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30 marzo 2020

Il problema è nel manico

John Maynard Keynes

“Il lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine, siamo tutti morti.”
John Maynard Keynes, economista inglese

Il titolo che avete appena letto è un vecchi adagio, o proverbio, che si cita quando un lavoro od una situazione non si riesce proprio a risolverla: nasce dal fatto che se il martello ha un manico non adatto, oppure debole, rotto, venato…nulla può essere portato a termine con l’attrezzo inadatto all’uso.
Per cercare di capire cosa sta succedendo nel mondo della grande finanza, bisogna fare un passo indietro e domandarci come si è giunti a questo punto (virus a parte), perché dietro c’è una storia che è la Storia della Teoria del Valore.
Senza affrontare questo argomento, è del tutto inutile fare previsioni o buoni propositi per l’avvenire poiché, passato il Coronavirus, il mondo che ci riceverà sarà, ancora una volta, schiacciato da questo irrisolto problema. E finirà per schiacciarci tutti.

Tutti d’accordo (Germania compresa) stilammo, in anni lontani, un trattato che doveva prevenire, nella vecchia Europa, il rinnovarsi di cosucce da nulla…capitate nel ‘900: robetta come discutere i disaccordi interni europei sotto forma di corpi d’armata, formazioni di bombardieri sulle città e sottomarini appena fuori del porto. Con qualche modesto danno al “capitale umano”…decine di milioni di morti e danni per miliardi di trilioni di miliardi…

Detto fatto, nacque l’Unione Europea, dapprima CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) che fu tutt’altro che cieca nel risolvere le questioni riguardanti l’importantissimo settore: ricordiamo, però, che la CECA nacque nel lontano 1951.
Nel 1957, col Trattato di Roma, venne alla luce la CEE (Comunità Economica Europea), la quale dovette subito risolvere i problemi derivanti dal possesso di reattori nucleari mentre uno Stato, la Francia, era dotata anche d’armamento atomico e porre le basi per una futura, vera unione europea.

Il vero atto di nascita della successiva UE fu il trattato di Maastricht del 1992, che legava le economie dei Paesi che ne facevano parte con legami ancor più stretti: proprio quelle regole e legami che sono percepiti – oggi, con la pandemia di Coronavirus in atto – diversamente da Italia, Francia, Spagna, Irlanda, Slovenia, Belgio, Grecia e Lussemburgo mentre si sono opposti Paesi che hanno qualcosa di sinistro: Germania, Austria, Finlandia ed Olanda i quali, eccetto l’Olanda, erano tutti a braccetto di Hitler.
Ma, un aspetto poco noto della vicenda, riguarda le date: la CECA e la CEE nacquero prima del 1971, mentre l’UE nacque dopo. Cosa successe nel 1971?

Un pasticcio che, ancora oggi, genera infiniti guai nell’economia mondiale: fino al 1971, l’unica moneta ad avere ancora un corrispettivo in oro – il dollaro USA, e mediante il cambio in dollari anche le altre monete avevano ancora un corrispettivo aureo – il 15 Agosto del 1971, per firma unilaterale del presidente Nixon, abrogò la convertibilità in oro del dollaro (1). In nota una spiegazione più dettagliata.
In effetti, gli USA avevano fregato tutti, stampando una quantità di moneta ben superiore al controvalore in oro, giacché le astronomiche spese per la guerra in Vietnam avevano prosciugato il bilancio statale: siccome la Francia aveva richiesto la conversione in oro del Franco, e non essendoci abbastanza oro a Fort Knox, giocoforza Richard Nixon fu costretto ad abrogare, con un colpo di spugna unilaterale, gli accordi di Bretton Wood del 1944, sui quali s’era poggiata l’economia del dopoguerra. Se qualcuno ricorda, in quegli anni il dollaro USA era scambiato a 625 lire per un dollaro, e qual tasso di cambio fu stabile per molti anni. Per forza: era ancora legato all’oro.
Su cosa poggiano, e cosa garantiscono le attuali monete?

Nulla, assolutamente nulla.
E, l’Unione Europea, nata nel 1992 con il trattato di Maastricht, nacque già nell’era del nulla.
Per me – che ricordo di non essere un economista – la questione della Teoria del Valore di merci e lavoro – senza un valore di riferimento – sembra un po’ una caciara, oppure un truffa legalizzata, o come preferite.

In buona sostanza, i valori delle monete – giacché tutte le Nazioni sono indebitate – sono sostanzialmente stabiliti dalla “solidità” di quel debito, ossia se saranno capaci di onorarlo. Più aumenta la “volatilità” di una Nazione, più salgono gli interessi da corrispondere agli investitori: sarà un caso che l’1% della popolazione mondiale possieda più del 50% della ricchezza planetaria? Si tratta di un vero e proprio Olimpo: 18 milioni di famiglie (2), pressappoco 50 milioni di persone, che controllano l’economia mondiale.
E chi lo decide?

