28 aprile 2019

Scherzare col fuoco

Capita ogni anno, da parecchi anni, ed ogni volta che arrivano il 25 Aprile e il 1° Maggio si ripresentano, uguali nei toni ma con sempre maggior veemenza. Mussolini fu un grande statista, la sinistra ha condotto l’Italia alla rovina, i repubblichini lottavano per la Patria, i partigiani erano dei traditori che sostenevano il nemico, la grande alleanza delle democrazie plutocratiche che ci domina tuttora.
Io vi racconterò una vicenda, cose che capitarono nella mia (allora) città nell’Inverno ‘44-’45, poi decidete voi come pensarla, ma non sottovalutate i rischi che stiamo correndo.

Una sera di Gennaio ’45 mio padre e due amici stanno tornando a casa sul filo del coprifuoco: avevano 18 anni, ragazzi, erano stufi di 5 anni di guerra, coprifuoco, tessera alimentare e quant’altro. Si può capirli.
Gli altri due erano persone come lui che aveva, però, qualche “protezione” in più perché giocava nel Torino, ma erano solo ragazzi. Uno dei tre era più sfigato: si chiamava Maggio, ed il padre non aveva trovato niente di meglio che chiamarlo Primo. L’altro l’ho sempre sentito nominare come Tino, e non conosco il cognome: so soltanto che abitava in un appartamento sotto la mia via, dalla quale – avevo 10 anni – osservavo una bambina che studiava sotto una luce fioca, col libro appoggiato al tavolo della cucina. Si chiamava Laura, ed ero pazzamente innamorato di lei che, ovviamente, non seppe mai nulla. Un amore da libro “Cuore”.

Giunti al portone di casa, mio padre disse ai due amici di salire e dormire da lui: “Mio padre capisce, non rischiate, ci arrangiamo per dormire…” “Ma no, dobbiamo fare solo duecento metri e siamo a casa…” risposero. Si salutarono: mio padre li vide scendere parlottando nella via deserta, aprì il portone e salì. La verità giunse anni dopo, quando mio padre incontrò Primo a “Torino esposizioni”, la mostra del campeggio, dove piansero come due fontane per dieci minuti buoni.
Mentre mio padre saliva le scale, la tragedia iniziava: all’incrocio successivo, proprio di fronte al portone di Tino, incontrarono le Brigate Nere, la Muti, o qualche altro accidente che infestava le strade.
Primo scappò, immediatamente: ebbe forse paura del nome che portava…chi lo sa…s’infilò in un cancello che dava su degli orti e, prima che i fascisti si togliessero i fucili dalla tracolla, era già lontano. Gli spararono, ma non lo colpirono: il giorno dopo fuggì a Torino, da alcuni parenti, e non tornò più.
Tino, probabilmente, disse semplicemente che lui abitava lì, in quel portone…vabbè, erano passate le nove da dieci minuti…però…
Lo massacrarono con i calci dei fucili: la sua morte fu una lunga odissea, morì nel Gennaio del ’46, dopo aver trascorso un anno da paralitico.

Il comandante di quegli sbandati era un certo S. che mio padre conosceva perché era un arbitro: ciao, ciao negli spogliatoi e saluto romano se lo incontravi per strada. Altrimenti menava: stranezze della vita di guerra.
Passano pochi giorni e mio padre, mentre rientra a casa, sente il gelo di una canna puntata sul collo. Alza le mani.
“Non temere, sono io G., che voglio andare a casa perché mia madre sta morendo e volevo vederla per l’ultima volta. Stai davanti e fammi strada”. G. era, ovviamente, un partigiano.
Giunti a casa di G. era veramente troppo tardi per tornare a casa, dopo quel che era capitato a Tino…
Così si ferma e, casualmente, nella notte insonne, racconta a G. la vicenda di Tino. Risposta: “Quel bastardo di S.”

Volano i mesi, si giunge alla Primavera, oramai i fascisti si sentono braccati, i partigiani sono loro, oramai, a dare la caccia. Così, durante una partita in trasferta, mio padre incontra di nuovo G. che gli dice: “S. l’ho ammazzato io: piangeva come un cagnolino quando gli ho infilato la pistola in bocca, prima di sparargli”.

Arriva il 25 Aprile. Come a Milano, c’è una riunione in vescovado: ci sono il tenente della Wehrmacht e un importante capo partigiano che si accordano di fronte al vescovo. La colonna dei nazifascisti partirà alle 5 del mattino, e prenderà la via di Vercelli, ancora in mano tedesca. Tutti d’accordo: i fascisti non erano nemmeno stati invitati.
Parte la colonna. In coda, c’è S. padre, che spera di scappare: ne ha fatte quante il figlio, se non peggio.

Giunti in una piazza, ci sono due donne che si recano a lavorare per le 6, con tanto di lasciapassare. I tedeschi non le degnano di uno sguardo e proseguono di fretta: il tempo scorre, e bisogna mettersi in salvo perché alle 8 scenderanno dalle alture 20 brigate partigiane, 10.000 uomini. Meglio filare.
Ma S. padre urla qualcosa alle due donne, che rispondono anch’esse urlando – c’è rumore, i cingolati in testa fanno un frastuono tremendo – poi, non si sa come, parte una raffica e le due donne cadono sull’asfalto.

I partigiani, prontamente avvertiti, rompono l’accordo e, facendo avanzare un’ala dello schieramento, s’appostano sopra la strada, una decina di chilometri più a valle. Quando i nazifascisti giungono là, scoppia l’inferno: gli ultimi troveranno la morte nel Canale Cavour, che ha ripide sponde in cemento ed è gonfio per le piogge primaverili.

Trascorrono una decina d’anni e, una mattina, inaspettatamente, conosco S. zio, il fratello dell’annegato e lo zio del massacrato a colpi di pistola in bocca. Lo conosco a casa di mia nonna: le aveva fatto una visita…ah nonna, nonnina, ti piacevano le divise, lo so…
E’ un bell’uomo, alto, con gli occhi chiari, gentile nei modi ed aristocratico nei gesti: era un ex ufficiale, un ufficiale pilota durante la guerra. Ma lo vedo, nella mente, come Amedeo Nazzari “Luciano Serra Pilota”…no, questo è diverso…ha dei modi molto inglesi…
Non si sottrae alle mie curiosità di ragazzino. “Sì, durante la guerra ero dislocato in Sicilia, scortavamo con i nostri Re-2000 i bombardieri su Malta, nel 1943…fu un errore, nella “confusione della battaglia” per una svista, atterrai a Malta e fui preso prigioniero.
Ci ho ripensato a lungo, ma scambiare Malta per la Sicilia è proprio una cosa impossibile, viste le distanze e le dimensioni in gioco. Era atterrato a Malta. Non si era lanciato col paracadute, proprio atterrato.

