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24 febbraio 2020

Coronavirus: l’informazione negata


L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) s’interroga sulla “esplosione” di casi in Italia, principalmente casi che si stanno verificando nell’area del Lombardo-Veneto, e non sa fornire spiegazioni. Non riesce a comprenderlo perché, prendendo per buone le misure di profilassi adottate negli aeroporti, il caso italiano non dovrebbe essere molto diverso da quello francese, inglese o tedesco: un aeroporto come Malpensa, non presenta – sempre secondo le misure standard di prevenzione del rischio indicate dall’OMS – differenze rispetto ad Londra, Francoforte o Parigi.

Sempre che i cinesi, o gli italiani che s’erano recati in Cina, siano scesi in un aeroporto italiano che, ricordiamo, per i voli da/per la Cina sono soltanto Malpensa e Fiumicino.
L’Italia, oggi, si trova ad essere l’unico (per ora) Paese europeo ad aver subito vittime per l’infezione: ad oggi (Domenica 23/2 sera) le vittime accertate sono 3, mentre i casi di Coronavirus accertati sono, al momento, circa 150. Un valore altissimo per un Paese europeo.

In questo articolo non prenderò in esame le cause del contagio, ossia se siano dovute ad una mutazione naturale del virus oppure se si sia trattato della “fuga” di un virus modificato in ambienti militari, per una semplice ragione: se è una questione che ha a che vedere con i militari, non lo sapremo mai (magari fra cent’anni…) ed è quindi inutile perderci del tempo. I virus mutano naturalmente il loro DNA con una velocità iperbolica rispetto al mutare del genoma umano: dunque, imbastire complotti internazionali, in questa vicenda, non è dimostrabile né di nessun aiuto.
Il punto centrale della vicenda, da prendere attentamente in osservazione, risulta dunque la singolarità del caso italiano: domandiamoci, chi può aver infettato?
Le risposte sono semplici: un cinese venuto dalla Cina o un italiano tornato dalla Cina. Il quale, se fosse sceso (obbligatoriamente) dall’aereo a Roma o Milano, difficilmente sarebbe passato: anche qui, però, un minimo dubbio rimane, giacché il virus può anche presentarsi in modo a-sintomatico.

Terminati questi (doverosi!) preamboli, vorrei raccontarvi una storia che mi fu raccontata molti anni fa da una persona vicina alle forze di polizia triestine.
Da dove vengono i cinesi? Perché nessuno di loro è mai stato trovato su un barcone? Perché giungono e svaniscono senza lasciare traccia?
Vi riferirò cosa mi fu riferito, mentre cercavo dati per il mio libro Ladri di organi (Malatempora, Roma, 2005), dati che per il mio libro c’entravano poco e quindi, all’epoca, non detti loro grande importanza.

Il Carso si divide in Carso italiano e Carso sloveno. Mentre il Carso italiano (più a Nord) è considerato l’ultima propaggine delle Alpi Giulie, con qualche vetta di una certa importanza, il Carso sloveno non supera i 650 metri d’altezza ed è, generalmente, un altopiano di scarsa altitudine.
Fino agli anni ’90 del secolo scorso, questo confine era fortemente presidiato sia dagli italiani e sia dagli jugoslavi, poiché si trattava pur sempre di un confine fra l’Est dell’Europa e l’Ovest. Ai valichi di frontiera, da una parte c’erano gli italiani (armati, ovviamente) dall’altra i vopos jugoslavi, che mostravano senza pudore i loro Kalashnikov.
Tutte le strade del Carso – sia quelle in Italia, sia quelle in Jugoslavia – erano presidiate da pattuglie armate, giorno e notte, tutti i santi giorni dell’anno.

Con la fine della Jugoslavia ci fu un graduale alleggerimento delle precauzioni, poiché da un lato c’era la nuova Slovenia che desiderava entrare in Europa, dall’altro un’Italia che non doveva più temere i pronipoti di Tito.
La grande caserma di Muggia (Guardia di Finanza) all’epoca ospitava centinaia di finanzieri, che s’occupavano di presidiare una dozzina di valichi di frontiera più il territorio: oggi è vuota e in stato di degrado.
Ciò che mi raccontarono, a Trieste, fu che siccome il Carso triestino è un maestoso bosco, ma non presenta difficoltà ad attraversarlo (basta camminare) e da una parte e dall’altra nessuno lo presidia più, oggi si va e si viene in gran tranquillità. Oltretutto, oggi è “Europa” da una parte e dall’altra.

