31 dicembre 2010

Ogni tanto ritornano



Se mi accusassero di avere rubato la Torre di Pisa, mi darei alla latitanza.”
Piero Calamandrei

Non si comprende bene chi stia giocando e, soprattutto, cosa si stia giocando sulla vita di Cesare Battisti, perché di segnali contradditori ce ne sono molti. Anzi, troppi.
Nella vulgata imperante Battisti è considerato colpevole (poiché condannato con sentenze passate in giudicato) per ben quattro omicidi ma, se si va un poco a spulciare quelle vicende giudiziarie, subito salta agli occhi che si trattò di processi indiziari nei quali la parola definitiva – la vera “giuria” – fu quella dei cosiddetti “pentiti”.

Prima di passare all’analisi, invito a leggere la ricostruzione presente su Carmilla on line – collegamento in nota[1] – per capire come la vicenda processuale di Battisti – vista dall’estero, dalla Francia al Brasile – puzzi di bruciato al punto da non concedere l’estradizione.

Per contrappasso, potrete leggere le “parallele” vicende di Marco Barbone[2] e di Delfo Zorzi[3], che ci aiutano a capire come la logica giuridica di quegli anni fu un pudding fra i classici “due pesi e due misure”, amicizie influenti, interessi di bottega e servizi segreti a gogò, più il classico “caso”, che attiene a fortune e sfortune personali.
Se ancora non basta, ricordiamo che Piazza Fontana e Piazza della Loggia, Ustica ed il Moby Prince, Giuseppe Pinelli e Carlo Giuliani (e tanti altri) ancora aspettano che qualcuno racconti cosa veramente successe. Per contrappasso, gli “assassini del Circeo” ebbero vita facile con ridicole evasioni e quant’altro, al punto che uno di essi riuscì addirittura a farsi assegnare un lavoro fuori del carcere, cosicché riuscì ad uccidere altre due donne, madre e figlia.
In anni più vicini a noi, tutti si fecero un baffo della vicenda del Cermis, laddove i colpevoli – che potevano essere trattenuti e processati in Italia – furono estradati negli USA, dove ricevettero il solito rimbrotto e basta.

Questo Paese, dove non s’affronta mai nulla, cade nell’ennesima buca quando deve analizzare le metodologie attuate nella fase investigativa, che sono carenti a dir poco: tutto inizia e finisce sempre con qualcuno che “canta”. Se, poi, cantava una canzone stonata, falsa, bugiarda…per convenienza, ricatto, denaro…poco importa. Tutto deve essere pronto per il processo, affinché possa essere scritta una sentenza che acquieti i parenti delle vittime e, parallelamente, non disgusti troppo gli avvocati della difesa. Altrimenti, questi, come campano?

Il fenomeno del “pentitismo” è stato un vulnus giuridico che ha causato ancor più danni del male che doveva curare: basti pensare alle “intromissioni” nei processi di falsi pentiti da parte delle mafie, per continuare nelle aule giudiziarie le faide con le opposte fazioni.
Il danno più grave, però, è di natura “strutturale” nel Diritto: senza scomodare Cesare Beccaria, i “delitti e le pene” non hanno più correlazione, poiché lo sconto di pena garantito al “pentito” inficia tutto. Si finisce così con un “pentito” assassino che si fa tre anni di carcere, ed un non-pentito od un dissociato che se ne fa venti senza aver ammazzato nessuno.

Durante il sequestro Moro, la partita in gioco era il riconoscimento delle BR come “attore politico” sulla scena italiana: Moro sarebbe stato liberato con la semplice scarcerazione di una terrorista gravemente malata. Lo Stato decise di non cedere – posizione di DC e PCI – mentre il Partito Socialista era per la trattativa.
Il timore di riconoscere nelle BR un soggetto politico ebbe il sopravvento ma, la scelta del “pentitismo”, fu meno grave?

La delazione è uno degli strumenti principali della guerra: per soldi o per sesso, per amore o per ideologia, la cosa importante è sapere cosa farà il nemico.
Per questa ragione, si passa spesso oltre le responsabilità personali dei “traditori”: basti pensare a quanti ex nazisti passarono direttamente nelle file dei servizi occidentali in funzione antisovietica, oppure concordarono la ritirata con i sovietici a guerra ancora in corso o, ancora, preferirono vendere ponti e strade agli Alleati piuttosto che difenderli. Stupirà sapere che le fucilazioni degli ufficiali, durante la ritirata dalla Francia, erano all’ordine del giorno nella Wehrmacht.
Cosa c’entra tutto ciò con Battisti?

Se si ammette che la delazione sia valido strumento anche nell’attività investigativa, s’assegna la qualifica di “nemico” anche a chi si ribella, seppur con le armi: ricordiamo che, per la Legge, un rapinatore non è un “nemico dello Stato”, bensì un criminale da arrestare ed imprigionare non solo per criteri punitivi, bensì di rieducazione. Un concetto un po’ distante dal “nemico”, che viene ucciso oppure catturato per essere scambiato.
In fin dei conti, quel “riconoscimento” negato politicamente alle BR, finì addirittura per qualificarle come una sorta di “nemico”, che è ancor peggio, anche sotto il profilo del riconoscimento politico.
Questa perversa modalità investigativa, cosa produsse?

Che i capi delle organizzazioni terroristiche – spesso colpevoli d’efferati delitti – avevano molti elementi da fornire agli inquirenti: ogni arresto, meno anni da scontare.
La “lista”, però, finisce e termina soprattutto – troppo presto! – per le seconde e le terze linee, che si trovano in situazioni drammatiche: con le solo imputazioni di banda armata e porto d’arma da guerra – ad esempio – già avevano sul groppone circa 18 anni da scontare e, questo, anche se non avevano partecipato ad azioni violente!
Sull’altro versante, chi accusare?

I magistrati ponevano l’aut aut senza condizioni: o parli, o quei 18 anni te li fai tutti.
Nella fase terminale del terrorismo, s’ebbero delle situazioni aberranti con gente – conosciuta personalmente – che scontò 5 anni e mezzo di una condanna a 9 anni per aver bruciato, di notte, la porta di una banca. Per contro, i tre anni di carcere che ha effettivamente scontato Barbone, colui che diede il colpo di grazia a Walter Tobagi.
Tutto dipendeva da quanti nomi riuscivi a fare: persone immediatamente catturate che si trovavano a fare i conti con reati assurdi che (spesso) non avevano commesso, solo accusati da qualcuno per avere lo “sconto”. Quelle vite sfortunate entrarono nel gran supermercato della giustizia (minuscolo) e passarono anni d’ansie e carte bollate: riflettiamo sull’aberrazione massima, quella che condusse in carcere il presentatore televisivo Tortora, forse perché d’altra “tortora” si trattava.

L’ex Presidente Cossiga provò a suggerire alle forze politiche una sorta di “chiusura” di quel periodo, proprio perché si rendeva conto che non fu giustizia, ma vendetta, nella maggior parte delle vicende giunta a casaccio, ma non fu ascoltato. Perché?
Poiché, ancora oggi, personaggi importanti come Gianni Alemanno proteggono ex criminali, assegnano addirittura loro posti pubblici dai quali i “beneficiati” si permettono di sbeffeggiare il movimento degli studenti e gli ebrei. E Marco Barbone? Che oggi fa il giornalista (scrive su “Il Giornale”) ed è Responsabile per la Comunicazione della Compagnia delle Opere (CL)?
Il processo Sofri? Terminato 4-3 (4 condanne, 3 assoluzioni) come Italia-Germania del 1970: si può esser certi di una verità processuale dopo un simile percorso?

Come sempre, nella misera giustizia italiana, non è importante che “il” colpevole paghi, bensì che “qualcuno” paghi: in questo senso, Cesare Battisti – un borderline, criminale comune, non ricco, senza amicizie altolocate – è perfetto per essere sbattuto sulla forca ad uso e consumo dell’opinione pubblica assetata di sangue, la stessa gente ammaestrata a cercare i colpevoli ed a condannarli nei processi televisivi imbastiti dai maggiordomi della politica come Vespa & company.
Non sono dunque le condanne comminate a Battisti ad essere contestate dalla Francia prima e dal Brasile oggi, bensì la giustizia italiana nel suo complesso, incapace di dirimere una causa civile prima dei vent’anni e solo pronta a sparare nel mucchio nei processi penali, tanto per acquietare le statistiche.

La vicenda, poi, s’intreccia con le commesse e le transazioni economiche fra i due Paesi: volendo pensar male, al Brasile fa comodo un’arma come Battisti per spuntare migliori condizioni nel settore della difesa e delle telecomunicazioni, ed al Governo Italiano conviene minimizzare la vicenda, poiché Brasilia potrebbe rivolgersi altrove.
Così come, alla cosiddetta opposizione, può convenire soffiare sul fuoco non per la questione in sé, ma per misere questioni di bagarre interne e di compravendita di “spazi” all’interno della politica “champagne” italiana.

Così, all’apparenza, sembrerebbe una vicenda zeppa di valori “etici” – chi sbaglia paga, ecc… – mentre, in realtà, è una fogna d’interessi contrapposti: c’è solo da sperare che la “soluzione” non sia del tipo Stammheim.
Già che vogliamo incarcerare in Italia Battisti, non sarebbe una buona occasione per aprire gli archivi di Stato e conoscere finalmente i nomi di coloro che cambiarono la nostra Storia a suon di bombe? Esecutori e mandanti?
Già, meglio che Battisti resti in Brasile.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

24 dicembre 2010

Sotto l’Albero



Da alcune nostre “gole profonde”, siamo riusciti a sapere cos’hanno trovato sotto l’Albero di Natale i personaggi della politica. Confortiamoci, nel condividere insieme la nostra piccola Wikileaks:

Massimo d’Alema ha trovato il Cutty Sark, splendido clipper di un centinaio di metri, decine di vele, alberi, pennoni, addirittura i cannoni. Unica postilla: l’equipaggio doveva essere tutto composto da membri del PD.
Baffino ha subito lanciato una direttiva per tutti i velisti del partito i quali, generosamente, si sono offerti.
Partito il 27 Dicembre 2010 da Gallipoli, lo splendido veliero è rimasto in panna alcuni giorni, per un congresso straordinario richiesto a gran voce dall’equipaggio. Al termine del congresso, un gruppo di ex Margheriti – capitanato da un certo Cristiano Flechter – ha deciso di sbarcare e di raggiungere, con una scialuppa, l’eremo di Camaldoli.
La nave ha quindi issato le vele e, navigando per Sud una quarta Est, ha preso la rotta per scapolare Santa Maria di Leuca e proseguire verso le isole greche. Giunti a poche miglia dal capo, però, un radiogramma congiunto di Veltroni e Bersani sollevava Baffino dal comando.
Nel parapiglia che ne è conseguito, il 3 Gennaio 2011 la splendida nave è finita in secca sugli scogli: sono tutti salvi, ricoverati in un CPT, nell’attesa che le autorità decidano il loro status giuridico. La nave batte bandiera delle Cayman: sono extracomunitari?

