Vorrei iniziare l’anno con una bella storia, perché di
storie tristi e balorde ne ho raccontate troppe, però non la trovo, non ci
riesco proprio: sarò un depresso cronico?
Allora sogno. Sogno di ritrovarmi sulle sponde di un fiume
dalle acque chete dove, ogni tanto, un pesce guizza e disegna un cerchio
nell’acqua che, mentre la corrente – al rallentatore – muove lo scenario,
lentamente si cancella e scompare. Fino al prossimo pesce, fino a quella barca
laggiù – ancora lontana – ma sono certo che, se aspetterò ancora, sfilerà
proprio di fronte a me, alla mia lenza che scompare nell’acqua torbida.
Ma ecco, eccolo che arriva, ecco il pensiero disturbante che
davvero intorbida – non le acque – ma i pensieri.
“Il canale navigabile
Padova-Venezia, della lunghezza di 27 chilometri e
mezzo, è compreso tra l'area dell'Interporto di Padova (Zona Industriale) e
termina in Laguna, in corrispondenza del preesistente canale Dogaletto.
L'idrovia, incompiuta in quanto priva
della parte centrale, oggi è visibile in due tratti, a valle di Padova, e
nella parte terminale del suo percorso. Lungo il tracciato è possibile
vedere i ponti stradali e gli unici
due manufatti idraulici realizzati, la chiusa mobile a paratie in destra
idraulica della Cunetta di Brenta, realizzata nel 1981, e la conca di
navigazione Romea (o Gusso), nel tratto terminale (in località Gambarare). La
storia dell'idrovia nasce nel 1955, sulla base di un'idea delle Camere di
commercio di Padova e Venezia, con un progetto elaborato dal Genio civile di
Venezia; la costituzione del Consorzio per l'Idrovia Padova - Venezia è del
1965. I lavori iniziano nel 1968, ma già nel 1977 sono fermi. Con ritardi e a
singhiozzo i lavori proseguono, fino alla soppressione del Consorzio nel 1988.”
L’idrovia (1) “nasce” nel 1955, quando avevo 4 anni e la
nonna m’accompagnava all’asilo, dalle suore: che bello andare all’asilo! Poche
auto in circolazione...frotte di bambini, fiocchi rosa ed azzurri, sole, aria
di Maggio.
Nel 1965 – anni torbidi, fra una improbabile “liberazione” e
la cappa mefitica di un’adolescenza troppo stretta, esageratamente miope per
occhi curiosi – finalmente, “la costituzione del Consorzio”.
1968, anno liberatorio, nella vulgata odierna. In realtà,
solo sbuffi di alito tenue, un Fiorile
rivoluzionario tenta di penetrare dalla Gallia Transalpina a quella Cisalpina,
con scarso successo. Rimarrà la malinconia di due geni, i fratelli Taviani, che
– proprio in Fiorile – incorniceranno in chiave storica tutta la
nostra disillusione d’italiani, nati dalla parte sbagliata? Ognuno la pensi
come vuole. Ah, finalmente, finalmente cominciano i lavori: si fa il canale! Le
chiatte torneranno a ritmare il tempo con i diesel lenti, “testa calda”, come
già si muovevano – a colpi di remo, anch’esso ritmico e quasi musicale – sul
Brenta, i veneziani coi parrucchini.
Scocca il 1977...una risata vi seppellirà...per qualcuno è
già tardi, per altri è ancora presto e s’inizia ad avvertire un senso di vuoto,
scricchiolii di paratie, colpi sordi di secche che rimbombano la carena.
L’opera viva soffre: i lavori si fermano, nelle menti deluse di una generazione
e sul canale. Perché? Ma quanti perché dovremmo spiegare in quest’Italia
maledetta, non faremo mai a tempo! Noi a
spiegarli e loro a crearli!
Scorrono come un torrente in piena, fetido di veleni, gli
anni ’80 e, nel 1990, De André pubblica “La
domenica delle salme”, il suo testo più profetico ed ispirato, più lugubre
e disincantato. A parer mio, ovvio, che magari si può anche dire che non ho mai
capito un cazzo. Ah, nel 1988 i “consorzio” del canale – immaginato nel 1955 e
nato nel 1965 – muore, ossia viene sciolto. Forse ascoltò le rime di Faber:
“La domenica delle
salme
gli addetti alla
nostalgia
accompagnarono tra i
flauti
il cadavere di
Utopia...”
e decise d’andarsene, in silenzio, di traghettare nei soli
luoghi dove potesse sopravvivere: affogò nel sogno.
Poi il ritmo riprese, aumentò d’intensità, si tinse di
colori nuovi...si collega Milano al mare! Ma la storia nasce lontano.
Nel 1941, quando mio padre era solo un quindicenne ammarato,
suo malgrado, in una faccenda chiamata “guerra”, fondarono il consorzio
“Milano-Cremona Po” (2), ma c’era la guerra, e ci si buttò a costruire corazzate ed
aeroplani, mica canali.
Tutto sonnecchiò per molti decenni...cullato da mamma FIAT e
da Società Autostrade...fino a quando mio padre, oramai in pensione, lesse che
si scavava, da Cremona verso Nord: noi tireremo diritto!