Così termina la guerra per la famiglia: un “sopravvissuto” (forse più furbo?) e due morti, padre e figlio.
Mi chiedo, spesso, che senso ha avuto. Per quel ragazzo ammazzato senza motivo, per le due donne uccise.

E oggi, qualcuno – qualcuno che non ha sentito raccontare nulla dalle fonti che avevano vissuto quei giorni – ci viene ad esaltare Mussolini ed a scimmiottare saluti romani. Come non avessimo abbastanza guai, ci mancano ancora questi.

Mussolini un grande statista? Non direi proprio.
L’Italia non aveva motivi per scendere in guerra: poteva solo perdere (come avvenne) le colonie oltremare, alla lunga indifendibili. Non aveva obiettivi strategici da raggiungere e, quando la Francia fu al collasso, pensò di fare il furbetto, come sempre gli era andata bene in Italia, dove gli credevano o fingevano di credergli per paura. Salvo, poi, il 25 Luglio del 1943, divertirsi a fare a pezzi busti ed aquile littorie.

Ma, in quel luminoso Giugno del 1940, il “lungimirante uomo di Stato” sparì, e lasciò il posto al dittatore da operetta qual era. A nulla valsero gli appelli dei generali che gli raccontavano la medesima solfa: per mettere almeno un po’ in quadro le Forze Armate italiane – dopo l’Etiopia e la Spagna – ci vorranno tre anni. Non siamo pronti. “Disfattisti”, pensava di loro.
Non gli passò nemmeno per la testa che una lunga neutralità – magari nell’attesa di vedere chi vinceva – sarebbe stata di grande aiuto all’Italia, sfruttando le commesse dei belligeranti. No, si doveva “tirare diritto”, giungere a 320.000 caduti sui vari fronti, altrettanti feriti e mutilati e decine di migliaia di morti fra la popolazione civile.

Mussolini fu un grande statista? Ma per carità. Fece la battaglia del grano e prosciugò le paludi, ma si dimenticò totalmente dell’industria elettrica ed elettronica, che stava nascendo ovunque. Così, quando il primo “Gufo” (radar italiano) fu installato su un cacciatorpediniere (1943), gli inglesi ci massacravano i convogli, nel buio della notte, da anni.

La Costituzione Italiana fu redatta con un duro monito per chi avesse cercato di ricostituire un partito fascista, ma poi: che senso avrebbe oggi? A cosa servirebbero delle parole d’ordine che sono appartenute ad un’altra epoca, ad un altro Paese, a persone completamente differenti e con tutt’altri problemi?
Il ministro dell’Interno sta giocando col fuoco, senza rendersene conto: abbiamo già vissuto una terribile stagione negli anni ’70-80, con morti da entrambe le parti. Vogliamo ricominciare?

Non si tratta del rispetto per i caduti, che è sacrosanto da entrambe le parti siano morti, ma di andare in giro con striscioni inneggianti a Mussolini, sfruttando la generale ignoranza storica degli italiani. Per cosa? Per guadagnare una manciata di voti. E poi? Quando qualcuno di Casa Pound inizierà a scontrarsi con altri ragazzi, quelli dei centri sociali, di chi sarà la colpa? Si vuole proprio che ci scappi il morto, per poi riprendere la tiritera fra fascismo ed antifascismo, e mascherare che questo governo non ha più un orizzonte credibile, almeno dalla parte dei 5S?

Meglio lasciare che Salvini corra incontro al suo destino, che sarà quello di qualche settimana da leone e tanti anni da pecora, piuttosto che fomentare ancora questi fuochi fatui di un passato che andrebbe compreso, non sottovalutato, tanto meno esaltato.

20 aprile 2019

Abitudine consolidata

La vicenda di Armando Siri sarebbe soltanto la solita storia di corruzione italiana: come si faccia a nominare Sottosegretario un pregiudicato, bisognerebbe spiegarcelo. Perché il fringuello, tre anni fa, patteggiò una condanna a 18 mesi per bancarotta fraudolenta. Ricordando che il patteggiamento sottende un’ammissione di colpa, la domanda che sorge spontanea è: non c’era proprio nessun altro per quel posto (1)? Ma passiamo oltre, perché la vicenda ci porta direttamente in quel dell’energia, ed è qui che le sorprese non mancano.

Tutta la questione ruota intorno ad un dato: il costo di produzione di un KW con il sistema eolico è diventato il più conveniente fra tutte le fonti energetiche, al punto che Bloomberg (2-3) prevede in Italia per il 2030 il 90% del fabbisogno da rinnovabili e per il 2050 la totale scomparsa del sistema termoelettrico. Mi sembrano dati un poco ottimistici (ed il grafico decisamente fiducioso), però un fatto è certo: con il costo del KW eolico sceso sotto la soglia dei 6 centesimi il Kilowattora, le fonti tradizionali sono fuori mercato. Tutte, carbone e nucleare comprese. Fra l’altro, si pensa d’utilizzare le batterie usate (ma ancora con l’80% di rendimento) provenienti del settore auto elettriche per ovviare all’intermittenza insita nella fonte. Come è avvenuto tutto ciò?

Molto semplicemente, visto che il “palo” bisogna mettercelo, tanto vale farlo più alto e metterci un generatore di maggior potenza: dai mulini a vento da 1 MW di potenza, nel mondo oggi si installano generatori da 7, 9, fino a 12 MW per ogni singola installazione. In Italia molti generatori sono ancora di prima generazione, ossia intorno ad 1 MW di potenza, ma basta fare due conti per capire dove andrà il mercato. Quasi una moltiplicazione per 10.
C’è un problema?
Sì, c’è.

Posto che le nuove installazioni costano di meno per singolo MW di potenza installata (palo più robusto, ma sempre un palo, generatore più potente, ma sempre un generatore, ecc) va da sé che, come investimento, è più costoso.
Esempio: un mulino da 1 MW, costa un milione di euro (1 milione di euro/MW) un generatore da 5 MW 4 milioni di euro (800.000 euro per MW) ma sempre di 4 milioni si tratta. Che poi, avendo una vita utile di almeno 30 anni, si ripagheranno ampiamente: il problema è l’investimento iniziale.
Chi ha molti soldi da investire?
Ecco, qui il problema.

