello “canto delle sirene”, temendo che il fiume di cemento (ed il corrispondente robusto torrente di tangenti) s’arresti agli imbarchi per l’isola.
La panzana che devono raccontare, per un siffatto incedere, è che le fondamenta italiane siano solide: gli italiani sono “naturalmente” parsimoniosi e dediti al risparmio, a differenza degli americani. Il che, è vero e falso allo stesso tempo.
E’ vero che gli italiani sono parsimoniosi, che sanno cavare sangue anche dalle rape, ma è altrettanto vero che il risparmio delle famiglie scema, “attaccato” su più fronti: perdita di posti di lavoro, imprese che chiudono, contratti sempre più precari, welfare da Terzo Mondo, ecc. Oramai, ti paghi tutto: dalle medicine ai figli da mantenere ben oltre i trent’anni.
Sempre più famiglie vivono “a debito”, rientrando (quando ci riescono!) a quota “zero” sul conto solo quando incassano lo stipendio. Per il resto, sono interessi bancari che corrono.
A questo punto, è meglio trarre dall’armadio uno scheletro sempre evocato e fissarlo negli occhi: credere che sanando la truffa sulla moneta tutto, magicamente, si componga in armoniose spire.
Non abbiamo mai nascosto né sottovalutato l’importanza della truffa che viene compiuta sulla moneta, e le poche sperimentazioni condotte – lontano e vicino nel tempo – mostrano che una moneta emessa senza debito è, oltre che eticamente corretta, salutare per l’economia.
Non bisogna, però, affidare solo all’esasperato tecnicismo – quasi fosse salvifico! – la soluzione di tutti i mali: in altre parole, potremmo ritrovarci in una società più ricca, ma ugualmente ingiusta e prevaricatrice per i più deboli.
Il Censis afferma che scorge possibilità di riscatto ma, a leggere con attenzione le dichiarazioni di De Rita, l’amara sentenza è che siamo giunti ad un tale punto della china che saremo obbligati ad un vigoroso colpo di reni. Una tale ipotesi è ovviamente auspicabile, ma non si vede come possa realizzarsi, in un quadro di sempre maggior prelievo di ricchezza dalle classi meno abbienti per il sollazzo di pochi. Pare magia, speranza, più che solida analisi.
Ciò che veramente serve, a questa Italia dissanguata, è definire finalmente chi è l’italiano. Cittadino o suddito?
Dall’Unificazione in poi, il cittadino italiano è transitato – quasi fosse un pacco postale – da un’amministrazione all’altra e da un regime ad uno successivo. Rimanendo suddito.
Ne scorgiamo abbondanti tracce nella nostra storia: dai meridionali, che s’affidarono a Garibaldi e si ritrovarono un re Savoia pari al Borbone. O la truffa compiuta dal Fascismo, nato da fermenti popolari e, alla fine, solidamente coniugato con le borghesie industriali, clericali e finanziarie. Ancora: l’est, che oggi quasi rimpiange la buona amministrazione austriaca.
Infine il dopoguerra, nel quale la democrazia nata dalla terribile guerra sarebbe dovuta essere composizione e sintesi di tutte le istanze dimenticate, mai giunte a compimento, mai sbocciate. L’ennesima delusione, maturata nelle segreterie romane zeppe di continuità con l’Italia Umbertina e Fascista. Ricordiamo che Andreotti si recò personalmente a trattare con Graziani (che la passò “liscia”) per “ricevere” il feudo ciociaro.
L’apoteosi fu la commistione totale della politica italiana degli anni ’80, quando tutti – indistintamente – accettarono il teorema della pura spartizione come modello di prassi politica.
La differenza rispetto a Francia e Germania?
Semplice: in Francia, una bazzecola chiamata Rivoluzione che segnò i francesi per sempre, rendendoli coscienti della loro appartenenza non ad un quarto stato, ma a quello dei citoyen. In Germania, la presenza di un vigoroso movimento marxista, rivoluzionario e socialdemocratico, il quale pone ancora oggi una cristiano democratica come Angela Merkel più a “sinistra” dei nostri rifondaroli.
A cosa serve, allora, questo colossale piano di cementificazione proposto dal governo? A niente, perché non affronta nessuno dei problemi italiani: dalla re-distribuzione della ricchezza al welfare, dal rispetto dei diritti essenziali del cittadino ad una giustizia che non sia burletta che si trascina per decenni.
Inutili sono le rievocazioni retoriche di lontane vittorie pagate con fiumi di sangue, i richiami dai più alti colli alla “responsabilità”, quando si è fatto parte per anni del gran circo della spartizione, o le vuote promesse pre e post elettorali. Nessuna voce giunge al mio cuore, non c’è più verso o parola che riesca ad ingentilirlo.
Adesso, non so se qualcosa vi sembrerà più chiaro ma il cd è terminato, ed ho sonno. Ricordo solo il titolo dell’ultima canzone.
Thick as a brick.
4 commenti:
Caro Carlo,
esilarante, se il tutto non fosse tragico e, purtroppo, reale. Penso che non ci siano problemi di marchi registrati: Forza Nuova il Capoccia già l’ha mandata in campo per gli allenamenti, e il problema è che si avvicina la partita vera e propria (vedi Grecia): comincio a pensare che la soluzione possibile sia solo una:
Hang 'Em High!
Un saluto
Alfredo
forse hai ragione ma in questo periodo sono contento che ci sia tremonti e non prodi (se non ci fossero nel governo delle forze che mettono in minoranza tremonti sarei ancora più contento) sono contento che l'italia tenga il piede in due scarpe (russia e usa) sono contento che bush è stato definito un "sanguinario" da berlusconi (ma la stampa riporta solo i baci e gli abbracci a bush) ecc...
Quando in Italia meridionale ci si mise a estirpare il brigantaggio dopo la proclamazione del Regno, il regolare esercito di Vittorio Emanuele II uccise una quantità di persone da competere con quelle che uccise il Comitato di Salute Pubblica durante il Terrore (con la differenza che almeno nel secondo caso venivano processati, anche se in modo approssimativo).
Non è che in Italia sia poi stato sempre tutto vino e tarallucci.
E comunque, personalmente se le classi dirigenti post-fasciste (anche i comunisti) non hanno voluto infierire sugli esponenti del fascismo personalmente lo trovo un fatto di cui rallegrarsi.
Mi rallegra di meno pensare (come viene da pensare) che questi signori avevano di fatto venduto la sovranità nazionale italiana in cambio del proprio potere, cosa che non si può non mettere in relazione con la decadenza di oggi.
Luca
Grazie Alfredo, ci troviamo sempre sulle stesse "creste" e rimiriamo gli stessi paesaggi.
Non capisco molto il tuo rallegrarsi, Fedita, poiché non possiamo fare della geopolitica il solo strumento di misurazione degli eventi. E' un metro troppo volubile, di questi tempi, ed io non ci punterei troppo.
Giusto quello che dici a proposito del brigantaggio: non volevo assolutamente chiedere "bagni di sangue" per gli ex fascisti - Luca - solo desideravo mettere in evidenza che il percorso democratico, grazie alla sostanziale continuità dall'epoca umbertina, non ha mai preso il via nel nostro Paese. Restiamo sudditi, di un re che non c'è più, ma sempre sudditi, senza quegli attributi (es. il welfare) che caratterizzano Francia e Germania. E non è una questione di soldi, ma di mentalità.
Ciao a tutti
Carlo Bertani
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