L’attacco alla Freedom Flotilla dello scorso 31 Maggio, è parso a molti come una boa senza ritorno, qualcosa che potrebbe scardinare gli attuali equilibri nell’area. Oppure che, passata l’indignazione, tutto rimarrà come prima.
Sinceramente, il mio sesto senso sta raccontando che la seconda ipotesi è la più plausibile, almeno per quel che riguarda gli aspetti esteriori, soprattutto per quelli di stampo militare. Un po’ diversa la situazione, invece, in ambito politico e, soprattutto, mediatico.
L’aspetto giuridico
Secondo la Conferenza di Ginevra del 1958, il limite nel quale uno Stato può esercitare il controllo sui natanti che vi transitano è di 12 miglia nautiche, circa 23 Km. Chi esercita la giurisdizione sulla nave?
Il principio generale è che ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui ha nazionalità: lo Stato di bandiera o Stato nazionale ha diritto all’esercizio esclusivo del potere di governo sulla comunità navale e esercita siffatto potere attraverso il comandante (considerato come organo dello Stato).
La successiva Conferenza di Montago Bay (1982) introdusse il concetto di mare territoriale (sempre 12 miglia), estendendo però il limite a 24 miglia (46 Km circa) – in quella che è definita zona contigua al mare territoriale, calcolato dalla linea dei capi, ossia dai segmenti che uniscono i capi della costa – ma solo per le seguenti attività:
a) prevenire la violazione delle proprie leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione;
b) reprimere le violazioni alle stesse leggi, qualora siano commesse sul suo territorio o nel suo mare territoriale.
Quali sono i casi nei quali una Marina può intervenire?
1) Acque internazionali. La nave pirata può essere catturata da qualsiasi Stato e sottoposta a misure repressive. Lo Stato nel cui territorio è in corso una guerra civile può visitare e catturare qualsiasi nave che si proponga di recare aiuto (in armi o armati) agli insorti;
2) Zona economica esclusiva. Lo Stato costiero può visitare e catturare navi e relativo carico per infrazioni alle proprie leggi sulla pesca o allo sfruttamento delle risorse sottomarine;
3) Mare territoriale. Rilevano i principi già analizzati del diritto di passaggio inoffensivo e della sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero dei fatti puramente interni alla nave.
Precisiamo che il conflitto arabo-israeliano non può rientrare nella casistica delle guerre civili, giacché i palestinesi non sono cittadini israeliani.
La materia è assai complessa (non tutti gli Stati hanno recepito in pieno i contenuti della Conferenza di Montago Bay), perciò consigliamo chi desiderasse approfondire l’argomento di visitare il collegamento in nota[1], dal quale è stato tratto il testo in corsivo.
Secondo le cronache inviate dai partecipanti alla missione della Freedom Flotilla[2], “L'attacco è avvenuto in acque internazionali, a 75 miglia al largo della costa di Israele, in violazione del diritto internazionale”. Le fonti israeliane non hanno smentito, ossia non hanno affermato che le navi stessero attraversando aree sottoposte alla Conferenza di Ginevra del 1958 né altre aree che consentissero ad Israele qualsivoglia diritto ad intervenire per un’ispezione.
Siccome le navi della Freedom Flotilla battevano regolarmente la bandiera dei relativi Stati, il comportamento israeliano può essere circoscritto a tre eventi:
1) atto di pirateria;
2) guerra di corsa;
3) atto di guerra nei confronti dei Paesi di provenienza (bandiera) del naviglio in oggetto.
I casi 1 e 2 non possono essere presi in considerazione, giacché le navi assalitrici (israeliane) non battevano bandiera pirata e nemmeno possedevano una patente di corsa, consegnata loro dal relativo governo, nei confronti delle navi assalite.
Siccome le navi della Freedom Flotilla non avevano atteggiamento ostile, né avevano commesso atti di guerra nei confronti di chicchessia e neppure avevano attentato all’ecosistema marittimo, violando le norme relative alla conservazione degli ambienti marini la Marina Israeliana – ai sensi della normativa internazionale – ha commesso un atto di guerra nei confronti della Turchia, della Grecia e d’eventuali altre navi battenti altre bandiere.
Ai sensi della normativa internazionale, le nazioni assalite potrebbero rispondere con atti di guerra nei confronti dello Stato di Israele senza, per questo, essere accusate d’iniziare una guerra: l’atto israeliano consentirebbe loro la semplice difesa.
L’aspetto mediatico
L’assalto alla Freedom Flotilla è stata una sconfitta mediatica come mai se n’erano viste per l’apparato d’informazione israeliano: disinformativo o controinformativo che lo si voglia definire.
Interessante notare come una serie di personaggi, da Levy a Grossmann, fino al nostrano Lerner si siano smarcati da una difesa che non aveva più basi per reggere.
Rimangono sulla barricata le Nirenstein, ma questo è ovvio: se la suddivisione dell’intelligenza – per dirla con Cipolla – è una costante nella popolazione degli umani, il buon senso – per dirla con Cartesio – non fu distribuito da Dio in gran copia.
Diventa, quindi, interessante notare i “distinguo” dei commentatori “prudenti” – i quali hanno compreso che la falla fa acqua e non può essere tappata – dai pasdaran che tirano dritto come niente fosse.
Questi ultimi sono giunti al ridicolo.
Presentano bancarelle[3] multicolori dove, a Gaza, abbondano verdure d’ogni tipo: nessuno di noi, ovviamente, ha letto le statistiche di fonte ONU[4] nelle quali sono esposte le drammatiche condizioni di vita dei palestinesi nella striscia di Gaza, derivanti soprattutto dall’illegale embargo israeliano.
Costoro, in definitiva, offendono la nostra intelligenza: sarebbe come fotografare la vetrina di un autosalone zeppo di Jaguar, Bentley e Rolls-Royce a Roma e poi affermare che tutti gli italiani sono dei Paperoni.
Ehi, capataz pelato, fratello dell’editore “ammazzateli tutti”, non ti ho fornito una bella idea? Pensaci.
Poi, ci sono le disinformazioni più “tecniche”[5], dove vi fanno ascoltare l’accorato richiamo via radio di un ufficiale israeliano – a bordo della nave che poi assalirà la Freedom Flotilla – il quale pretende (ma insomma, questi pacifisti non vogliono proprio collaborare!) che le navi lo seguano in un porto israeliano. Dimenticando che, in acque internazionali, la richiesta si configura praticamente come guerra di corsa.
Noi, che ci siamo dilettati nel cercare di capire le stranezze di certi eventi storici – da Pearl Harbour ad Ustica, dal Tonchino all’11 Settembre – siamo stati tutti, ovviamente, completamente convinti dalle accorate richieste dell’ufficiale israeliano. Che, raccontano, era proprio in contatto radio con la Freedom Flotilla! Per quel che riguarda l’onere della prova, quel tizio poteva essere in uno studio televisivo a Tel Aviv e poteva parlare con il regista di là di un pannello di polistirolo.
La realtà, però, ha tagliato loro le ali.
Hanno dovuto ammettere che l’assalto è avvenuto in acque internazionali, mettendo in soffitta vecchi tentativi di ampliamento “unilaterale” delle acque territoriali: anche noi italiani potremmo ampliare unilateralmente, ad esempio, le nostre acque territoriali ad Ovest di 200 miglia. Bisognerebbe, però, sapere come la prenderebbero alla base militare francese di Tolone.
Perciò, l’informazione israeliana meno “de no antri” ha scelto l’altra strada: salvare l’icona di Shalit e dei terrificanti missili di Hamas, gettando a mare (sic!) la marina di Tzahal, l’insipienza di Barak e la sfingea inconcludenza di Netanyahu.
Ma, quella che appare come una semplice scelta redazionale, nasconde in realtà due diverse impostazioni politiche per il futuro.
Qual era il vero obiettivo?
L’aspetto politico
Il vero obiettivo dell’azione militare condotta il 31 Maggio 2010 (anniversario della battaglia dello Jutland!) era la Turchia, ma non sul piano geopolitico (ossia intesa nella sua interezza): l’esito atteso era quello di far saltare gli equilibri interni turchi.
Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro.
Per riuscire a traghettare l’Impero Ottomano verso la moderna Turchia, Mustafà Kemal (detto Ataturk) dovette cedere l’arbitrato del suo impianto costituzionale alla casta militare. In altre parole, dal 1923 in poi, furono i militari a reggere – in pratica – il timone della politica turca.
Una reggenza a volte discreta, altre pesante, come dimostrano i colpi di stato del 1960, 1971 e 1980, ma non è probabilmente coerente chiamare “colpi di stato” le ingerenze dei militari nella vita politica turca, giacché quel diritto – che può essere inteso come una sorta di “veto” quando essi ritengano che la politica turca si discosti troppo dai loro piani – fu riconosciuto proprio da Ataturk. Al punto che la tribuna centrale del parlamento turco era riservata proprio ai militari: osservatori silenti (ma non troppo) di tutte le vicende legislative della Turchia moderna.
Ovvio che questo impianto non potrebbe mai essere accettato all’interno dell’Unione Europea – come non potrebbe mai essere accettato uno Stato come Israele, addirittura privo di una Costituzione – ed il compito del partito islamico moderato dei Gul e degli Erdogan è proprio questo: riportare l’esercito all’interno dei confini “naturali” stabiliti da tempo in Europa.