Fra i molti che pensano che l’investimento sia redditizio, ci sono anche le mafie, che hanno soldi a bizzeffe ma non sanno come “lavarli”. Qui nasce la vicenda di Siri.
Non stiamo ad indagare troppo sulla tecnica della “lavatrice” – giri su banche estere, paradisi fiscali, ritorno (abbastanza) puliti, ecc – quanto sulla certificazione che tutto è a posto. E, per questa ragione (oltre che per i permessi, le approvazioni tecniche, ecc), servono i politici – meglio se ben agganciati alle realtà locali – per “oliare” il meccanismo.
Non fatevi fuorviare dalle filippiche di Sgarbi: lui non era, per principio, contro l’eolico o contro le mafie. Il tizio era, semplicemente – tramite Chicco Testa – un alfiere delle centrali nucleari che l’ex direttore dell’ENEL sperava di riportare in Italia. Ma l’Italia porta sfiga al nucleare: fa un referendum e scoppia Cernobyl, tenta di nuovo ed arriva Fukushima…no, Chicco Testa gettò la spugna e Sgarbi se ne andò da Salemi, dove prevedeva una centrale fra le “fu” che voleva installare Berlusconi.
Poi, il prezzo per KW – sempre quello – ha fatto la differenza.

La mafia siciliana – secondo la DIA – ha ampiamente investito nell’eolico, questo è assodato. Perché?
Poiché l’eolico è un grande affare, come le autostrade, come le “grandi” opere.
Ve lo spiego in due parole, semplificando un po’.

Prendiamo un aerogeneratore da 1 MW di potenza massima (di picco). Quanto produrrà?
Dipende dal vento, ovvio. Ci sono delle tabelle che indicano la velocità media del vento: ovvio che si mettono dove il vento è più forte e costante.
La “resa” di un aerogeneratore si calcola in ore annue alla potenza massima: in un anno, ci sono 8760 ore. Dall’esperienza (ma restando “bassi”) calcoliamo in 2500 ore annue (3) alla massima potenza la resa della macchina: sono esattamente 2500 MWh (1 MW = 1000 KWh).
A quanto si vendono? Dipende dalla Borsa Elettrica – nella giornata il prezzo varia da 30 a 200 euro per MWh – ma restiamo sempre “bassi”. Se prendiamo un valore basso – 60 euro a MWh – fanno 150.000 euro l’anno. Difatti, si calcola che un aerogeneratore si ammortizza in 6-7 anni, ma ci sono da pagare i Comuni ed i proprietari del sito, la manutenzione…facciamo pure 10. Il fatto è che queste macchine durano (almeno) 30 anni. In 30 anni, rendono 4,5 milioni di euro l’una, a fronte di un investimento di un solo milione. E senza calcolare certificati verdi ed altre prebende.
Capirete bene che un investimento che triplica o quadruplica nel volgere di 30 anni, fa gola: ed inizia a rendere soldi subito, appena installato. E’ un investimento che rende, annualmente, intorno al 5-10% annuo, mentre BOT e CCT non vanno oltre il 2,5%.
Non è un caso che il fotovoltaico è stato lasciato anche alle piccole utenze, mentre l’eolico è solo per grandi gruppi (tutti privati).

Si rinnova la vicenda delle autostrade: quando un settore rende, o lo si fabbrica con soldi pubblici e poi si vende ai privati, oppure lo si cede da subito al settore privato. Vi chiederete perché all’estero si installano grandi wind farm al largo delle coste ed in Italia no. E chi sarebbe il beneficiato per l’occupazione di quelle aree? Lo Stato. Ma si può far meglio: perché lo Stato non emette dei wind bond e fa poi fabbricare ed installare i mulini ai privati, mantenendo la proprietà del sito e dei proventi? Investimento sicuro, redditività alta, ricchezza diffusa. No, non s’ha da fare: meglio regalarli alle mafie. Ci prendete per scemi?

Fa specie l’inattività totale del M5S sul fronte dell’energia: pazienza la Lega – che c’è dentro fino al collo in quelle faccende – ma il M5S ha sempre fatto dell’energia rinnovabile il suo cavallo di battaglia. Perché tace?
Il sig. Davide Crippa (M5S), sottosegretario con delega all’energia, ha proposto tre leggi (nessuna ancora approvata): due sull’inquinamento elettromagnetico ed una sul pagamento dell’IMU da parte delle piattaforme petrolifere. Un po’ pochino? Eh, certo: il vero sottosegretario all’energia lo faceva Siri, col suo giro di tangenti!

La tangente intascata (questo sostengono, con prove di intercettazioni ambientali e telefoniche i magistrati) da parte di Siri era diretta (almeno, pare) ad ottenere degli sgravi fiscali per il mini-eolico, ossia per una diffusione “familiare” dei mulini, un po’ com’è avvenuto per il solare.  Questi sgravi, per i grandi impianti eolici non servono – ce la fanno da soli a produrre a prezzi concorrenziali – mentre i piccoli necessitavano di un “aiutino” che il settore eolico chiede da sempre. Si vede che la mafia puntava su molti investimenti fatti dai privati per poi lucrare sui guadagni tramite il controllo delle società di gestione (quello, pare, era il “lavoro” degli Arata, padre e figlio).

Così è partita la trafila, dalla Sicilia a Genova, presso un ex deputato di Forza Italia (Paolo Arata), padre di un “collaboratore” nominato da Giorgetti al ministero, che ha contattato Siri e consegnato la “busta”. Questo, in sostanza, il racconto (con prove) dei magistrati.
Ma Siri non conosce bene il mondo dei “picciotti” ed è incorso in uno sgarro piuttosto grave: l’emendamento richiesto fu sì presentato, ma mai approvato. E che minchia fa, quello? Piglia i spicciuli e poi non fa una minchia? Eh, Siri…impara da Salvo Lima, altrimenti…

E così è arrivato il “pizzino”, sotto forma di “soffiata” ai magistrati inquirenti e, adesso, il genovese è nei guai: ma proprio un tipo del genere dovevano mettere a fare il sottosegretario?!?


(3) E’ evidente che il rendimento è intermittente e variabile: oggi gira piano, domani è fermo, dopodomani gira veloce…quelle 2.500 ore sono la somma di tutte queste variazioni considerate alla massima potenza.

