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13 settembre 2017

Ucraina: la rivoluzione “arancione” abbandonata a se stessa


La fotografia che osservate è stata scattata da mio figlio nello scorso mese di Agosto in un piccolo villaggio dell’Ucraina occidentale, uno di quegli agglomerati dove sembra di rivedere ancora Peppone e Don Camillo durante la loro divertentissima visita in URSS. Si notano 20 visi, che spaziano dagli adolescenti fino a persone decisamente anziane per andare in guerra: al centro una foto più in vista (forse un ufficiale?) ma la stranezza non è tanto quella di un monumento ai caduti così naif, quanto – a detta di mio figlio – che quel monumento gli era sembrato un’iniziativa locale, popolare, spontanea. Tanto per capire, a Leopoli non ha avuto modo di notare monumenti od altre iniziative di quel genere: probabilmente, quei venti morti erano persone di quei luoghi, generate dal “ventre molle” dell’Ucraina contadina, nati e cresciuti in quel villaggio ed in quelli vicini.

Questo è il miglior affresco che si possa mostrare per una guerra inutile, che già si sa chi la vincerà, ma non la vincerà nemmeno, perché un provvido armistizio metterà fine al macello, quando – finalmente – questa terra martoriata per l’assurda mania di tracciare confini sulla carta (come in Iraq, ad esempio) sarà divisa in quello che è (più realisticamente) l’Ovest europeo e l’Est russo, la cerniera fra lo sconfinato oriente e la ricca Europa, fra un mondo che ragiona ancora in termini di merci da commerciare ed un altro, che invece pensa solo in soldi da investire.

Comprendere le ragioni di una guerra, analizzando le ragioni geopoliche e geostrategiche è senz’altro più agevole che comprendere chi combatte, per qualcosa e contro qualcosa. Le analisi dei cosiddetti “esperti” sono impeccabili: Tizio ha agito così per difendere Caio, perché se Sempronio avesse vinto su Caio io avrei perso tot potere in quello scacchiere, in definitiva tot soldi in meno per la mia industria pesante, per le mie armi, il mio petrolio, ecc.
Sono, spesso, esercizi retorici necessari, perché aggiungendo un pezzo la volta si riesce a comporre il puzzle e, finalmente, terminare quel dannato file nel quale manca sempre un’inezia per sembrare credibile, e soddisfarci per il lavoro svolto.
Ma a cosa serve?
Della guerra ci sfugge sempre di più l’aspetto umano, quello della sofferenza e della morte, della miseria estrema, della fine della speranza. I giornalisti, oramai, sono sempre “aggregati” ai reparti combattenti – per “ragioni di sicurezza” (che non neghiamo affatto) – finendo così per raccontare solo quel che conviene allo Stato Maggiore.

Ho la possibilità di raccontare qualcosa sull’Ucraina perché mio figlio, nell’appena trascorso Agosto, s’è recato lassù per il matrimonio del suo amico ucraino, col quale si sente affratellato sin dai tempi della scuola media. Non pretendo di raccontare la guerra ucraina, ma di capire come è vissuta dalla gente.

Per prima cosa, vorrei ricordare che mio figlio era già stato lassù nel 2011, l’anno della maturità: fu il nostro regalo per la maturità. Quasi due mesi in Ucraina: tornò che masticava un po’ di russo/ucraino e con alcune bottiglie di vodka. I “vuoti”, per fortuna, rimasero là e tornò non troppo avvinazzato.
Il cambio, all’epoca, era di 1 : 10, ossia 100 euro per 1000 revnj, con un costo della vita (esclusa Kiev e le aree centrali delle grandi città) pressappoco uguale al nostro, ossia con un revnj acquistavi ciò che qui compravi con un euro. Vita da nababbo, dunque: colossali bicchierate di birra al costo totale di 5 euro, pranzi luculliani per la medesima cifra.

C’è da dire che il posto dove andò, e dove è recentemente tornato, è nell’estremo Ovest del Paese, nella regione (Oblast) di Ivano Frankisk. Vita di campagna, in villaggi di mille, duemila anime o ancora più piccoli, contenuti fra due curve di strade infinite che non sai mai dove portano e segnalati da tre lampioni stradali. Quindi, nessuna connessione con quanto sta accadendo nell’Est del Paese, dove Putin – lentamente, ma inesorabilmente – si sta “mangiando” quel che gli interessa, un boccone dopo l’altro.