Sandro Bondi ha trovato un pacco gigantesco, che Babbo Natale è stato costretto a consegnare con una gru. Mittente: Bruno Vespa.
Tolte, con gran fatica, due tonnellate e mezza di protezioni ed imballaggi, è comparso un plastico 12x8 della zona di Pompei ed Ercolano, nella quale tutto ciò che si diceva crollato era invece al suo posto!
Insieme, una videocassetta, nella quale era già pronta la puntata di Porta a Porta dove si mostrava, con una serie di riprese “aeree” del plastico, che i crolli in quelle aree archeologiche erano solo un falso, architettato da Al-Qaeda, dai comunisti, dalla Procura di Milano e da Gianantonio Frittella – suo concittadino di Fivizzano – al quale, in giovane età, il nostro aveva cercato di trombare la moglie.
Il buon Sandro ha già provveduto a far pervenire la cassetta alla Presidenza della Camera, nell’imminenza del dibattito che dovrebbe sfiduciarlo.

Antonio di Pietro ha ricevuto un pacco che Babbo Natale ha prelevato dalle segrete della Lubianka, il tristemente celebre quartier generale del KGB.
All’interno, una serie di braccialetti di Titanio ed un radiocomando: selezionando il corrispondente numero del braccialetto e premendo un pulsante, il malcapitato viene investito da una scarica elettrica di 20.000 Volt.
Soddisfatto, il buon Pietruzzo ha già disposto che i suoi senatori e deputati dovranno indossarlo sempre, e mostrarlo ad un incaricato prima d’ogni votazione.

Gianfranco Fini ha ricevuto solo un libro, ma – grazie ai magici poteri di Babbo Natale – è un’edizione della Treccani stampata nel 2044.
E’ subito corso a leggere la sua biografia ed ha scoperto, con sollievo, che in quell’anno era ancora vivo e viveva tranquillo nella sua casa di Montecarlo, insieme alla moglie e ad una serie di nipoti, pronipoti e parenti della famiglia Tulliani.
Subito dopo, il “clou”, la sua attività politica: dopo l’abbandono di Berlusconi e la conseguente fuga alle Cayman, era diventato l’astro nascente della politica italiana. Il “ventennio d’oro” – così era definita, nel libro, la serie dei governi che aveva presieduto – ed il buon Gianfranco n’è rimasto quasi commosso: anche la definizione di “Terzo Fascismo Illuminato” gli è piaciuta, anche se l’ha ritenuta un poco eccessiva.
Solo l’officina di stampa lo ha incuriosito un po’: quelle edizioni “Dolcetto o scherzetto?” non le aveva mai sentite nominare.

Silvio Berlusconi ha trovato un pacco molto ingombrante, con una scritta a caratteri cubitali:
“ATTENZIONE, MANEGGIARE CON CURA: CONTIENE ESSERE UMANO DI SESSO FEMMINILE.”
Incuriosito ed un poco arrapato, nonostante l’ora mattutina, si è gettato a scartocciare il grosso involucro e…ne è uscita…la Befana!
Hanno trascorso insieme il giorno di Natale: lei sferruzzando in poltrona, lui sdraiato sul divano ad ascoltare le storielle che la Befana aveva in serbo per lui.
Non siamo riusciti a sapere di più ma pare che, “l’uomo senza debolezze”, al termine della lunga giornata con la Befana avesse gli occhi umidi, e sul viso un’ombra di serenità che non ritrovava da tempo.
Ancora aspetta gli abbracci dei figli: le telefonate delle ministre e delle sottosegretarie sono già arrivate, puntuali.
Come sempre, a Natale arriva quello che meno desideri.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

19 dicembre 2010

Otto arance


L’alberello è verde ed invitante al vivaio, nella Primavera ligure, con quel cielo che s’azzuffa ogni mattina, con quel vento che ti parla e ti canta dieci…venti diverse canzoni ogni giorno. Cerca di fregarti, di mandarti in Corsica se il motore non parte, ma tu gli vuoi bene lo stesso perché è un vento che interroga, domanda, ti chiede perché vivi e perché sei ancora vivo.
E l’alberello ti strega, anche se costa una trentina di euro, perché sai che nel vuoto dell’Inverno ti regalerà una manciata di verde e – se andrà bene – d’arancio per ingentilire il guardo, sollevare l’animo dai cieli bigi e convincerti che la vita, il sole, l’acqua torneranno a scorrere di nuovo, nel calore dapprima timido, poi torrido, di una nuova stagione.

Già…adesso che l’hai comprato e l’hai stipato nella vecchia Panda, pensi che bisognerà convincere la suocera a far posto al nuovo arrivo, come quando portavi a casa cuccioli abbandonati e tuo padre ti guardava di storto.
Così, lo sistemi proprio sotto il balcone, nell’angolo morto della sua visuale: domani è un altro giorno, si vedrà.

Il giorno dopo è Domenica: a pranzo, non si parla d’altro che di nuovi solchi e d’altre semine, perché la stagione avanza e, quel che oggi non scende nella terra, domani non potrà salire.
Mia moglie ha già notato l’alberello che strepita, costretto nel minuscolo vaso di plastica e – quasi con la bava alla bocca – si tende verso le aiuole, a chiedere un posto anche per lui, nato ed innestato in qualche anonimo vivaio dell’imperiese o dell’agrigentino, che oggi sta per ricevere la sua imputazione definitiva, il suo posto fra le altre piante del giardino.
Mia moglie ride, perché è curiosa di capire come farò – anche questa volta – ad incuriosire sua madre ed a strapparle il permesso di trapiantare l’arancio, d’innestare nel disegno che fu del marito qualcosa che è, soltanto in fieri, parte di un diverso intendere gli spazi: geometrie d’altre generazioni.

Oh, ma le donne s’intendono, capiscono le generazioni…le hanno messe al mondo!
Arriva per pranzo mio figlio – u fantin[1] – ed un’occhiata fiammeggiante lo informa che nulla deve aver visto, di nulla deve parlare, pena la sospensione delle paghette.
Così, si mangiano i friscieu de buraxe – le frittelle di borragine – perché nell’orto cresce soltanto quella a Marzo, accompagnata da una frittata d’erbe selvatiche, qualche oliva con la formaggetta di capra e la prima insalata. Cibo da re, se i Re lo sapessero.
Dalla grande porta a vetri, che dà sul terrazzo, le lame di sole fluttuano potenti, fin sul desco: il Sole è già alto, la bella stagione sta per iniziare. Ed io ho una piantina d’arancio da trapiantare che non so se troverà asilo.

Mi salva u fantin perché, nell’innocenza dei diciassette anni, si può anche chiedere alla nonna perché – oltre a limoni e pompelmi – non ci siano anche aranci e mandarini: sta per dire che c’è anche una palma da datteri che non ha mai maturato un dattero, poi si morde la lingua per non incorrere nelle ire della madre, e rimembrare un momento di tanti anni prima quando, in gita scolastica sul Lago Maggiore, era tornata con una palmetta per piantarla nel giardino.
Già, ma i giardini sono rigorosamente suddivisi per classi sociali e, in quelli degli operai, le palme sono soltanto delle intruse che portano via spazio a patate e pomodori. Ma il padre, all’epoca, cedette e la palma è oggi un albero.

La nonna sorprende: eh, certo…magari non ci starebbe male un arancio…(tanto – pensa – oggi è Domenica: dove lo va a prendere?) ed invece il trucco ha funzionato.
A sera, il piccoletto fa già bella mostra di sé fra un limone un po’ cresciutello – un “cugino maggiore” – ed un’antica vite, un’ava, che si prodiga ma oramai riesce poco e male nel fornire grappoli maturi.
Sapientemente concimato, con terreno acido e spolverata di lupini, abbondantemente annacquato e preservato con il verde rame dalla cocciniglia, lasciamo il giovane virgulto per tornare sui monti.
Ed è proprio mia suocera a farmi notare, la settimana seguente – la sua factotum/badante/amica l’ha condotta, sorreggendola, in un breve tour in giardino – che l’alberello ha già dei fiori, e sono fiori già impollinati, che diverranno frutti.
Non sono esperto d’agrumi: la notizia mi fa piacere, ma non ci punto molto. E invece.

Nella Luna d’Agosto, quando festeggiamo in giardino i 30 anni della figlia maggiore, l’alberello ha già otto palline tonde, verdi, dure: frutti sodi, ben attaccati al picciolo, che hanno tutta l’intenzione di maturare.
Ed è a Novembre, quando le olive iniziano a maturare, che il verde di quei palloncini inizia a tingersi d’arancio: mia suocera non le perde di vista un istante, dalla finestra dalla quale è costretta ad osservare quel mondo che fu suo dalla nascita, ed ogni giorno registra un modesto avanzare, un altro fazzoletto di buccia che è virato all’arancio.
E’ Dicembre, mentre le cassette delle olive s’accatastano sulla ghiaia, e gli otto frutti sono oramai splendenti nel loro arancio, ma i piccioli sono ancora saldamente ancorati e non vogliono rilasciarle: non è tempo, Uomo, per avvicinarti al frutto della natura.
Attendi il tuo turno, magari quando la febbre salirà per purificarti il sangue: al tempo sarò pronto per te, per placare la tua sete ed accompagnarti nei vaneggiamenti della tua mente nel tempo in cui, assonnato e febbricitante, sarai accolto dalle coltri. Tu e le tue ossa dolenti.
E invece.

Invece, una mattina come un’altra, le arance non ci sono più: qualcuno ha dimenticato il cancello senza il classico “giro di chiave” e qualcun altro è entrato. Cose da vecchi, che si dimenticano le chiavi e la serratura, mentre le persone che transitano per la stradina sono quasi tutte di giovane età, giovani che fanno jogging.

Mia suocera è affranta: ma come…otto arance…se le vai a comprare varranno solo un euro…eppure erano belle, mi tenevano compagnia…pregustava l’istante nel quale le avrebbe avute nel cesto, sul tavolo della cucina, per mostrarle ai parenti. Le “nostre” arance: il “nostro” agire, il “nostro” modo di vivere.
Perché non hanno chiesto? Se avessero chiesto un euro per comprare delle arance glielo avrei dato. Già, mostrarsi deboli, bisognosi di carità: questo è quel che passa nella mente di una vedova, classe 1919. Io, invece, so che le persone le quali – probabilmente per una bravata – sono andate a prendere quelle arance, in tasca avevano presumibilmente un telefonino che valeva una tonnellata d’arance.

