“…e lo Stato che fa: si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità.”
Fabrizio de André – Don Raffaé – dall’album Le nuvole – 1990.
La prima cosa che mi è saltata in mente, quando ho saputo della vincita di 150 milioni al Superenalotto, è stata “cosa ne avrei fatto”: come tutti, ho l’ardire di pensare.
Pur non giocando mai, talvolta queste fantasie mi prendono; ecco allora la mente popolarsi di slanciati velieri “da sogno”, oppure di tenute agricole sconfinate: ciascuno colorerà il proprio avvenire secondo le proprie inclinazioni.
Dopo che qualcuno ha vinto quella montagna di soldi, per un po’ di tempo le fantasie oniriche s’acquietano, come la corrente di un ruscello che trova pace nelle placide acque di un laghetto.
Sono intimamente convinto che, nel periodo successivo a queste vincite, se potessimo indagare, misurare la salute psichica della popolazione scopriremmo che subisce un colpo, quasi un trauma. In fin dei conti, non essere fra i fortunati significa far parte degli esclusi, e i nostri umori più segreti poco si nutrono di raziocinio.
Sorge però alla mente un dilemma: perché le vincite sono sempre più alte, addirittura stratosferiche, al punto di raggiungere numeri di solito riservati ai grandi bilanci aziendali, oppure a leggi di spesa? E’ sempre stato così?
I ricordi conducono a lontane “Canzonissime”, dove il primo premio era di 100 milioni di Lire: anche le grandi vincite al Totocalcio dell’epoca s’aggiravano intorno a quei valori. Su quali basi di reddito?
Attingendo più ai miei ricordi che a complessi studi statistici, ricordo che intorno al 1970 il salario di un operaio s’aggirava intorno alle 80.000 Lire il mese, quello di un impiegato verso le 100.000: un preciso ricordo, del 1972, riferisce che un insegnante delle Medie, pochi anni d’anzianità e due figli a carico, guadagnava 140.000 Lire il mese.
Ponendo a 100.000 Lire una media ragionata ed approssimativa delle retribuzioni di quel periodo, la vincita di 100 milioni rappresentava un corrispettivo pari a 1.000 retribuzioni mensili.
Oggi è piuttosto difficile compiere una media ragionata delle retribuzioni, perché la gran varietà di contratti atipici – periodi di disoccupazione, lavori a progetto, ecc – rendono qualsiasi ricognizione assai ardua. Non ho nemmeno preso in esame i dati ufficiali, poiché con il famigerato “mezzo pollo” non s’è mai saziato nessuno.
Partendo dai 500-800 euro dei lavoratori “atipici”, passando per i salari operai più bassi intorno ai 1.200 euro, per finire con chi ha ancora un impiego tradizionale (pubblico o privato) con massimi intorno ai 2.000 euro, forse 1.400 euro è una cifra vicina ad un salario medio.
Una vincita alla Lotteria di Capodanno, con 5 milioni di euro come primo premio, equivale oggi a 3.500 salari mensili: tre volte e mezzo rispetto a quegli (oramai) quasi antichi concorsi.
L’attuale vincita al Superenalotto di 147,8 milioni rappresenta invece – se correlata al solito stipendio di 1.400 euro – ben 105.571 salari mensili! Che salto.
Le cifre potranno contenere qualche imprecisione di dettaglio, perché il discorso che vogliamo sottoporre all’attenzione dei lettori è altro, e poco importano i decimali.
Lo Stato incassa circa la metà dell’ammontare delle giocate, mentre al monte premi va circa il 38% del totale: il rimanente 12% è suddiviso fra la ricevitoria “vincente” (la quale incassa un bel gruzzolo, l’8%) e la società Sisal che gestisce il gioco (4%)[1].
Fin qui aride cifre, dalle quali scopriamo la nuda realtà: il gran vincitore è sempre lo Stato, il quale osa chiamare “gioco” una vera e propria rapina dove incassa la metà del bottino, mentre i giocatori si dividono poco di più della terza parte. E non finisce qui: cosa farne di una simile montagna di soldi?
Toglietevi pure tutti gli sfizi che vi vengono in mente: villa faraonica, due o tre Ferrari, veliero a Portofino, aereo privato, aggiungete anche tre giri del mondo, e vi rimarrà sempre una montagna di soldi. Dove li metterete?
Sicuramente in qualche posto dove vi garantiscano, al netto dell’inflazione, un rendimento che vi consentirà una vita da nababbo: una banca, una finanziaria, un posto dove gestiranno i vostri soldi. Da dove vengono quei soldi?