Chi, in Turchia, aveva solidi rapporti con Israele?
Il perno della “strana alleanza”, fra il più popoloso paese musulmano del Mediterraneo e la “controparte” ebraica, ruota (anzi, oramai potremmo dire “ruotava”) proprio sulle collaborazioni in campo militare, le manovre congiunte, ecc. In pratica, con questa impostazione forse un po’ bislacca ma in qualche modo funzionale, Israele manteneva un piede nella staffa NATO, poiché la Turchia è da sempre il “baluardo” ad Est dell’Alleanza Atlantica.
La nuova politica di Erdogan – si veda, come prodromo della situazione di questi giorni, il mio “Solimano guarda verso Est”[6] – mette ovviamente in crisi i rapporti fra la casta militare ed Israele indebolendo, contemporaneamente, i militari all’interno e l’alleanza sul piano internazionale.
In fin dei conti, potremmo quasi affermare che l’attacco alle navi della Freedom Flotilla sia stato una “scialuppa di salvataggio” lanciata ai militari turchi, per compiere quel “quarto colpo di stato” che avrebbe riportato la politica turca su un binario più gradito a Tel Aviv. Difatti, Erdogan torna precipitosamente in Turchia dall’America del Sud (dov’era in visita) e s’affretta a cavalcare politicamente uno sfrenato antisionismo, unica sua “assicurazione” contro le mire dei militari. I quali, osservando che la popolazione è schierata all’unisono con il partito islamico, si trovano depotenziati ad agire.
E, questo, corrisponde in pieno con le due “anime” dell’informazione israeliana: quella rozza, che considerava un gioco da ragazzi scatenare la reazione interna dei militari turchi, e che oggi continua ad affossare Israele sul piano internazionale. La quale, però – contemporaneamente – riesce a “parlare” a quella parte del sionismo estremo a fini interni israeliani: giustificando l’ingiustificabile, continua a legare al carro del Likud i partiti estremisti dell’ortodossia ebraica.
Se, invece, preferite un approccio meno legato ad Ezechiele e desiderate fare un po’ di Kippur per le vittime innocenti, è pronta l’altra campana – Grossmann, Levy, Lerner, ecc – i quali (essendo più intelligenti della focosa Nirenstein) hanno subito compreso che l’operazione era miseramente fallita e tentano – con una buona dose di cenere fra i capelli – di salvare almeno il salvabile, ossia che Hamas è un’organizzazione terrorista, la quale governa “illegalmente” Gaza (ma non aveva vinto le elezioni?), i terrificanti razzi palestinesi, il soldato Shalit, ecc. Leggete i loro articoli: grondano pentimento e salvatio, salvezza per quel poco che tentano di salvare.
A questi signori, imbellettati di tanto ardore democratico, poniamo una domanda che può apparire tecnica, mentre è invece profondamente politica.
Perché mai, le navi israeliane – se desideravano mantenere il blocco di Gaza – non hanno fermato il convoglio appena fosse entrato nelle acque territoriali (sedicenti) israeliane – 23 km da terra, mica sulla spiaggia – per chiedere, con tutti i crismi della legalità internazionale marittima, un’ispezione?
Vista l’ora dell’attacco e la rotta del convoglio, le navi della Freedom Flotilla avrebbero varcato la soglia delle 12 miglia nautiche all’alba: cosa ben diversa rispetto alla notte, come chiunque abbia navigato ben sa. La notte, in mare, ogni tappo di sughero si trasforma nell’Olandese Volante.
Se l’avessero fatto, nessuno avrebbe messo in dubbio il diritto israeliano d’ispezione: alla luce del sole in tutti i sensi, temporale e giuridico.
Invece?
Invece, si scende dalle funi con gli elicotteri in hovering sopra delle navi mercantili, dove la gente sta dormendo – durante “l’ora del lupo”, fra le 3 e le 4 di notte – per poi poter dire che ci sono state reazioni violente, ma le uniche dichiarazioni delle prime ore sono quelle israeliane. Quelle di una forza navale che sequestra ed imprigiona senza motivo centinaia di persone di svariate nazionalità!
Spieghino, gli illustri giornalisti di nazionalità israeliana o di provata “amicizia” per lo Stato d’Israele, le motivazioni di quella scelta, che è incomprensibile proprio alla luce del diritto marittimo e del buon senso: a meno che – come sopra ricordavamo – i “destinatari” di tanto clamore fossero pochi personaggi con molte stellette sulle uniformi, che attendevano un centinaio di miglia a Nord, con i piedi ben piantati sulla terraferma. I quali, hanno glissato. Qui, si apre l’altro scenario, quello militare.
L’aspetto militare
Israele ha smarrito l’icona di terrifica potenza militare nella campagna libanese del 2006, e non l’ha più ritrovata. Si limitano a bombardare ed a vessare la popolazione civile di Gaza, ma finiscono per mostrare al mondo la loro deprimente impotenza.
Perché affermiamo ciò?
Poiché se, nel 2006, Israele fosse stato la potenza militare tanto osannata, le colonne corazzate di Tzahal avrebbero dovuto innestare la marcia in Galilea e frenare nel centro dei Beirut. In realtà, non giunsero nemmeno a varcare il Litani, lasciando sul campo circa il 10% dei mezzi corazzati.
A cosa fu dovuta quella sconfitta?
Al deprimente pressappochismo dei suoi generali ed ai mezzi tecnici del nemico.
I carri israeliani furono fermati da un nuovo tipo di lanciarazzi russo a doppia carica: il primo razzo provocava lo scoppio della corazza reattiva[7], mentre il secondo penetrava il carro. Successivamente, ci furono le proteste israeliane a Mosca, ma i russi risposero con il classico “pippa”.
Ancor più significativo fu il danneggiamento o l’affondamento (ha scarsa importanza) d’alcune unità navali israeliane, ad opera dei missili antinave lanciati da Hezbollah. Qui, è necessario un approfondimento.
Un missile non colpisce per traiettoria balistica (a differenza di un razzo), bensì perché l’elettronica di cui dispone – in volo od a terra – gli consente di “trovare” da solo il bersaglio. Ovviamente, la nave tenterà di confondere il missile inviando falsi segnali ed “oscurando” la propria posizione: in gergo tecnico, queste operazioni si chiamano ECM od ECCM, ossia contromisure elettroniche e contro-contromisure elettroniche.
Come probabilmente avrete capito, si tratta di una partita a scacchi elettronica, nella quale ciascuno dei due contendenti cerca di confondere l’avversario: potete aggiungere tutti i “contro” che desiderate.
I missili giunti sui bersagli, però, testimoniarono che l’elettronica di Hezbollah (di provenienza siriana, quindi iraniana, in definitiva software indiano o russo) ebbe la meglio su quella israeliana, di provenienza USA. Ciò allarmò, e parecchio, le alte sfere militari, di qua e di là dell’Oceano Atlantico. Mesi dopo fu programmata ed eseguita una ricognizione armata sul territorio siriano, molto probabilmente per “catturare” segnali elettronici, più che per colpire chicchessia.
Dal 2006 – nonostante le roboanti minacce all’Iran – Tzahal se n’è stato ben compreso nei suoi confini: al più, esercitano una sorta di “caccia alla volpe” sui civili palestinesi, ad esclusivo uso della propaganda interna.
Perché Israele non ha deciso – quando ancora era in carica Bush – di bombardare i siti nucleari iraniani?
Semplicemente, perché non era e non è in grado di farlo.
In tutti i casi, gli F-15 con la stella di David dovrebbero inoltrarsi per centinaia di chilometri sul territorio o sul mare nemico, e non sono in grado di farlo. Troppo rischioso, perché l’Iran non è certo Hamas. Troppo lontano, per non rischiare fiaschi ancora peggiori. Troppo pericoloso anche per scatenare Armagheddon, giacché all’attacco nucleare israeliano – i quali, ritengo, non avrebbero remore ad attuarlo – subirebbe il contrattacco con testate biologiche dall’Iran, mentre i missili Iskander siriani “ombreggiano” già oggi i siti nucleari israeliani, compresa la centrale di Dimona.
La vecchia definizione di “tigre di carta” – in fin dei conti – ben s’adatta: ciò non ha condotto certo i militari turchi a lanciarsi nella carica. Più probabilmente, li ha consigliati di ringuainare le sciabole.
Conclusioni
Quello che sta avvenendo, è soltanto la disperata ritorsione di un imperialista mancato, il quale osserva passare il tempo e, con esso, vede ogni giorno scemare le possibilità di raggiungere i suoi obiettivi di potenza, la Eretz Israel tanto agognata.
Lo stesso Olmert giunse a dire, nel Settembre del 2008, che:
“Grande Israele è finita. Essa non esiste. Chi parla in questo modo si auto-illude.”[8]
Purtroppo, dalle le treccine nere che spuntano dalle tese dei cappelli a Gerusalemme – fino alle treccine rosse di qualche giornalista nostrana – pare che la sordità stia dilagando. Consiglieremmo un buon otorinolaringoiatra: prima che sia troppo tardi e che la sordità, inesorabilmente, avanzi.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Sinceramente, il mio sesto senso sta raccontando che la seconda ipotesi è la più plausibile, almeno per quel che riguarda gli aspetti esteriori, soprattutto per quelli di stampo militare. Un po’ diversa la situazione, invece, in ambito politico e, soprattutto, mediatico.