E mi tornano in mente parole desuete…in fondo, chi ruba una mela…invece quelli che rubano i miliardi…no: non si rubano né le mele e né i miliardi, a meno che quelle mele non siano a terra abbandonate a marcire (per i miliardi non capita mai).
Perché questa società, che si dice permissiva e tollerante, ha smarrito i fondamenti dell’etica: il “bene” in sé non è nulla, è solo merce. Diventa “bene” quando viene messo in relazione dialettica con l’individuo che lo cura e lo gode, per il tempo speso nel curarlo, per le ore spese prima d’assaporarlo.
Ma, la nostra società, ha deciso d’uccidere il pater e, con esso, tutte le inutili anticaglie che fanno capo al rispetto ed all’etica: “che volete che sia…” è il leitmotiv imperante.
Da una mela ad una ruota, da un motorino ad un’auto, da, da, da….a, a, a…

Oggi, Angela, vede solo cielo. Dalla sua finestra d’ospedale osserva il cielo e si domanda se, dopo l’operazione al femore, sarà ancora in grado di muovere qualche passo. Ancor più, siccome è una persona sagace, si domanda con gran timore se la sua mente reggerà allo sconvolgimento.
Certo, erano solo otto arance: piccole palline che arrossavano l’Autunno di una vecchia, che poteva solo osservarle, giorno dopo giorno, maturare dalla sua finestra. Che le tenevano compagnia quando la figlia, il genero, la sorella ed i nipoti non c’erano.

Che volete che sia.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.


[1] In Liguria, il “fantin” è il più giovane maschio della famiglia non ancora sposato.

15 dicembre 2010

La coscienza subliminale



Gli eventi dell’ultimo mese ci sono passati addosso come un rullo compressore: se ci fermiamo all’attualità politica, c’è poco da dire.
Un governo claudicante è riuscito ad ottenere qualche voto per rimanere in sella: “Domani accadrà” – titolo di un vecchio film – ben s’adatta per dipingere i sussulti di questa Seconda Repubblica (forse mai nata? nemmeno concepita? abortita?), che s’avvia a recitare le ultime scene.
Lo scenario, comunque si voglia vederlo, è tragico: non si tratta dell’avventura di Berlusconi – che, oramai, ci sembra paragonabile a quelle del signor Bonaventura o di Capitan Cocoricò – bensì quello di un’intera classe politica che non ha più nulla da dire agli italiani.
La cosa peggiore è che, come il mitologico Crono, questa classe politica ha divorato i suoi figli, lasciando sulla scena solo qualche penoso epigone come il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Peraltro, figlio di cotanto padre: un affermato notabile democristo.
Per capirci qualcosa di tanto sbattimento dobbiamo passare attraverso la traduzione da una lingua aliena e, addirittura, all’esegesi di quanto riportano i politici e le agenzie.

Quando, in Parlamento, si fa la conta e s’osserva che il governo Berlusconi è l’unico a poter contare su una maggioranza, non significa che Berlusconi abbia la maggioranza del Parlamento (alla Camera, di fatto, non ha la maggioranza assoluta di 316 voti), bensì che nessun altro potrebbe esprimere qualcosa: questo è il vero dramma che si consuma nelle “stanze” dei 50-60enni, quelli che non sono mai giunti (salvo “Baffino”) al vero potere e rischiano di non raggiungerlo mai.
Perché questa situazione?

La ragione è da ricercare nei decenni precedenti quando, nella selezione della classe politica, alla capacità ed alla fantasia furono preferite la fedeltà e la tradizione: scrissi qualcosa in proposito – Storia di lucidatori di sedie[1] – e ne consiglio la lettura a chi desiderasse approfondire questa tematica.
Da dove escono personaggi come i due “traditori” dell’IDV, ma anche i ministri palesemente incompetenti? Dalla genuflessione ai poteri: dal consigliere comunale al grande “reggitore” di clan, fino alle potenti lobby internazionali.
Ecco, dunque, che il problema si sposta dall’ambito “calcistico” e dalla pura conta delle maggioranze ad un orizzonte più ampio: chi è al potere non può far altro che durare, poiché chi si oppone a questo potere non riesce ad elaborare nulla di diverso.

Una dichiarazione di Casini mi ha colpito “Bersani deve chiarire qual è la sua posizione sul nucleare.
Questi sono veri argomenti politici, non il fumo negli occhi che ci presentano: Bersani sa d’avere al suo interno una forte lobby nuclearista, e Casini lo sa. Perciò, se Bersani vuol essere accolto nel “salotto buono” dei futuri (oggi molto fumosi) progetti, che siano centro sinistra o centro-destra-sinistra, deve abbandonare la “zavorra” che s’oppone a quei progetti, ovvero cedere una buona fetta d’elettorato che lo lascerebbe senza alcun dubbio.
Oppure, ecco il tormentone della biologia, degli OGM, fino al testamento biologico: la cosiddetta opposizione ha centomila argomenti per dividersi, per litigare, per non incontrarsi.
Veto su veto, ecco dove la strategia della cosiddetta opposizione s’arresta, s’impaluda, finisce sulle secche.
Sull’altro versante, una strategia dettata da pochi strateghi – e dunque meno fumosa – ma vecchia, inconcludente, senza futuro. Oggi, anche parlamentare.
Abbiamo toccato più volte questi argomenti e non è il caso di riproporli, ma c’è un aspetto che è utile analizzare.

La percezione di questa situazione è per tutti uguale o, almeno, riducibile ad un universale? E’ ugualmente percepito – fra le classi sociali e le generazioni – il fenomeno della corruzione? E’ parimenti accettato?
I disordini scoppiati a Roma possono esser stati catalizzati dall’intervento di gruppi organizzati (non si sa bene da chi, ma passiamolo), ma siamo così certi che una buona dose di violenza non sia scaturita da un mix, inconsciamente condiviso, d’inevitabile depressione e conseguente rabbia, per le aspettative adolescenziali deluse?

Nel mio lavoro mi trovo spesso a valutare – direi più propriamente a “scoprire” – com’è organizzata la conoscenza della società da parte degli adolescenti. E si fanno interessanti scoperte.
Alla loro età, non mi ponevo certo il problema della pensione – e nemmeno loro lo fanno – però qualcuno si lascia scappare “tanto, noi non c’andremo mai.”
Ecco, allora, che terminata la fase adolescenziale tutti i nodi rimandati, appena sfiorati – ma introitati – tornano a galla: appena sbucati nell’età adulta, il “bagaglio” consciamente/inconsciamente si fa vivo, chiede udienza, vuole contare.

Se per noi, “scafati” da mille nequizie accumulate – sin dai tempi nei quali vollero farci credere che il colpevole di un terrificante attentato ad una banca era un ballerino di fila della RAI – può essere valida la sentenza che, oramai, l’abbiamo “rotto” a qualsiasi, nuovo “bunga bunga”, la percezione di un giovane è la stessa?
Le notizie corrono ed i titoli cubitali non possono essere evitati, anche se si hanno sedici anni e si pensa più alla ragazzina od al fidanzatino: come pensiamo che s’inserisca, nella psiche di un sedicenne, la notizia che qualcuno vende il suo voto in cambio di soldi?

Poi, il sedicenne cresce, diventa adulto con mille imprinting diversi: dai tatuaggi degli attori del Grande Fratello alle migliaia di euro distribuiti da Jerry Scotti. Ma, anche, col ricordo che i parlamentari non sono gente seria, bensì degli allibratori che si vendono al miglior offerente.
Qualcuno proverà a seguire quel percorso – voglio diventare anch’io allibratore! – ma i posti sono sempre meno ed il “magna magna” è sempre più difficile da garantire: Tremonti trema, Brunetta s’abbruna, Sacconi s’insacca nelle sempre più difficile rotte da garantire da e per l’Europa, fra un federalismo “solidale” ed uno di frattura, fra sedi della CISL prese d’assalto, consumi interni a picco, debito pubblico alle stelle.
E il giovane s’interroga, fra i mille perché e le mille risposte che non riesce più a dare ed a darsi, fra le mille occasioni svanite, nelle aree di parcheggio delle facoltà universitarie dove – al termine del percorso – è pronto lo sberleffo: niente! niente! niente!
Quando diventa maggiorenne, e riceve la tessera elettorale, quasi ci vede stampigliata sopra l’effige di quello che si vende per il mutuo, per la fica, per un posto da spazzino. E gli viene da vomitare, al pensiero d’andare al seggio: perché? perché? perché?
E, in una giornata romana segnata dal destino, corre incontro senza paura ai simulacri del potere, li abbatte, mostra al mondo cosa vuol dire aver tradito la sua adolescenza, averla frantumata ed incapsulata in un barile di sterco.

L’ultimo mese vissuto dall’agonizzante politica italiana è stato esaltante: anche il terrificante Di Pietro – che solo sogna d’incarcerare Berlusconi, per una vecchia partita a poker perduta sui banchi del Tribunale di Milano – mostra la sua vera faccia da manovale della politica: uomo senza cultura, senza spessore politico, senza progetti per l’avvenire. La riserva di “carne fresca” per nutrire la (apparente) opposta fazione.
Sempre osannato dallo studio Casaleggio & Co, ecco pronto l’altro cavallo, fresco di scuderia, pronto a carpire l’ultimo voto per il moribondo sistema del “dammi un voto, ti darò la Luna”: ecco il Grillo parlante – per ora fermo ai box – che scalda i motori per, per, per…per che cosa?

No, l’ultimo mese del teatrino politico italiano è stato fenomenale, apodittico, illuminante: si può godere miglior spettacolo?

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

14 dicembre 2010

La semplicissima normalità



E’ assolutamente biasimevole che, in un qualsiasi pomeriggio di Dicembre, una masnada di giovani scatenati riducano a ferro e fuoco il centro di Roma.
E’ terribilmente disdicevole che gli studenti inglesi assaltino il cocchio reale, mentre porta a teatro il Principe di Galles e la di lui consorte, per la misera faccenduola che le tasse universitarie hanno subito un modesto aumento: da 3.000 a 9.000 sterline annue.
E’ incomprensibile la ragione per la quale, la popolazione greca, si ribella ad Atene contro le burocrazie europee, portando avanti una guerriglia strisciante per mesi.
Perché mai, i francesi, scendono in sciopero per giorni e giorni contro le riforme delle pensioni che, nei Paesi sempre più ricchi ed evoluti, condannano la gente a lavorare per più di 40 anni? Si tratta soltanto di un nuovo concetto, quello di “fine pena”.

E’ accettabile che, chi vinse le elezioni nell’oramai lontano 2008, per rimanere comunque a galleggiare si compri a destra ed a manca i consensi.
Se si hanno 62 anni, si milita nell’IDV di Antonio di Pietro e si è appena acquistata una casa con un mutuo di 150.000 euro sul groppone, è plausibile fare questo ragionamento: ho due legislature alle spalle, siccome sono un parlamentare vado in pensione a 60 anni in barba a tutte le riforme che ho firmato per gli altri, e con questa bella occasione che mi hanno offerto andrò in pensione con 4.000 euro netti il mese ed il mutuo pagato!
Se, invece, si è un medico che – non si sa bene perché – si ritrova sulle spalle un decreto esecutivo di pagamento per la modica somma di 200.000 euro, perché non approfittare dell’occasione per togliersi il fastidio? Un voto? E che volete che sia…è come la Ruota della Fortuna…
Nel caso di parlamentari che hanno maturato un’idea distorta, è saggio e profittevole ricordare loro – qualora avessero delle attività imprenditoriali – che, se perseverassero in quella assurda cocciutaggine, potrebbero non vincere più una gara d’appalto per anni.