Prima che la Dea Bendata vi favorisse, circolavano nelle tasche degli italiani, i quali potevano decidere se godere di un modesto piacere (una pizza e una birra) oppure tentare la fortuna, facendo finta di non sapere che le probabilità di vincere sono una su tot miliardi o giù di lì.
Quei 450 milioni di euro (circa) che sono stati il giro d’affari della recente vincita di Bagnone – e che rappresentano circa 45 milioni di pizze e birre – si sono trasformati in un colossale rastrellamento di soldi, che sono finiti nel gigantesco calderone dove la Casta affonda le mani come e quando vuole, più quel direttore di Banca che si sfregherà le mani, poiché saprà d’avere un centinaio di milioni di euro – per moltissimo tempo – a disposizione.
Siccome chi vince simili cifre – e non ci riferiamo solo alla recente vincita di Bagnone – desidererà investimenti a basso rischio e sicuri (l’ammontare degli interessi è tale da soddisfare qualsiasi desiderio, basta che duri nel tempo) la Banca potrà investirli sui mercati asiatici, oppure servirsi della solita pratica di garantire prestiti per un controvalore pari a 20 volte le giacenze. Una bella “botta” di guadagni in ogni caso.
La teoria che regge l’aumento stratosferico delle vincite è dunque quella di sottrarre denaro al circolante per convogliarlo su due direttrici: il bilancio statale, che soddisfa i bisogni della Casta, e le casseforti delle Banche, le quali rimpinguano l’oligarchia finanziaria. Chi ci perde? I pizzaioli – quelli che lavorano – perché in una sola “botta” vedono scomparire 45 milioni d’avventori.
Si potrà affermare “gli italiani sono liberi di giocare o di non farlo”: verissimo, ma facile a dirsi. Sono anche liberi di non indebitarsi per acquistare quella tale autovettura che fa sognare, ma giungono fino agli strozzini pur d’averla.
Io non gioco: semplicemente, perché ho capito il trucco. M’attizza di più lo scopone scientifico, quando ero giovane il calcio, talvolta il biliardo: questi sono “giochi”, ossia attività ludiche, dedite al sollazzo di chi le pratica.
Possiamo, ragionevolmente, paragonare chi gratta numeri o compila schede – con il solo obiettivo in mente di catalizzare un sogno – con chi gioca la consumazione a scopa? Nemmeno il Casinò regge il paragone, perché lì i soldi devi averli per davvero.
Anche se non gioco, quando mi reco in cartoleria od in tabaccheria li osservo, nei pochi attimi nei quali ricevo il resto, oppure mentre attendo il mio turno.
Cosa narrano quei visi?
I più, raccontano una sofferenza troppo difficile da sopportare senza una speranza, una timida e lontanissima illusione, che mentre grattano o anneriscono i numeri prende forma, come un tempo ci si rivolgeva alla Madonna, in Chiesa, per ricevere conforto e soccorso.
Scorrono su quei visi la disoccupazione del marito, la cronica malattia della moglie, la figlia che si è appena separata con due figli da mantenere e lo scarso contributo dell’ex coniuge, l’anziana madre – alla quale bisogna comunque provvedere – e per la quale non si riesce nemmeno ad avere il modesto contributo per l’accompagnamento.
A parole, per ciascuno di quei problemi lo Stato ha una soluzione: in pratica, la Casta concede solo dopo martellanti attese, labirinti burocratici, inaccessibili contributi…e, spesso, si riesce soltanto al prezzo di baciare le mani del mammasantissima di turno. Se lo si conosce, se qualcuno te lo indica, ti raccomanda, t’introduce.
Altrimenti, l’ultima fermata dei perdenti è la ricevitoria, l’angolo del viale dove lo Stato t’attende per confortarti con un sogno menzognero, e rubarti i pochi soldi che ancora hai in tasca.
Non voglio districarmi fra calcoli assurdi – per sapere a quanto abbia ammontato, nei decenni, la capitalizzazione per il Giano Bifronte (Casta/Finanza) – ma è certamente una montagna di soldi. Per avere un raffronto, i provvedimenti in Finanziaria (quando ancora esistevano) per integrare la pigione delle famiglie più povere erano pressappoco dell’identico ammontare, ossia centinaia di milioni di euro. Quelli che la Casta incassa in una sola tornata del Superenalotto.