16 aprile 2019

Sfrattato Quasimodo


Se fossimo degli ingenui, diremmo che un restauratore poco attento ha dimenticato di tappare la boccetta dell’essenza di trementina, mentre un suo amico un po’ sbadato fumava nell’attesa che terminasse l’orario di lavoro. Ecco, adesso suona: ehi! Aspetta! Butta la cicca e corre a cambiarsi.
Se fossimo dei creduloni.
Invece Macron attende anche lui la chiamata – ancora un po’ di fondo tinta, monsieur le Président? Un ricciolo fuori posto? – e, invece.
Gli mandano a fuoco Marianne, en-tout. Sì: la Francia, improvvisamente, prende fuoco.
I Gilet Gialli? Peut être…voilà…ma, anche qui, ci vuole una buona dose di dabbenaggine a crederci.
Guarderei più in là, un poco più in là.

Nelle sabbie infuocate della Libia, un caccia di Haftar prende fuoco, s’avviluppa in una vite infinita e precipita al suolo: i serventi della batteria di Tripoli esultano: l’abbiamo preso. Non ci credevano neppure loro.
Un vecchio ferraccione di sovietica memoria ha fatto splash!
Ma sarà stato proprio un vecchio ferraccione sovietico ad assalire il cielo per inseguire l’altro (probabile) ferraccione? Oppure il velivolo non era un ferrovecchio? E il missile? Due missili lanciati: 50% degli impatti. Un buon risultato: un missile veramente “Astrale” per mettere a segno un simile risultato.
Intanto, dopo la minaccia di centinaia di migliaia di nuovi “migranti” (questa volta libici) le milizie di Haftar si ritirano, esauste: con ogni probabilità, l’assalto a Tripoli ha perso mordente. Troppe perdite, per gente alla quale avevano assicurato che sarebbe bastata qualche raffica sparata in aria per prendere l’odiata capitale ed intascare i sontuosi “premi”, saccheggi e stupri compresi.

Se c’era un mezzo per avvertire Macron che la stava veramente facendo fuori dal vaso, niente di meglio che un “bombardamento” su Parigi, sul centro di Parigi. La Merkel fa sentire a Macron la sua “vicinanza”, ma forse medita, fra sé e sé, che quella storia di Acquisgrana…l’accordo “fino alla morte” fra cucchi e galletti era stato firmato un po’ troppo in fretta…e se si mette a bruciare anche la porta di Brandeburgo?
Ah, quanti dubbi, quanti perché senza risposta nella narrazione degli eventi…dalle 23.15 alle 23.22 la procura di Parigi cambia diametralmente posizione: dapprima una indagine per “distruzione dolosa”, poi si misura meglio il tiro: “distruzione involontaria tramite incendio”.
Chissà quante telefonate fra l’Eliseo e la Procura…quante raccomandazioni, quante prudenze…mentre a noi viene fatto credere che tutti i sofisticatissimi sistemi d’allarme ed antincendio di Notre Dame hanno fatto cilecca, proprio come i sistemi di contromisure e di jamming del caccia di Haftar…

Se credi che tutti i sistemi di difesa sono andati in tilt, sei un cittadino esemplare ed equilibrato. Se, invece, pensi che qualcuno abbia voluto mandare a Macron un avvertimento mafioso sei un complottista.
Ma che minchia dite?!? la Mafia non esiste…

11 aprile 2019

Una grande occasione per la musica

L’11 Giugno 1988, in un clima euforico ma fermo, deciso sulle motivazioni di quel gesto, i migliori artisti dell’epoca si diedero convegno, allo stadio di Wembley, a Londra, per chiedere la fine dell’ingiusta ed iniqua detenzione del leader che lottava da decenni contro l’apartheid sudafricana, Nelson Mandela.

Oggi, in un momento tristissimo per la democrazia dei popoli, che hanno avuto accesso ad informazioni vere ed allucinanti sotto il profilo dell’immagine internazionale degli Stati Uniti e dei loro lacchè britannici, Julian Assange, reo d’aver mostrato la vera faccia dell’imperialismo a stelle e strisce, viene condotto ad un giudizio dal quale difficilmente uscirà vivo. Come Milosevic.

Le accuse sono risibili – come quella di stupro, già ritirata, oggi subito rimessa in circolo – ed anche l’altra, quella pesante, di rivelazione di segreti di stato: fu proprio un Presidente USA – Woodrow Wilson – a dichiarare di fronte al mondo, nel 1920, che il segreto di Stato non doveva più esistere.

Anche la Gran Bretagna, oggi, dovrebbe ricordare d’essere stata lei stessa ad aver inventato ed emanato l’Habeas Corpus – nato come elemento primordiale del Diritto già nel 1275, poi riproposto in una forma più moderna nel 1679 – dove, in entrambe le forme, si dichiarava che nessuno poteva essere avviato verso una ingiusta detenzione senza che, prima, non vi fossero comprovati elementi d’accusa.

Sperando che il mondo dell’Arte e della Musica si dia al più presto una scossa, noi non possiamo che ringraziare Julian Assange: senza di lui, non avremmo mai saputo di cose indicibili ed incredibili, come quando Hillary Clinton brindò a champagne appena ebbe la certezza che Gheddafi giaceva morto in un fosso, con una baionetta conficcata nell’ano.

Non so se il Governo Italiano avrà la forza di una vera dimostrazione d’orgoglio nazionale di fronte ad una simile ignominia, ma sappiamo che il Web non tacerà, non lascerà passare questo crimine. Personalmente, sarò molto soddisfatto di non essere più definito “europeo” se nella compagine ci saranno ancora i britannici, che dovrebbero chiedere scusa per secoli di imperialismo e colonialismo sfacciato e senza remore.

Però aspetto: attendo che si rinnovi la magia di Wembley del 1988, attendo un “Assange Day”, e saremo nuovamente 600 milioni di telespettatori di fronte alla Tv, contro la protervia, l’ingiustizia e la prevaricazione mascherata da democrazia.

29 marzo 2019

La paura del Dragone

Sinceramente, volevo parlare di lingue: non quelle bollite, in bagnèt verde, salmistrate o con capperi ed acciughe bensì quelle che ci servono per comunicare. Poi…Il dibattito sull’accordo italo-cinese ha raggiunto tali livelli che ho rimpianto il vecchio bar Sport all’angolo, dove almeno se si nominava Gigi Riva tutti tacevano ed assentivano, pensosi, e così ho pensato di dare una mano. Non per spingere qualcuno giù nel dirupo, ma per aiutare a non finire tutti nella rupe Tarpea dell’insipienza, ammanigliati ed uniti dall’unico desiderio: dirla (sul web non ha senso farla) più grossa dell’altro.
Che dite, ci proviamo?

