Sono veramente alla frutta, non sanno più come rinverdire la
grande campagna mediatica per “l’invasione” dei migranti i quali, purtroppo,
latitano. Una volta capito che non si può più sbarcare in Italia come e quando
si vuole per poi, con tutto comodo, andarsene dai parenti in Germania, valutano
altre possibilità e, i trafficanti di carne umana, pure. Perché in Germania
s’andava a lavorare in fabbrica, in Italia sotto il sole a raccogliere
pomodori.
A questo punto, c’è chi decide di farla fuori dal vaso, ed
invoca un muro di 346 km per dividere l’Italia dalla Slovenia: sì, avete capito
bene, un muro: i cementieri italiani esultano, si torna a scavare!
Mi chiedo se il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia,
Fedriga, abbia ancora il cervello, sia stato a passeggiare in Carso, abbia
visitato Slovenia e Croazia, sappia qualcosa di Geografia.
Quel numero – 346 – immagino sia il confine terrestre con la
Slovenia, ossia dal passo di Tarvisio al confine, sul mare, di Muggia, presso
Trieste: bisognerebbe, fra l’altro, tagliare in due Gorizia con un bel muro,
che passerebbe proprio nella piazza centrale di Gorizia/Nova Gorica. E
sistemare muri e fili spinati in mezzo a
foreste immense, con ampi contingenti destinati alla sorveglianza altrimenti,
il giorno dopo, con una pinza tagliafili, saremmo da capo. Oppure, il Gauleiter
delle Giulie, immagina confini altamente informatizzati – come quelli
israeliani – con bionde soldatesse, in bunker con aria condizionata, che
sparano premendo il tasto del mouse?
Un confine – si noti bene – fra due stati appartenenti
all’Unione Europea! Vogliamo raccontare a Fedriga perché la sua idea è una
boiata pazzesca?
Perché, anzitutto, non esiste una pressione demografica sul
confine orientale: ci sono almeno due nazioni sovrane da attraversare prima di
giungere all’Italia! In Bosnia, ci sono modesti ammassamenti di profughi o
migranti che provengono, per lo più, da zone del Medio Oriente: siriani,
iracheni, curdi, ecc, tutti frutti caduti dall’albero dopo le guerre americane,
meglio non scordarlo. Glieli rimandiamo a New York? Come no…devono ancora
rispondere dei morti del Cermis…
Ma, la Bosnia, non fa parte dell’UE e non ne farà parte ancora
per tanto tempo, sempre che non preferisca il canto delle sirene di Erdogan,
dato che fino al 1876 fu proprietà turca e, il Paese balcanico, non mostra di
voler venir meno alle sue tradizioni ancestrali. Ma, anche qui, è solo il
frutto delle guerre dell’Occidente mentre, nella Jugoslavia unita, queste
tensioni non c’erano: a Mostar, addirittura, Tito aveva installato l’industria
aeronautica jugoslava.
Da dove viene, allora, la “pressione demografica” sul confine
giuliano?
I cinesi.
Da dove vengono i cinesi? Presenza silente in Italia, gente
educata che è qui per un solo motivo: far soldi.
I cinesi giungono all’aeroporto internazionale di Pola e, da
lì, in autobus, si recano sul confine giuliano, nelle zone impervie del Carso:
una passeggiata notturna nei boschi e, dall’altra parte, altri autobus che
prendono subito la via dell’autostrada Trieste-Venezia.
Quando scrissi “Ladri di
organi” fui fortunato: un funzionario di polizia di Trieste – del quale non
seppi mai il nome – m’informò del traffico, stimando il flusso annuo in circa
25.000 persone, lo stesso che viene stimato oggi.
Dietro a questo traffico ci sono organizzazioni potenti – forse
la “Jakuza” giapponese, la “Triade” cinese, altre… – ed il traffico gode di una
riservatezza a prova di “gole profonde”, giacché sono formazioni fra le più
cruente del Pianeta.
Ma, in fin dei conti, il problema è politico: simile, per molti
versi, al caso Regeni.
Salvini, sull’immigrazione, ebbe a dire “non voglio vederli arrivare sulle barche, voglio che arrivino in aereo”.
Accontentato.
Come per il caso Regeni, non sapremo mai nulla perché c’è una
sorta di tela di Penelope, durante la quale i “servizi” dell’ENI smontano, di
notte, ciò che la diplomazia italiana fa di giorno – siamo troppo impelagati
per questioni energetiche con l’Egitto – così la “questione cinese” s’incrocia
con i mille affari che ci sono fra Italia e Cina, e non solo per le
importazioni: l’Ansaldo, ad esempio, lavora molto per la Cina, dove le sue
turbine sono molto richieste ed apprezzate. Così molte aziende italiane nel
settore del macchinario industriale, nelle macchine di processo,
nell’automazione industriale, ecc.
In altre parole, non si possono mettere sullo stesso piano il
Mali e la Cina: eppure, anche i cinesi sono extracomunitari, soltanto che
godono dello strabismo italiano nei confronti del confine giuliano.
Paradossale, e curiosa, la vicenda del povero Regeni e di
Fedriga: entrambi friulani, entrambi costretti a confrontarsi con realtà più
grandi di loro. Vogliamo organizzare un incontro fra Fedriga e Xi Jinping? Non lo consiglierei, giacché l’alfiere friulano
finirebbe per diventare una caccola, che il presidente cinese scaccerebbe con
un gesto di sufficienza.
Così, la “caccia al migrante”, che
appassiona in questa calura gli italiani con un tifo da stadio – ed è
necessaria per mantenere viva la politica-Lambrusco su Twitter – deve
forzatamente riconoscere che esistono migranti di serie A e di serie Z: i
“numeri” dell’immigrazione cinese non compaiono nemmeno nelle statistiche. Li
vediamo solo materializzarsi nella ragazzina-cameriera, che ci chiede – in italiano
stentato – di ordinare il menu facendo crocette sul foglio.
Mentre, all’opposto, la Cina ci chiede
sempre più garanzie per le strutture portuali che dovranno garantire
l’interscambio commerciale: “Fale in
fletta a finile ponte Genova, altrimenti noi tolnale a sbalcale a Lotteldam!”
Capito mi hai, Fedriga? Dai, che fra
poco in Carso compariranno le “frasche” per indicare dove i “carsolini” devono
svuotare le botti del “Teràn”, rosso e bianco. Si mangia e si beve bene: non
pensare a muri e reticolati, che tanto nessuno ti darà retta.