Lassù, per due diciannovenni con un gruzzolo da spendere, la vecchia Moskvich del nonno a disposizione (l’unica che riusciva a reggere le strade di quei posti, vere e proprie piste zeppe di buchi) non dovette essere una brutta vacanza. C’era un discreto e diffuso orgoglio d’essere ucraini, anche se nessuno si sognava di spendere un revnj – peggio, un’oncia del proprio sangue – per la Patria.
Birra, vodka e ragazze, una patente comprata sul posto per una manciata di euro e tanto tempo per dormire e divertirsi. L’orto dove raccogliere ceste di cetrioli ed il fiume per pescare: cosa vuoi di più dalla vita?

L’idea che mi feci, quando tornò la prima volta, fu quella di un Paese allo “sbando moderato”, dove la vita agreste di un tempo riviveva ad ogni nuovo giorno e, quando dovevi raccogliere le patate, arrivavano un cavallo in affitto ed il vicino ad aiutare. L’inerzia di “nonno Breznev” continua ad aleggiare in quelle terre, dove non è nemmeno arrivata la meccanizzazione agraria diffusa, dove si continuano a saccheggiare ex cattedrali nel deserto di sovietica memoria, comprando, rubando, rivendendo, nascondendo…acciaio e macchinari, mentre altri trafficano vodka e patate e chissà cos’altro.
Una nazione che non ha mai superato la fine dell’impero sovietico ed il suo stalinismo – magari tollerato, in una chiave psicologica da “padre padrone” – ma, inevitabilmente, generatore di certezze. Quale è stato il futuro dell’Ucraina?

L’Ucraina non è la Russia: a Putin bastò (con grande abilità politica, lo riconosciamo) mettere in galera qualche oligarca finché non sputarono il rospo, ossia i soldi. Dopo, tornò a “pescare” dal grande pozzo dove c’è di tutto, dal gas al petrolio, dai metalli (tutti) ai diamanti.
L’Ucraina, invece, rimase quel che era: un posto di contadini, operai metallurgici, minatori ed infermiere grassottelle, che oggi sono tutte in Italia perché, facendo le badanti, inviano ai parenti – risparmiando, ad esempio, 300 euro il mese – l’equivalente (in moneta locale) di 3.000 euro. Questo nel 2011.
Oggi, al cambio, l’euro viene scambiato a quota 33, non più 1 a 10: per 100 euro, mio figlio ha ricevuto 3300 revnj, circa. Un’inflazione tremenda, tre volte in pochi anni.

Lassù, ha sentito dalla radio nazionale ucraina, che quest’anno (2017) sono emigrate in Italia (finora) 150.000 persone. Che vengono, in gran parte, assorbite dal mercato dell’assistenza, ma giungono anche maschi, che lavorano nei cantieri e nelle fabbriche.

La guerra, quella patriottica, non esiste: tutti fanno a gara per trovare amici e parenti che riescano, pagando, ovvio, a far saltare il servizio militare: cosa che, in un Paese con una corruzione forse maggiore che in Italia, riesce spesso.

I soldati che vanno in guerra, sono di due tipologie: gente di mezza età (30-50 anni) che hanno esperienza di guerra perché sono stati addestrati coi metodi dell’ex impero sovietico o negli anni successivi e giovanissimi, sui 20 anni, che ci lasciano semplicemente la pelle.
Quelli un po’ più vecchi sono i più ricercati (e pagati), per questa ragione o tentano la sorte per soldi, oppure scappano: ho conosciuto un camionista ucraino che da tre anni non mette più piede lassù. Dove vive? Sul camion, sempre sul camion salvo, raramente, quando visita parenti (come la sera che lo conobbi) in Italia.
L’immigrazione ucraina non viene avvertita come un pericolo in Italia: sono di religione cristiana (spesso cattolica) ed hanno i medesimi obiettivi di molti italiani: risparmiare per comprarsi una casa, oppure mettere finalmente il sedere sul sedile di un’AUDI alla quale, subito, fanno installare i vetri oscurati. Segno di distinzione e potere, probabilmente.