Nel caso aveste pubblicato delle notizie riservate, le quali hanno messo in difficoltà personaggi e governi di una certa importanza, è assolutamente necessario valutare attentamente la vostra condotta sessuale, per voi e per tre generazioni precedenti. Se, invece, spacciate notizie platealmente false – come quella che l’ultima puttanella che avete ricevuto a Palazzo è la nipote di Mubarak – non si vede perché qualcuno dovrebbe chiedervi conto di qualcosa.

Gli incidenti occorsi a Roma il 14 Dicembre sono disdicevoli e da condannare, perché non è questo il modo d’interloquire, non è questa la risposta da dare, non è questo il modo d’opporsi.

E qualcuno dirà che c’è un modo migliore.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

09 dicembre 2010

Cosa succederà il 14 Dicembre?


“Voi svolazzate in aria i vostri frizzi, come le loro spade gli smargiassi.”
William Shakespeare – Molto rumore per nulla – Atto Quinto – Scena Prima.

Devo confessare che di giorni “14” ce ne sono altri che m’attizzano di più: siccome il 14 Luglio è anche il compleanno di una cara amica, non passa anno che non ricordi la presa della Bastiglia.
A noi italiani, invece, toccherà un 14 Dicembre: la differenza non è soltanto fra Messidoro e Frimaio, bensì fra un fatto storico eclatante ed una scoreggia cosmica.
Tutti aspettano questo 14 Dicembre 2010 come una liberazione oppure un incubo: mi sa che, a parte qualche modesto cambio della guardia, fra un anno l’avremo belle che dimenticato. Ma andiamo con ordine.

La mia, personale opinione è che l’attuale governo non avrà la maggioranza alla Camera, ma potrebbe anche averla per una manciatina di voti in più e non cambierebbe niente.
Lo sa benissimo anche Berlusconi, il quale ha più volte ricordato che serve una maggioranza “solida” per andare avanti: d’altro canto, la Lega sa benissimo che non può continuare a tirare troppo la corda con il suo elettorato, giacché oggi potrebbe averne dei vantaggi, domani non si sa, soprattutto se (com’è prevedibile) dovesse saltare tutto l’ambaradan del federalismo.

Che Berlusconi si mostri sicuro d’avere quei voti è ovvio: chiunque, nelle sue condizioni, farebbe lo stesso e – non dimentichiamo – la sua è sempre stata un politica di marketing e d’immagine. La realtà è diversa: il governo “va sotto” un giorno e l’altro pure, l’abbiamo constatato negli ultimi mesi.
La preoccupazione di Berlusconi non è quella di scendere dal carro (lo è anche, ma sa di poterci fare poco), bensì quella – più temibile – che nei due rami del Parlamento ci siano i “numeri” per una altro governo con una diversa guida: il cosiddetto governo “di transizione”, “tecnico”, ecc.
Difatti, già a Settembre – all’inizio della crisi – ebbe a dire che si sarebbe trincerato nella “ridotta del Senato”: paragone storico non felicissimo, ma comprensibile.

Le carte, in questo momento, non sono nelle mani di Berlusconi o di Fini: l’avvenire politico italiano è nelle mani di Napolitano, per questo oggi viene attaccato senza troppi riguardi (a nostro avviso, peggiorando la situazione per l’attuale governo).
E’ possibile che Berlusconi, per il 14 Dicembre, “compri” una manciata di “malati” per abbassare il quorum ed avere una maggioranza risicata, ma non dimentichiamo che – oggi – la principale preoccupazione dei nostri parlamentari, ridotti ad una pletora di pigiapulsanti (quindi con scarsa visibilità personale), è quella di riuscire a prenotare un posto per il prossimo treno elettorale, che partirà probabilmente in Primavera. E, questo, vale per tutti gli schieramenti: anche per quelli del centro sinistra o del centro che si dessero malati per il 14 Dicembre.
Anche se Berlusconi riuscisse nell’alchimia dei “malati”, dopo non potrebbe più rischiare di mettere la fiducia su nessun provvedimento, con il rischio di vedersi cassata ogni legge con percorso ordinario: bastano pochi emendamenti ed il senso viene totalmente snaturato.
L’attuale opposizione centrista (FLI, UDC, ecc), inoltre, si qualifica per una forte componente meridionalista – e quindi il percorso “federale” è oramai oltre l’orbita di Saturno – mentre per le leggi ad personam Fini sconterebbe la rivolta dei suoi, soprattutto dell’elettorato che potenzialmente lo seguirebbe.

Se Berlusconi non riuscisse ad avere la fiducia, come io ritengo, dovrebbe salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni, ma sarebbe probabilmente obbligato a farlo anche nel caso riuscisse in una sorta di “pareggio”, poiché gli sarebbe poi impossibile governare. La differenza? Credere, con quel “pareggio”, d’obbligare Napolitano a confermargli l’incarico per un nuovo governo.
Allora, rechiamoci metaforicamente nelle stanze di Napolitano e cerchiamo di capire cosa pensa il Presidente dell’inquilino di Palazzo Chigi.

In alcune occasioni, ministri che s’erano recati dal Presidente per consultazioni insieme a Berlusconi, avevano successivamente dichiarato che “temevano, per i toni dei colloqui, che li avrebbe sbattuti fuori”.
D’altro canto, concetti come quello della “costituzione materiale” vagano da tempo nell’aere mediatico, e non sono astrazioni molto gradite al Colle, mentre Berlusconi ne ha fatto il suo cavallo di battaglia: il berlusconismo è proprio questo, il (supposto, sognato, preteso) primato del risultato elettorale sulle regole. In altre parole, per Berlusconi chi vince le elezioni deve poter cambiare tutto a suo piacimento, regole costituzionali comprese, oppure invalidarle con percorsi tortuosi, giungendo addirittura alla corruzione ed al ricatto.
Si dà il caso, però, che il Presidente sia immune da qualsiasi ricatto o da “trattamenti Boffo”, poiché la vicenda dell’Ungheria non attizza più nessuno e perché non ci sono altre trame da tessere per Belpietro, Feltri & soci. Inoltre, un simile attacco alla Presidenza della Repubblica – da parte di un pluri-indagato come Berlusconi – sarebbe la classica situazione nella quale il bue dà del cornuto all’asino, e sarebbe l’ennesimo boomerang per il suo claudicante governo.
Tirando le somme, di là degli strombazzamenti mediatici e dei richiami populisti (i “milioni” d’italiani che si ribellano sono soltanto nei sogni di Bossi), Silvio Berlusconi non ha armi per mettere sotto scacco la Presidenza della Repubblica: sa, inoltre, di non essere gradito a Washington, Berlino e Bruxelles.

Di fronte a questa situazione, Berlusconi sa che rassegnare le dimissioni (il 14 Dicembre, Gennaio o Febbraio poco importa: a breve così sarà) per lui significa dare l’addio alla Presidenza del Consiglio, poiché Napolitano non vede l’ora di toglierselo di torno.
Può tentare la carta di farsi eleggere ministro (degli Esteri, ad esempio), ma non può – una volta iniziato il tourbillon delle consultazioni – avere la certezza, la nomina in tasca: oltretutto, dopo il can can sollevato da Wikileaks, la somiglianza di un “tandem” Tremonti-Berlusconi con quello Medvedev-Putin farebbe ridere i polli e non sembra che Napolitano abbia tanta voglia di ridere, soprattutto dopo le tante grane che gli sono state calate dall’uomo di Arcore.

Si è parlato molto di pressioni internazionali, soprattutto per quanto riguarda le questioni energetiche: a mio parere sbaglia chi osserva la situazione soltanto attraverso queste lenti. In fin dei conti, Berlusconi non ha esposto l’Italia al “pericolo” energetico – può essere che abbia intascato qualcosa da Putin, è nel personaggio – mentre ha esposto il Paese al ben peggiore rischio di non avere futuro.
Gli USA vogliono la sua testa? Può essere, ma gli USA non sono un monolite, nemmeno l’amministrazione democratica lo è: se ci sono elementi di strategia energetica che infastidiscono gli USA, ce ne sono altri (leggi: Afghanistan) che fanno pendere la bilancia a suo favore. Perciò, ci andrei piano a gridare al complotto “demo-pluto-giudaico-massonico”, perché la “rivolta” nasce in primis dai settori economici interni: oppure, il “licenziamento” da parte di Confindustria e Montezemolo che lo attacca ad ogni piè sospinto, sono soltanto fanfaluche?
Vogliamo credere che tutti questi “attori” – aggiungiamo la querelle interna, da Letta che lo definisce “malato” in poi – siano in combutta con Washington, prendano direttamente ordini dal Dipartimento di Stato e basta? Oppure, più prosaicamente, guardano al loro portafogli?
C’è probabilmente una convergenza d’interessi – nessuno lo nega – ma le ragioni sono da ricercare più nella disastrosa situazione interna piuttosto che nei diktat delle diplomazie.

Tutte le rilevazioni degli istituti di ricerca definiscono l’Italia un Paese ancora ricco, dove le famiglie esercitano un ruolo di supplenza al penoso welfare nazionale, ma indicano anche una nazione “congelata”: più che economicamente in senso stretto, sembrerebbe una stasi mentale, un atteggiamento di rinuncia, un fatalismo senza speranza.
Per superare questa impasse servirebbe anzitutto un diverso pensiero economico, una diversa impostazione sociale: in fin dei conti, un’altra cultura.
Ma, la cultura del personaggio Berlusconi – di là dei suoi eccessi sessuali e delle sue guasconate – è improntata da valori vetusti: sembra un condensato fra la lettura del Reader’s Digest, i film di Don Camillo ed il Catechismo delle Orsoline.

Appena s’avvede che un incremento della banda larga sul Web intacca i suoi interessi – quelli economici e politici – giunge a negare quel necessario progredire nella comunicazione planetaria. A scuola si va per studiare: e dopo? Cosa ne facciamo dei ricercatori? Non lo riguarda, il suo catechismo non cita nulla sul “dopo”.
In definitiva, Berlusconi vorrebbe “ripianare” l’Italia ad un modello che è fumosamente quello della sua giovinezza, senza comprendere che quegli anni sono definitivamente tramontati, che quei valori non sono più compresi dalla gran parte degli italiani: difatti, il suo elettorato è nella sezione più anziana e meno istruita della popolazione.
Anche il dopo Berlusconi, però, non è mica da ridere.