Ci sono apposite istituzioni mondiali, le agenzie di rating che sono principalmente tre: Moody’s, Fitch e Standard & Poors, tutte con sede a New York. Semplice, no?
Se sei bravo, ti presto i soldi e te li do ad un interesse contenuto, se sei cattivo…eh…voglio un interesse maggiore…che ci vuoi fare, piccolo mio…anch’io ho le mie esigenze…devo in qualche modo “assicurarmi” che tu mi renda i soldi…e lo farò stipulando degli altri contratti, “derivati” dal tuo debito, con altre banche, eccetera, eccetera. Dai cosiddetti “derivati” giunse la crisi del 2008.
E, per dirla tutta, bisognerebbe sapere chi paga le agenzie di rating: c’è un bellissimo film al riguardo, La Grande Scommessa, con Brad Pitt. Candidato all’Oscar come miglior film, gli regalarono l’Oscar per la miglior scenografia non originale: chi credete comandi ad Hollywood? I registi o le agenzie di rating?

Ciò che teme la Germania è sin troppo facile da indovinare: quanto ci costerà questa dannata epidemia? Noi abbiamo solo qualche centinaio di morti…italiani, francesi e spagnoli migliaia…chissà come mai? Beh…non sono capaci di “stornare” i morti per Coronavirus sotto altre voci…così ci hanno consigliato le agenzie di rating…

Dunque…se abbiamo capito bene…tutto ciò che facciamo sul fronte dell’economia viene deciso da qualche Paperone che sta a New York? Che decide, ovviamente, il numero di giorni nei quali teniamo l’economia a freno, per non pagare milioni di morti?
Bel finale di commedia, per gli Stati nazionali, le “Unioni” di Stati e le Confederazioni…tutto a muzzo di qualche magnate che, a New York, decide della vita di tuo padre a fronte di una perdita di un tot per cento?

Sarà, io non sono un economista e quindi non so decidere se questa sia la soluzione migliore, però sul fatto che debba esistere una Teoria del Valore delle merci – non delle persone! Le “risorse umane” non fanno parte del mio vocabolario di non-economista – non ho dubbi, perché qualche cavolo di mezzo per stabilire il valore delle merci dovrà pur esistere, no?
No, non esiste: domanda ed offerta, facilità di reperimento, solidità dell’azienda. Fine.

Un tempo, esisteva.
Il lavoro di un falegname era considerato poco, giacché la materia prima era di facile reperimento, mentre quella di un fabbro era più cara, poiché il metallo richiedeva una tecnologia più complessa: quella dell’orafo era ancor più costosa, data l’accuratezza del suo lavoro, la preziosità del materiale ed il rischio di perdite. Ma, ce n’era una ch’era ancor più cara. Quale?

Quella del medico, perché il medico sapeva salvaguardare qualcosa di ancor più prezioso dell’oro: la vita umana.

Siccome in questo caso ci troviamo di fronte ad un conflitto insano, giacché tutte le filosofie hanno sempre conferito il massimo valore alla vita umana, ci troviamo in un contesto d’inconsulta disfida, laddove il risultato – chiediamo ai platonici, agli aristotelici, agli stoici, ai cristiani, agli ebrei, ai musulmani, ai confuciani, ai buddisti, agli induisti, agli scintoisti, agli animisti sotto ogni cielo ed al di là d’ogni mare – sarà sempre lo stesso: la vita umana sopra ogni cosa.
Qualcuno dirà che ai marxisti non importa tanto la vita del singolo, poiché è la sopravvivenza e l’elevazione delle masse ad essere più importante: regola che può essere validata in un contesto bellico – forse, nell’assenza d’alternative – ma dovremmo concludere che quelle 18 milioni di famiglie di ricconi che ci comandano sono 18 milioni di comunisti, che allignano in quel di New York. Dovremmo subito avvisare Trump.

E non tiriamo in ballo l’eterna storia degli Ebrei che affamano il mondo perché si ritengono una razza eletta: gli Ebrei possono ritenersi cosa vogliono, ma non hanno il potere di governare l’economia mondiale. La maggior “cassaforte” mondiale, oggi, è la Cina: vi sembrano ebrei i cinesi? E i sauditi? I giapponesi? I tedeschi? Oops! Scusi frau Angela.

Il vero problema è che l’umanità, nella follia bellica del ‘900 – della quale i tedeschi hanno qualche responsabilità più degli altri – ha distrutto qualsiasi ancoraggio certo, sicuro, valido, concreto…senza il quale ogni moneta è sulle montagne russe, ogni Stato sempre sotto giudizio, oggi il paradiso, domani l’inferno. E’ così che vogliamo vivere?