 Non ho cifre da fornire sulle perdite ucraine, perché lassù – a parte la solita propaganda di tutte le guerre, “noi le diamo e loro le prendono” – non si sa altro: cifre ce ne sono, ma sono talmente distanti, le une dalle altre, da risultare poco credibili. Intanto, le perdite civili vengono assommate a quelle militari, ma di quali “militari” stiamo parlando? Esercito regolare o milizie paramilitari, ossia mercenarie? Dell’altra parte si sa poco o nulla, perché di soldati regolari non si può ufficialmente parlare, ma di certo l’uso di certi sistemi d’arma nelle mani dei “ribelli” testimonia che qualche “istruttore” c’è senz’altro.
Inoltre, non dimentichiamo che i “ribelli” dell’Est hanno a disposizione le informazioni del sistema satellitare russo, preciso e puntuale, mentre all’Ovest non riteniamo che godano di completo appoggio.

In ogni modo, quelle 20 vittime di una guerra lontana 1500 chilometri, vittime ricordate in paesini di 2-3000 abitanti, parrebbero raccontare un salasso mica da poco. Anche la fuga dei maschi in età da servizio militare pare confermare la stessa cosa, catalizzata da una paura strisciante. Mio figlio, nei pochi giorni trascorsi lassù lo scorso Agosto, capì subito che non era il caso di toccare quel tasto: siamo qui per un matrimonio! Che la vodka scorra a fiumi!

Questa guerra ha un andamento lentissimo, propria di tutte le guerre civili: ricorda, per certi passi, il conflitto jugoslavo. Nelle miniere del Donbass – oramai quasi tutte in mano russa – il carbone viene “contrabbandato” verso Marjupol, ancora da “liberare”, affinché i fratelli “russi” non debbano soffrire per il fermo degli altiforni metallurgici. Nell’attesa della “liberazione”.
Così come le nuove autorità “russe” dell’Est emanano nuovi documenti anche per gli abitanti ancora “occupati”, aspettando l’Inverno, la stagione dove il carbone sarà necessario per non congelare e le conquiste, sul terreno, ricominceranno.

Intrighi ce ne sono tantissimi: uomini politici e magnati industriali trattano oramai su due fronti, perché l’Ucraina ha compreso d’essere stata abbandonata da tutti, Germania ed USA in primis. Le vicende di gasdotti superano, per importanza, quel misero conflitto e Putin conviene tenerselo buono, così come Trump non desidera nuove guerre, fredde o calde, con l’inquilino del Cremlino.
Così, Putin può permettersi di sentenziare “Fin quando gli ucraini avranno pazienza…”

I dirigenti di Kiev si rendono conto che sono destinati a regnare su un’Ucraina molto ridotta (perderanno Crimea e Donbass), ma sanno anche che il peso della sconfitta sarà loro addossato subito dopo l’armistizio: prendono tempo, cercando d’arricchirsi il più possibile finche hanno ancora tempo. Domani, si vedrà.
Intanto, altri ragazzini (per obbligo) e quasi vecchietti (per soldi) si preparano a morire nell’Inverno che è alle porte: può darsi che, presto, l’ONU sarà chiamato in causa per delineare un armistizio, poi una futura pace con revisione dei confini.

E’ l’unica soluzione: troppo sbilanciate le forze in campo.
Come i nostri morti della Prima Guerra Mondiale, qualcuno andrà all’assalto, si muoverà nelle trincee scavate nella neve per conquistare un fazzoletto di terra, un ponte, una strada, fino all’ultimo istante.
E’ vero che la guerra accompagna il genere umano dai primordi ma, in casi come questo, quando non c’è più nessuna speranza, l’ONU dovrebbe intervenire per mettere fine ad un disastro annunciato e comprovato sul territorio.

Speriamo che qualcuno si svegli, per quei ragazzi di vent’anni, per quei vecchietti che mai si sarebbero aspettati di ritrovarsi con un fucile in mano. Speriamo.