Tutto iniziò con un popolo di emigranti disgraziati per loro parte, che ebbero una particina marginale nel tentativo blasfemo di dare un giro di volta al Great Game del’Asia che, come ben saprete – nell’ultimo ventennio dell’800 fino alla 1GM – occupava le scacchiere con tre attori: Russia, Cina ed Impero Britannico.
Orbene, quel popolo di sgomitatori, che anelavano a qualcosa in più di qualche uadi desertico in Africa Orientale, per l’incrinarsi dell’Impero Cinese si videro assegnare una porticina laterale chiamata Tien-Tsin, che distava da Pechino quanto Oslo da Palermo.
Questo per dire che noi, italiani, inviammo un corpo di spedizione – con annessa flotta – per tentare di colonizzare l’unico Paese al mondo che colonia non era mai stata, ossia la Cina la quale, mezzo secolo dopo, si presentò seduta, alla conferenza di pace che doveva giudicarci in quanto vinti, sullo scranno dei vincitori.
Una vicenda lapalissiana: Pirandello ci avrebbe sguazzato alla grande.

E’ interessante, per parlare dell’oggi, appressarsi a quei giorni così lontani – ricordate “L’ultimo imperatore” di Bertolucci? – eppure non c’è paragone più calzante.
Un popolo colonizzato fino all’altro ieri, che tentava di colonizzare – in sest’ultima fila, sia chiaro – chi non conosceva nemmeno il significato della parola “colonizzazione”, non perché avessero vissuto chissà quali nirvana nei secoli precedenti, bensì poiché ogni sopraffazione era stata interna, proveniente da una parte del suo stesso insieme. E cos’era questo insieme?
La lingua.

I cinesi sono stati fra i primi a giungere alla lingua come mezzo di comunicazione, e come contenitore degli eventi passati di un popolo. Che cambia: incessantemente, rovinosamente, gloriosamente.
Crearono una lingua ideogrammatica, come gli egizi, ma mentre i secondi finirono sotto il giogo Romano, loro non ci giunsero, perché Traiano si fermò a Ctesifonte e non osò dare la mazzata finale all’impero dei Parti (o persiano che dir si voglia), che fungeva da “cuscinetto” con il grande Oriente cinese – del quale i Romani erano perfettamente a conoscenza, giacché Roma era invasa da sete cinesi, al punto che ci sono giunte le lamentazioni degli imperatori per i troppi “aurei” che volavano in oriente – del quale, però, avvertivano “a naso” la potenza, e non si fidarono a sfidarlo. I Germani bastavano ed avanzavano.

E passano così due millenni. Ma la Cina aveva già alle spalle un paio di millenni di Storia, e così assommava a quattromila. Dio com’è lungo da scrivere: “quat-tro-mi-la”…E cos’avevano fatto in quei 4000 anni? Di tutto. Di più e di meno, di meglio e di peggio: sempre all’interno della stessa lingua, vergata col pennello dalla sapiente casta dei mandarini, i funzionari imperiali che celavano le mani nelle lunghe maniche per mostrare a tutti che loro non le usavano per lavorare, bastava la mente.

A parte le quisquilie, come la metallurgia finissima, la polvere da sparo – bistrattata! Usata per giochi di luce! – la bussola, la stampa…cos’aveva partorito quella mente collettiva, di generazioni di sapienti?
Tre Libri.

l’I Ching – il libro del Mutamento – il Nei-Ching, il canone medico cinese, ed il Tao-Te-Ching, il libro del Tao Universale. Kung-Fu-Ciang (Signore del Kung-Fu), detto in Occidente Confucio, coetaneo di Budda Sakyamuni e Socrate, li definiva “molto antichi”.
Vi potrei raccontare d’altre “avventure” cinesi – come quando, nel 1400, giunsero fino all’attuale Mozambico con una flotta d’alto mare (non giunche) e 25.000 uomini d’equipaggio ed armati, e poi tornarono indietro – e di quando Vasco da Gama fu condotto fino alle Mollucche proprio dai discendenti di coloro che avevano fatto i piloti per i cinesi. Ma a che servirebbe?

Siamo stati noi ad aprire lo scrigno cinese, “noi” nel senso di russi, inglesi, francesi, tedeschi, australiani, americani…sì, nell’ultima fila anche qualche italiano…e adesso ci domandiamo, angosciati: cosa vogliono da noi?

Noi, che non ci siamo domandati cosa volevano gli spagnoli, cruenti dominatori, gli scaltri francesi, sempre pronti a propalare il meglio ed appoggiare il peggio che esista, per puro interesse, oppure gli stupidissimi, ma armatissimi, americani ed i loro scaltri cugini britannici…cosa volevano? Dominarci, sfruttarci.
Oggi, sembriamo pazzi di paura perché un cinese ci propone un accordo commerciale. Giungiamo a dire che inquineranno i nostri porti, vomiteranno nelle nostre acque i loro veleni e dimentichiamo che, fino a ieri, i sottomarini atomici USA scaricavano quel che volevano nei nostri mari, che le petroliere a stelle e strisce o con la Union Jack, ci affumicavano e lavavano le loro cisterne appena oltre l’orizzonte (a volte meno)…adesso no, abbiamo paura addirittura dei gamberetti in agrodolce.
Dominare, vincere, brutalizzare, umiliare: questi sono i verbi che conosciamo.

I cinesi non credono in questo principio, ossia non pensano che una vittoria economica o militare sia un obiettivo da raggiungere perché porta stabilità. Nel loro modo di pensare – che è molto simile al nostro, antico panta rei – sanno che la mutazione, il cambiamento sono il leitmotiv dell’avventura umana, e dunque non se ne preoccupano, credono di più nell’armonia del mutamento. Se avete letto il Libro del Mutamento (I Ching) – miracolosamente scampato alla distruzione del V secolo a.C. – ne capirete (rectius: sorseggerete) meglio il significato (migliore la traduzione di Richard Wilhelm).
La Cina è sempre rimasta, dunque, un enorme contenitore culturale isolato: almeno, la Cina che conosciamo, perché nel V secolo a.C. un imperatore si svegliò la mattina e decise che tutto quello che c’era stato prima andava abolito, distrutto, dimenticato. Almeno un millennio di vita cinese andò in fumo, con il rogo di tutti gli archivi.
Riflettiamo che, nell’epoca nella quale i cinesi bruciarono i loro archivi, in Europa la lingua scritta non era ancora giunta: i più bravi, in quell’epoca, mungevano le pecore.
Si corse lo stesso rischio durante la “rivoluzione culturale”, quando le Guardie Rosse si presentarono all’Archivio di Stato per darlo alle fiamme: per fortuna si presentò di fronte a loro un vecchio, con una pistola in mano, che disse “Dovrete passare sul mio cadavere”. Era Ciu-En-Lai, l’ex Ministro degli Esteri. E non osarono.