Per tornare ad una base della Teoria del Valore più affidabile, potremmo nuovamente affidarci all’oro il quale, ahimè per noi, di guai ne ha creati non pochi nella Storia umana: basti pensare all’inflazione, e conseguente carestia, in Spagna con l’arrivo dell’oro rapinato nelle Americhe.
Il Sudafrica diventerebbe lo Stato più ricco del mondo? Dichiarerebbe guerra al suo avversario, la Russia, che circonderebbe le miniere siberiane con un muro alto centinaia di metri?
Bel dilemma.

Però, se non sapremo trovare una risposta congrua nella Teoria del Valore, non potremmo mai trovare soluzioni – valide, sensate e durature – per dare valore alle monete, e si torna da capo, con i 18 milioni di famiglie che decidono: pollice alto, pollice verso.

Qualcuno ha tentato di fornire soluzioni: un gruppo di economisti serbi propose un metodo di calcolo basato sul valore di un’ora di lavoro operaio. Molto marxista, però oggi ci dovremmo chiedere: come si fa ad uniformare il valore di un’ora di lavoro in Germania con la stessa ora del Burkina Faso?
Altri propongono soluzioni complesse, come Fabio Conditi, che “ingegnerizzano” ancor più l’economia con monete parallele, alternative…ed io non ho risposte: non sono un economista, sono soltanto un piccolo scrittore, un dipintore di vicende umane proiettate nel grande schermo della Storia. Figuratevi: non so nemmeno giudicare se John Maynard Keynes fu un genio, un illuso od un economista bistrattato dai saccenti statunitensi! Posso solo dire che aveva uno sguardo mansueto.

Oggi, però – mentre medici ed infermieri s’affannano, a rischio della loro vita, per curare i malati nelle corsie ospedaliere, a contatto con i corpi madidi di sudore, coi lamenti dei morenti come colonna sonora – mi aspetto che anche qualche economista alzi il sederino dal comodo giaciglio dei consigli d’amministrazione, delle banche e delle multinazionali. Qualcuno che abbia ancora una coscienza, e che riconosca che il nostro mondo economico è solo un mostro che non sta in piedi, se non è in grado di rallentare l’economia per pochi mesi: quando usciremo da questa maledizione biblica, faremo meglio a ricordarcene ed a tartassarli quanto basta. Senza clemenza.

Perché una cosa l’abbiamo imparata: se stessimo per morire, e qualcuno ci facesse sopravvivere al prezzo dell’oro, non guarderemmo l’oro. Ce ne libereremmo subito, in cambio della vita.

26 marzo 2020

Se ci sei, batti un colpo. Non come le altre volte, però.


Gentile sig.ra Merkel,

sinceramente, non riesco a comprendere cosa le passi per la mente. Per la terza volta – due nel XX secolo, ora nel XXI – la Germania ha nelle sue mani le decisioni che riguardano l’intero continente, e sta comportandosi esattamente come nel secolo scorso. A che pro?
Quella che si sta delineando, è un’Europa del Sud-Ovest ed un’altra di Nord-Est: ossia la prima, le nazioni non direttamente collegate al sistema di produzione tedesco ed ai suoi capitali e le seconde, quelle che per convenienza (Olanda) o per necessità (quasi tutte le altre) devono guardare a Berlino e non distogliere lo sguardo.
La discriminante è l’epidemia del Coronavirus.

Chiariamo subito: il Coronavirus-19 non è una qualsiasi influenza stagionale. E, questo, per un semplice motivo: se l’Europa, oggi, sta avvicinandosi ai 15.000 morti dovuti al morbo, se non fossero state messe in atto delle misure eccezionali da parte di numerosi governi – fra i quali il mio, e ne vado orgoglioso – oggi non so dirle come si troverebbe: 150.000 morti? 300.000? Non possiamo saperlo, ma possiamo facilmente ipotizzarlo.
Tutte le voci discordanti – il penoso Primo Ministro britannico, ed il povero pulcino lombardo, nostro ex Ministro degli Interni, che minimizzavano…ma no…sarà come per la solita influenza…raggiungeremo l’immunità di gregge…pensate alle imprese, alle nostre imprese lombarde… – sono stati costretti a zittirsi, di fronte ai numeri. Terrificanti, ai quali non eravamo abituati da nessuna epidemia.

Oggi si pone il problema di come:
a) uscire dall’emergenza sanitaria;
b) concepire un’uscita/rinascita economica che non sia disastrosa per il continente.