17 marzo 2014

Der neue Lebensraum


«Senza considerazione per le tradizioni e i pregiudizi, il nostro popolo deve trovare il coraggio di unire il proprio popolo e la sua forza per avanzare lungo la strada che porterà il nostro popolo dall'attuale ristretto spazio vitale verso il possesso di nuove terre e orizzonti, e così lo porterà a liberarsi dal pericolo di scomparire dal mondo o di servire gli altri come una nazione schiava.»


Adolf Hitler – Mein Kampf



“Due compiti dobbiamo forzarci di dominare in parallelo: interno, dobbiamo tornare ad essere una nazione, verso l’esterno è di realizzare qualcosa che abbiamo fallito due volte: coerentemente con i nostri vicini (sic!), per trovare un ruolo che si adatta alle nostre esigenze ed al nostro potenziale. Il ritorno alla normalità in casa e fuori corrisponde a un desiderio profondo del nostro popolo dopo la fine della guerra. Ora è necessario, se vogliamo essere rispettati nella comunità internazionale…”

Klaus Kinkel – Ministro degli Esteri tedesco dal 1993 al 1998



Eppure, nonostante i due agghiaccianti e belluini incipit che aprono l’articolo, prima vi voglio parlare di un Paese dimenticato la cui Storia è stata sempre scritta, sui tratturi di campagna, dagli zoccoli della Cavalleria. Più tardi, la grafia migliorò e – ordinatamente – i cingoli dei panzer e le ruote gommate degli 88 mm antiaerei disegnarono nuove geometrie sulla pianura ucraina. Infine, la pagina finale della Storia fu vergata dai panzer T-34 russi e, dall’alto, dai crateri disegnati con le bombe dagli Sturmovich.

La storiografia ucraina è basata sulle ossa e sulle ceneri che riposano sotto il suo fertile terreno: è quasi impossibile citarli tutti. Svedesi, lituani, polacchi, ungheresi, francesi, italiani, tedeschi, russi...e chissà quali altre terre hanno dato i natali a chi riposa là, sotto i campi di girasoli: oggi, inizia un altro giro della giostra e nessuno sa come andrà a finire.



Un’ultima annotazione – tanto per mostrare quanto la storia di questo Paese sia un continuo pendolo, a volte quasi fermo, altre vorticosamente parossistico – riguarda Venezia, sì, proprio Venezia.

Ad Aprile del 1945, il poderoso sistema di difesa della città lagunare (comprendente le batterie da 381 mm del Cavallino) era servito da militari ucraini (ex prigionieri di guerra) che avevano sposato il III Reich, mentre i soli ufficiali erano tedeschi: un reparto di artiglieria da fortezza.

I primi accordi per la resa furono redatti da un Tenente inglese che si avvicinò con una motobarca e incontrò sulla spiaggia, proprio sotto le volate dei mostruosi cannoni, gli ufficiali tedeschi. I quali, non avevano nessuna remora ad arrendersi: c’era, però, il problema degli ucraini.

Se non si prendevano accordi con loro – e si garantiva che non sarebbero stati consegnati ai sovietici (erano ex prigionieri che avevano tradito, e dunque sarebbero stati fucilati) – gli ucraini minacciavano di sparare sulla città lagunare e di morire fino all’ultimo uomo.

La cosa finì bene: intervennero gli americani che garantirono la prigionia (e il successivo pass per l’emigrazione) negli USA.



Una annotazione più recente è del 2011 quando mio figlio, appena terminato il liceo, chiede il “regalo per la promozione”: un viaggio in Ucraina con il suo miglior amico, un ucraino che chiameremo Ivan. La famiglia è “buona” e mi fido a lasciarlo andare (la madre, che fa la badante, è ingegnere): mio figlio parte con 500 euro, una fortuna per un ucraino.

I due partono su un furgone di quelli che trasportano merci da e per l’Ucraina, da e per l’Italia, in un antico commercio che ricorda i tempi della Lega Anseatica, le aringhe, i cetrioli nei barili, la vodka.



Dopo un paio di giorni di peregrinazioni fra le frontiere europee “aperte”, ma lente a causa delle dilagante corruzione delle varie polizie, arriva la telefonata: sono giunti finalmente nel piccolo paese dove abitano i nonni, dalle parti di Ivano-Frankisk, nell’occidente del Paese: Lviv (quasi al confine polacco) non è lontana, mentre Kiev richiede un giorno di treno. Odessa (che mio figlio vorrebbe vedere) è troppo lontana e la madre di Ivan non consente pernottamenti fuori casa: troppo pericoloso, afferma.