Qualcuno ricorda il Tibet, per avere ancor più paura. Lo venite a raccontare a me, un buddista di tradizione tibetana? Avete mai parlato con un Lama tibetano? Avete conosciuto S.S. il XIV Dalai Lama, Tenzin Ghiatzo?
La Cina del dopoguerra era un Paese affamato, che giunse a maturare una sciagura per sfamarsi: non lo dico io, lo dicono gli stessi Lama tibetani: raccontano di “gare” per accaparrarsi un torsolo di cavolo marcio nel fango, fra prigionieri e popolazione civile.
Le soldataglie cinesi presero tutto quel che riuscirono a prendere, dall’oro al legno: fu un’amara lotta fra poveri dignitosi (i tibetani) e miseri senza dignità (i cinesi). Ma fu. Allora.

Oggi molte cose stanno cambiando: i cinesi hanno collegato Lhasa al mondo con un aeroporto ed una ferrovia – non lo fanno certo per carità – ma hanno costruito anche scuole ed ospedali. Può darsi che si giunga, in futuro, ad una pacificazione definitiva: in fin dei conti, i Lama tibetani erano considerati i “protettori” dell’Impero Cinese.
Tutto, ricordiamolo, iniziò sempre con noi, gli occidentali – russi od inglesi poco cambia – che destabilizzarono un sistema equilibrato da secoli, da millenni: le truppe inglesi entrarono in Lhasa nel 1904.

E noi ci spaventiamo, abbiamo paura che taglino il codino alle nostre Mercedes? Vedremo. Tanto, che ci possiamo fare? Siamo stati noi, con la smania dei nostri investimenti, a svegliare il Dragone: smettiamola di lamentarci come donnicciole.

08 marzo 2019

Così era scritto

La ferrovia Savona Ventimiglia nei pressi di Pietra Ligure


Errare humanum est, perseverare diabolicum

La disfida che va in scena in questi giorni non è la mera vicenda di fare o non fare un tracciato ferroviario: è un discrimine, apparentemente troppo “caricato” di nodi politici che sono venuti al pettine. Ma, osservando con più attenzione gli eventi, si può affermare che non poteva non accadere, e non per mera convenienza di questo o di quel partito: sono in gioco i valori fondanti di un partito (M5S) e una parte dei valori dell’altro (Lega).
Sorvoliamo brevemente la vicenda:

1) E’ verissimo che i traffici ferroviari sulla linea incriminata sono in calo costante, dal 1992 ad oggi;
2) E’ altrettanto falso che la TAV sposterebbe volumi di traffico dalla gomma al treno, poiché questo evento – di per sé utilissimo – comporta altre azioni, ossia una gestione intermodale dei trasporti che in Italia è ancora oltre l’orbita di Saturno, e nessuna TAV le sposterebbe di un millimetro. Chi non ne è convinto, prima si legga il mio “Il futuro dei Trasporti” (pdf) e poi ne riparliamo (1);
3) Un investimento su infrastrutture ferroviarie sarebbe più utile e meno costoso se si raddoppiasse – finalmente! – la linea costiera, tuttora a binario unico e fatiscente, fra Finale Ligure e Ventimiglia.

Questo, ultimo punto, richiede alcune precisazioni.
A parte che converrebbe rifare totalmente la linea spostandola più a monte (come è stato già fatto per la Savona - Finale Ligure), giacché le differenze di costo da un binario unico ad uno doppio sono minime, ci sarebbero altre ragioni per farlo: chi usa queste linee di trasporto per le merci?

Principalmente, si tratta di trasporti provenienti dal Sud della Francia e dalla penisola iberica (o dai suoi porti) che viaggiano verso l’Europa dell’Est e viceversa, o diretti in Italia: chi sbarca a Cherbourg od a Rotterdam, non passa certo per Bardonecchia, avendo a disposizione una linea più diretta che, attraverso la Germania, poi va ovunque. Si aggiunga che la stessa Maersk sta attrezzando Vado Ligure come secondo porto europeo per le merci del Sud Europa, in alternativa alla sempiterna Rotterdam.

Quali sono le ragioni per le quali questa scelta è la più conveniente?
1) Chi sale dalla penisola iberica verso – poniamo – Trieste o Tarvisio, cerca l’arco minimo, perché più corto e più conveniente: perché dovrebbe salire fino a Lione per ridiscendere a Torino? Inoltre, già a Savona, c’è una prima tri-forcazione ferroviaria: verso Torino, verso Milano (via Acqui, Alessandria) e verso Genova. Tutte linee elettrificate, solo la Cairo-Acqui è a binario unico, ma la notte è deserta e con scarso traffico diurno.
2) C’è già una forte concorrenza – segno che il mercato è vivace e la richiesta c’è – fra la ferrovia ed il mare: la Grimaldi ha due enormi traghetti che fanno la spola fra Genova e Barcellona, ciascuno dei quali porta circa 300 TIR.

In definitiva, la TAV servirebbe soltanto ai traffici frontalieri fra l’Italia e la Francia centrale, che sono quelli che sono e non sono destinati ad aumentare: è stato il “sogno” della commissaria ai trasporti della UE Loyola de Palacio (1950-2006), che la pensò in anni lontani, senza nemmeno riuscire a convincere gli spagnoli a fare un tunnel sotto i Pirenei: nessuno le diede ascolto.

Ho condensato in poche righe un discorso che sarebbe enorme, ma questo non è un libro ma solo un articolo, perciò andiamo alle conclusioni più politiche.

Oggi, i due attori di governo, o trovano una sintesi soddisfacente oppure il governo va a casa: hanno giocato fino all’ultima carta e, quando Salvini ha tentato di giocare duro, stavolta Di Maio ha risposto “vedo”.
Perché?