Sloveni e croati dichiarano all’Europa d’essere un “baluardo” per le moltitudini che s’accalcano in Bosnia direzione Europa, che li bloccano nei campi profughi in territorio bosniaco…che nessuno passa…ma ditemi: dopo aver visto qualche film di Emir Kusturica vi affidereste, corpo e beni, alle loro rassicurazioni?
Recentemente, l’UE ha scoperto che le documentazioni dei piloti sloveni erano carenti, non conformi agli standard di sicurezza del volo in Europa: niente, se ne sono fatti un baffo. Soltanto quando l’UE l’ha messa giù a muso duro – minacciando di sequestrare i velivoli atterrati in Europa – hanno preso provvedimenti. La mentalità, che i triestini ben conoscono, è: “Sono venuti in Europa, ma continuano a farsi gli affari loro come sempre”. In ogni cosa: dalle tariffe autostradali a quelle telefoniche “pirata” che non rispettano i confini.

Così, mi raccontarono, i cinesi sono condotti dalle loro organizzazioni (mafiose? Non si sa nulla) fino a Pola in aereo, poiché a Pola c’è un aeroporto internazionale. Da lì, tramite furgoni, vengono portati sul confine del Carso, poi attraversano il confine a piedi, giungono in Italia dove sono prelevati da altri cinesi, con altri furgoni ma sempre della medesima organizzazione.
I furgoni non si fermano nella città giuliana, per due motivi: perché devono spiegare a quelli che hanno convinto a compiere il lungo viaggio, dalle zone contadine della profonda Cina fino all’Occidente, che (almeno) per tre anni saranno assegnati come lavoratori coatti a chi li ha richiesti. Schiavitù, per almeno tre anni: è il pagamento del “passaggio” e, spesso, basta una buona dose di botte per calmarli.
La seconda ragione è geografica: da Trieste, puoi solo andare verso Venezia. Là, fra Venezia e Padova, sempre in autostrada, avvengono le divisioni dei vari “contingenti”: chi proseguirà verso la direzione Milano e Torino, e chi invece scenderà a Prato, Roma, il Sud…
Nessuno conosce fin nei minimi particolari questo traffico, poiché i cinesi sono bravi a nasconderlo e spietati con chi si ribella: è stato anche girato un film – Io sono Li, di Andrea Segre – per spiegare cosa avviene di fronte ai nostri occhi, senza che ce ne accorgiamo. Senza che nessuno di chi sa benissimo queste cose, ce lo racconti.

Oggi, la Cina è una grande potenza economica, e nessuno ha interesse ad andare a rovistare come hanno fatto ad impadronirsi del polo tessile di Prato ma la mia spiegazione – che potrà apparire assurda – è soltanto che sono venuti per imparare. Per apprendere le tecniche moderne delle lavorazioni tessili: quanti sono? Diecimila? Ventimila? E cosa importa! Sono soltanto l’avanguardia dei 18 milioni d’operai tessili che ci sono in Cina!
I cinesi che raggiungono Genova per trattare la vendita delle turbine a gas dell’Ansaldo – le più grandi, costose ed efficienti del mondo – scendono dall’aereo al “Colombo” e probabilmente stendono loro un tappeto rosso lungo chilometri, basta che comprino. Come quelli che si recano in Germania per fare affari con l’industria del vento, che in Cina è la più estesa del pianeta, per numero e produzione.

Così sopravvivono due Cine – se vogliamo – quella che rispose al “Arricchitevi!” di Den Xiao Ping e che c’è riuscita, e quella delle moltitudini che non ci sono arrivate, ma che ci sperano, a differenza di noi italiani, che preferiamo estinguerci. Fra mezzo secolo ci saremo riusciti: non sono illazioni, sono le cifre dell’ISTAT a certificarlo. 200.000 italiani in meno ogni anno: provate a costruire la piramide demografica per i prossimi 50 anni, e vedrete dove andremo a finire.
Le due Cine, usano probabilmente due diverse vie per giungere in Italia: linee aeree o, addirittura, aerei privati i grandi manager od i ricchi turisti che passeggiano per Venezia…mentre, lì accanto, scorre un altro esodo: silente, oscuro, misterioso.