Per tutto il soggiorno le notizie sono poche e frammentarie e, anche quando i due tornano, non raccontano molto: come sempre, è nelle settimane e nei mesi seguenti che si parlerà del viaggio, di quella terra lontana.



Il racconto di mio figlio avviene “a rate” e racconta di una terra che gli è piaciuta: una terra povera, dove le strade sono orribili e loro due viaggiavano sicuri, sobbalzando fra le buche, con la robustissima Moskvich di memoria sovietica del nonno, perché Ivan – in Ucraina – può guidare. Mio figlio non ha nemmeno la patente.

Ogni tanto, un pezzo di strada normale: “è perché ci abita un politico” afferma, sicuro, Ivan.

L’Ucraina è oggi, terra d’emigranti: addirittura, incontrano un pizzaiolo ucraino (in vacanza) che lavora a Napoli e parla solo ucraino e dialetto napulitane strett strett, che mio figlio riesce a stento a capire. Nu napulitane ucraine: vabbuò, so’ finiti i tempi della Tammurriata nera.

Innumerevoli gli scambi “culturali” con la gente del luogo e le migliaia d’emigranti che tornano in vacanza nella loro terra: ripartono carichi di pezzi “firmati” che costano la decima parte (e che rivenderanno in Italia), ma che non sono made in China. Miracolo? Mah...



Ho domandato a mio figlio se questa gente sia armata o disposta ad armarsi e, soprattutto, se fortemente nazionalista (anti-russa). Le risposte sono state:



Sono anti-russi in gran maggioranza;

Non ha visto armi, anche se c’è da presumere che qualcosa in giro ci sia (certamente non lo dicono ad un italiano, però non c’è la situazione che fu in Bosnia o in Croazia, per capirci);

Sembrano più disposti al “armiamoci e partite”, all’italiana.



Per questa serie di ragioni, concordo – non so fino a quale punto – con chi sostiene un intervento esterno (sul modello libico): v’immaginate cosa succede ad offrire migliaia di euro da quelle parti? A guidare le rivolte, i soliti noti: specialisti delle varie armi europee.

Non concordo, invece, con chi spiega tutto con la “dottrina Brezinskj” e con l’imperituro attacco della NATO alla Russia. Potrà imbonire qualcuno di là dell’Atlantico, ma di certo non l’attuale amministrazione USA (che è stata molto cauta): questa, è una faccenda europea, soprattutto economica.

La strategia militare non c’entra niente: se qualcuno pensa d’indebolire la Russia in questo modo, rifletta su quanto dista Vladivostok. Oppure cambi mestiere, che è meglio.



Ma torniamo alla vita di tutti i giorni.

La gente, lassù, guadagna circa 100 euro il mese: è lo stipendio medio e più normale, perciò mangiare al ristorante costa meno di 5 euro in due, vodka compresa. La “gestione” delle sbronze è in “chiave” nordica: meglio farlo in casa, altrimenti sono botte. D’altro canto, la vodka viene servita a più gradazioni – anche a 90°, da diluire con l’acqua come più aggrada – solo che c’è sempre qualche deficiente che non trova la bottiglia dell’acqua: i poliziotti, però, se ti beccano in strada trovano sempre il manganello.



Kiev è invece un’isola a sé: i prezzi – almeno nella zona centrale – sono esattamente quelli italiani, od europei in genere. Durante la visita di un giorno a Kiev, al ristorante mio figlio pagò – per due persone – l’equivalente di 50 euro, rimanendo incredulo: in un Paese dove la gente guadagna 100 euro?!?

Sarebbe come se in Italia, per un pranzo normalissimo, ti chiedessero mille euro.

La cosa si spiega (vedremo meglio più avanti) un po’ con il solito andazzo turistico delle capitali (Kiev, non ha molto da offrire, a parte le cupole d’oro delle chiese) ma, soprattutto, perché la Casta locale non vuole troppa gente “normale” da quelle parti, al punto che non vedi parcheggiate le solite Audi, Mercedes, ecc dei politici, giacché per andare “al lavoro” in Parlamento usano vecchie carcasse per non dare nell’occhio.