L’aspetto giuridico
Secondo la Conferenza di Ginevra del 1958, il limite nel quale uno Stato può esercitare il controllo sui natanti che vi transitano è di 12 miglia nautiche, circa 23 Km. Chi esercita la giurisdizione sulla nave?
Il principio generale è che ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui ha nazionalità: lo Stato di bandiera o Stato nazionale ha diritto all’esercizio esclusivo del potere di governo sulla comunità navale e esercita siffatto potere attraverso il comandante (considerato come organo dello Stato).
La successiva Conferenza di Montago Bay (1982) introdusse il concetto di mare territoriale (sempre 12 miglia), estendendo però il limite a 24 miglia (46 Km circa) – in quella che è definita zona contigua al mare territoriale, calcolato dalla linea dei capi, ossia dai segmenti che uniscono i capi della costa – ma solo per le seguenti attività:
a) prevenire la violazione delle proprie leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione;
b) reprimere le violazioni alle stesse leggi, qualora siano commesse sul suo territorio o nel suo mare territoriale.
Quali sono i casi nei quali una Marina può intervenire?
1) Acque internazionali. La nave pirata può essere catturata da qualsiasi Stato e sottoposta a misure repressive. Lo Stato nel cui territorio è in corso una guerra civile può visitare e catturare qualsiasi nave che si proponga di recare aiuto (in armi o armati) agli insorti;
2) Zona economica esclusiva. Lo Stato costiero può visitare e catturare navi e relativo carico per infrazioni alle proprie leggi sulla pesca o allo sfruttamento delle risorse sottomarine;
3) Mare territoriale. Rilevano i principi già analizzati del diritto di passaggio inoffensivo e della sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero dei fatti puramente interni alla nave.
Precisiamo che il conflitto arabo-israeliano non può rientrare nella casistica delle guerre civili, giacché i palestinesi non sono cittadini israeliani.
La materia è assai complessa (non tutti gli Stati hanno recepito in pieno i contenuti della Conferenza di Montago Bay), perciò consigliamo chi desiderasse approfondire l’argomento di visitare il collegamento in nota[1], dal quale è stato tratto il testo in corsivo.
Secondo le cronache inviate dai partecipanti alla missione della Freedom Flotilla[2], “L'attacco è avvenuto in acque internazionali, a 75 miglia al largo della costa di Israele, in violazione del diritto internazionale”. Le fonti israeliane non hanno smentito, ossia non hanno affermato che le navi stessero attraversando aree sottoposte alla Conferenza di Ginevra del 1958 né altre aree che consentissero ad Israele qualsivoglia diritto ad intervenire per un’ispezione.
Siccome le navi della Freedom Flotilla battevano regolarmente la bandiera dei relativi Stati, il comportamento israeliano può essere circoscritto a tre eventi:
1) atto di pirateria;
2) guerra di corsa;
3) atto di guerra nei confronti dei Paesi di provenienza (bandiera) del naviglio in oggetto.
I casi 1 e 2 non possono essere presi in considerazione, giacché le navi assalitrici (israeliane) non battevano bandiera pirata e nemmeno possedevano una patente di corsa, consegnata loro dal relativo governo, nei confronti delle navi assalite.
Siccome le navi della Freedom Flotilla non avevano atteggiamento ostile, né avevano commesso atti di guerra nei confronti di chicchessia e neppure avevano attentato all’ecosistema marittimo, violando le norme relative alla conservazione degli ambienti marini la Marina Israeliana – ai sensi della normativa internazionale – ha commesso un atto di guerra nei confronti della Turchia, della Grecia e d’eventuali altre navi battenti altre bandiere.
Ai sensi della normativa internazionale, le nazioni assalite potrebbero rispondere con atti di guerra nei confronti dello Stato di Israele senza, per questo, essere accusate d’iniziare una guerra: l’atto israeliano consentirebbe loro la semplice difesa.
L’aspetto mediatico
L’assalto alla Freedom Flotilla è stata una sconfitta mediatica come mai se n’erano viste per l’apparato d’informazione israeliano: disinformativo o controinformativo che lo si voglia definire.
Interessante notare come una serie di personaggi, da Levy a Grossmann, fino al nostrano Lerner si siano smarcati da una difesa che non aveva più basi per reggere.
Rimangono sulla barricata le Nirenstein, ma questo è ovvio: se la suddivisione dell’intelligenza – per dirla con Cipolla – è una costante nella popolazione degli umani, il buon senso – per dirla con Cartesio – non fu distribuito da Dio in gran copia.
Diventa, quindi, interessante notare i “distinguo” dei commentatori “prudenti” – i quali hanno compreso che la falla fa acqua e non può essere tappata – dai pasdaran che tirano dritto come niente fosse.
Questi ultimi sono giunti al ridicolo.
Presentano bancarelle[3] multicolori dove, a Gaza, abbondano verdure d’ogni tipo: nessuno di noi, ovviamente, ha letto le statistiche di fonte ONU[4] nelle quali sono esposte le drammatiche condizioni di vita dei palestinesi nella striscia di Gaza, derivanti soprattutto dall’illegale embargo israeliano.
Costoro, in definitiva, offendono la nostra intelligenza: sarebbe come fotografare la vetrina di un autosalone zeppo di Jaguar, Bentley e Rolls-Royce a Roma e poi affermare che tutti gli italiani sono dei Paperoni.
Ehi, capataz pelato, fratello dell’editore “ammazzateli tutti”, non ti ho fornito una bella idea? Pensaci.
Poi, ci sono le disinformazioni più “tecniche”[5], dove vi fanno ascoltare l’accorato richiamo via radio di un ufficiale israeliano – a bordo della nave che poi assalirà la Freedom Flotilla – il quale pretende (ma insomma, questi pacifisti non vogliono proprio collaborare!) che le navi lo seguano in un porto israeliano. Dimenticando che, in acque internazionali, la richiesta si configura praticamente come guerra di corsa.
Noi, che ci siamo dilettati nel cercare di capire le stranezze di certi eventi storici – da Pearl Harbour ad Ustica, dal Tonchino all’11 Settembre – siamo stati tutti, ovviamente, completamente convinti dalle accorate richieste dell’ufficiale israeliano. Che, raccontano, era proprio in contatto radio con la Freedom Flotilla! Per quel che riguarda l’onere della prova, quel tizio poteva essere in uno studio televisivo a Tel Aviv e poteva parlare con il regista di là di un pannello di polistirolo.
La realtà, però, ha tagliato loro le ali.
Hanno dovuto ammettere che l’assalto è avvenuto in acque internazionali, mettendo in soffitta vecchi tentativi di ampliamento “unilaterale” delle acque territoriali: anche noi italiani potremmo ampliare unilateralmente, ad esempio, le nostre acque territoriali ad Ovest di 200 miglia. Bisognerebbe, però, sapere come la prenderebbero alla base militare francese di Tolone.
Perciò, l’informazione israeliana meno “de no antri” ha scelto l’altra strada: salvare l’icona di Shalit e dei terrificanti missili di Hamas, gettando a mare (sic!) la marina di Tzahal, l’insipienza di Barak e la sfingea inconcludenza di Netanyahu.
Ma, quella che appare come una semplice scelta redazionale, nasconde in realtà due diverse impostazioni politiche per il futuro.
Qual era il vero obiettivo?
L’aspetto politico
Il vero obiettivo dell’azione militare condotta il 31 Maggio 2010 (anniversario della battaglia dello Jutland!) era la Turchia, ma non sul piano geopolitico (ossia intesa nella sua interezza): l’esito atteso era quello di far saltare gli equilibri interni turchi.
Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro.
Per riuscire a traghettare l’Impero Ottomano verso la moderna Turchia, Mustafà Kemal (detto Ataturk) dovette cedere l’arbitrato del suo impianto costituzionale alla casta militare. In altre parole, dal 1923 in poi, furono i militari a reggere – in pratica – il timone della politica turca.
Una reggenza a volte discreta, altre pesante, come dimostrano i colpi di stato del 1960, 1971 e 1980, ma non è probabilmente coerente chiamare “colpi di stato” le ingerenze dei militari nella vita politica turca, giacché quel diritto – che può essere inteso come una sorta di “veto” quando essi ritengano che la politica turca si discosti troppo dai loro piani – fu riconosciuto proprio da Ataturk. Al punto che la tribuna centrale del parlamento turco era riservata proprio ai militari: osservatori silenti (ma non troppo) di tutte le vicende legislative della Turchia moderna.
Ovvio che questo impianto non potrebbe mai essere accettato all’interno dell’Unione Europea – come non potrebbe mai essere accettato uno Stato come Israele, addirittura privo di una Costituzione – ed il compito del partito islamico moderato dei Gul e degli Erdogan è proprio questo: riportare l’esercito all’interno dei confini “naturali” stabiliti da tempo in Europa.
Chi, in Turchia, aveva solidi rapporti con Israele?