Di questi tempi, molti sono affaccendati al pallottoliere per scrutare le possibili, future maggioranze: vorrei sottolineare l’inutilità di tanti, astrusi calcoli. Perché?
Poiché, chi li fa, finisce per credere che esista in qualche modo una “appartenenza” di stampo, se non proprio ideologico, almeno ideale a valori riferiti ad un partito. Nulla di più falso.
L’effetto della “porcata” elettorale di Calderoli è stato quello di creare dei veri e propri “dipendenti” dei partiti, non dei rappresentanti eletti sulla base, almeno, di un legame con l’elettorato: oggi, quella liaison non esiste più, e tutti i parlamentari italiani potrebbero essere sostituiti dal primo all’ultimo (salvo i leader) senza che nessuno s’accorgesse di niente.
Come per Italia-Corea del Nord del 1966, quando Edmondo Fabbri dichiarò: “se i coreani avessero cambiato tutti i giocatori durante l’intervallo, nessuno se ne sarebbe accorto: tutti uguali e tutti Kim!”

Proprio come i giocatori di calcio, i nostri parlamentari stanno oggi alla finestra, attenti a percepire anche il minimo refolo di vento che suggerisca una decisione da prendere: oggi un debole Maestrale sembra spingere la barca verso Est, ma subito si tramuta in Libeccio, squassa un poco il Transatlantico e fa correre l’imbarcazione verso Nord. Poi, lunghe giornate di bonaccia: brezze di terra e di mare che si contrastano ma nessuna indicazione valida per stimare una rotta.
Cosa cercano?
Un ingaggio, una casacca per il prossimo campionato, ma un contratto sicuro, senza troppe clausole e postille: chi, oggi, lo può garantire? Per questa ragione s’affastellano le notizie di “assenze” per il 14 Dicembre subito smentite, poi altre di segno opposto: è il segno dell’instabilità, ma dopo il 14 Dicembre una rotta apparirà.
In quel momento, inizieranno i giochi: quelli seri, di chi ha qualcosa di solido da offrire. Chi potrà essere?

Chiunque sarà, avrà l’appoggio del Quirinale, che non è mica cosa da poco: un Quirinale che tornerà a compiere scelte di stampo politico, e non saranno scelte che favoriranno di certo Berlusconi, oramai fuori piazza (ed odiato).
Napolitano – lo dimostra il nervosismo del PdL, l’inconcepibile “me ne frego” di Verdini – ha già probabilmente iniziato a sondare da più parti, discretamente, chi sarà disponibile per una nuova maggioranza: alcuni parlamentari lo sanno, temono, sono consci di valere tanto o poco, secondo la scelta che faranno non il 14 Dicembre, ma nei giorni che seguiranno.
In fin dei conti, a questa gente non importa un fico secco cosa dovranno votare – sono soltanto manovalanza parlamentare profumatamente pagata – il problema è trovare un sicuro approdo e, il Quirinale, potrebbe essere proprio l’ago della bussola, quello che indicherà la direzione da prendere per non finire nelle secche.

Non riteniamo – alla situazione cui siamo giunti – che Napolitano consentirà a Berlusconi (in caso di sfiducia) un passaggio parlamentare di riscontro, perché la situazione è sin troppo degenerata già oggi: nel caso avesse una striminzita maggioranza e si dimettesse ugualmente, sarebbe la situazione stessa a negarne la necessità.
Perciò, l’unica speranza che ha Berlusconi è quella di giungere ad elezioni anticipate, ossia che con l’attuale Parlamento non si riesca a formare una maggioranza diversa per un differente governo. Domandiamoci, allora: appena Berlusconi rassegnerà le dimissioni (rimanendo in carica per l’ordinaria amministrazione), sarà identico, maggiore o minore il suo potere nei confronti del PdL?
Qualora Napolitano incaricasse una personalità del PdL o del centro – i nomi oggi sono tanti, ma Beppe Pisanu pare che voglia votare la fiducia a Berlusconi (strano, vero?) e sembrerebbe quindi smarcarsi dall’area dei “traditori”, per un “dopo” senza possibilità d’attacco su quel fronte – quale potrà essere il “vento” che soffierà in Transatlantico?

Ogni parlamentare penserà: se questo governo riesce a decollare, il giorno seguente Silvio Berlusconi sarà un comune cittadino, con una differenza, quella d’avere una sfilza di procedimenti penali pendenti. I quali – c’è da giurarci – appena lui scenderà le scale di Palazzo Chigi riprenderanno con vento portante in poppa, che spingerà la barca di Arcore verso pericolose condanne.
Il secondo pensiero del parlamentare medio – 20.000 euro il mese, una vita dorata da fancazzista – sarà: quello non rimane a beccarsi legnate dai giudici, quello scappa ad Antigua. E io?
Una conferma per questi scenari giunge da una fonte inaspettata: Fedele Confalonieri. Ecco cosa raccomanda il “Fedele” amico di sempre:

“L'amico di una vita si è fatto portavoce del pensiero e delle preoccupazioni dei figli di Berlusconi, Marina e Pier Silvio, invitandolo a muoversi con maggiore cautela. Perché incaponirsi?, è stato il ragionamento: un tracollo politico metterebbe “a rischio la tenuta del gruppo”. Il suggerimento insistente è quello di cedere lo scettro a un uomo di fiducia, sia Gianni Letta o Giulio Tremonti o Angelino Alfano. Purché “Silvio” si tiri fuori da un gioco che si fa “pericoloso”.”[1]

Insomma – dicono Marina e Pier Silvio – è meglio ragionare: papà, qui ci stanno facendo la pelle! Se crolli come uomo politico, se lotti come un leone senza giungere ad accordi di salvaguardia, dopo t’azzanneranno nella polvere come una belva ferita! Ti finiranno! E, dopo di te, s’abbufferanno nel piatto delle tue aziende, delle televisioni…come? Un giudizio dietro l’altro, una multa dopo l’altra, un risarcimento…cause perse… banche che si sfilano…papà, cerca di capire dove stai conducendo non la tua carriera politica – in fin dei conti, che ci frega dell’Italia – ma la tua famiglia ed il tuo impero finanziario!

Tornando al nostro parlamentare incerto, qualcuno dopo il 14 Dicembre lo avvicinerà e gli dirà: stiamo creando un gruppo interno al PdL per cercare d’uscire da questa situazione d’impasse…in fondo il futuro Presidente del Consiglio è uno dei nostri…si tratta della sopravvivenza del nostro partito…per avere un futuro…proprio per non invalidare il tanto lavoro di Silvio Berlusconi…per continuare nella nostra missione…per non lasciare il Paese nelle mani della sinistra…
Come pensate che reagirà?

Poi, ci sarà il “dopo”: cosa c’aspetta?

Qualcosa ha lasciato intendere Pierferdinando Casini, in un’intervista a Repubblica[2]:

“L’UE, poi, probabilmente ci imporrà una manovra aggiuntiva. Vogliamo affrontare di petto il macigno del debito pubblico? Non parlo di una Finanziaria, ma del fatto che stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità. La risposta può essere il voto anticipato? A Bruxelles ci prendono per matti.
Servono scelte. Non i tagli lineari che deprimono la ricerca e non intaccano gli enti inutili. Servono le liberalizzazioni. Per tutto questo c'è bisogno di un “grande armistizio”. Sono scelte durissime che vanno prese tutti insieme.”


Alla domanda sul nome di chi potrà essere il nuovo presidente del Consiglio, Casini risponde che Letta, Tremonti od Alfano per lui vanno bene. Quando gli chiedono, invece, cosa pensa di una possibile candidatura di Draghi o di Monti risponde parzialmente e – a nostro avviso – in modo sibillino:

“Rientrano in una logica diversa. Tecnici che svolgono un ruolo di supplenza.”

Tiriamo le somme.
A Casini non piacciono candidature “tecniche”: ritiene che un “asse” Fini-Casini sia in grado d’attrarre consistenti settori del centro e della destra, una sorta di “autosufficienza”. Sembra voler affermare: “è giunta, per gli errori di Berlusconi, la possibilità di prendere le redini del paese a noi 50-60enni, e non ce la lasciamo scappare”. Un anno di governo di transizione, poi elezioni senza più l’ingombrante fantasma di Berlusconi (e con una legge elettorale che diminuisca il “peso” della Lega), nuovi giochi, nuove cariche da assegnare, nuovi posti da occupare: perché dovremmo rinunciare a tutto questo? Per chi? Per Draghi?

Mario Draghi sembra, invece, più “gettonato” dal PD, anche se Bersani si schernisce e nega[3]:

“Non faccio nomi né indico incarichi. Questo spetta farlo soltanto al presidente Napolitano e nella fase giusta.”

Sembrerebbe strano questo appoggio al Governatore della Banca d’Italia, soprattutto nell’ottica di un PD che – per vincere eventuali elezioni o per aumentare i consensi – dovrà allearsi con il “ciclone” Vendola e sarà quindi obbligato a rivolgersi nuovamente alla sua sinistra, dove c’è un’area di comunisti od ex comunisti che raggiunge e probabilmente supera il 10%. E c’è la “tempesta” Grillo in arrivo: per gli ex democristiani pare esserci poca trippa per gatti, ma c’è sempre l’accogliente porto di Casini & Rutelli.

La cosa più strana, però, è la “risposta” di Mario Draghi.
Draghi va ad Ancona a tenere una lectio magistralis presso la locale Facoltà di Economia, che è intitolata a Giorgio Fuà, sostenitore di quel “capitalismo illuminato” che fu di Adriano Olivetti, oltre che consigliere economico di Enrico Mattei.
Cosa racconta Draghi?
Mette in discussione il PIL: sì, avete letto bene, Mario Draghi afferma[4]:

"Ad esempio, nell’indice di sviluppo umano del Development Programme delle Nazioni Unite, forse il primo indicatore a sfidare la supremazia del PIL pro capite, entrano con peso uguale tre componenti: il reddito pro capite, il livello di istruzione e la speranza di vita alla nascita. "

Si rivolge poi alla stampa[5], raccomandando genericamente di tenere sotto controllo i conti pubblici, accoppiando al primo punto il secondo – la crescita, ovvio – ma sono stranamente spariti dal suo lessico termini come “previdenza” e “pensioni”, che citava ad ogni piè sospinto soltanto qualche mese fa[6]. Che magia.

Come sempre in Italia – ricordando Flaiano – “la situazione politica è grave ma non è seria”: alcuni sondaggi si felicitano, perché sembra che gli italiani vogliano tornare felicemente al voto, attizzati magicamente dallo scontro, dalla partita di calcio fra Guelfini e Ghibelloni. Corroborata da una campagna acquisti in Parlamento che dovrebbe soltanto aggiungere conati di vomito allo stato, permanente, di prostrazione nel quale versa gran parte della popolazione.

Poveri italiani: si rendessero conto che, alle pecore, non dovrebbe interessare un gran che come si chiama il lupo.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.