La Casta locale è più corrotta di quella italiana – Ivan puntualizza: “Almeno avessimo i vostri!” (sic!) – e quella santarellina di Julia Timoschenko, con le sue treccine e l’aria da ragazzina in vacanza, era in prigione perché aveva aumentato il prezzo del gas agli ucraini, mettendosi in tasca una fortuna.

Sull’esercito ucraino non farei troppo affidamento: proprio a Kiev, i due videro (poi furono allontanati) un po’ di “najoni” che marciavano all’interno di una caserma. Il problema è che i coscritti ucraini provengono dai quattro angoli dell’Ucraina, ed il sergente che mandò via mio figlio ed Ivan parlava russo schietto!

Già che ci siamo, chiariamo che “l’ucraino”, in sé, non è niente di più di un dialetto del russo come ce ne sono mille da lì a Vladivostok: qualsiasi ucraino comprende benissimo un russo, al più ci sono termini più usati in una delle due lingue piuttosto che nell’altra.



Una domanda che feci a mio figlio riguardava lo stato dell’agricoltura: una terra fertile e ricca...

I campi? Mah...anzitutto – risponde – ci sono molti appezzamenti abbandonati. Trattori? Pochissimi, qualcuno ha un cavallo, ma la gran massa dei piccoli proprietari non ha nulla: i cavalli sono così, nell’Europa del XXI secolo, ciò che unisce queste lande dimenticate.

Nel senso che chi possiede la bestia va in giro ad arare in cambio di soldi o di una parte del raccolto, come si faceva una volta anche qui da noi. Non manca mai, poi, la mangiata (e bevuta) serale alla fine dei lavori.

Un mondo abbastanza tranquillo: durante la raccolta delle patate, mio figlio s’accorse con orrore che i sacchi erano da un quintale: allora strinse i denti e cercò di non recare pregiudizio alla Patria, anche a costo di portare un quintale sulla schiena per un percorso di un centinaio di metri, fino alla rimessa.



Eppure, anche in Ucraina in epoca sovietica, ci saranno state le fattorie collettive con mezzi meccanici: ciò che si capisce dal suo racconto è che, all’indomani del crollo dell’URSS, nelle campagne chi guidava un trattore divenne subito il proprietario del trattore. Siccome, poi, la Belarus (grande fabbrica di trattori sovietica) era, ovviamente, in Bielorussia e la Zetor in Cecoslovacchia, gli ucraini non avevano una fabbrica nazionale di macchine agricole e importare un Ursus polacco non è cosa agevole, in un Paese dove guadagni 100 euro il mese.

Ciò spiega, in parte, l’emigrazione ucraina, anche se i dati in mio possesso riguardano solo la parte occidentale.



Lo stesso andazzo ha colto le ex fabbriche sovietiche: in alcuni casi (pochi) rimodernate, in altri depredate dapprima per i macchinari, poi (la cosa prosegue ancora oggi) per pezzi vari o, semplicemente, metallo.

Insomma, nell’Ucraina odierna è difficile comprendere “cosa fa” una persona, se si eccettua l’apparato pubblico (polizia, esercito, burocrati vari, ecc) poiché spesso si tratta di qualche lavoro alla luce del sole, accompagnato da un altro ancora viziato dalla piccola corruzione di stampo sovietico.



Alla corruzione politica sono già abituati, gli stipendi sono da fame sono la regola...in più, non dimentichiamo che hanno una buona scuola e possono sfornare tecnici di grande valore. Moltissimi ingegneri, che oggi s’arrabattano in Italia, potrebbero tornare con stipendi molto diversi nella loro terra.

Per questa ragione – all’ovest – l’appoggio all’Europa è quasi totale: esattamente il contrario di ciò che avviene nel Sud e nell’Est, dove è l’orso russo a farla da padrone.

Già, ma chi è questo “occidente” che si papperà Kiev e la parte ovest?

La Germania, ovvio...pardon...”l’Europa”...il “nuovo spazio vitale”.



La Germania non ha certo bisogno di terra per gestire la sua emigrazione (come ai tempi di Hitler), ma il boccone di una nazione quasi “a terra”, con stipendi ridicoli ed una classe di buoni tecnici fa gola, oh come fa gola!