Ma si fermarono quasi subito, dopo appena 13 chilometri di
canale: bello, largo, acque placide. 13 chilometri d’acqua
nella Pianura Padana, gioia per i pescatori. Ah, sì...perché nel 2000 il
consorzio fu sciolto: chissà se incontrò, nelle vie dell’Ade, l’altro, quello
che doveva raggiungere Venezia da Padova.
Oggi, 15 Gennaio 2017, leggo che il futuro sarà l’auto
elettrica. Che bello. Personalmente, preferirei avere ancora sotto il sedere la
mia vecchia, cara Lancia Fulvia HF di un tempo, ma se mi daranno una Smart
elettrica la guiderò lo stesso...mica m’impressiono...
Il problema è che, credere di risolvere il problema del
trasporto parlando di auto elettriche e di colonnine di ricarica, è come
pensare di risolvere i problemi della Sanità italiana discutendo sul diametro
delle ruote delle sedie a rotelle.
E l’energia dove la vai a pescare? Sono le persone il
problema? O le merci?
Leggo anche (fine 2016) che l’UE – sì, quella cattiva, proprio quella
roba là – ci ha spronato (accollandosi il 40% dei costi, a patto che noi,
finalmente, riusciamo a scavare un canale completo), a completare l’opera,
perché ogni nave fluviale “toglie” 85 TIR dalle autostrade, e muove un solo
motore, per giunta molto parco nei consumi. Che domani potrà anche essere
elettrico, ma intanto bisogna fare il canale. L’ultimo anelito “politico”
italiano, sulla questione, l’ha generato Maroni: dopo attente riflessioni, ha
proposto a tutti – per il canale, ovvio – un “tavolo di discussione”.
Nell’attesa di prossimi sviluppi, riascolto un altro brando
del mio autore preferito, sempre lui, Fabrizio:
“Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi...”
Perché? Poiché osservo che non serve a nulla, né scrivere
articoli né pubblicare libri (3)...l’italiota medio non cambia...gli fai vedere
una macchina elettrica e pensa che il futuro sia quello: alla guida di un mezzo
che non consuma carbone o petrolio (cioè, lo consuma, ma è bruciato da un’altra
parte) si culla nel suo sogno di salvare il pianeta. Per questo l’auto
elettrica conta come la ruota della carrozzella nella Sanità.
E chi sa trasfigurare
i sogni in consensi, ci sguazza.
Le merci?
Sapete quanti TIR di farina devono entrare in Roma per
portare il pane tutti i giorni? Almeno 45, una colonna di camion lunga più di
un chilometro, e solo per il pane. V’immaginate quante colonne di camion devono
arrivare, almeno in periferia, per scaricare farina, verdure, carni, vini, ecc?
Eppure, sarebbe facile rendere navigabile il Tevere almeno
fino a Fiumicino, che è oramai la periferia di Roma.
Lo stesso a Milano, se non si fossero fermati a 13 chilometri da
Cremona: in passato, data la pessima condizione delle strade (con il collasso
delle vie consolari romane), si portava quasi tutto via fiume.
Avete mai percorso il tratto autostradale Savona-Genova?
Tutte le merci che viaggiano dalla penisola iberica verso l’Est dell’Europa
s’incanalano in un budello di due corsie, senza corsia d’emergenza!?! C’è da
tremare a percorrerla.
E qui bisogna essere riflessivi e capire, anche le cose che
non vorremmo sentire: come mai, mentre noi italiani fondavamo e chiudevamo
consorzi per la navigazione fluviale, in Germania si portava il “tirante
d’acqua” – ossia il pescaggio utilizzabile, la profondità certa – a 3 metri in tutti i tratti
del Reno, utilizzando anche l’esplosivo nei tratti a fondo roccioso?
Come farebbero, i tedeschi, se non avessero dei canali, a
circolare ancora fra Cologna, Duisburg, Essen, Dortmund, Hannover e Munster
senza finire in un solo, colossale ingorgo senza fine?
Oggi – è vero – abbiamo bisogno di una nuova classe
dirigente, ma chi è in grado di crearla? Da una parte i ladri, dall’altra i
sognatori.
Ma sì, compriamoci (se abbiamo i soldi per averla) una bella
Smart elettrica e sogniamo beati: siamo fra i pochi, veri salvatori del
Pianeta!
2 commenti:
Il Collegio Capitani ancora esiste (ho insegnato al Nautico), ma è stato travolto dalla nuova "Accademia del Mare" - laurea breve, triennale - senza la quale non metti più piede a bordo. E chi ti fa fare i rituali 12 mesi di praticantato come allievo ufficiale? Così, la "tiri" fin verso i 24 anni (dopo, devi dare l'esame da Terzo ufficiale, poi gli infiniti corsi aggiuntivi) e, aggiungendo 42 anni di contributi, potrai sperare nella pensione a 66 o + anni. Mia belin, il lamento è sempre libero!
La Jugoslavia funzionava così: ad Umag (Croazia) vidi una vecchia gru abbandonata. Chiesi. Mi risposero: eh, erano i tempi di Tito...o dei veneziani? Oggi, nuova autostrada Fiume-Dubrovnik, costruita in un amen dai tedeschi, tutte le merci via gomma! E vai col tango! Ciao
Insegnavo chimica. La cosa è strutturata, grosso modo, come spieghi tu, ma c'è un piccolo problema. Chi ti fa più fare i 12 mesi d'imbarco da allievo per dare l'esame da Terzo? Nessuno, sei un costo. Eh, ce ne sarebbe da dire...ciao.
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