Il perno della “strana alleanza”, fra il più popoloso paese musulmano del Mediterraneo e la “controparte” ebraica, ruota (anzi, oramai potremmo dire “ruotava”) proprio sulle collaborazioni in campo militare, le manovre congiunte, ecc. In pratica, con questa impostazione forse un po’ bislacca ma in qualche modo funzionale, Israele manteneva un piede nella staffa NATO, poiché la Turchia è da sempre il “baluardo” ad Est dell’Alleanza Atlantica.
La nuova politica di Erdogan – si veda, come prodromo della situazione di questi giorni, il mio “Solimano guarda verso Est”[6] – mette ovviamente in crisi i rapporti fra la casta militare ed Israele indebolendo, contemporaneamente, i militari all’interno e l’alleanza sul piano internazionale.
In fin dei conti, potremmo quasi affermare che l’attacco alle navi della Freedom Flotilla sia stato una “scialuppa di salvataggio” lanciata ai militari turchi, per compiere quel “quarto colpo di stato” che avrebbe riportato la politica turca su un binario più gradito a Tel Aviv. Difatti, Erdogan torna precipitosamente in Turchia dall’America del Sud (dov’era in visita) e s’affretta a cavalcare politicamente uno sfrenato antisionismo, unica sua “assicurazione” contro le mire dei militari. I quali, osservando che la popolazione è schierata all’unisono con il partito islamico, si trovano depotenziati ad agire.
E, questo, corrisponde in pieno con le due “anime” dell’informazione israeliana: quella rozza, che considerava un gioco da ragazzi scatenare la reazione interna dei militari turchi, e che oggi continua ad affossare Israele sul piano internazionale. La quale, però – contemporaneamente – riesce a “parlare” a quella parte del sionismo estremo a fini interni israeliani: giustificando l’ingiustificabile, continua a legare al carro del Likud i partiti estremisti dell’ortodossia ebraica.
Se, invece, preferite un approccio meno legato ad Ezechiele e desiderate fare un po’ di Kippur per le vittime innocenti, è pronta l’altra campana – Grossmann, Levy, Lerner, ecc – i quali (essendo più intelligenti della focosa Nirenstein) hanno subito compreso che l’operazione era miseramente fallita e tentano – con una buona dose di cenere fra i capelli – di salvare almeno il salvabile, ossia che Hamas è un’organizzazione terrorista, la quale governa “illegalmente” Gaza (ma non aveva vinto le elezioni?), i terrificanti razzi palestinesi, il soldato Shalit, ecc. Leggete i loro articoli: grondano pentimento e salvatio, salvezza per quel poco che tentano di salvare.
A questi signori, imbellettati di tanto ardore democratico, poniamo una domanda che può apparire tecnica, mentre è invece profondamente politica.
Perché mai, le navi israeliane – se desideravano mantenere il blocco di Gaza – non hanno fermato il convoglio appena fosse entrato nelle acque territoriali (sedicenti) israeliane – 23 km da terra, mica sulla spiaggia – per chiedere, con tutti i crismi della legalità internazionale marittima, un’ispezione?
Vista l’ora dell’attacco e la rotta del convoglio, le navi della Freedom Flotilla avrebbero varcato la soglia delle 12 miglia nautiche all’alba: cosa ben diversa rispetto alla notte, come chiunque abbia navigato ben sa. La notte, in mare, ogni tappo di sughero si trasforma nell’Olandese Volante.
Se l’avessero fatto, nessuno avrebbe messo in dubbio il diritto israeliano d’ispezione: alla luce del sole in tutti i sensi, temporale e giuridico.
Invece?
Invece, si scende dalle funi con gli elicotteri in hovering sopra delle navi mercantili, dove la gente sta dormendo – durante “l’ora del lupo”, fra le 3 e le 4 di notte – per poi poter dire che ci sono state reazioni violente, ma le uniche dichiarazioni delle prime ore sono quelle israeliane. Quelle di una forza navale che sequestra ed imprigiona senza motivo centinaia di persone di svariate nazionalità!
Spieghino, gli illustri giornalisti di nazionalità israeliana o di provata “amicizia” per lo Stato d’Israele, le motivazioni di quella scelta, che è incomprensibile proprio alla luce del diritto marittimo e del buon senso: a meno che – come sopra ricordavamo – i “destinatari” di tanto clamore fossero pochi personaggi con molte stellette sulle uniformi, che attendevano un centinaio di miglia a Nord, con i piedi ben piantati sulla terraferma. I quali, hanno glissato. Qui, si apre l’altro scenario, quello militare.
L’aspetto militare
Israele ha smarrito l’icona di terrifica potenza militare nella campagna libanese del 2006, e non l’ha più ritrovata. Si limitano a bombardare ed a vessare la popolazione civile di Gaza, ma finiscono per mostrare al mondo la loro deprimente impotenza.
Perché affermiamo ciò?
Poiché se, nel 2006, Israele fosse stato la potenza militare tanto osannata, le colonne corazzate di Tzahal avrebbero dovuto innestare la marcia in Galilea e frenare nel centro dei Beirut. In realtà, non giunsero nemmeno a varcare il Litani, lasciando sul campo circa il 10% dei mezzi corazzati.
A cosa fu dovuta quella sconfitta?
Al deprimente pressappochismo dei suoi generali ed ai mezzi tecnici del nemico.
I carri israeliani furono fermati da un nuovo tipo di lanciarazzi russo a doppia carica: il primo razzo provocava lo scoppio della corazza reattiva[7], mentre il secondo penetrava il carro. Successivamente, ci furono le proteste israeliane a Mosca, ma i russi risposero con il classico “pippa”.
Ancor più significativo fu il danneggiamento o l’affondamento (ha scarsa importanza) d’alcune unità navali israeliane, ad opera dei missili antinave lanciati da Hezbollah. Qui, è necessario un approfondimento.
Un missile non colpisce per traiettoria balistica (a differenza di un razzo), bensì perché l’elettronica di cui dispone – in volo od a terra – gli consente di “trovare” da solo il bersaglio. Ovviamente, la nave tenterà di confondere il missile inviando falsi segnali ed “oscurando” la propria posizione: in gergo tecnico, queste operazioni si chiamano ECM od ECCM, ossia contromisure elettroniche e contro-contromisure elettroniche.
Come probabilmente avrete capito, si tratta di una partita a scacchi elettronica, nella quale ciascuno dei due contendenti cerca di confondere l’avversario: potete aggiungere tutti i “contro” che desiderate.
I missili giunti sui bersagli, però, testimoniarono che l’elettronica di Hezbollah (di provenienza siriana, quindi iraniana, in definitiva software indiano o russo) ebbe la meglio su quella israeliana, di provenienza USA. Ciò allarmò, e parecchio, le alte sfere militari, di qua e di là dell’Oceano Atlantico. Mesi dopo fu programmata ed eseguita una ricognizione armata sul territorio siriano, molto probabilmente per “catturare” segnali elettronici, più che per colpire chicchessia.
Dal 2006 – nonostante le roboanti minacce all’Iran – Tzahal se n’è stato ben compreso nei suoi confini: al più, esercitano una sorta di “caccia alla volpe” sui civili palestinesi, ad esclusivo uso della propaganda interna.
Perché Israele non ha deciso – quando ancora era in carica Bush – di bombardare i siti nucleari iraniani?
Semplicemente, perché non era e non è in grado di farlo.
In tutti i casi, gli F-15 con la stella di David dovrebbero inoltrarsi per centinaia di chilometri sul territorio o sul mare nemico, e non sono in grado di farlo. Troppo rischioso, perché l’Iran non è certo Hamas. Troppo lontano, per non rischiare fiaschi ancora peggiori. Troppo pericoloso anche per scatenare Armagheddon, giacché all’attacco nucleare israeliano – i quali, ritengo, non avrebbero remore ad attuarlo – subirebbe il contrattacco con testate biologiche dall’Iran, mentre i missili Iskander siriani “ombreggiano” già oggi i siti nucleari israeliani, compresa la centrale di Dimona.
La vecchia definizione di “tigre di carta” – in fin dei conti – ben s’adatta: ciò non ha condotto certo i militari turchi a lanciarsi nella carica. Più probabilmente, li ha consigliati di ringuainare le sciabole.
Conclusioni
Quello che sta avvenendo, è soltanto la disperata ritorsione di un imperialista mancato, il quale osserva passare il tempo e, con esso, vede ogni giorno scemare le possibilità di raggiungere i suoi obiettivi di potenza, la Eretz Israel tanto agognata.
Lo stesso Olmert giunse a dire, nel Settembre del 2008, che:
“Grande Israele è finita. Essa non esiste. Chi parla in questo modo si auto-illude.”[8]
Purtroppo, dalle le treccine nere che spuntano dalle tese dei cappelli a Gerusalemme – fino alle treccine rosse di qualche giornalista nostrana – pare che la sordità stia dilagando. Consiglieremmo un buon otorinolaringoiatra: prima che sia troppo tardi e che la sordità, inesorabilmente, avanzi.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
[1] Fonte: http://www.studiamo.it/dispense/diritto-internazionale-marittimo.html
[2] Fonte: http://www.repubblica.it/esteri/2010/05/31/dirette/israele_assalta_navi_pacifiste_almeno_10_morti_proteste-4453375/
[3] Vedi: http://www.informazionecorretta.com/comuni/php/file_get.php?w=Z3V4WZXSET1ZFLSB1CYOD8EZNM7YG1KF
[4] Vedi: http://www.asianews.it/notizie-it/Pi%C3%B9-di-un-terzo-degli-abitanti-di-Gaza-vive-sotto-al-livello-di-povert%C3%A0-12846.html
[5] Vedi: http://www.informazionecorretta.com/
[6] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/04/solimano-guarda-verso-est.html
[7] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Corazza_reattiva
[8] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Israele
33 commenti:
Sono convinto che Israele potrebbe creare un casus belli ad arte per trascinare gli USA in guerra contro l'Iran e la Siria. I loro leader potrebbero dare per scontato di perdere in una guerra N. B. C. (NUCLEARE, BIOLOGICA CHIMICA)anche metà della loro stessa popolazione pur di fare tabula rasa dei loro nemici nella regione.