Perché la TAV non è soltanto una ferrovia, è un simbolo di questa Unione Europea (e della sua mammella del Liberismo sfrenato) contro il quale il M5S ha cercato di opporsi, mentre la Lega ha semplicemente cavalcato la tigre. Il governo ha dovuto cedere dove c’erano penali su contratti firmati (da altri) che non concedevano spazi, vedi TAP e Italsider.
Qui, si è di fronte a due scelte: quando si commette un errore, è meglio scusarsi e riconoscerlo oppure correre fino in fondo alla china e poi urlare “Si salvi chi può”? Perché la TAV, proprio questo è: fra vent’anni porteremo i nostri nipoti ad osservare i ruderi della possente, ed inutile ferrovia?

Sarebbe sciocco vedere in questo scontro la classica tenzone fra destra e sinistra, perché questi nove mesi di governo, se non altro, hanno dato una potente picconata a questo granitico concetto. “Lo dice perché è di sinistra”, “ma se è di destra…”
Eppure, non tutti i 5S sono poveracci che aspettano il RdC e non tutti i leghisti sono imprenditori che aspettano di “ciucciare” dalla TAV. Ossia, una parte dei rispettivi elettorati ha scoperto che, forse, per la prima volta da tanti anni, qualcuno cercava di fare l’interesse degli italiani. In modo bipartisan, magari commettendo degli errori, delle ingenuità…ma hanno apprezzato il coraggio di provarci, almeno.
Difatti, la stampa di regime non è stata tenera, né con il M5S e né con la Lega. Ma gli elettori non hanno accolto molto bene lo “stop” al governo di Salvini, condito con i “contatti” fra Grilli, Saccomanni, Draghi ed il sottosegretario leghista Giorgetti, che anche le margherite sanno essere il trait d’union fra Berlusconi e Salvini.

Tornare a sentir parlare di decreti “mille proroghe” approvati sul filo di lana, grazie al provvido soccorso di +Europa più qualche franco tiratore del PD solletica l’appetito? Può essere, ma l’appetito si trasforma presto in mal di stomaco. Soprattutto quando si rammenta quel contratto, firmato, di governo…già…perché non ho contato fino a dieci…
Credo che Salvini, questa volta, cederà, perché ha compreso che un (inevitabile) ritorno sotto l’ala del cavaliere sarebbe la sua fine politica.

Da un lato chi si pone il problema di risolvere cose per la gente (senz’altro più difficile), dall’altra chi si pone l’obiettivo di rimpinguare i bilanci delle holding del cemento e del ferro (senz’altro più facile): scegliere, scegliere, scegliere.

25 febbraio 2019

Volete sapere perché Formigoni è finito dietro le sbarre?


L’occasione fa l’uomo ladro, recita il proverbio: questo è quel che è capitato a Formigoni, perché le “occasioni” le creano gli im-prenditori del sistema pubblico/privato, a bizzeffe. L’uomo ex Pirellone è stato un ingenuo, si comprende bene da come si è comportato: esaltato dal suo ruolo di “Celeste”, non ha meditato che tutto quel ben di Dio non gli era dato perché – ragionando da Luterani o da Ebrei – era il “prediletto del Signore”, bensì perché qualcuno guadagnava soldi a palate da quel sistema ed aveva tutto l’interesse che le cose durassero così com’erano.

Tutto l’andazzo nasce dallo “strano” fenomeno al quale stiamo assistendo, ossia la migrazione del sistema sanitario nazionale verso il privato, che non è sempre un vero “privato”, perché le strutture rimangono (per ora) gratuite per la popolazione. A parte che alcune strutture private già forniscono, oggi, prestazioni ambulatoriali e diagnostiche allo stesso prezzo del ticket sanitario nazionale, il “passaggio” avviene a monte, ossia nei costi che lo Stato si accolla per le prestazioni del singolo paziente.
In sostanza, io (Stato) pago una cifra per ogni giornata ospedaliera di un paziente medio, e poi il privato se la vede lui. Detto così, potrebbe anche funzionare, ma bisogna anzitutto comprendere quanto pago e cosa mi viene dato in cambio. E cosa costa al contribuente.

Per mia fortuna sono riuscito ad avvalermi per questa analisi della consulenza di una persona esperta: un’infermiera che, per molti anni, ha lavorato sia nel pubblico che nel privato, prevalentemente nel settore psichiatrico.
Il settore psichiatrico è un po’ “speciale”, perché è nato – così com’è oggi – negli anni ’70 del Novecento, soprattutto per merito di Franco Basaglia, psichiatra che ebbe il merito di andare “oltre” il mero manicomio, come fino a quell’epoca era considerato l’unica struttura in grado d’accogliere i “matti”. Chi vorrà approfondire la cosa (che è solo il corollario e non la nota dominante di questo articolo) potrà trovare sul Web tutto quel che cerca.
In buona sostanza, la questione fu risolta con l’abolizione dei manicomi – a buona ragione considerati dei veri e propri lager per malati – verso l’esternalizzazione, all’interno della società, del malato psichiatrico.

“Esternalizzazione”, però, non è sinonimo di “privatizzazione”: è bene ricordarlo. Invece, lo Stato si ritirò in parte dal settore – vuoi per incapacità di gestirlo, vuoi per convenienza, vuoi per lucro “combinato” fra gli imprenditori del settore e la politica/burocrazia pubblica – e rimasero solo i presidi ospedalieri (i reparti ospedalieri di Psichiatria (SPDC) o i Centri d’Igiene Mentale (CIM) sul territorio.
Dove finì la stragrande maggioranza dei malati psichiatrici?

Prima di continuare, vorrei chiarire un concetto: se il nostro pancreas non secerne insulina, siamo diabetici e non perdiamo rispettabilità sociale, mentre se il nostro cervello ha problemi con la serotonina o la dopamina, abbiamo problemi psichiatrici e ci mettono il cappello da Napoleone in testa.
Questo non significa che con il malato psichiatrico non si debbano prendere delle precauzioni – ad esempio non dargli una 357 Magnum in mano – però riflettiamo anche che larga parte della popolazione fa uso di psicofarmaci, per disturbi più o meno gravi: siamo una società malata nei gangli vitali del vivere sociale, e queste sono le conseguenze.

Il malato psichiatrico grave – ossia colui che deve essere tenuto sotto controllo – non vive o vive parzialmente nella società (secondo la gravità del suo male e secondo ciò che gli psichiatri ritengono più utile per la sua esistenza) ed è ospitato nelle apposite strutture, che – con il tempo – sono diventate sempre di più private. Ma pagate dalla mano pubblica.

