E ci guardano pure. Dai loro manifesti elettorali, ci scrutano,
ci osservano: speranzosi, languidi, concilianti, battaglieri, consolatori,
fidanti, consueti, suadenti e complici, integerrimi e scontrosi…ce n’è per
tutte le razze e le solfe…hanno dedicato tempo e soldi per quelle immagini…no,
così, un po’ più a destra…il ciuffo…la piega sulla giacca…
E finiamo per crederci, che quelle immagini rappresentino il
succo dell’ideologia, la sterzata fra il desueto, il coraggio fra la
contiguità…e ci scanniamo pure.
Poi, per cinque anni, le parole più gettonate saranno:
variante, ponte, autostrada, tangente, palazzo, appartamenti, attico, tangente,
voti, scambio, cupola, tangente. E, infine: avviso, garanzia, indagine,
intercettazione, cellulare, processo, patteggiamento, rinvio, giudizio,
assoluzione, condanna, dimissioni, corruzione…
Finiamo, inconsciamente, per lottare su basi ideologiche per
gente che l’ideologia la snobba, la usa solo come grimaldello per far saltare
tutti i chiavistelli del potere, per arrivare a possedere cinque telefonini,
quattro automobili, tre uffici, due amanti, lo yacht, la faraonica villona al
mare ed il gentile chalet sulle nevi.
Poi, ci provò Grillo. Non sappiamo molto di questa vicenda,
perché l’inquietante presenza dei Casaleggio lancia un dubbio su tutta
l’avventura: forse, il Beppe si rese conto che senza l’appoggio di gente abile
nella comunicazione avrebbe soltanto gridato al vento per anni. Ma tant’è:
nacque il Movimento.
Nacque mentre i partiti tradizionali – che avevano sbaragliato
la vecchia classe politica ai tempi di Tangentopoli – finivano massacrati dai
loro stessi atti, ossia dall’incapacità di generare felicità nelle menti degli
italiani e, parallelamente, di mostrare una protervia inconcepibile nel
traghettare risorse dai bilanci pubblici ai loro portafogli. Gli italiani sono
il popolo meno prolifico del mondo, e il generare figli non dipende da asili
nido o quant’altro, ma solo nella felicità intrinseca, la gioia di guardare al
futuro. Che manca. Irrimediabilmente?
Giunti a questo punto, si dovrebbe parafrasare il titolo di un
noto testo storico – Ascesa e declino
delle grandi potenze di Paul Kennedy – in “Ascesa e declino dei partiti
politici italiani”: quasi una rottamazione.
L’UDC conquistata e spartita (pare quasi una Polonia del 1939!)
fra i due blocchi, Alleanza Nazionale morta per un appartamento a Montecarlo.
Sì, avete letto bene: per un appartamento a Montecarlo. Trovarne uno più
stupido di Gianfranco Fini, fra i tanti fessi italioti al potere, non è facile.
Sopravvive un barlume del ceppo originario, legato alla
sopravvivenza fisica di Silvio Berlusconi, dove trova rifugio la gran
maggioranza di quel 10% d’italiani che possiedono il 50% della ricchezza
nazionale: hanno ragione a farlo, perché B. non li ha mai traditi.
Dall’altra parte, invece, i tradimenti consumati nel nome di
un’Europa che sarebbe stata in grado d’aprire la cornucopia urbi et orbi sono
stati infiniti, tanto che non si deve perdere tempo a citarli. Veltroni –
“Celestino” (V, come lo chiama De Gregori) – il poco prode Prodi, qualche
rottame ex DC ed ex PCI, robetta di poco conto. Se D’Alema è la “ mens maxima”
che riescono ad esprimere, saluti e baci. Il resto sono soltanto rumenta di
poco conto, gente da mandare, per la riconversione operativa, da Filippo de
Maria. Magari diventano ballerini.
Fra le nuove “leve” della politica dell’epoca – FI, AN, UDC,
PDS, RC, ecc – c’era anche la
Lega Nord di Bossi.
Ricordo bene i manifesti con la gallina del Nord che faceva le
uova d’oro, ed il Sud – famelico – che le rubava: era solo il tentativo del
sen. Miglio d’accontentare i suoi partner tedeschi – Miglio era uno dei pochi
italiani abbonati alla Deutsche Fernsehen, la Tv tedesca – per staccare il
Lombardo-Veneto e collegarlo con gli “Imperi Centrali”. Senza una guerra, come
avvenne nei Balcani.
Ma il sen. Miglio fallì, e poi morì e tutto passò nelle mani di
un modesto (per cultura politica) Umberto Bossi, il quale non trovò di meglio
che accasarsi con Berlusconi. La prima volta sbatté la porta e se ne andò, la
seconda rimase e finì tutto a bagasce. La fine fu tristissima: il “Trota”
laureato (?) in Albania, fiumi di soldi alla famiglia Bossi, storie di diamanti
in Africa ed i famosi 49 milioni di rimborsi elettorali inesistenti ancora oggi
“presenti” nella politica nostrana.
Per 30 anni, la
Lega – a fasi alterne – ha (s)governato questo Paese: non si
può negarlo, perché la compagnia era allegra e pronta ad ogni permissività,
basta ricavare i voti.
Nella sua fase di ascesa, la Lega era probabilmente un partito ancora di
“verginelle”, ma ci ha abituato, nei decenni, a comportamenti ed abitudini
sempre più simili a quelli degli ex qualcosa che erano tutti in FI ed in AN.
Basti pensare ai famosi bilanci della Regione Piemonte – le
“Mutande Verdi” – dalle quali spuntarono spese pazze addossate al bilancio
regionale, oppure il “Gran Circo” della Regione di Maroni, con accusati,
processi e quant’altro, con le tre regioni del nord – Piemonte, Lombardia e
Veneto, sempre governate dalla Lega in associazione con FI ed altri –
falcidiate dai processi.