Ciao Carlo ben tornato sul sito.
Obama non è minimamente interessato alle beghe israeliane: lo ha fatto capire più volte.
La novità è che i paesi arabi non hanno abboccato ed Israele è messo ancor peggio di prima.
Ciao
Carlo
Bangalore è il presente e il futuro del mondo informatico.
Vai a discutere di numeri primi con gli indiani?
Non so cosa ne pensiate voi, ma colgo nei BRIC e stati satelliti, l'unica risposta sensata al declino dell' impero USA-Ezechiele che potrà, al limite, ritrovarsi a piangere sul muro.
Quello che mi chiedevo, è come realmente vengono utilizzati i 700 mld di dollari annuali, stanziati per la macchina da guerra Yankee.
Non sarà che, vista la superiorità tcnologica russo-indo-cinese, quella montagna di dollari venga, per buona parte, semplicemente occultata in varie banche off-shore, per provocare lo scempio finanziario e il rifiuto, tutto americano, di dichiarare la vera quantità M3 di dollari circolanti?
Il mito della forza militare più potente del mondo si sta forse sgretolando?
L'Alleanza Atlantica è un ossimoro, i tempi sono maturi per un patto orientale.
P.S- Ritorno a proporre agli amici del blog l'acquisto di un ettaro di terra coltivabile abbandonata.
dasvidania
B.S.
Interessante ipotesi, Black, quella dei dollari "imboscati".
Di questi tempi inizierò a grattare l'opera viva della Gretel. Per carità: 10 metri in tutto.
E una Nimitz?
Abbisogna dello stesso trattamento.
Quanto costa grattare la carena di una dozzina di Nimitz? E di circa 600 navi?
Dai tempi di Bismarck, è la quantità di ferro nell'acqua che inghiotte soldi, ed è una legge alla quale nessuno è mai sfuggito, sin dai tempi delle "cinque città dello stretto" e della loro servitù alla corona di Sua Maestà Britannica.
La scelta dei BRIC è diversa: poco ferro e tanto silicio: Libano docet.
Come ben ricordi, vai ad insegnare la matematica agli indiani, che l'hanno inventata!
Ciao
carlo
Qui in Langa, la terra te la tirano dietro. Meditate, gente, meditate.
carlo
Decisamente un ottimo articolo Carlo. Lunedì scrissi a caldo delle cosette sul signor Grossman, che ancora una non mi ha deluso. Il link dell'articolo, qualora ti interessasse, è http://nellibus.blogspot.com/2010/05/il-crimine-sistematico_31.html
Interessante articolo Giacomo (che invito a leggere): ci sarebbe da approfondire il tema sul fronte della sociologia d'Israele.
Israele non è uno stato demograficamente "giovane" - la fertilità delle donne israeliane è quasi quella europea - e la popolazione crebbe con l'immigrazione (soprattutto russa). Già lo scrissi in "Al Qaeda".
C'è quindi, nel futuro, un "crinale" che Israele dovrà valicare: una società di vecchi poco aperta all'immigrazione.
E' uno degli aspetti del declino.
Ciao e grazie
Carlo
Bravo Carlo e bravo Giacomo giovane e acuto commentatore al cui articolo aggiungerei solo che l' arroganza sviluppata dal popolo israeliano è anche vittima di un regalo storico che crudelmente gli ha inflitto Hitler rendendoli martiri e vittime di un tremendo eccidio senza il quale sarebbe rimasta viva e contrastabile (perchè priva di scusanti) la loro arrogante superiorità (con rispetto per le vittime dell' olocausto). Credo anche io Carlo che purtroppo anche questa volta non avrà seguito questo episodio e che nessuno avrà la forza di condannare come merita questo episodio di omicidio di massa commesso in maniera sprezzante nei confronti di una organizzazione umanitaria. Quel che più dispiace è che oramai la gente non dà più il giusto peso a eventi come questo che sono una pericolosa deriva sociale che permette a chiunque di rendersi sovrano e carnefice.Lo spettro di una possibile guerra, che un evento come questo potrebbe provocare è sempre pesante però l' omertà è assai peggiore in quanto autorizza il ripetersi di tale eventi.Un embargo nei confronti del popolo Israeliano potrebbe essere l' unica possibile soluzione alla loro arroganza e l' unico freno possibile alla loro supremazia bellica, ma quale stato internazionale è pronto ad attuarla? Carlo come è andata a Bologna? Sono tremendamente curioso spero che presto ci racconterai qualcosa. Vorrei sapere anche se è possibile vedere sul web il tuo intervento e se hai intenzione di ripetere questa tua esperienza. Ciao a tutti!!
Se una guerra su scala globale non è ancora scoppiata è proprio perché la superiorità militare americana è intatta, la guerra la scateneranno loro nell'istante in cui temeranno di stare per perderla.
Al momento noi italiani siamo soggetti al potere americano, ma il mondo ora è decisamente multipolare, e lo sarà ancora di più nei prossimi anni, una guerra a deciderà gli equilibri futuri,una GUERRA, non una guerra "economica".
Un ettaro di terra dite? Poco meno di quanto ci "spetta"...
http://controcoerente.blogspot.com/2009/12/piccola-lezione-di-geometria-della.html
Comunque in questa faccenda di Gaza io temo centri qualcosa il gas..proprio in virtù dell'attacco in acque internazionali..
http://controcoerente.blogspot.com/2010/06/sara-un-problema-di-gas.html
L'incontro di Bologna è stato proficuo ed interessante. Proprio per questa ragione, lo affronteremo quando sarà il momento. Non ci sono foto o riprese video, solo una galleria fotografica a questo indirizzo:
http://www.luigiboschi.it:80/?q=node/32898
Sul gas di Gaza, non credo che c'entri con questa vicenda, giacché gli israeliani non considerano quelle acque palestinesi, bensì le acque israeliane che confinano con il "campo" palestinese di Gaza.
In altre parole, non hanno mai riconosciuto giuridicamente lo "stato" palestinese, ma solo una "autorità palestinese" - una sorta di governo indigeno coloniale - che deve amministrare i territori in vece loro.
Ancor più drammatico il problema dell'acqua: anche in quel caso, gli israeliani considerano tutte le fonti di loro proprietà, ovunque si trovino.
Se provate a parlare con un israeliano di "acqua e gas palestinesi" sgranerà gli occhi: per loro, la questione non è proprio all'ordine del giorno.
E, questo, mostra quanto sia stato sempre effimero l'approccio israeliano al processo di pace. Un contenitore vuoto ed inesistente, per Tel Aviv.
Grazie e ciao a tutti
Carlo Bertani
Un buon atricolo,complimenti, oggi piu' che mai si capisce perche' secondo un sondaggio uscito anni fa per il 59 per cento degli europei Israele minaccia la pace.
Quannto costa un ettaro in langa?
Non saprei darti una risposta precisa oflix, però tieni presente che si vendono grandi case con terreno sui 50.000 euro.
Ciao e grazie
Carlo Bertani
Carlo secondo te quanto è probabile che Israele rovesci il banco e lanci un attacco alla disperata contro l'Iran?
Cosa farà alla seconda nave pacifista in navigazione verso Gaza?
L'abborderà o gli distruggerà le eliche facendola andare alla deriva?
Ciao Carlo Maître a Penseé del web
Non succederà niente: chiederanno un'ispezione al limite delle acque territoriali, poi diranno che il carico è sospetto e la inviteranno ad entrare in un porto israeliano.
Scaricheranno il carico e la nave ripartirà: con l'inchiesta ONU, conviene stare bravi.
Nessun attacco all'Iran, credimi, hanno già troppi grattacapi.
Ciao
Carlo
Bene Carlo!
Amici del blog! Vi propongo di aderire ad una petizine per proporre il grande Carlo alla carica di Mister PESC! Che rispetto alla baronessa cozza che c'è ora, scusate, ma andrebbe moolto meglio ;-)
Per quanto riguarda la lavorazione della terra, senza considerare i terreni sui quali ricadono degli immobili (residenziali, commerciali o produttivi), il valore di un terreno "puramente" agricolo dipende dal tipo di coltivazione su di esso effettivamente praticata.
Possiamo prendere come utile riferimento i cosiddetti "valori agricoli medi" (http://www.agenziaterritorio.it/?id=1370). In provincia di Cuneo, ad esempio, per l'anno 2009 si parte da poco più di 500 euro per ettaro per terreni incolti produttivi, fino ad arrivare a valori vicini ed anche superiori ai 20.000 euro per ettaro, per terreni con frutteti, orti irrigui o seminativi irrigui arborati.