Mi verrebbe da dire che per ben due volte, a causa dei vostri chiodi fissi – e non solo sull’elmo – ci avete regalato dei periodi lugubri e siamo dovuti ricorrere all’aiuto americano che in cambio ha voluto, ovviamente, delle contropartite politiche.
Oggi, gli americani non sono più in grado d’aiutarci: è già grasso che cola se riusciranno a cavarsela a casa loro. La Russia è gravata da sanzioni economiche, la Cina non ancora in grado d’assumere il ruolo di guida mondiale. Cosa facciamo?

Teniamo fede all’attuale sistema, che prevede la corresponsione di un contributo per formare il MES (il fondo salva stati) e che, in caso di bisogno, metodicamente indica le scadenze per la sua restituzione? Badi bene: soldi nostri, di ciascun Paese (60 miliardi sono dell’Italia!)…ma le regole dicono che devono essere resi entro scadenze ben precise, con metodologie ben preparate, studiate con teutonico passo.
Oppure capire che, di fonte ad una simile emergenza, è d’obbligo utilizzare quei soldi e poterli mettere a bilancio, per restituirli, con altri tempi, altri modi, altri passi?

La situazione s’aggrava, al punto che il nostro Primo Ministro vi ha dato dieci giorni di tempo per rispondere, altrimenti l’Italia non accederà al sistema MES, e farà di testa propria.
Si rende conto di cosa significa?

Vuol dire, semplicemente che, se la risposta tedesca non cambierà, l’Italia ha già presentato – tramite il suo Primo Ministro – una dichiarazione di uscita dall’UE, per ora solo in fieri. Credo anche lei convenga che, al prof. Conte, non rimaneva altra strada.

Oggi non sappiamo se si tratterà di un’Europa del Sud e di un’Europa del Nord, oppure di un’Italia più legata a chi ha fornito veramente aiuto, quando ne abbiamo avuto bisogno, ossia Cina, Russia, Venezuela e Cuba. Che non ci hanno bloccato le mascherine, da noi acquistate e pagate, alla loro frontiera o a quella di uno stato-satellite come la Repubblica Ceca.

Spero vivamente che la sua opinione cambi, perché questo – sono certo – è il desiderio degli altri Paesi europei. In caso contrario, ognuno per sé e Dio per tutti.

26 gennaio 2019

Un passo indietro, per capire il domani

Le scelleratezze di questo nostro tempo sono infinite e bugiarde: lo si avverte a pelle, leggendo le notizie sulle agenzie, e quasi si riesce ad indovinare la scontata risposta di questo e di quello, come in un girone infernale che ha preso a battere il tempo di un rap duro, prepotente, assetato di violenza e di sangue.
Vicino alle nostre frontiere si siglano accordi che sanno di vecchio: Assi, Triplici, Duplici, Patti, Intese,  Accordi, Entante, Agreemont…lo sfilacciato linguaggio della vecchia Europa…perché, la disperazione di un’Europa che ha “provato” con l’Euro ad intessere un’unione che non esisteva, oggi cerca di fermarla nel tempo con gli accordi militari. E’ già stato fatto qualcosa di simile, almeno nei modi e nei termini, basta voltarsi un attimo indietro.

C’è un interessante, quanto agghiacciante parallelismo fra il Gennaio del 2019 e quello del 1919, quando il Presidente americano Woodrow Wilson venne a Parigi a proporre la sua visione del futuro accordo di pace, ossia la nota dichiarazione dei 14 punti. E, oggi, seppur rinnovata, rimodernata e rivestita con un paio di jeans al posto delle rigide martingale dell’epoca, in una Davos che riconosce l’enorme divario di ricchezza nei popoli – che sempre aumenta! – le parole del Presidente del Consiglio italiano riecheggiano di quei toni, di quelle preghiere, di quegli avvertimenti. Che l’Europa non ascoltò, che l’Europa non ascolta. E risponde con “atti” come l’accordo di Aquisgrana.

Mi dispiace dover avvertire che, per coloro che non conoscono a fondo le dinamiche che condussero alla 1GM, sarà necessario un breve ripasso di quelle vicende: altrimenti, sarà difficile capire cosa sta succedendo. Vorrà dire che, chi conosce bene quelle vicende, potrà tranquillamente saltare il prossimo capitolo.

Le ragioni e il perché si giunse a Versailles

Molti storici, se chiederete loro perché scoppiò la 1GM, vi risponderanno con ragioni di per sé coerenti con l’enorme carneficina che seguì: coerenti, ma non valide. I più onesti giungono ad affermare che non v’erano ragioni serie per fare un simile sconquasso: forse, i generali, avevano ancora gli occhi puntati sulle guerre napoleoniche, e non avevano compreso il drammatico ingresso negli scenari bellici della mitragliatrice e degli aeroplani.
Fino ad allora, le uniche guerre giunte a scompaginare gli equilibri raggiunti dopo le grandi guerre di assestamento dei nuovi equilibri del XVI-XVII secolo erano state le avventure napoleoniche: a ben vedere, un tentativo di raggruppare l’Europa sotto l’egida francese.