Dimenticavo: negli anni 2000, il traffico stimato sul confine giuliano era stimato in “circa” 25.000 persone l’anno: nemmeno tanto, a pensarci bene. Per loro, quasi nulla.
Anni dopo, una ricercatrice del Censis m’interpellò per avere notizie più precise sul traffico: siccome la mia fonte, all’epoca, era ancora in vita (oggi, purtroppo, non lo è più) glissai e le dissi di chiamare direttamente la Questura di Trieste. Chiamò, dicendo che era il Censis a volere informazioni…niente da fare…la fecero girare da un centralino all’altro, fin quando fu “dirottata” su una linea morta: tut, tut, tut…
Richiamò un paio di volte, poi capì.

L’immigrazione cinese non deve essere toccata: ci sono alcune “rotte” che sconfinano nella diplomazia internazionale e che è meglio non percorrere…guardate cosa succede con l’Egitto e l’affaire Regeni, con l’ENI che estrae gas a tutto andare…siamo, almeno, così intelligenti da capire. Altro non si può fare: siamo un piccolo popolo della vecchia Europa in via d’estinzione. Non lamentiamoci troppo.

Il governatore del Friuli Venezia Giulia Fedriga, appena nominato, sputò fuoco e fiamme per la questione del confine giuliano: fece dichiarazioni di fuoco, riprese più volte da Salvini (all’epoca, Ministro dell’Interno!)…strumenti di rilevamento elettronico nei punti chiave del percorso, pattuglie, cani, animali e molecolari, elicotteri, aerei, satelliti…non è successo niente. Come sempre, terminata la campagna elettorale, inizia il silenzio post-elettorale.
Ci sono stato parecchie volte: non esiste un percorso “standard”, non ci sono punti “chiave”, esiste solo un’enorme area boscosa omogenea, decine e decine di chilometri con strade ben praticabili (eredità italiana e jugoslava) che anche un bambino può percorrere. Ci sono gli orsi (tipo grizzly), è vero, ma basta un fucile col silenziatore e nessuno se ne accorge.

Il virus? Perché solo in Italia?
Chi può dirlo? Quando ho visto la cartina con le contaminazioni ed i primi decessi, m’è tornata in mente la vecchia storia dell’immigrazione cinese, raccontata senza pathos di fronte ad una fresca birra Lasko, in un tranquillo bar di Capodistria, come se stessimo parlando di calcio o del tempo. Il percorso, il medesimo percorso: Padova, poi la “bassa” padana, quindi verso Milano…

Potrete anche non crederci, nessuno vi obbliga a farlo, però meditate: quante volte vi siete chiesti da dove vengono ‘sti cinesi…sui barconi non ce n’è uno…sui gommoni nemmeno…li paracaduteranno?
E il Ministero degli Esteri italiano non ha mai saputo nulla? E quello dell’Interno, anche quando c’era quello delle cannoniere? Niente, nessuno sa nulla.

Meditate, gente, meditate…

01 luglio 2019

Non sanno più cosa inventarsi

Sono veramente alla frutta, non sanno più come rinverdire la grande campagna mediatica per “l’invasione” dei migranti i quali, purtroppo, latitano. Una volta capito che non si può più sbarcare in Italia come e quando si vuole per poi, con tutto comodo, andarsene dai parenti in Germania, valutano altre possibilità e, i trafficanti di carne umana, pure. Perché in Germania s’andava a lavorare in fabbrica, in Italia sotto il sole a raccogliere pomodori.

A questo punto, c’è chi decide di farla fuori dal vaso, ed invoca un muro di 346 km per dividere l’Italia dalla Slovenia: sì, avete capito bene, un muro: i cementieri italiani esultano, si torna a scavare!
Mi chiedo se il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Fedriga, abbia ancora il cervello, sia stato a passeggiare in Carso, abbia visitato Slovenia e Croazia, sappia qualcosa di Geografia.

Quel numero – 346 – immagino sia il confine terrestre con la Slovenia, ossia dal passo di Tarvisio al confine, sul mare, di Muggia, presso Trieste: bisognerebbe, fra l’altro, tagliare in due Gorizia con un bel muro, che passerebbe proprio nella piazza centrale di Gorizia/Nova Gorica. E sistemare muri  e fili spinati in mezzo a foreste immense, con ampi contingenti destinati alla sorveglianza altrimenti, il giorno dopo, con una pinza tagliafili, saremmo da capo. Oppure, il Gauleiter delle Giulie, immagina confini altamente informatizzati – come quelli israeliani – con bionde soldatesse, in bunker con aria condizionata, che sparano premendo il tasto del mouse?
Un confine – si noti bene – fra due stati appartenenti all’Unione Europea! Vogliamo raccontare a Fedriga perché la sua idea è una boiata pazzesca?