Dunque, la proposta di BL.SK. è abbordabilissima, e credo che andare a "laurà" la terra sia potenzialmente un ottima scelta. La cosa veramente "pioneristica" sarebbe lo scegliere la via di una agricoltura non basata sulla chimica, ma su una reale e approfondita conoscenza dei processi biologici che regolano la crescita delle piante. Un'agricoltura, quindi, non finalizzata a massimizzare la produzione ed a sfruttare fino all'esaurimento il terreno per aumentare il profitto, ma sufficente all'autosostentamento ed al sostentamento della comunità locale e poco più. Decrescere, drecrescere, decrescere.....
Saluti
Alex
“Il giapponese, attraverso la cultura politica inglese, potrà chiamare Vicino Oriente l’Egitto!!” Antonio Gramsci, “Quaderni dal carcere”, Einaudi, Torino 2007, p. 1420.
La novità è che non è più il classico conflitto arabo-israeliano. Ciò significa che siamo tornati ai mitici anni ‘60? No, non mi sembra che i giovani europei d’oggi siano interessati ai conflitti internazionali (probabilmente nemmeno a quelli locali). Ma qua gli arabi, bisogna dirlo, non c’entrano nulla: il nemico questa volta è il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo. In più, inserire il popolo di Gaza, vere vittime di ogni azione politica da parte di Sion, nel contesto arabo solo perché l’arabo è la lingua della striscia mi sembra abbastanza riduttivo.
Bertani afferma che l’assalto alla Freedom Flotilla è stata una sconfitta mediatica per gli Israeliani. Ma siamo sicuri? Torniamo ad una domanda che lo stesso Bertani si pose in un articolo precedente (Quando la melma arriva alle labbra, s’invoca la privacy): “Ma, l’informazione, cos’è?”. Già, quale relazione esiste tra informazione ed aspetto mediatico? L’“analisi del discorso”, studiata dal filosofo francese Michel Foucault ne “L’archeologia del sapere” (1969), potrebbe aiutarci a rispondere a questa domanda.
La parola ‘discorso’ si utilizza, generalmente, per indicare una conversazione o un’esposizione orale ordinata, completa, efficace, di un determinato argomento. Foucault ha attribuito al termine ‘discorso’ un’ulteriore accezione che fa riferimento a enunciazioni attraverso cui il mondo viene conosciuto. Esistono delle regole che controllano quali enunciazioni possono inserirsi nel discorso e quali no. Tali regole ne descrivono la natura, classificano le enunciazioni, le organizzano e le diffondono come ‘conoscenza’ del mondo. Il discorso, ovviamente, delimita questa conoscenza. Un esempio appropriato di discorso potrebbe essere la geografia (vedi sopra la citazione di Gramsci). L’importanza del discorso sta nell’associare il sapere al potere. Coloro che possiedono il potere, possiedono anche la conoscenza; coloro che hanno la ‘conoscenza’, hanno il potere su coloro che non ce l’hanno. La questione essenziale, in questa teoria, è che la volontà del sapere, ciò che domina il discorso e le enunciazioni, è collegata alla volontà del potere. Il controllo egemonico sul resto del mondo esercitato dall’occidente, dall’epoca coloniale fino all’episodio dell’assalto israeliano alla Flotilla, è stato sempre accompagnato dalla propagazione dell’immagine di un mondo superiore caratterizzato da nozioni di utilità, razionalità e disciplina in veste di ‘verità’. L’informazione come verità assoluta. (La Russa, quando ammette che ci sia una guerra in corso in Afganistan, la giustifica affermando che questa è utile, razionale, necessaria per l’ordine del paese, la democrazia e la libertà in quel territorio) continua..
Ecco perché, secondo me, noi arabi vediamo il mondo con gli occhi dell’occidente, comprendendovi Israele: Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Marocco sono paesi “moderati”, mentre la Siria no; Hamas e Hezbollah sono movimenti “terroristici”; il terrorismo, come fenomeno internazionale, viene definito (non sono riuscito ancora a trovare questa definizione) esclusivamente dagli USA e non dalla Malesia; la democrazia è un “valore universale” che tutti devono applicare; assi del “bene” ed assi del “male”; gli israeliani attaccano le navi per la sicurezza di Tel Aviv, i somali invece quando lo fanno sono pirati; criticare la politica estera israeliana è un atto di antisemitismo, ma criticare l’Islam è un atto coraggioso di libertà ecc. Il discorso ci permette, inoltre, di comprendere come il potere agisce attraverso il linguaggio, la cultura, la letteratura e le istituzioni che regolano la vita di questo pianeta: New York “può” ospitare il palazzo di vetro, Pechino o Alessandria d’Egitto no; l’Unesco viene gestito dai francesi e il Premio Nobel dai norvegesi e si potrebbero aggiungere tante altre “verità” che organizzano l’informazione.
Perché in una puntata di Matrix sui conflitti mediorientali, non viene mai ospitato un militante di Hamas, Hezbollah oppure un Talebano, mentre un estremista israeliano o un esponente del Fatah sì? Semplice: la “verità”, nei mass media italiani, non può essere costruita attraverso un atto contro-discorsivo. Chi tra gli italiani conosce Mustafa al Barghouthi, Ghassan Kanafani, Sari Nusseibeh, Azmi Bishara? Mentre Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman, che hanno la “funzione” di abbellire l’immagine di Israele, sono ben noti ai lettori italiani.
Conclusione: Io sono d’accordo con Bertani quando sostiene che ad Israele, questa volta, non gliene va bene una e quindi rischia di perdere una battaglia (non una guerra) mediatica. Ma ciò, purtroppo, non basta affinché i “cittadini del mondo” tentino di cambiare la prospettiva della “verità” imposta loro dall’alto. La sicurezza di Israele sarà il titolo definitivo di questo episodio: ci penserà l’impero mediatico di Murdoch a sostenerlo. Il popolo di Gaza continuerà a vivere nel campo di concentramento; torneremo a dire Cisgiordania anziché Territori Occupati; e chi rappresenta l’“alterità” cercherà invano di farsi sentire per illustrare un’altra verità. Ma il mondo democratico accetta altre verità?
Ciao a tutti, Mahmoud.
p.s. avrei voluto approfondire, oltre al lato mediatico, quello politico, ma penso di aver preso già tanto spazio nel blog. Complimenti per l’articolo Carlo!
Grazie molte Mahmoud, ti avevo invocato, e sei apparso preciso, puntuale ed efficace come una lama di coltello....nella notte.
Di nuovo grazie molte.
"Chi tra gli italiani conosce Mustafa al Barghouthi, Ghassan Kanafani, Sari Nusseibeh, Azmi Bishara? Mentre Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman,..."
Io devo dire che non conosco nessuno di quelli che hai citato a parte, ma solo per nome, Grossman.
perchè non guardo le tv 'generaliste' dal '93, anno della "scesa in campo" anche se ho un abbonamento sky che oltre a servire cartoni per i figli e cinema per la moglie mi serve a me per guardare qualche raro documentario...
A questo proposito, per riprendere il tuo discorso sul "discorso", ti posso dire che anche i documentari su Discovery o su National Geographic sono imbottiti della verità occidentale, in particolare quella anglosassone sia dell'isola che del continente americano...
Fanno politica anche con i documentari, mi sa che smetterò di guardare anche quei pochi minuti di televisione che guardo...
Arrivano a creare dei veri e propri falsi storici, ne ho notati nella storia della Roma antica, nella storia della II guerra mondiale, nei documentari sulla Bibbia ecc ecc
Però sono abbastanza innocui tanto sono facili da individuare...
Per la questione araba ti posso dire che la mia mamma, che ha 72 anni e guarda troppa tv, ha una paura matta dei musulmani, ma non ne sa minimamente il perchè...
Offre spesso servizi o cibo ecc ad una famiglia musulmana molto numerosa (di stretta osservanza religiosa) che abita nell'appartamento difronte al suo...è in buoni rapporti per quanto lo si possa fare con donne che stanno perennemente rinchiuse in casa ed escono rarissimamente e sempre tutte "coperte"...
Mia mamma ha 'paura' dei musulmani, ma non si è accorta che li ha come vicini, e riesce pur con qualche difficoltà, dovuta alla loro eccessiva riservatezza (ed al fatto che mia madre è un po' impicciona), ad avere un rapporto di normale buon vicinato.
Vi posso garantire molto più cordiale che con i precedenti vicini italiani...
Potenza della tv...
salutations
RA
Io, caro Alex, la via dell'autosufficienza alimentare la sperimentai quando ero giovane, in una comunità.
Ne è stata tratta anche una tesi di laurea, poi pubblicata.
Non la considero un tabù, però sono conscio delle grandi difficoltà insite in questi progetti: problemi di rapporti, di programmazione, talvolta sciocche prese di posizione ideologiche.
Nel mio piccolo, coltivo circa 200 metri quadri e ci tiro fuori gran parte degli alimenti (verdura).
Sono vecchio per lanciarmi in altre avventure, ma se qualcuno lo vorrà fare sarò al suo fianco, almeno con qualche consiglio.
Per quanto riguarda la mia eventuale nomina a mister PESC...beh, la Ashton è là proprio perché non sa nulla. Di conseguenza, i burattinai possono continuare a tirare i fili.