Ma, vogliamo paragonare l’impatto sulla psiche di un probabile rimborso per una piccola quota dell’affitto – sempre che si abbiano redditi da Quarto Mondo! – con la speranza, spacciata nelle fantasmagorie delle reti televisive, di una vincita che risolverà tutto?
Ed è quello che si legge sui visi di chi gratta schede, cerca d’indovinare numeri – giungendo ad affidarsi ai “maghi” – oppure punta su un cavallo…e chi più ne ha più ne metta.
C’è anche chi gioca per la suspense, l’adrenalina del gioco: in questo caso, quando si trascorre più tempo a grattare e pensare numeri che a conversare con i congiunti, si tratta tout court di una patologia, come i ragazzini “malati” di videogiochi.
La trasformazione dei cosiddetti “giochi” – da vincite che consentivano al più di “sistemarsi”, a quelle che devono sbalordire, al punto di conquistare le prime pagine dei giornali per giorni – è parte di un ben preciso programma: accalappiare risorse senza nominare mai la parola “tasse” e fornire (a pagamento!) un sogno che tende ad acquietare il malessere sociale.
Riflettiamo su una vincita pari a 1.000 stipendi (anni ’60): oggi, sarebbe di circa 1,5 milioni di euro.
Con quei soldi, sarebbe possibile acquistare una casa, intraprendere un’attività commerciale o artigianale, aiutare i familiari ed i figli e concedersi pure qualche “sfizio”, ma non rimarrebbero enormi capitali: in altre parole, le piccole vincite tornerebbero sotto forma di consumi o di piccoli investimenti nel mondo dell’economia reale, non sparirebbero nei caveau delle Banche.
Invece, gran battage pubblicitario, favolosi introiti per lo Stato ladrone che si pappa la metà dei soldi, capitali che prendono la via della finanza ed un subdolo succedaneo di speranza, una “dose” per chi è disperato e non sa come affrontare il domani.
Proprio un bel congegno: la Casta non lascia nulla al caso.
Fabrizio de André – Don Raffaé – dall’album Le nuvole – 1990.
La prima cosa che mi è saltata in mente, quando ho saputo della vincita di 150 milioni al Superenalotto, è stata “cosa ne avrei fatto”: come tutti, ho l’ardire di pensare.
Pur non giocando mai, talvolta queste fantasie mi prendono; ecco allora la mente popolarsi di slanciati velieri “da sogno”, oppure di tenute agricole sconfinate: ciascuno colorerà il proprio avvenire secondo le proprie inclinazioni.
Dopo che qualcuno ha vinto quella montagna di soldi, per un po’ di tempo le fantasie oniriche s’acquietano, come la corrente di un ruscello che trova pace nelle placide acque di un laghetto.
Sono intimamente convinto che, nel periodo successivo a queste vincite, se potessimo indagare, misurare la salute psichica della popolazione scopriremmo che subisce un colpo, quasi un trauma. In fin dei conti, non essere fra i fortunati significa far parte degli esclusi, e i nostri umori più segreti poco si nutrono di raziocinio.
Sorge però alla mente un dilemma: perché le vincite sono sempre più alte, addirittura stratosferiche, al punto di raggiungere numeri di solito riservati ai grandi bilanci aziendali, oppure a leggi di spesa? E’ sempre stato così?
I ricordi conducono a lontane “Canzonissime”, dove il primo premio era di 100 milioni di Lire: anche le grandi vincite al Totocalcio dell’epoca s’aggiravano intorno a quei valori. Su quali basi di reddito?
Attingendo più ai miei ricordi che a complessi studi statistici, ricordo che intorno al 1970 il salario di un operaio s’aggirava intorno alle 80.000 Lire il mese, quello di un impiegato verso le 100.000: un preciso ricordo, del 1972, riferisce che un insegnante delle Medie, pochi anni d’anzianità e due figli a carico, guadagnava 140.000 Lire il mese.
Ponendo a 100.000 Lire una media ragionata ed approssimativa delle retribuzioni di quel periodo, la vincita di 100 milioni rappresentava un corrispettivo pari a 1.000 retribuzioni mensili.
Oggi è piuttosto difficile compiere una media ragionata delle retribuzioni, perché la gran varietà di contratti atipici – periodi di disoccupazione, lavori a progetto, ecc – rendono qualsiasi ricognizione assai ardua. Non ho nemmeno preso in esame i dati ufficiali, poiché con il famigerato “mezzo pollo” non s’è mai saziato nessuno.