[1] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2010/12/03/news/il_pressing_di_bossi_e_confalonieri_silvio_meglio_un_accordo_con_fini-9786335/
[2] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2010/12/05/news/il_pdl_indichi_un_nome_per_il_governo_d_armistizio_a_noi_vanno_bene_letta_tremonti_e_alfano-9850876/
[3] Fonte : http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Governo-Bersani-Draghi-premier-Ogni-decisione-spetta-al-Quirinale_311262979265.html
[4] Fonte: http://www.google.it/url?sa=t&source=web&cd=1&ved=0CBcQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.bancaditalia.it%2Finterventi%2Fintegov%2F2010%2Fdraghi_5nov10%2Fdraghi_51110_ancona.pdf&ei=ktL7TMmvEaeG4gbV4Ni1Bw&usg=AFQjCNHAVy3SFJVHarxizzQ1Yuhs6nKW4A
[5] Vedi: http://www.repubblica.it/economia/2010/12/06/news/draghi_la_crescita_fondamentale-9896564/?ref=HRER1-1
[6] Vedi: http://www.repubblica.it/economia/2009/10/13/news/pensioni_draghi_alzare_leta_inps_e_governo_no_non_serve-1821105/

07 dicembre 2010

Sul confine del tempo



Te ne sei andato, Davide, eppure fra qualche giorno nessuno più si ricorderà di te. Verrà il Natale, scartocceremo i doni come tutti gli anni: la solita sciarpa, il solito libro, la solita lozione dopobarba.
Per nostra buona sorte, tu non eri “solito”.
Tu, purché accademico, non lo eri nello spirito: la tua Storia non era quella dell’ufficialità e nemmeno quella dei riconoscimenti, bensì quella delle vicende e delle riflessioni.
Ancora ricordo quando lanciasti un grido di dolore per una vecchia scuola elementare sul confine di due regioni, di due province, di due comuni – sul confine del tempo e dello spazio, verrebbe da dire, attraversata solo dai ricordi e dai sentimenti, che a te bastavano – perché le ruspe stavano per entrare in azione e tu sapevi, ricordavi che da qualche parte c’erano ancora – forse nelle aule irriconoscibili, forse nelle soffitte fatiscenti – montagne di libri e, soprattutto, di quaderni.
Già, i quaderni, i quaderni vergati da generazioni di gente crepata di cancro all’ACNA oppure migrata lontano, lungi dal confine fatto di nebbia e Bormida, solcato artificiosamente nella terra degli Uomini.
Ed eri corso, non so come: t’immagino su una vecchia auto scassata, a raccogliere le testimonianze del tempo prima che la ruspa le portasse via. Hanno un bel dire chi è uno storico e chi non lo è: non lo dimostrasti solo con le tue pubblicazioni. Per me, lo sottoscrivesti rovistando nella polvere di quella vecchia scuola elementare.
Che dire, Davide. Ci hai onorato con la tua presenza, qui, dove la nebbia continua a salire dai fumi della Bormida, dove le campane ci ricordano che un altro se n’è andato e le campagne tremano per il freddo, aspettando che la neve le cheti.
Non so se avranno il coraggio d’intitolarti qualcosa: una scuola, certo, così dovrebbe essere se il mondo non si fermasse di fronte alla tua giovane età, se qualcuno fosse ancora in grado d’avere discernimento, nel riconoscere la grandezza di un giovane storico – Davide Montino – anche quando si muore a 37 anni.

04 dicembre 2010

Comunicazione interna del 4 Dicembre 2010: facciamo ‘sta rivista?

Avevo pensato d’inserire una serie d’argomenti relativi alla rivista come commento poi, visto che quasi tutti desiderano commentare sull’argomento, ho preferito scrivere un post ad hoc, così ci chiariamo le idee e vediamo se si può iniziare.

L’aspetto tecnico
Per prima cosa vorrei affrontare la questione tecnica sollevata da iri, poi il resto.
Ho guardato le anteprime di quei formati e mi piacciono molto: ad esempio, “The morning after” mi sembrerebbe appropriato. L’ho anche scaricato, ma qui ho notato il problema.
Io, non sono in grado di gestire queste piattaforme: se devo fare “qualcosa” sul Web – tanto per capirci – apro Front Page, costruisco il sito e poi lo pubblico con Dreamweawer. Il blog è semplicissimo.
Non vorrei aprire una tediosa questione su questo o quello, migliore o peggiore: se avessi a cuore queste faccende, avrei continuato l’attività abbastanza redditizia di scrivere testi sulla tecnologia dell’informazione.
Oggi, mi ritengo oramai superato e più dedito a restaurare alberi, crocette e scafi che ad altro.

In seconda battuta, se riuscissimo a varare la rivista, non credete che avrei già abbastanza da fare a coordinare il lavoro, senza dovermi occupare della pubblicazione degli articoli e della gestione della rivista on line?
Quindi, se si farà, ci dovrà essere una persona che se ne prenderà la responsabilità: in genere (non siamo eterni), conoscono la password due persone, cosicché nessuno potrà mai pubblicare “alla c…” perché l’altro lo saprebbe subito.
Invito, perciò, chi pensa di potersi assumere quella responsabilità, di farlo pubblicamente oppure di scrivermi, e qui chiudo l’argomento.
La possibilità di realizzare la rivista

Non mi piace tanto il termine “appartenenza” (capisco, la foga del commento, ecc) perché non è questo il mio modo di concepire i rapporti umani: nessun marinaio “appartiene” alla nave, e nemmeno “appartiene” all’equipaggio, ne fa parte fino allo sbarco.
Questo per dire che non vorrei ci fossero culti della personalità, i quali hanno il pessimo vizio di far credere:

a) che esiste sempre qualcuno prima di noi in grado di risolvere le faccende;
b) che, quando qualcosa no va (e succede, succede…), sparando al comandante si risolve il problema. Non mi pare che Flechter Christian abbia risolto molto.

Non per questo, però, “scapolo” quelle che so saranno le mie responsabilità, ossia la conduzione generale della faccenda, il coordinamento: credo che “primus inter pares” possa andare.

I passi del sentiero

a) la motivazione: questa è la prima domanda che ci dobbiamo porre, perché il lavoro per una rivista è gravoso, e non ci si deve mai alzare dalla sedia e dire “mio Dio, ma che sto facendo? Perché?”

b) l’organizzazione: quando una persona decide di partecipare, dichiara quello che può fare e che si ritiene in grado di fare: starà al coordinatore (è proprio il suo compito) aprire con ogni redattore (od altra figura) un rapporto diretto per stabilire, insieme, come collaborare. Una volta definito l’organigramma, si mette ai voti di tutti la proposta, la si “raffina” se qualcuno ha delle obiezioni e si parte.

c) l’aspetto tecnico: ne ho già parlato nel precedente commento, ma è importante pensarlo “in divenire”, ossia quando avrà migliaia di contatti. Reggerà? Ce la faremo con questa piattaforma? Cambiarla sono sempre rogne.

d) il taglio redazionale: vogliamo informare o discutere? Aree tematiche? Quali? Tutto? Argomenti che non riteniamo di dover/non dover trattare? Pubblicità?

e) il nome: il nome deve essere evocativo, perché le persone sono distratte. Un nome facilmente viene dimenticato: se, invece, dal nome scaturisce una Gestalt (forma nella mente) ecco che il ricordo si radica, diventa pregnante. Questo vale anche per le rubriche od aree tematiche: non scordiamo che, appena entreremo nel Web con un sito ed una proposta editoriale, avremo subito migliaia di concorrenti. Cambiare successivamente il nome è un guaio, perciò bisogna valutarlo con molta attenzione.

Le mie proposte

a) motivazione: la mia motivazione è constatare che esistono pochissimi “luoghi” dove la discussione politica (vale a dire tutto quello di cui si parla e si decide nella “polis”) sia fruttuosa. O ci si scanna, o ci si deprime. L’aspetto positivo è che, mancando molto sotto questo aspetto, chi riuscisse ad interpretare con cura i bisogni d’espressione e di partecipazione della gente avrebbe un buon seguito.
Vorrei essere chiaro: io non ho nessun anelito di personalismo, non ho carriere da compiere, non ho da vendermi a nessuno, per soldi o per altro. La scelta della barca d’altura è indicativa: non si tratta soltanto di una questione di vela.
E, spero, che dopo la stagione dei sessantenni ne nasca una dei quarantenni, per fare proprio ciò che l’attuale classe politica nega: un contatto fra le generazioni, un abbraccio fra le generazioni, una continuità nei grandi valori ideali che va oltre la fine terrena di ciascuno di noi.
Perché, signori miei, una proposta politica od un movimento politico non nascono da un generico embrassons nous.
Inoltre, è importante iniziare a guardare alla nostra Italia come ad un luogo nel quale un italiano su venti non è più nato in Italia: porta altri semi, altre proposte, altri temi. E, questa, potrà essere ricchezza e salvezza per tutti.

b) l’organizzazione: credo che, almeno all’inizio, sia da preferire la coesione piuttosto che la dimensione. Un piccolo gruppo di persone – quali noi siamo – ha il pregio d’aver condiviso per molto tempo le proprie opinioni su questo blog. In altre parole, sui grandi temi c’è un buon accordo e non c’è tanto da discutere.
Ovvio che, almeno all’inizio, questo significherà un discreto carico di lavoro per tutti.
Preferirei che anche le persone che non hanno dimestichezza con la scrittura si cimentassero: all’occorrenza, qualcuno di noi più esperto dovrà accollarsi il compito di raffinare la forma, solo – però – dopo aver ricevuto il “go” finale da chi ha scritto.
E’ importante non farsi fregare dalle “trappole crociane”: la storia siamo veramente noi, tutti la costruiamo, tutti la viviamo, tutti la modifichiamo. Perché solo pochi possono parlarne?

c) l’aspetto tecnico: ho già chiarito che non posso occuparmi personalmente anche di questo, perché avrò già tanto da fare.
Sceglierei un formato “leggero” in stile giornale on line, e non griderei allo scandalo se dovessimo o volessimo accettare della pubblicità, ma ad una condizione: che le proposte pubblicitarie siano coerenti con i nostri valori. In pratica, potremmo accettare la pubblicità di chi produce o installa tecnologia energetica rinnovabile, di aziende o cooperative che hanno finalità sociali, di chi propone temi culturali, ecc. Sinceramente, non so a cosa servirebbe la pubblicità della Ferrari sulla nostra rivista.
A questo bisogna aggiungere che i “rimbalzi” su Facebook od altri social network sono essenziali, e che tutti noi possiamo facilmente farci intervistare da qualcuno – fotocamera sul cavalletto, in casa – e raccontare in forma filmica gli stessi argomenti.