Stasera la Russia si annetterà la parte Sud, e questo poteva far parte dei giochi, così come la parte Est – alla fine – difficilmente rimarrà insieme all’Ovest.

Per la Germania un buon affare, per la Russia anche: insomma, una divisione “alla polacca” dei tempi di Ribbentrop/Molotov.



Qualcuno cerca altri interessi, di tipo energetico: perché mai la Russia dovrebbe piangere per l’Ucraina perduta quando ha già in funzione il North Stream (1), che va direttamente dalla Russia alla Germania passando sul fondo del Baltico?

Domani, ci potrebbe essere il South Stream (2): basta che noi europei non c’intestardiamo col Nabucco (3), che non tratta gas russo. Il padrone dei rubinetti è Putin: vogliamo capirlo? E se gira il rubinetto tutto dalla parte di Pechino?

E poi: vogliamo capire che, per Putin, è meglio avere a Kiev una controparte tedesca seria, e non gli arruffapopoli ucraini?

Anche altre opzioni – quali la presenza di scisti ricchi di petrolio, come ricordava Ugo Bardi (non credendoci, in fondo, nemmeno lui) – possono essere i canditi sulla torta, ma il dato essenziale è una poderosa avanzata del capitale tedesco in Ucraina, dove applicherà all’industria locale (da costruire? Non importa) gli standard di tecnologia tedesca che danno così buoni risultati in Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, ecc.



Chi ci perde e chi ci guadagna?

La Russia, la quale s’annette il Sud e così finisce la pantomima dei “porti in affitto” per la sua Flotta del Mar Nero: fra l’altro, così facendo, s’avvicina al confine rumeno (per quel che conta...). Inoltre, Gazprom avrà qualcuno che pagherà le bollette cash, senza più – ogni tot anni – una crisi che minaccia la guerra: bisognerà vedere come s’accorderanno per la zona di Donetsk (Est), dove ci sono i bacini carboniferi.

La Germania “accenderà le caldaie in Ucraina” e, tutto ciò, porterà dei vantaggi anche alla Russia. E l’Europa?

Questo è un passo, della Germania, che previene ricatti sull’euro: qualora (ed è molto probabile) che nel nuovo Parlamento Europeo ci sia una forte componente anti-euro, la contromossa è già lì. Euro1 od Euro2, Euro alla Germania, Euro a chi resta...di fatto, un passo di simile importanza previene una separazione (anche consensuale) europea, della quale la Merkel s’è già detta favorevole.

La missione dell’euro è compiuta: ha arricchito le aree centrali ed impoverito quelle periferiche, come spiega molto bene questo articolo (4).



O come sentenzia “Voci dall’Estero” (5):



“Quanto alla guerra civile che si profila all'interno dell'unione economica e monetaria (l'Euro ) sulla politica monetaria, esiste una facile soluzione. La Germania può recedere educatamente dall'euro e il Sud può essere educatamente d'accordo, ognuno sforzandosi di dimostrare al mondo che è tutto sotto controllo.”



Insomma: ce ne andiamo noi o te ne vai prima tu? Non c’è che l’imbarazzo della scelta.



Chi potrebbe avere un danno, anche considerevole, dallo spostamento ad Est del baricentro “europeo”?

Non l’Italia, la Spagna, la Grecia, ecc...questi sono già “bolliti”...la Francia. Sì, la Francia – quando mancherà il tradizionale “asse” con Berlino – si troverà in una posizione di isolazionismo: sola in Prima Classe (difficile) od in compagnia, come capofila della Seconda Classe?



Meglio non andare oltre: per ora aspettiamo che si stabilizzi la situazione all’Est (non ci metterà molto) poi ci sarà da occuparsi dei contraccolpi europei, che si faranno sentire...oh come si faranno sentire!



(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Nord_Stream



(2) http://it.wikipedia.org/wiki/South_Stream



(3) http://it.wikipedia.org/wiki/Nabucco_(gasdotto)



(4) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-09-22/perche-merkel-vince-germania-140808.shtml?uuid=AbavkWZI



(5) http://vocidallestero.blogspot.it/2013/11/la-germania-sara-la-prima-uscire.html