Grazie alla mia amica infermiera, sono riuscito a ricostruire abbastanza fedelmente il conto economico di una di esse: non pretendo che sia oro colato, però i dati sono stati verificati come validi in più di una struttura, ed evidenziano un’enorme discrepanza fra le spese realmente sostenute e gli introiti incamerati. Di più: siccome gli “imprenditori” di questo settore sono noti (psichiatri e non), il loro tenore di vita è stato notato, con grande evidenza. Capito?

Personale                                          
Direttore                       1                                 60.000
Direttore sanitario         1                                  70.000
Medici                          3          3.000                108.000
Psichiatri & Psicologi    5          2.500                150.000
Infermieri                      5          3.000                180.000
Educatori/OS              32          2.500                960.000
Cucina & Pulizia            3          2.200                  79.200
Amministrazione           3          2.500                   90.000


Acquisti alimentari                                                350.400
Farmaci & materiale sanitario                                268.800
Affitto annuo                                                       120.000
Riscaldamento                                                      20.000
Energia elettrica                                                      5.000
Assicurazioni                                                           5.000
Veicoli                                                                       6.000
Spese straordinarie                                                10.000
Manutenzione                                                          10.000
Palestre e laboratori                                                50.000

Costi                                                                   2.542.400

Ricavi                                     
Pazienti                         64                              
Retta giornaliera           250                                 5.840.000

Utile                                                                      3.297.600

Note: sarebbe stato meglio incamerare il foglio Excel, ma creava qualche problema sui server e dunque l’ho solo riportato in Word. In queste strutture, i medici di guardia sono comuni medici, non psichiatri. Psichiatri e psicologi, generalmente, sono pagati come consulenti esterni. Ci sono poi le attività ludiche, diverse da una struttura all’altra, che è difficile quantificare ma, come potete osservare, non è che un’ora la settima o il giorno di falegnameria o a cavallo sposti tanto le cose. La situazione esposta si riferisce a circa 5 anni fa.

3 milioni di euro di utile l’anno sono tanti, d’altro canto, chi foraggiava il “Celeste” – e tanti in posizioni analoghe o, comunque, degni di essere “convinti” – doveva avere fondi cospicui per farlo: poi, i sistemi per lasciarsi corrompere sono tanti, come dimostra il caso Alemanno (fondazioni) o i casi Tiziano Renzi e Berlusconi (frodi fiscali). Sono reati comuni, per i quali le persona comune, se viene beccata, fila dritto in galera. Fino a ieri, solo le persone comuni: oggi?
C’è da complimentarsi con il ministro Bonafede, che ha fatto un ottimo lavoro: se avesse potuto, avrebbe anche cancellato l’indegna prescrizione dei reati, ma Salvini doveva salvare Bossi nel suo processo, e dunque l’opposizione della Lega, ancora una volta, ha finito per essere forte coi deboli e debole con i forti.

Inoltre, devo confessare una cosa. Sapete che sono appassionato di nautica – vela – e mi sono sempre stupito, quando passo dal porto di Varazze, nell’osservare mega-yacht a motore – 15, 20 metri, valore 1-2 milioni di euro – che sono lì, all’ormeggio, appena costruiti dai cantieri ex Baglietto, già iscritti alle Cayman ma in attesa d’acquirente. Cosa c’è dietro? Perché ai saloni della nautica sono quasi sparite le barche per le famiglie e sono aumentati enormemente i “ferri da stiro” (consentitemi un po’ di veleno, da velista) di tutte le dimensioni? Non è soltanto una questione di classe media alla deriva: alcuni pentiti di mafia hanno spifferato di tangenti pagate con mega-yacht. Perché la Magistratura non ci butta un occhio? Anche nell’affaire Formigoni ci sono gli yacht di mezzo.

Se la riforma dei manicomi non implicò la privatizzazione del sistema, è altrettanto vero che la sanità regionale ha fallito in pieno i suoi obiettivi: che senso ha, per il Ministero della Sanità, dover controllare le stesse cose per 20 regioni? Quali sono i vantaggi? Qualcuno me lo spieghi. Dove vanno a finire i 100 e più miliardi della sanità?

Terminiamo con un pensiero per il “Celeste”, la persona alla quale – addirittura – il Pirellone andava stretto ed ha dovuto costruire l’enorme grattacielo del Palazzo Lombardia, lasciando il Pirellone al solo consiglio regionale. Uno spreco immane, un insulto all’intelligenza ed alla miseria, che in Italia non manca.
Tutto, nella sua vicenda, mostra come quest’uomo si sia elevato “al di là del bene e del male”, per entrare in un limbo d’intoccabili, ai quali tutto era permesso perché benedetti da Dio in persona. Un nuovo Re assolutista.
Anche il suo modo di frodare, intascare tangenti e quant’altro è intessuto non da protervia, ma da certezza assoluta d’essere – in qualche modo – nel “giusto”: questo non è un ladro di polli come Alemanno, Tiziano Renzi o i tanti di Tangentopoli. Costui si ritiene un prediletto da Dio e, dunque, al di sopra delle nostre – ritenute insignificanti – velleità terrene di giustizia.
Forse, oggi, legge il libro di Giobbe, per comprendere cosa ha voluto insegnargli Dio con quella condanna, con la prigione, nella quale – sono quasi sicuro – non si troverà poi tanto male. “Dio ha voluto che conoscessi gli umili” – penserà – e dovrà farselo andar bene, poiché la pena differita in arresti domiciliari non è proprio dietro l’angolo.

Ovviamente, i suoi avvocati l’hanno subito invocata, però, da cosa leggo – non sono un avvocato e dunque taccio – pare che Bonafede abbia cucinato la polpetta molto bene, al punto che sarà probabilmente necessario un pronunciamento della Consulta. E il tempo passa, fra l’apertura e la chiusura delle celle, fra una visita e l’ora d’aria.

Si parla delle tante ingenuità dei 5S, ce ne sono, è vero: però, la soddisfazione di vedere un ladro che ha rubato sui malati italiani in gabbia, finora, nessuno ce l’aveva data. Ricordiamo il ministro della Sanità Gava, incarcerato e poi scarcerato perché “malato”. Così malato che andò subito a festeggiare al ristorante “Ai due ladroni” (vero!). Speriamo che, stavolta, le cose vadano in altro modo.