Il mondo del primo Novecento è ancora oggi chiamato Belle Epoque, che si può intravedere fra le pagine di Zola e Maupassant, giacché c’erano tutti i prodromi necessari per un tranquillo incedere nel nuovo secolo. L’Europa era padrona del Mondo e lo gestiva tramite i suoi grandi e medi imperi: Britannico, Francese, Tedesco, Belga, Olandese, Portoghese ed Italiano, più l’enorme “bestia” addormentata nei secoli, l’Impero Ottomano. La Gran Bretagna, da sola, con meno dell’1% del territorio planetario, gestiva il 23% delle terre emerse. Più il dominio assoluto su mari ed oceani.

La Russia zarista aveva immense risorse e territori vastissimi non ancora esplorati; un pianeta a sé, come lo è oggi: un’amministrazione lenta e fatalista, però, non riusciva ad andare oltre gli Urali.
Gli USA si leccavano le ferite della loro guerra civile ed erano, ostinatamente, isolazionisti: nessuno, negli USA, pensava che due guerre europee avrebbero loro regalato su un piatto d’argento il potere planetario che, all’epoca, manco reclamavano: ancora doveva terminare l’epopea del grande West!
Il resto del pianeta, a parte l’Europa, nulla contava: il ministero delle colonie portoghese, fino al 1947, ebbe un apposito dipartimento per la gestione degli schiavi.

Se, da un lato, il “pensiero politico” era vecchio di secoli, la tecnologia sfornava ogni momento nuove risorse: meccanica di precisione, elettrotecnica, onde radio, petrolio al posto del carbone, automobili al posto delle carrozze e via dicendo.
C’erano problemi sociali? Dipende da che punto si osserva la vicenda.
Non si può negare che il Re italiano fece sparare a cannonate sulla folla, però l’aumento della ricchezza globale era evidente: il treno aveva avvicinato enormemente città e mercati, la navigazione a vapore raggiungeva facilmente i 5 continenti…insomma, dal punto di vista economico non c’erano ragioni valide per finire in quella bolgia infernale. Anche perché nasceva il sindacalismo, che chiedeva una ripartizione della “torta” più equa, e le classi subalterne cominciavano a vivere meglio – non ovunque e non sempre (emigrazione) – però il mondo del 1900 si distanziava già enormemente da quello di solo mezzo secolo prima. In definitiva, la ripartizione della torta era necessaria per un buon funzionamento della macchina: c’erano, ovviamente, voci discordanti, le quali ebbero a pentirsi – dopo – delle loro scelte.

Le vicissitudini diplomatiche di quei giorni sono note, e fanno rabbrividire per il non sense di quegli atti. Cercherò d’essere sintetico.

Il 28 Giugno 1914 viene assassinato a Sarajevo, volontariamente e con modalità da vero “agguato” (c’erano una decina di “postazioni” per sparargli), l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco, da parte dell’irredentismo serbo.
Le diplomazie accettano di buon grado che l’Austria abbia diritto ad una vendetta, e fanno sapere a Vienna che nessuno si opporrà ad una rappresaglia, che potrà anche comprendere l’occupazione simbolica di Belgrado: insomma, vendicatevi pure, però dopo ve ne andate.
Ma la diplomazia austriaca cincischia, perché vuole presentare prove documentate (e non richieste!) prima di scatenare l’armata: si perde così l’intero mese di Luglio, e la questione balcanica – dapprima vista come un evento separato – entra a far parte del gran bordello generale, sovrapponendosi ad altri “irredentismi”, di marca ben diversa.
Chi sta creando il maggior chiasso? La diplomazia francese.

La Francia è l’unica ad avere qualcosa da reclamare: l’Alsazia e la Lorena, inglobate nell’Impero Germanico con la guerra del 1870. Per questa ragione si muove verso la Russia, cercando di cementare l’irredentismo francese (a dire il vero, piuttosto blando: quelle regioni, nella Storia, avevano cambiato di mano almeno quattro volte) con l’irredentismo slavo che sta friggendo nei Balcani.
Nel mese di Luglio giungono a Pietrogrado delegazioni francesi, che confabulano con gli omologhi russi, e la cosa monta: alla fine – siccome la Russia ha bisogno d’almeno un mese per la mobilitazione generale – vengono diffuse notizie (vere? false?) su movimenti di truppe tedesche nella Slesia…insomma, lo Zar si trova di fronte una zuppa belle e pronta: o inizi a mobilitare, oppure i tedeschi arriveranno alle porte di Pietrogrado prima che un misero soldatino possa far la guardia alla tua porta. E lo Zar mobilita: a Parigi, intanto, si continua ad affermare che non c’è nessuna volontà di guerra in aria (!).