Chissà perché i “Mose” olandesi funzionano regolarmente nelle
chiuse e nei canali, mentre quello italiano è sempre rotto. Chissà.
Alla fine della storia, cosa troviamo?
Un partito che vince alla grande alle elezioni, ma che non ha i
voti per governare da solo e che non desidera fare un governo con i due
principali attori del passato: FI e PD. Lo stallo è evidente, e la situazione
non è gestibile, se non con l’arrivo della trojka europea o di governi
istituzionali.
C’è il lungo braccio di ferro, e alla fine spunta il governo
M5S-Lega.
Già, ma la Lega
chi è?
E’, in gran parte, la stessa compagine politica – nel senso di
parlamentari, ministri, sottosegretari, assessori, sindaci e politici in genere
– che è maturata negli anni di Berlusconi, ed ha assorbito un certo
laissez-faire nella gestione degli appalti e nella programmazione delle opere. La Lega era al governo quando
Lunardi ammetteva che “con la mafia
bisogna convivere”.
Dall’altra, per ora, non ci sono episodi di corruzione: c’è la
vicenda Raggi, ma l’accusa era di falso,
ossia l’accusa era d’aver mentito su questioni interne alla sua giunta, cosa
poi rivelatasi non vera. Di queste accuse, ne nascono e muoiono centinaia
l’anno. Però, non ci sono soldi dietro, non c’è il chiudere gli occhi di fronte
al malaffare, non si vuole favorire economicamente questo al confronto di
quello.
Bisogna che la
Lega se ne faccia una ragione: ci sono accuse che sono
interne alla vita delle giunte – falso,
varie omissioni, ecc, anche se così
non dovrebbe essere – che fanno quasi parte della lotta politica ed altre –
dove ci sono soldi di mezzo – e, queste, qualche campanello d’allarme devono
farlo scattare, altrimenti è del tutto inutile proporre un governo “del
cambiamento”.
Siri, Rixi, Fratus sono la punta dell’iceberg di questi
comportamenti e la Lega
– invece di fare ostruzionismo sul governo – dovrebbe fare pulizia al suo
interno. D’altra parte, se questo governo ha deciso d’essere il governo del
cambiamento, le regole vanno rispettate.
E’ tutto un teorema ordito dai giudici. Se si sposa questo
principio, si deve poi indicarne la soluzione: nomina dei giudici da parte del
potere politico? Per secoli l’umanità ha vissuto con questo sistema, ed è stato
lampante che, quando un giudice doveva giudicare “milord” ed uno straccione,
appeso al palo finiva sempre lo straccione.
La tripartizione dei poteri è una conquista, anche se ci
possono essere delle smagliature, ma questo è compito della classe politica porvi
rimedio: ad esempio, perché non punire la “fuga” delle notizie giudiziarie,
almeno fino all’avviso di garanzia?
Basta fissare delle regole certe ed uguali per tutti, procure
comprese, e certi comportamenti finirebbero: ricordo che B. fece infinite lamentazioni
per il suo avviso di garanzia recapitato a Napoli durante un incontro con Bush,
ma fu lui stesso (tramite i suoi giornali) a diramare ai quattro venti che il
presidente della Regione Lazio andava a trans con l’auto di servizio.
Che fare?
Io non penso che lottare contro la corruzione politica sia un
valore di destra o di sinistra, e nemmeno che il M5S sia un partito di sinistra
e la Lega uno di
destra. Sono categorie di un tempo trascorso, dalle quali fatichiamo tutti a
staccarci, io per primo. Sono le categorie che ci vengono dalla nostra storia
personale, dalle amicizie, dal nostro passato. Eppure, è necessario staccarsi.
Da anni sono amico di una persona che fu nel MSI quando io
militavo nello PSIUP: sapeste quante risate ci siamo fatti su quegli anni!
Sulle nostre ingenuità, i nostri pregiudizi, sulle nostre incapacità nel
guardare oltre gli amici uccisi, i reciproci agguati, le botte, il sangue. Nel
nome di un Duce che mai conobbero o di un radioso futuro socialista, mai
arrivato.
La Storia
ci ha messi in un bel guaio, perché – ad essere onesti – nessuno può dire che
un governo di destra o di sinistra sia dietro l’angolo, dato che entrambe le
forze politiche che hanno dato vita al governo, secondo me, faticherebbero
troppo a dover tornare all’obbedienza in dei fumosi e poco probabili
schieramenti. Non c’è nessuna alleanza con Berlusconi dietro l’angolo, ed il PD
è sempre il PD di Renzi, anche se il segretario, oggi, è Montalbano-bis. Ed il
PD e FI sono stati sconfitti sonoramente dagli italiani: concedere loro altro
tempo sarebbe non solo sprecato, ma ingiusto.
Per chi coltiva queste illusioni, vorrei ricordare cosa sono le
elezioni europee: una sfida che non ha mai contato una cippa, visto che non
contano una cippa gli eletti e vanno a Bruxelles per decidere una cippa.
E vorrei rammentare le elezioni europee del 1984, quando a
sinistra si gridò al “sorpasso” sulla DC, mentre Andreotti abbozzò un sorriso:
nessuno, all’epoca, meditò di scomodare la mafia per così poco e, nelle
successive elezioni politiche del 1987, la DC superò il PCI per ben tre milioni di voti. Le
vere elezioni, gente, sono fissate per il 2023.
Meditate, prima di gridare a nuovi governi di destra o di
sinistra: quel che ci aspetta, in quel caso, è soltanto un Monti-bis o Mario Draghi.
Saluti e baci a tutti.
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