d) il taglio redazionale: qui, c’è parecchia carne al fuoco.
Non credo che sia fruttuoso porsi dei limiti sugli argomenti: sarebbe, però, saggio non cimentarsi in cose che scatenano inutili gazzarre, quali l’11 Settembre oppure la Shoà. Ci sono già tanti che “se litigano” ogni giorno su queste cose che, sinceramente, non vedo la necessità d’aggiungere un sito in più che lo faccia.
Ovviamente, qualora vi fosse un “taglio” interessante ed innovativo, uno studio accurato…insomma, qualcosa di veramente nuovo da dire, potremmo prenderlo in considerazione.
Altra cosa è, ovviamente, affrontare con taglio storiografico temi generali – le guerre, Palestina, ecc – dove questi argomenti entrano soltanto come corollario. In sintesi: se lo dobbiamo fare facciamolo, ma senza – ostinatamente – diventare soltanto dei noiosi, faziosi e ripetitivi generatori di copia/incolla di cose già dette, già viste e che hanno solo lasciato l’incertezza negli occhi.
Partiamo invece dalla realtà, dalla realtà che tutti oggi osserviamo e troveremo argomenti a bizzeffe: l’Italia, se qualcuno se n’è accorto, sta crollando.
Sta collassando perché una classe dirigente, che dovrebbe svegliarsi dall’incubo del liberismo, dovrebbe fare altre scelte: proprio, però, perché è ipnotizzata da questo malefico mantra, nulla può fare. E, dunque, ci lascia un terreno vergine per la proposta motivata, per l’analisi solida su una marea d’argomenti: dall’energia all’agricoltura, dai rapporti sociali a quelli nel lavoro, ecc, ecc, ecc…
Il “taglio” è semplice: proporre all’attenzione un problema, verificare e stigmatizzare con precisione gli errori della vulgata imperante, porgere la proposta avendo ben presente l’obiettivo da raggiungere: aumentare il benessere dei tanti e non quello di pochi, armonizzare con la Natura gli interventi.
Fare in modo che le proposte non abbiano vita per qualche giorno ma siano sostanziali, riproponibili, durature, rendano stabili le situazioni.
C’è poi l’informazione.
Proporre argomenti locali che pochi conoscono (visto che nessuno di noi ha accesso agli archivi consolari), ma sempre nell’ottica dell’argomento che diventa di tutti, “dall’Alpi alle Piramidi”, perché – in questo modo – nessuno sente il “localismo” dell’informazione, nessuno pensa “è roba per loro”, nessuno rimane escluso.
Alcune idee generali le ho, ma necessitano di riflessione collettiva: l’impaginazione degli articoli sempre in vista, con alcune aree tematiche o rubriche – penso a Mahmoud (il vasto, il lontano, ecc) ed a Marco (il vicino, il piccolo, il “de no antri”), ma sono solo idee gettate lì, tanto per capirci – ed a volte la copia d’articoli altrui solo se sono di grande importanza, e magari corredati da un commento redazionale.
Poi…forum, commenti, oppure no? Togliere i commenti toglie molto lavoro, perché i commenti vanno in ogni modo filtrati, altrimenti si finisce nella bagarre e, a volte, addirittura nei guai legali. Certo che, i commenti – soprattutto per una nuova pubblicazione – “legano” i lettori, aumentano la visibilità, rendono il servizio partecipativo.
Se pensiamo di poterli gestire, ossia se c’è qualcuno fra di noi che ha voglia di giocare al carabiniere si può anche farlo, altrimenti è meglio ripiegare su un forum allegato (che, però, presenta sempre gli stessi problemi, appena un poco attenuati). Niente del tutto sarebbe un po’ poco.

E) il nome: la mia idea sul nome è semplice. Visto che l’esperimento di Italianova durò dall’alba al tramonto, ritengo che quel nome sia molto azzeccato perché aveva un sottotitolo “il dolce stil novo della politica italiana”.
E’ una buona Gestalt, perché richiama la necessità di creare una “nuova” Italia, e tutta quindi da ricostruire, da ripensare, da progettare, nella quale ciascuno di noi dovrebbe e potrebbe avere una parte, un senso. E, addirittura, usando un nuovo linguaggio.
Non esclude e non discrimina, perché l’Italia “nova” è quella terra dove vive la popolazione, e non importa se nata a Bombay od a Montevideo.
Anche sulle rubriche qualche ideo l’ho avuta.
Un titolo come “Il tredicesimo guerriero” per Mahmoud non è molto accademico – ne convengo – ma altamente evocativo, e per molte ragioni. Per prima cosa, nel film, è solo grazie alla partecipazione del tredicesimo guerriero che la battaglia ha successo. Per seconda, Banderas è quasi sempre un eroe positivo: è anche Zorro. Last but non least, alle donne, beh…
Oppure: “L’angolo di Via Veneto”, per Marco. Il posto della Dolce Vita dove una persona osserva, annota, rivela. Nulla d’eccezionale: soltanto come la vita non sia più dolce, perché da quella via passano spesso quelli che la rovinano. Una sorta di “gossip” amaro.

Bene, queste sono le mie idee: avrò senz’altro dimenticato qualcosa, ma ci sarà tempo. Manterremo “aperto” questo post anche quando pubblicherò nuovi articoli.
A voi.

03 dicembre 2010

Altro che fantasmi!


“…l’Italia dimenticata…e l’Italia da dimenticare.”
Francesco de Gregori – Viva l’Italia – dall’album Viva l’Italia – 1979.

Fa sempre piacere leggere Paolo Rumiz, perché non è mai banale: con il solito, tocco leggero della sua penna, descrive un fenomeno poco noto, l’abbandono da parte delle popolazioni delle case e dei borghi “stregati”, abitati dai fantasmi, dagli spiriti d’assassini o suicidi.[1] A volte, da “fantasmi” in carne ed ossa, ai quali fa comodo – come alle n’drine in Calabria – far credere che in quei posti è meglio non andare.
Non è invece per niente un fantasma la lettera raccomandata che m’invia il Comune, e quando arrivano come raccomandate c’è sempre da sedersi prima perché, se si tratta di qualcosa che riguarda un tuo diritto non sprecano carta, mentre non la lesinano affatto per i doveri: questa è l’Italia, “da Palermo ad Aosta”.

Il mio “dovere” – in questo caso – è consegnare loro quasi l’intera tredicesima: eh sì, signor Bertani, lo sa che con la legge 311 del 2004, lei non può abitare, ai fini dell’accertamento per la tassa sui rifiuti (TARSU), in meno dell’80% della superficie catastale? Ci mandi 1140 euro, c’è il bollettino postale allegato, che riguardano retroattivamente ciò che ci deve dal 2005 ad oggi, per il futuro provvederemo ad inviarle gli importi “corretti”. Contento?

E mi viene in mente l’ICI, chissà perché. Ed il faccione di Berlusconi che, nel 2006 – durante l’ultimo confronto televisivo con Prodi – balza avanti, scavalca l’avversario ed urla alla telecamera: «Vi toglierò l’ICI!»
Già, tolta.
Subito dopo, cade nella mente l’effige di Stalin con il braccio alzato che comanda: “Nessuno, per il progresso del comunismo, potrà abitare in meno dell’80% della sua abitazione: se lo farà, sarà un nemico del popolo!”
Ed io sono proprio un nemico del popolo, perché da oggi non abito più in 117 metri quadrati, bensì in 287 : accidenti, che balzo in avanti ho fatto! Sono un vero riccone, anche se non ho ville ad Antigua o case a Montecarlo.
Forse, il lettore avrà bisogno di qualche chiarimento, e siamo qui per questo.

Per prima cosa, l’idea che la spazzatura si misuri a metri quadrati mi sembra una scelta un po’ balzana: se l’intera Italia fosse completamente disabitata, e vi fossero 30 milioni d’abitazioni vuote, quanta spazzatura produrrebbe?
Non sarà, forse, che la spazzatura viene prodotta dagli esseri viventi?
Ci sarà ovviamente una quota riferita all’abitazione – adesso che so d’abitare in 287 metri quadrati dovrò raddoppiare il fustino del detergente per i pavimenti – ma continuerò a gettare ogni giorno un pacchetto di sigarette vuoto, un guscio d’uovo, la confezione di un pezzo di formaggio, una penna rotta…
E così mia moglie ed i figli, 365 giorni l’anno: cosa c’entra in quanti metri quadrati abitiamo?

Secondo punto: perché, chi abita in 287 metri quadrati non è assolutamente un riccone?
Lo è quasi sicuramente se abita a Roma o a Milano, mentre non lo è per niente se abita nell’Italia dimenticata, quella dei “mille campanili” che adornano le Alpi, le Prealpi, l’Appennino e consistenti zone di pianura: è la differenza dei valori immobiliari a confondere le acque. E, qui, ci vuole un po’ di Storia.

Quando acquistai la mia abitazione – 1998 – la precedente proprietaria (che viveva da decenni altrove) mi raccontò che quella casa era ricordata per un fatto singolare: nel primissimo dopoguerra vi abitavano, lei compresa, ben 18 “ragazze da marito”.
Lì per lì, l’unica cosa che mi saltò in mente fu l’immagine dei fili per stendere: considerando la lunghezza occupata da mia moglie e mia figlia per corsetti e reggiseni, calze e calzette, mutande ascellari e tanga, canottiere e pizzi…beh…moltiplicato per nove…doveva sembrare il cortile di un caseggiato a ringhiera!
Nella grande casa viveva una famiglia patriarcale, la quale occupava gli spazi con gli standard dell’epoca: non camere singole, bensì stanze da letto con due e più letti, ecco spiegato l’arcano.
Inoltre, la casa era tutta agibile, dal piano terreno al terzo piano, mentre ora la soletta del primo piano sta appena su per miracolo, al secondo c’è la mia abitazione ed il terzo è disabitato, nelle condizioni dell’epoca.
Quando mi recai in Comune per dichiarare la superficie che abitavo, furono loro stessi ad indicarmi di dichiarare la superficie realmente abitata, che è – appunto – di 117 metri quadrati. Già, ma le leggi si fanno a Roma, che è una realtà diversissima dal resto del Paese.

La storia delle aree rurali italiane è completamente diversa da quella delle grandi città: per flussi migratori, redditi, qualità della vita, trasporti, occupazione, ecc.
In questo fazzoletto di terra, fra il mare e la pianura piemontese, la sopravvivenza fu – per secoli – legata a fagioli, vacche e patate, poi giunse l’industria, che da queste parti ebbe quasi un solo nome: ACNA.
Diligentemente, nel dopoguerra, migliaia di ex contadini varcarono i cancelli della fabbrica di Cengio, della quale parlò Beppe Fenoglio:

“Hai mai visto Bormida? Ha l’acqua color del sangue raggrumato, perchè porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più porca e avvelenata che ti mette il freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna.”[2]

“Ci vorrebbe una scappata a Gorzegno: la casa per sempre muta dei Gallesio, dove s’è fermato il fumo degli spari, il castello spettrale, l’acqua violacea della Bormida avvelenata.”[3]

Come diligentemente entrarono, ordinatamente uscirono – a generazioni – con “i piedi davanti”, stroncati da tumori alla vescica provocati dai coloranti. Una testimonianza abbastanza recente me la fornì il Geometra che provvide all’accatastamento dell’abitazione, uno degli ultimi giocatori di calcio del paese, quando ancora esisteva la “Salicetese”:

“Ci allenavamo, il pomeriggio, in una fetente nuvola di nebbia giallastra e, quando eravamo sotto la doccia, avvertivamo lo stesso tanfo che scorreva via dalla pelle.”