Nel frattempo, Guglielmo e Francesco Giuseppe s’incontrano al confine, e devono riconoscere che il problema è grave e li interessa entrambi: l’irredentismo slavo è il nemico comune, non dell’Italia, che nicchia e chiede Trento e Trieste in cambio della partecipazione a fianco degli Imperi Centrali: Vienna risponde picche, e l’Italia si dichiara neutrale.
Negli ultimi giorni di Luglio si cerca di coinvolgere la Gran Bretagna, che nicchia: perché dovremmo scendere in guerra per difendere gli slavi e lo sciovinismo francese? Si noti che la Gran Bretagna, all’epoca, non aveva nemmeno la coscrizione obbligatoria: basta la Marina…

Poi, un pensiero drammatico inizia a percorrere i corridoi della diplomazia inglese: la Francia non è in grado, da sola, di reggere l’urto delle armate germaniche…perciò i tedeschi occuperanno i porti atlantici francesi (la 2GM!) e la Grosse Hochseeflotte voluta da Bismarck sarà un temibile avversario su tutti mari del mondo…se interverremo, invece, la “confineremo” nel Mare del Nord e non ci darà grattacapi. Così avvenne.
In ogni modo, la Gran Bretagna tentennò molto e si decise solo all’ultimo d’intervenire, al punto che gli equipaggi delle navi francesi della flotta del Nord, quando salparono nella Manica, salutarono mogli e fidanzate con un addio, certi di non tornare dallo scontro – impari – contro la flotta tedesca.
Tutti – com’è ovvio per ogni guerra – immaginavano un conflitto breve: gli inglesi accettarono perché si diceva: “A Natale è tutto finito”.

Insomma, a ben vedere, furono i francesi a comportarsi in modo levantino, e non altri.

Fine, tragica, di una guerra

Nell’Estate del 1918, ancora non si sapeva chi avrebbe vinto. Gli eserciti, stremati, andavano all’assalto come automi, perché sapevano che le sofferenze delle popolazioni erano giunte al parossismo: dall’eroismo sciovinista degli inizi, alla fame del 1918 che non conoscevano più da generazioni. Morire era una possibilità accettata: basta che sia tutto finito, in un modo o nell’altro.
I tedeschi, nell’offensiva di Primavera, crollarono per primi: così fu deciso il Gran Massacro.
Venne la pace: una pace lugubre, caliginosa: morivano come mosche i feriti al fronte, mentre crepavano in egual modo i civili, perseguitati da mille morbi – il principale chiamato “spagnola” – ma erano tutte malattie che vincevano con poco: erano gli organismi debilitati da fame, freddo e privazioni per anni ad essere pronti per un altro massacro “sanitario”.
L’interrogativo degli storici, giunti a quel punto, è: ne valeva la pena?

Non regge nemmeno la spiegazione della lotta al bolscevismo come ritorsione sulle popolazioni: a che pro, visto che tutti gli attori del massacro si ritrovarono, all’indomani, con la cronica mancanza di braccia per riavviare l’apparato di produzione civile dell’ante bellum?
Furono gli Stati Uniti a rabberciare il disastro; il raccolto agricolo del 1918 era andato bene: c’erano delle eccedenze per soccorrere gli affamati europei. Piccolo particolare: non c’erano navi per inviare il grano, ci avevano pensato i sommergibili tedeschi.
Così, in quell’atmosfera di tregenda, le genti piansero di gioia quando videro comparire le prime tradotte cariche di generi alimentari: addirittura, a Vienna ci fu gran gioia e riconoscenza (pubblicata a caratteri cubitali sui giornali del tempo), per una colonna italiana la quale – con aiuti americani – era riuscita a raggiungere Vienna, la quale – senza produzione agricola per mancanza di braccia – stava scivolando in una parossistica e desolata morte per fame.

Ma bisognava, in fretta, porre fine all’emergenza, al (giustificato) bolscevismo che s’espandeva fra le popolazioni. Riportare indietro le lancette della Storia, far dimenticare quegli anni di strazi al più presto, tornare alla Belle Epoque. Come se fosse facile: il resto lo conosciamo, la 1GM richiese un secondo tempo, la 2GM, come ogni film che si rispetti.