Accetterei solo una nomina a mister PESC...atore. Ma solo "all'ombra dell'ultimo sole".
Ciao
Carlo
Bentornato Mahmoud, ti aspettavo.
Colgo nelle tue parole - quelle del nostro "corrispondente" dalla Giordania - delle note amare. Capisco: con Sion si finisce sempre per essere cornuti e mazziati. Però.
Sia Piombo Fuso, poi il rapporto Goldstone, adesso questa dell'assalto...la sensazione che si coglie qui in Occidente è che le "buone note" di Israele, materiale spendibile per sempre per la causa, stiano per terminare.
Lo sforzo mediatico è enorme, ma i risultati sono pochi: la maggioranza degli europei li considera i principali responsabili del disastro medio-orientale.
Certo, il potere sui media c'è, e Sion è molto attenta anche al Web: però, mi sembra di capire che le loro azioni stiano scemando.
Prenditi pure tutto lo spazio che vuoi - sei stato appena nominato "corrispondente dalla Giordania"...accidenti, come io sto per diventare Gran Mogol delle giovani marmotte -)) - e facci sapere cosa sta cambiando con l'inversione d'alleanze della Turchia.
Qui sta il nodo, che metterà in crisi i rapporti fra l'UE ed Ankara, e fra Ankara e Washington. Un avvicinamento ai BRIC?
Che si dice, laggiù, nella oramai calda primavera giordana?
Ciao e grazie
Carlo
Eh, Roberto, parafrasando Venditti, tutti cerchiamo soltanto "amore, e musica per noi", oppure con Lennon...all you need is love.
In fin dei conti, i problemi della massaia musulmana non sono molto diversi da quelli della massaia italiana: far quadrare i conti con il desco.
Così come quelli dei mariti: qui, s'inserisce la perfidia di scavare solchi nel nome delle religioni o quant'altro.
Pessimi intellettuali sono "in affitto" allo scopo: denaro e potere in cambio del servizio. Etica zero.
Col tempo, piano piano, queste cose si possono mettere a posto, soprattutto quando i rapporti sono diretti e non mediati dalla solita TV.
Ciao
Carlo
Carlo ho scritto un altro articolo sulla politica israeliana, il cui link è http://nellibus.blogspot.com/2010/06/il-delirio-israeliano.html
Fammi sapere cosa ne pensi se ti andrà di leggerlo. Cari saluti e un abbraccio.
Orazio: proprio per non lasciare tracce, è meglio non citare mai armi, calibri, ecc. Il sisema d'identificazione si basa sull'analisi dei testi.
E' difficile, Giacomo, capire gli israeliani senza conoscere il mondo ebraico.
Nessuno di loro, ad esempio, troverà nulla da ridire sul Sionismo, perché lo considerano una parte essenziale dell'ebraismo.
La differenza con i francesi del 1960 - figli degli illministi - sta proprio nell'identificazione, nella sovrapposizione con un popolo. Qualcosa del genere avviene fra gli slavi, ossia dove l'Illuminismo non ha lasciato tracce e fra gli arabi, che scontano un "Medio Evo infinito".
In fn dei conti, Ahmedinajad ha ragione quando afferma che la peggior sciagura d'Israele è Israele stesso. Un Paese con tanta storia popolare, un mare di religione e di profeti e ancora senza Costituzione. Non a caso.
Ciao a tutti
Carlo
Copio l'intervento che ho fatto su CDC a proposito dell'invio di sommergibili israeliani nel Golfo Persico:
I tre sommergibili classe Dolphin israeliani sono convenzionali, anzi convenzionalissimi: non hanno nemmeno la propulsione subacquea su celle a combustibile (che hanno, invece, gli U-212 tedeschi, italiani e greci). In altre parole, diesel, batterie e motore elettrico come nella II WW. L'autonomia subacquea ad 8 nodi è di sole 50 ore, poi devono emergere.
Sono probabilmente armati con missili cruise con testate nucleari, ma proprio qui è il punto: se attaccassero con testate convenzionali farebbero poco danno, mentre con le testate nucleari sarebbe Armagheddon. Tutto un altro scenario.
Infine, perché mai Israele dovrebbe inviare tre sommergibili nel Golfo Persico, quando potebbe attaccare direttamente dalla madrepatria con i missili balistici Jerico? Sempre che di attacco nucleare si tratti.
Di questi tempi, la disinformazione va a mille (non sto parlando dell'ottimo articolo di Chossudowsky), come "mille" sarebbero i missili puntati - secondo Debka file, leggi Mossad - su Israele dalla Siria e dal Libano. Come i Mille o le Mille e Una Notte.
Sono tempi nei quali la disinformazione vale forse più delle armate sul campo: ragioniamo.
Ciao a tutti
Carlo Bertani
Siccome sono stato nominato corrispondente dalla Giordania, inizio con la primavera calda giordana:
Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi! (Giuseppe Tomasi di Lampedusa)
La situazione della Giordania, paese situato nella regione in questione, è un po’ particolare. Amman, a differenza di altre capitali arabe, ha sempre avuto rapporti amichevoli con la Turchia. La ragione è senz’altro storica: le relazioni tra gli eredi dell’Impero Ottomano e la famiglia reale giordana lo dimostrano. Si dice che Re Hussein di Giordania parlasse il turco (sua madre, Regina Zein era turca). Lo scenario politico attuale ha visto un ulteriore avvicinamento tra i due paesi: si tratta di accordi bilaterali di cooperazione sul piano commerciale, niente blocco alle frontiere, ecc.
Dall’altro lato, il legame con gli USA è stato sempre più chiaro. Il Regno Hashemita si è schierato dalla parte della sfera occidentale del pianeta durante - e dopo - la guerra fredda. Un po’ di tensione tra i due stati durante la prima guerra del golfo fece sì che Amman rischiasse una specie di isolamento internazionale. Ma sopravvisse grazie sia al sostegno economico dell’allora amico Saddam Hussein, sia – soprattutto, direi – agli accordi di pace con Israele (1994). Così, la Giordania fu il secondo paese arabo a riconoscere, attraverso negoziati di pace, lo stato ebraico (dopo l’Egitto di Sadat), mantenendo l’equilibrio con i “fratelli” satelliti di Zio Sam come l’Arabia Saudita e con quelli ex-filo-sovietici come la Siria. Ma, geopoliticamente, avere buoni rapporti con i vicini è sufficiente per la stabilità del Paese?
Alla “formula giordana”, infatti, manca un elemento “interno” importante, su cui la destra israeliana conta parecchio: la questione demografica. Alcuni dati riportano che più del 50% dei giordani è di origine palestinese (secondo gli israeliani sono il 60%). Da qui parte la teoria sharoniana che preoccupa non poco la Giordania, ovverosia la “patria alternativa” per il popolo palestinese. La “fresca” primavera dei rapporti intrecciati da Hussein e Rabin non dura a lungo. Dopo la morte dell’ultimo, arriva l’oscuro inverno che gela il Giordano.
Ma la Giordania rimane comunque un’incognita fondamentale, nonché “comoda” nella complicata equazione mediorientale. Gli ostaggi feriti della Freedom Flotilla si trovano in questi giorni negli ospedali di Amman. La capitale giordana, considerata da sempre una tappa importante per visite-lampo dei politici internazionali, meta dei rifugiati provenienti da est ed ovest, assume quindi una funzione politica e diplomatica che altre capitali della regione (si pensi a Riyad, Damasco, Beirut, Baghdad) non hanno. Viene da chiedersi cosa vorrebbe essere la Giordania oppure cosa vorrebbero gli altri che essa sia? Queste sono le domande chiave con cui la mia generazione deve fare i conti. Continua …
Mettendo da parte la situazione “particolare” giordana, si può allargare l’orizzonte ponendo un’altra domanda più generale, a mio avviso molto importante, per capire le ragioni che stanno dietro l’ultima presa di posizione sionista nelle acque internazionali. Ecco la domanda: vista la ormai nota discordanza tra opinione pubblica e sistema e il decennale immobilismo nello scenario politico globale, quale strada potrebbe intraprendere un Paese arabo?
Sull’orizzonte “desertico” mediorientale si può rintracciare un trivio dantesco: USA, Iran, Turchia (rispettando l’ordine narrativo del poeta fiorentino). Washington, dopo l’era Bush, ha cercato di abbellire l’immagine dell’America tramite Obama, il giovane di origine africana, il quale, all’indomani della sua ascesa, ha tenuto due discorsi, uno in Turchia e l’altro in Egitto, sul rapporto tra USA e Islam, sottolineando che il suo paese d’adozione non è in guerra contro i musulmani e che l’errore del passato (esportare la democrazia con la forza) non si ripeterà più. Dopo i lunghi applausi della classe politica ed intellettuale araba, si è venuto a scoprire che la pagina mediorientale nell’agenda della Casa Bianca riguardava solo l’Afganistan, il Pakistan, il nucleare iraniano. Quanto a Tel Aviv, se ne occupa Rahm Immanuel, fervente sionista, nonché capo di gabinetto di Barack Obama. Niente mondo arabo. Ma al di là di queste considerazioni, chi tra gli arabi, mi riferisco sia ai sistemi che ai popoli, crede ancora al progetto statunitense nella regione, dopo i disastri in Iraq, Libano, Somalia e Palestina?