Negli anni 80-90’ l’ACNA chiude: la solita “morte lenta” che alcuni ancora rimpiangono, per la ricchezza che generava, mentre altri gioiscono, al pensiero che non parteciperanno al funerale del loro papà appena cinquantenne.
In sintesi, per secoli queste zone hanno avuto – necessariamente – grandi case nelle campagne, poiché le famiglie patriarcali contadine erano numerose, ma ampie anche nei borghi, poiché erano comunque famiglie patriarcali e, fossero esse di commercianti o d’artigiani, commerci e botteghe richiedevano molta manodopera, senza considerare il lavoro femminile per la cura della famiglia e per le tradizionali attività di sartoria e cucito. Mica s’andava al supermercato ad acquistare le magliette.

L’industrializzazione frammentò lentamente quel mondo, ma solo negli ultimi decenni comparvero sul mercato quelle grandi case – silenti testimoni di un tempo trascorso, dimenticato, trapassato a fil di spada dall’incedere dell’industrializzazione e poi della repentina deindustrializzazione – oggi oramai svuotate dall’incedere delle generazioni (meno numerose) e dall’emigrazione.
Con la fine dei grandi agglomerati industriali, in molte parti d’Italia è rimasta solo l’agricoltura: un’agricoltura di vecchi, come ho parecchie volte ricordato in altri articoli, che va morendo anch’essa.

In effetti, oramai si può viaggiare per centinaia di chilometri – diciamo dall’entroterra di Ventimiglia a quello di Piacenza, forse oltre – senza incontrare anima viva su vecchie strade campestri, le cosiddette “Vie del Sale”.
Su quelle arterie, si possono contare a decine, centinaia, migliaia…le abitazioni abbandonate e nessun governo, da molto tempo, si preoccupa più d’ascoltare e comprendere quelle popolazioni: sono poche anime, pochi voti.
Eppure, i pochi rimasti presidiano un territorio enorme e, ad ogni alluvione – la regolazione dell’acqua in quota è oramai inesistente – la loro mancanza si concretizza in milioni di euro da spendere, dopo, per ricostruire. Già, “ricostruire”: proprio quello che “muove” il PIL.

Per spendere, però, bisogna trovare i soldi e allora si vara una legge di stampo staliniano, mediante la quale si stabilisce per norma che non si può abitare in meno dell’80% della superficie abitativa totale. Il che, pensando ai centri storici vuoti, alle vecchiette che abitano interi piani, fa quasi ridere: tanto, lor signori che fanno le leggi, preferiscono avere immobili dappertutto – dai Caraibi a Montecarlo – e quando le hanno in Italia riescono spesso ad addossare al pubblico i costi di ristrutturazione. E’ una dimora d’interesse storico…eh, che ci volete fare…l’intervento delle Belle Arti è un fatto “dovuto”…io, politico, non c’entro niente: già Moretti immortalò queste faccende nel “Portaborse”.
Ma torniamo al faccione di Berlusconi che urla: «Vi toglierò l’ICI!», e lo fa. Ricordiamo, per la precisione, che l’ICI sulle prime case abolita da Berlusconi era soltanto quella per i redditi medio-alti, poiché quella sui redditi minori l’aveva già tolta Prodi.

A questo punto, mancano dei soldi poiché i Comuni hanno meno introiti: bene! Tremonti e Brunetta si mettono al lavoro.
Il primo riesce ad imporre una riforma della scuola che produrrà quasi 8 miliardi di “risparmi” in cinque anni: non importa se nelle scuole manca oramai tutto, se le classi rimangono senza insegnanti perché basta una “ventata” d’influenza invernale e tutto va a catafascio (la famosa “ristrutturazione” delle cattedre). Brunetta salassa a sua volta i dipendenti pubblici con la tassa sulla malattia: sei malato? Paga il ticket e prendi meno soldi! Così si fa, brutti fannulloni!
Ma non basta ancora, e per due motivi.

Il primo l’abbiamo letto tutti sui giornali: forse esaltati dalla maggioranza parlamentare “bulgara” che hanno ottenuto nel 2008, i partiti di governo si lasciano andare ad un vero e proprio saccheggio della finanza pubblica. Vengono promosse dirigenti di primo livello (con relativi stipendi da favola) le segretarie di tutti gli attacché di Palazzo Chigi: il resto, se ne va nei mille rivoli della Protezione Civile, dell’Aquila, della Maddalena, ecc. Una montagna di soldi che prende altre strade, ed ai Comuni non arriva più niente.
Cosa fanno, allora?
Concedono ai Comuni di re-introdurre – sotto mentite spoglie – l’ICI sotto forma di tassa sulla spazzatura e, attenzione, questi “vigorosi” aumenti non riguardano i comuni meno “virtuosi”, quelli che non praticano la raccolta differenziata.
Un simile provvedimento – che non tiene conto del livello di riciclo – in realtà spinge proprio all’opposto: che mi frega di stare a dividere la carta dalle lampadine, se poi mi “stangano” in questo modo? Ed è proprio ciò che desiderano le mafie che, nonostante le assicurazioni di Maroni, imperversano oramai anche al Nord.

La ridicola Lega Nord, poi – tra un raduno “cornuto” ed un’ampolla d’acqua (sporca) – riesce a digerire tutto, ma proprio tutto, ed afferma di farlo per difendere il Nord!
Così, in Campania, c’è una “torta” di 150 milioni di euro da spartire: su quei soldi giocano la loro partita da una parte Cosentino e gli uomini di Casal di Principe, dall’altra Caldoro e la “pasionaria” Mara Carfagna. Chi acchiapperà quei soldi, non li userà proprio per la spazzatura (che continua e continuerà ad impestare la Campania), bensì per accaparrare alla propria fazione il Comune di Napoli: il solito “tour turistico” della monnezza al quale siamo abituati.
Ma, se i soldi mancano perché ci sono questa ed altre “emergenze”, bisogna tagliare i fondi agli enti locali, e quindi saranno tutti i cittadini a pagare, compresi quelli dei comuni dove si ricicla di più: la Lega Nord, obbediente, nella Padania strepita ed a Roma vota, vota sempre, vota tutto.
E’ proprio vero che la Lega Nord è soltanto più un partito di pagliacci.

Ma, di là dell’evidente fastidio di dover pagare la tassa sulla spazzatura a metro quadrato (assurdo), e non a persona con una quota riservata alla superficie: ad esempio, 4/5 calcolati sulla popolazione ed 1/5 sulle superfici, come sarebbe probabilmente più logico, c’è in più l’aggravio “staliniano” di chi decide de iure in quanti metri abiti.
Così, si pongono le popolazioni di fronte ad un dilemma: accatastare queste grandi case in più unità abitative – e allora scatta l’ICI come seconde case – oppure mantenere un unico accatastamento e pagare l’ICI mascherata da tassa sulla spazzatura.
Insomma, hanno congegnato un bel giochino, anno dopo anno, fatto di leggi votate in silenzio e di strombazzamenti sui media: sarebbe l’ora che i tanti che votano la Lega, qui al Nord, iniziassero a rendersi conto che quel partito è solo una “costola” del sistema che dissangua la popolazione truccato da partito “antisistema”. Una strana vicenda, nella quale Robin Hood e lo Sceriffo di Nottingham fanno finta di combattersi, e passano entrambi a taglieggiare le popolazioni.

L’ultima stazione (per ora) di questa Via Crucis è quella che chiamano federalismo fiscale, del quale hanno già strombazzato tutte le “sanzioni” che ci saranno per i “governatori” incapaci. Siamo ovviamente felici, perché siamo tutti certi che – se Formigoni dovesse “sforare” la spesa sanitaria – lo getterebbero alle ortiche senza il minimo ripensamento, come afferma la legge. Come no.
Come hanno fatto per Cosentino, salvato proprio da un voto parlamentare: ma fateci il piacere!
La realtà del federalismo fiscale è stata invece calcolata in un aggravio, per i ceti medi – sono oramai sempre loro ad essere colpiti – che giunge a 900 euro annui, sotto forma di nuove addizionali in busta paga e quant’altro.

Per fortuna, in questo panorama da brivido, stanno arrivando i tedeschi.
No, non scendono più i Panzer e non volano in cielo gli Stuka.
Sono pensionati tedeschi, svizzeri, olandesi e qualche raro scandinavo, i quali hanno scoperto da soli la bellezza della nostra terra e la possibilità di trascorrere anni piacevoli in un terra che è pur sempre meno gelida delle loro e non distante dal Mar Mediterraneo.
Sono attratti dalla bellezza dei luoghi, dai mille castelli e chiese che li adornano, dai valori immobiliari accessibili: acquistano una casa e poi girano i piccoli borghi, osservano le chiese sprangate, i castelli chiusi. Chiedono informazioni sugli orari d’apertura e le risposte non possono che esser sempre le stesse: nicht, nein, verboten, geschlossen…
Una fortuna potrebbe cadere dal cielo su mezza Italia dimenticata e nessuno se n’accorge: i sindaci, invece d’interrogarsi sul come trasformare quelle risposte in ja, offen, im Sonntag…stanno nei loro uffici e meditano su quante lettere potranno spedire nel mese per gli “adeguamenti” della tassa sulla spazzatura: siamo proprio diventati, oramai, una Nazione che vive di monnezza, che solo la monnezza vede, che solo la monnezza ha dentro.
Eppure, non ci vorrebbe molto: basterebbe saper fare l’amministratore, non essere diventato amministratore per fedeltà al partito.

I castelli e le chiese vengono spesso ristrutturati con fondi europei: e dopo?
Dopo, il lavoro è compiuto: si stampa un bel depliant a colori (con soldi pubblici) per mostrare il lavoro eseguito. E allora? Se ristrutturi qualcosa, dopo dovresti adoperarlo.
Gli stranieri capiscono che mantenere il patrimonio artistico ha un costo: non si meraviglierebbero se vi fossero dei “pacchetti” per visitare i monumenti che prevedessero un ticket. Ma vorrebbero qualcosa in cambio.
Ci vuole molto per organizzare qualche concerto? Bastano gli studenti degli ultimi anni del Conservatorio o i neo-diplomati, per i quali un semplice rimborso spese è sempre gradito per suonare, a fronte del nulla che trovano.
Qualcuno gestisce piccoli maneggi (a volte, più per passione che per altro), ma non esiste organizzazione per informare, proporre, organizzare passeggiate a cavallo in luoghi che mozzano il fiato per la loro bellezza.
Una cena medievale nel castello, con menu dell’epoca, balli e canti? Ci sono migliaia di compagnie teatrali di dilettanti che saprebbero sapientemente allietare quelle serate, ed ottimi chef per la cucina.
E poi: il tiro con l’arco, i funghi, i frutti del bosco, la giornata su una barca a vela, la pesca…quante cose si potrebbero organizzare per un turismo soft ed intelligente, se solo gi amministratori pensassero al benessere delle popolazioni e non a taglieggiarle!

Scusate, devo andare: il sogno è finito. Mia moglie mi chiama: devo portar via la spazzatura.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.


[1] Vedi: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/12/02/news/case_fantasmi-9746775
[2] Beppe Fenoglio, "Un giorno di fuoco".
[3] Beppe Fenoglio, " Diario XXV".