 Wodroow Wilson e i suoi sogni

Si può tranquillamente affermare che il presidente americano, catapultato alla Conferenza di Versailles, apparve a tutti come un marziano. E, in qualche modo, lo era veramente.
Wilson non era un politico “navigato” – nel senso spregiativo del termine – bensì era un uomo che fidava sulle capacità degli uomini di saper districare e risolvere le loro controversie, nel nome del bene comune. Notiamo che nemmeno l’immane tragedia appena passata – a Parigi gli intossicati dai gas, rientrati nelle loro case, iniziavano a morire come mosche mentre in Germania era più la fame a mietere vittime – eppure, i delegati di Versailles si sedettero “in trincea”, pronti a combattere per ogni metro quadrato da assegnare. Bottino di guerra, vae victis, come sempre: come se fosse stata Teutoburgo, oppure Canne o Zama.

Wilson racchiuse le sue proposte in una dichiarazione, detta dei Quattordici Punti (1), fra i quali si prospettava la non validità diplomatica di tutti gli accordi siglati dalle Nazioni con la copertura del segreto diplomatico. Ogni accordo doveva essere pubblico e noto alle popolazioni fino alla punteggiatura. Capì le richieste europee, però raccomandò loro di non eccedere con le richieste territoriali: ogni popolo doveva aggregarsi agli Stati che, per Storia e tradizioni, gli erano più affini.
Libertà assoluta di transito sui mari e negli stretti, riconoscimento dei diritti delle popolazioni colonizzate, alla pari con gli interessi dei colonizzatori. Nessun ostracismo verso la Russia (ora URSS), bensì un atteggiamento conciliante, qualsiasi fosse stata la forma di governo scelta dai russi.

Gli europei risposero nicchiando – non potevano prendere a calci chi li stava nutrendo – ma gli sguardi, a Versailles, raccontavano la medesima storia: ma cosa vuole ‘sto marziano?
E giù con le richieste per la spiaggia di un fiume, per un isolotto, per un paesetto conteso: finì con tedeschi che divennero polacchi e italiani, con ungheresi che divennero rumeni e – ciliegina sulla torta – un bel calderone che tutto conteneva, lo chiamarono Jugoslavia. Danzica fu la miccia della 2GM, mentre per la Jugoslavia si dovette giungere alla resa dei conti di fine millennio.
E non contiamo le mille nequizie che generò la spartizione dell’impero Ottomano: Iraq, Siria, Giordania, Egitto, Israele, Curdistan…

Eppure, la figura di Wilson, ancora oggi, non viene accettata come quella di un politico che cercò, nei miasmi di una guerra finita con vincitori delusi e vinti sconfortati, di gettare un “ponte” di nuove idee, nuovi propositi, per non finire un’altra volta nei gironi infernali. Rimane, ad onta di tutto, un sognatore: qualcuno, a denti stretti, lo dipinge come un idiota da reparto psichiatrico. Wilson morì nel 1924 e il suo destino lo privò della soddisfazione (se vogliamo chiamarla così…) di poter dire “io lo avevo detto”, quando dal 1939 al 1945 il secondo tempo di quel massacro dissennato andò in scena.

Wilson parlò anche di Europa: essendo un americano, ovviamente propose una transizione verso un unico stato federale, con una banca di Stato, una sola moneta, un solo bilancio…e così via. Molti europei, all’epoca, erano ancora sudditi di monarchi: fu molto difficile, per i tempi, comprenderlo. Ce ne rendiamo conto, ma la Storia non fa differenze se non riesci a capire il volgere degli eventi: come per l’ignoranza della legge, anche l’ignoranza della Storia non viene ammessa. E dà frutti ben peggiori.

Tornando all’oggi, dobbiamo “fare la tara” a quelle vicende di un secolo fa per capire se contengano un monito, una sentenza, una risposta. C’è, eccome.

Anzitutto dobbiamo ricordare che gli USA dell’epoca erano sostanzialmente diversi dall’oggi: erano un popolo orgoglioso delle loro libertà, d’essersi scrollato di dosso il giogo britannico. Niente di paragonabile all’oggi: sono due “attori” storici completamente diversi. Com’è pretestuosa ed errata – semplicemente una questione mediatica, eseguita fidando sull’ignoranza dei popoli (che, purtroppo, esiste) – la sovrapposizione dell’accordo del 2019 fra Francia e Germania come “prosecuzione” dell’accordo De Gaulle-Adenauer del 1963. Si fa presto a dire: l’Unione Europea non esisteva, esisteva invece ancora la Germania-Est, la DDR, non c’era una moneta comune…insomma…l’unico dato in qualche modo simile è l’ostracismo francese verso Londra e la velleità, comune, di affrancarsi da Washington.