Perché, anzitutto, non esiste una pressione demografica sul confine orientale: ci sono almeno due nazioni sovrane da attraversare prima di giungere all’Italia! In Bosnia, ci sono modesti ammassamenti di profughi o migranti che provengono, per lo più, da zone del Medio Oriente: siriani, iracheni, curdi, ecc, tutti frutti caduti dall’albero dopo le guerre americane, meglio non scordarlo. Glieli rimandiamo a New York? Come no…devono ancora rispondere dei morti del Cermis…
Ma, la Bosnia, non fa parte dell’UE e non ne farà parte ancora per tanto tempo, sempre che non preferisca il canto delle sirene di Erdogan, dato che fino al 1876 fu proprietà turca e, il Paese balcanico, non mostra di voler venir meno alle sue tradizioni ancestrali. Ma, anche qui, è solo il frutto delle guerre dell’Occidente mentre, nella Jugoslavia unita, queste tensioni non c’erano: a Mostar, addirittura, Tito aveva installato l’industria aeronautica jugoslava.

Da dove viene, allora, la “pressione demografica” sul confine giuliano?
I cinesi.
Da dove vengono i cinesi? Presenza silente in Italia, gente educata che è qui per un solo motivo: far soldi.

I cinesi giungono all’aeroporto internazionale di Pola e, da lì, in autobus, si recano sul confine giuliano, nelle zone impervie del Carso: una passeggiata notturna nei boschi e, dall’altra parte, altri autobus che prendono subito la via dell’autostrada Trieste-Venezia.

Quando scrissi “Ladri di organi” fui fortunato: un funzionario di polizia di Trieste – del quale non seppi mai il nome – m’informò del traffico, stimando il flusso annuo in circa 25.000 persone, lo stesso che viene stimato oggi.
Dietro a questo traffico ci sono organizzazioni potenti – forse la “Jakuza” giapponese, la “Triade” cinese, altre… – ed il traffico gode di una riservatezza a prova di “gole profonde”, giacché sono formazioni fra le più cruente del Pianeta.
Ma, in fin dei conti, il problema è politico: simile, per molti versi, al caso Regeni.

Salvini, sull’immigrazione, ebbe a dire “non voglio vederli arrivare sulle barche, voglio che arrivino in aereo”. Accontentato.

Come per il caso Regeni, non sapremo mai nulla perché c’è una sorta di tela di Penelope, durante la quale i “servizi” dell’ENI smontano, di notte, ciò che la diplomazia italiana fa di giorno – siamo troppo impelagati per questioni energetiche con l’Egitto – così la “questione cinese” s’incrocia con i mille affari che ci sono fra Italia e Cina, e non solo per le importazioni: l’Ansaldo, ad esempio, lavora molto per la Cina, dove le sue turbine sono molto richieste ed apprezzate. Così molte aziende italiane nel settore del macchinario industriale, nelle macchine di processo, nell’automazione industriale, ecc.

In altre parole, non si possono mettere sullo stesso piano il Mali e la Cina: eppure, anche i cinesi sono extracomunitari, soltanto che godono dello strabismo italiano nei confronti del confine giuliano.

Paradossale, e curiosa, la vicenda del povero Regeni e di Fedriga: entrambi friulani, entrambi costretti a confrontarsi con realtà più grandi di loro. Vogliamo organizzare un incontro fra Fedriga e Xi Jinping? Non lo consiglierei, giacché l’alfiere friulano finirebbe per diventare una caccola, che il presidente cinese scaccerebbe con un gesto di sufficienza.

Così, la “caccia al migrante”, che appassiona in questa calura gli italiani con un tifo da stadio – ed è necessaria per mantenere viva la politica-Lambrusco su Twitter – deve forzatamente riconoscere che esistono migranti di serie A e di serie Z: i “numeri” dell’immigrazione cinese non compaiono nemmeno nelle statistiche. Li vediamo solo materializzarsi nella ragazzina-cameriera, che ci chiede – in italiano stentato – di ordinare il menu facendo crocette sul foglio.

Mentre, all’opposto, la Cina ci chiede sempre più garanzie per le strutture portuali che dovranno garantire l’interscambio commerciale: “Fale in fletta a finile ponte Genova, altrimenti noi tolnale a sbalcale a Lotteldam!”
Capito mi hai, Fedriga? Dai, che fra poco in Carso compariranno le “frasche” per indicare dove i “carsolini” devono svuotare le botti del “Teràn”, rosso e bianco. Si mangia e si beve bene: non pensare a muri e reticolati, che tanto nessuno ti darà retta.