Dopo la caduta del “muro” iracheno che impediva all’Iran di guardare oltre l’Eufrate, questo Paese ha trovato sulle sponde del Fiume un terreno fertile per ritentare di esportare la rivoluzione khomeinista in Iraq e altrove nel mondo arabo. Tale obiettivo sembrava quasi raggiungibile all’indomani della vittoria militare di Hezbollah contro quell’esercito israeliano che ha umiliato, in diverse occasioni, i paesi arabi confinanti. Per non parlare della resistenza iraniana all’egemonia occidentale: questa sì che trova eco tra la popolazione araba, specialmente tra i nazionalisti. Si tratta di Iranian Dream? Molti risponderebbero di no per i seguenti motivi: 1. il progetto persiano, come quello statunitense, “puzza” di coloniale. 2. L’Iran è sciita e la stragrande maggioranza degli arabi sono sunniti. Si ha paura del proselitismo. 3. Una buona parte della classe intellettuale araba non si ritrova coi principi della Rivoluzione Islamica Iraniana, considerandola un movimento proto-fascista. Dunque, nazionalismo, settarismo e laicità sono, a mio avviso, elementi più che sufficienti perché Amman, il Cairo, Tunisi… tolgano lo sguardo da Teheran.
Rimane l’ultima via, quella turca. Anche i turchi si sono accorti del “vuoto” caratterizzante la situazione sociopolitica araba e si sono dati da fare. La reazione degli arabi, devo dire, è stata così positiva al punto da poter rovesciare il titolo di un articolo precedente di Bertani:“L’Est [arabo] guarda verso Solimano”! Quali sono i motivi di tale reazione? La Turchia viene considerata da noi un “Occidente orientale”, un paese “abbastanza” democratico, laico, ma musulmano sunnita, europeo ma non tanto, quindi, una giusta via di mezzo tra l’Europa che ci piace e quella che ci fa paura. È interessante notare che questa ammirazione verso Ankara (Istanbul è forse più appropriato) assume a volte una dimensione politica, altre volte un aspetto puramente culturale. Chi viene ad Amman nota subito questa tendenza: i prodotti turchi sono di ottima qualità e godono di un’ottima reputazione; la musica turca è ormai quella preferita dai giovani giordani; i telefilm turchi (doppiati in dialetto siriano) hanno invaso i canali satellitari arabi visto il loro successo; Istanbul è una meta turistica per tutti (soprattutto per i viaggi di nozze: anche gli sceicchi del golfo hanno cominciato a preferire Izmir, Istanbul a mete come USA, Londra e Parigi).
Ad Amman c’è stata una grande manifestazione la mattina seguente all’assalto alla Flotilla. I giordani (quelli d’origine giordana e quelli d’origine palestinese, movimenti di sinistra, islamici, ecc...) gridavano slogan in turco! La stampa araba – come “Al Quds al-arabi” – ha cominciato a fare sondaggi del tipo: chi è il presidente più popolare nella regione? Erdogan è quello preferito. Il nome più gettonato per i nuovi nati di Gaza, negli ultimi tempi, è Rajab, versione araba del nome turco Recep... Date un’occhiata a questa foto che illustra donne giordane con le foto di Erdogan http://www.alquds.co.uk/index.asp?fname=online\data\2010-06-02-07-19-05.htm&storytitle=اردنيات يرفعن صور اردوغان&storytitleb=&storytitlec=...
Ma perché Israele ha attaccato la nave turca, rischiando così di perdere un importantissimo alleato strategico nella regione? A dire il vero, Israele aveva già perso questo alleato da tempo. La Turchia, come già detto, è sempre più vicina al medioriente ed ai suoi problemi. Erdogan chiede un ruolo nei negoziati di pace tra Damasco e Tel Aviv; porta la tragedia quotidiana della Striscia di Gaza in cima alla lista delle priorità; cerca di risolvere la questione del nucleare iraniano tramite una trattativa che dovrebbe permettere a Teheran di arricchire l’uranio all’estero per le sue centrali (per una trattativa del genere, ci si sarebbe aspettati da Erdogan di rivolgersi prima all’UE, invece si è rivolto al Brasile. Un segno di avvicinamento al BRIC? ). Tale strategia preoccupa tanto gli israeliani e alcuni, come Giuliano Ferrara in Italia, la definiscono “neo ottomana”! Israele è stato spinto da un capriccio militare a sparare, rimanendo in un isolamento regionale, dovuto all’assenza del sostegno statunitense ed alla forte presenza dei “musulmani moderati neo ottomani”. Non è da sottovalutare, inoltre, il tentativo provocatorio di Ehud Barack di scatenare polemiche all’interno della politica turca, teso a rendere ancora più problematici i rapporti tra il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo e l’istituzione militare turca.
Quanto all’alleanza tra Ankara e Sion, si prevede la riduzione della rappresentanza diplomatica turca a Tel Aviv. Ahmet Davutoğlu, il ministro degli esteri turco, potrebbe cancellare alcuni accordi bilaterali. Ciò non significa, come afferma Bar’el nel suo articolo pubblicato su Haaretz la mattina dell’assalto, che la Turchia smetterà di adottare iniziative di vario genere nel medioriente. “Questo è il momento di Erdogan”, scrive Bar’el, “egli sarà, d’ora in poi, in grado di ridefinire le relazioni con Israele per pretendere un ‘ultimatum’ al fine di eliminare il blocco di Gaza e di riprendere i colloqui di pace tra i siriani e gli israeliani. Questi ultimi saranno obbligati ad accettare le condizioni, le quali non incontreranno opposizioni a Washington. In più, Erdogan, tramite contatti con Teheran e Damasco potrà cominciare a favorire l’“unità nazionale” tra Hamas e Fatah. Per non parlare del “guadagno” politico più prestigioso, ovverosia riformulare la trattativa con l’Iran sul dossier nucleare e sarà per noi [israeliani] tanto difficile criticare tale iniziativa”. (Traduzione mia)
Una cosa sicura è che la Turchia potrebbe trarre beneficio dall’assalto israeliano. I difficili rapporti con Tel Aviv non metteranno a rischio l’alleanza con l’UE, che ha comunque condannato l’assalto. In fin dei conti, come ho già scritto una volta su questo blog, la Turchia era, è e sarà uno dei paesi più dinamici del mondo. Sarà d’ora in poi la protagonista del medioriente, senza però uscire dall’alleanza atlantica. Da Amman è tutto, a voi la linea...
Chapeau, Mahmoud, questo si dice essere un giornalista.
Un abbraccio
Carlo
grazi molte Mahmoud,
è da un bel po' che volevo andare in Turchia, ho comprato una bellissima pipa fatta a mano su un noto sito turco specializzato in pipe in schiuma di mare...a naso, fra Turchia e Giordania, fino a ieri, avrei preferito la "G"...
la Turchia è sempre stata misteriosa, per me...
ma questa tua bella frase: ..."la Turchia era, è e sarà uno dei paesi più dinamici del mondo"... alla quale aggiungo che costruiscono gli F16 meglio degli americani, mi sta facendo pensare...
'mazza, sti turchi....
mi andava di alleggerire un po' il tono...scusatemi...
grazie molte di cuore e con grande ammirazione Mahmoud...
mi hai aperto un mondo!
ciao
RA
Mi spiace, ma qui occorre subito dissentire: sapevi che la nazione che effettua il blocco navale detta le regole del caso? E magari ci sta che Israele abbia spostato il limite del blocco navale a qualche centinaio di miglia?
Magari come hanno fatto gli Stati Uniti con Cuba, 500 miglia dalla costa, e ci provi una flotta di navi cariche di "pacifisti" ad avvicinarsi a Cuba, anzi, già, perchè nessuno lo fa?
O forse la dittatura comunista è considerata buona?
Scrivi:"Siccome le navi della Freedom Flotilla non avevano atteggiamento ostile..." come non avevano un atteggiamento ostile...??
Non è ostile il fatto di avvisare alla partenza, confermare dopo tutti i richiami della marina Israeliana, che l'intenzione è quella di forzare un blocco navale?
Dai, un po' di serietà.
Sarebbe più sensato che adesso Israele chieda ufficialmente perchè la Turchia abbia appoggiato e finanziato la flottilla, che fin dall'inizio ha manifestato di voler forzare un blocco navale. Il tempo vedremo a chi darà ragione, perchè se la Turchia avesse ragione, come dici tu Israele avrebbe invaso il suo territorio intenzionalmente con soldati armati uccidendo ecc ecc... e dovrebbe rispondere in maniera fermissima con soluzioni anche drastiche. Se invece la Turchia abbassa le orecchie come pare faccia, allora forse avevano la coscienza un po' sporca, ti pare? Rileggero' questo post fra qualche mese e vedremo se commentare ulteriormente come si saranno svolti gli eventi, prima mi sembra fuoriluogo, non ci sono abbastanza informazioni, mi sembra che una volta tanto il governo italiano abbia fatto bene a riservarsi di commentare a caldo eventi manipolati fin dall'inizio.
Perchè dietro a questa storia ci potrebbe essere l'Iran e vedremo le sue prossime mosse.
Per il resto complimenti per le analisi che spesso condivido appieno
Posta un commento