La realtà dell’oggi, invece, è ben diversa: Macron è il politico meno longevo della storia umana, in pochissimi anni è già finito, bollito, dimenticato e snobbato, in Patria come all’estero. La Merkel – più esperta – ha compreso che i Gilet Jaune non sono una meteora, perché la storia francese ci racconta che, in quel Paese, i movimenti popolari giungono sempre ad una sintesi, ad un compimento. Non c’è neppure più la paura del Lupo: il “lupo” Le Pen non fa più paura a nessuno, perché – mentre osservavi e temevi le mosse del Lupo – il Drago europeo ti aveva già bruciato il sederino.
Di più: la mossa, sprezzante, verso l’Italia: non considerata, non desiderata, non voluta: esattamente come a Versailles 1919, quando i nostri politici smisero addirittura di recarsi a Parigi, schifati e delusi. Il “fronte meridionale” (Italia vs Austria) non ebbe nemmeno una trattativa separata, fu messo insieme alle questioni secondarie: Balcani, Dardanelli, Turchia, colonie, ecc.

Perciò, a Berlino, già si considera l’Italia come un avversario, un Paese che fa ancora parte dell’UE per comodità d’uso – diciamo così – ma senza più voce in capitolo. Se mai l’ha avuta.
In definitiva, la mossa tedesca è soltanto un “salviamo il salvabile” della Francia, finché si può: il mezzo, però, ci sembra assai inusuale ed inopportuno.

Ci sono parecchi motivi a rendere incomprensibile e disperata questa mossa.
Il primo è la questione del seggio all’ONU: i seggi permanenti del Consiglio di Sicurezza sono, di diritto, delle nazioni che vinsero la 2GM. Chi va a dirlo a Trump? Alla Cina? A Putin? Alla May? Credono forse, i due fringuelli di Aquisgrana, che stendano loro un tappeto rosso? Ma sì…entri pure signora Merkel..ehi! Aggiungi un posto a tavola! No, stavolta il francese non viene…Roba da dilettanti della diplomazia.

Il secondo riguarda l’arma nucleare: a dire il vero, nel trattato appena firmato la questione non è chiara, è appena sfumata. Veramente, i francesi, “regaleranno” l’arma atomica agli odiati sale boches? E la Germania sarà la prima fra le nazioni “di peso” ad infrangere i trattati di non proliferazione nucleare? L’ONU emetterà sanzioni contro la Germania? Le portaerei americani stazioneranno nel Baltico, per sorvegliare se la Germania di Hitl…pardon…della Merkel si metterà ad arricchire l’Uranio per le bombe? Ma non facciamo ridere, per piacere!

Per le questioni europee, da oggi, sarà identico rivolgersi a Parigi o a Berlino? L’unione fa la forza? E quale forza, di grazia?

Restiamo coi piedi per terra, Macron se la sta facendo sotto: non bastano le barricate dei Gilet Jaune, adesso raccontano anche che è un colonialista, con il suo bel Franco Africano! La Merkel, pure lei nei guai fino al collo in politica interna, non sa più a che santo votarsi: e allora? Facciamola fuori dal vaso con una NOTIZIONA! Francia e Germania si fondono in un unico stato! D’ora in avanti, tutti i populisti se la vedranno con noi! Nomineremo la Francia nostra fornitrice ufficiale per la componentistica industriale…ehm, prima dovremo comprarle le fabbriche, perché non le ha…e chiudere quelle italiane, rumene, ungheresi…acc…che guaio…

La Germania sconta, oggi, l’inazione europea, dalle due presidenze Barroso a quella di Juncker: 15 anni di democrazia sospesa, in Europa. Al fallimento di una Unione “iniziata” con la moneta unica non hanno niente da dire: è andata così…fatevene una ragione…

In mezzo a tutto questo marasma, Wilson, dall’oltretomba, è tornato a parlare.
A Davos è tornato a parlare di disuguaglianze, del farraginoso funzionamento delle istituzioni europee, della necessità di cambiare radicalmente la struttura verticistica dell’Unione Europea. Lo ha fatto con rispetto ed aplomb britannico, ma era un italiano, tale Conte.

Conte ha messo il dito proprio sulle inefficienze europee, sugli enormi cedimenti nei confronti del capitale (soprattutto finanziario) e sugli assordanti silenzi sul fronte del lavoro e dei diritti sociali. E la verità, quando compare inaspettata, magari non vince subito, ma si fa sentire meglio degli inganni.

Come ho già detto, non credo un acca della vicenda di Aquisgrana: a Washington, Mosca, Londra e Pechino se la ridono della grossa, e il generale De Gaulle prenderebbe a calcinculo Macron come un idiota di paese.
Bene ha fatto Conte a porre nel piatto delle questioni vere e sostanziali, contro l’aria fritta dei due folletti di Aquisgrana, e – dopo tantissimi anni – sono orgoglioso del mio presidente del Consiglio.
Un uomo semplice, un parvenu della politica, magari snobbato e deriso come Wilson, che però ha avuto il coraggio di guardare in faccia la mefitica feccia di Juncker & soci, urlando loro in faccia una verità che, oggi, non si può più negare: il Re è nudo!