Partendo dai 500-800 euro dei lavoratori “atipici”, passando per i salari operai più bassi intorno ai 1.200 euro, per finire con chi ha ancora un impiego tradizionale (pubblico o privato) con massimi intorno ai 2.000 euro, forse 1.400 euro è una cifra vicina ad un salario medio.
Una vincita alla Lotteria di Capodanno, con 5 milioni di euro come primo premio, equivale oggi a 3.500 salari mensili: tre volte e mezzo rispetto a quegli (oramai) quasi antichi concorsi.
L’attuale vincita al Superenalotto di 147,8 milioni rappresenta invece – se correlata al solito stipendio di 1.400 euro – ben 105.571 salari mensili! Che salto.
Le cifre potranno contenere qualche imprecisione di dettaglio, perché il discorso che vogliamo sottoporre all’attenzione dei lettori è altro, e poco importano i decimali.
Lo Stato incassa circa la metà dell’ammontare delle giocate, mentre al monte premi va circa il 38% del totale: il rimanente 12% è suddiviso fra la ricevitoria “vincente” (la quale incassa un bel gruzzolo, l’8%) e la società Sisal che gestisce il gioco (4%)[1].
Fin qui aride cifre, dalle quali scopriamo la nuda realtà: il gran vincitore è sempre lo Stato, il quale osa chiamare “gioco” una vera e propria rapina dove incassa la metà del bottino, mentre i giocatori si dividono poco di più della terza parte. E non finisce qui: cosa farne di una simile montagna di soldi?
Toglietevi pure tutti gli sfizi che vi vengono in mente: villa faraonica, due o tre Ferrari, veliero a Portofino, aereo privato, aggiungete anche tre giri del mondo, e vi rimarrà sempre una montagna di soldi. Dove li metterete?
Sicuramente in qualche posto dove vi garantiscano, al netto dell’inflazione, un rendimento che vi consentirà una vita da nababbo: una banca, una finanziaria, un posto dove gestiranno i vostri soldi. Da dove vengono quei soldi?
Prima che la Dea Bendata vi favorisse, circolavano nelle tasche degli italiani, i quali potevano decidere se godere di un modesto piacere (una pizza e una birra) oppure tentare la fortuna, facendo finta di non sapere che le probabilità di vincere sono una su tot miliardi o giù di lì.
Quei 450 milioni di euro (circa) che sono stati il giro d’affari della recente vincita di Bagnone – e che rappresentano circa 45 milioni di pizze e birre – si sono trasformati in un colossale rastrellamento di soldi, che sono finiti nel gigantesco calderone dove la Casta affonda le mani come e quando vuole, più quel direttore di Banca che si sfregherà le mani, poiché saprà d’avere un centinaio di milioni di euro – per moltissimo tempo – a disposizione.
Siccome chi vince simili cifre – e non ci riferiamo solo alla recente vincita di Bagnone – desidererà investimenti a basso rischio e sicuri (l’ammontare degli interessi è tale da soddisfare qualsiasi desiderio, basta che duri nel tempo) la Banca potrà investirli sui mercati asiatici, oppure servirsi della solita pratica di garantire prestiti per un controvalore pari a 20 volte le giacenze. Una bella “botta” di guadagni in ogni caso.
La teoria che regge l’aumento stratosferico delle vincite è dunque quella di sottrarre denaro al circolante per convogliarlo su due direttrici: il bilancio statale, che soddisfa i bisogni della Casta, e le casseforti delle Banche, le quali rimpinguano l’oligarchia finanziaria. Chi ci perde? I pizzaioli – quelli che lavorano – perché in una sola “botta” vedono scomparire 45 milioni d’avventori.
Si potrà affermare “gli italiani sono liberi di giocare o di non farlo”: verissimo, ma facile a dirsi. Sono anche liberi di non indebitarsi per acquistare quella tale autovettura che fa sognare, ma giungono fino agli strozzini pur d’averla.
Io non gioco: semplicemente, perché ho capito il trucco. M’attizza di più lo scopone scientifico, quando ero giovane il calcio, talvolta il biliardo: questi sono “giochi”, ossia attività ludiche, dedite al sollazzo di chi le pratica.
Possiamo, ragionevolmente, paragonare chi gratta numeri o compila schede – con il solo obiettivo in mente di catalizzare un sogno – con chi gioca la consumazione a scopa? Nemmeno il Casinò regge il paragone, perché lì i soldi devi averli per davvero.
Anche se non gioco, quando mi reco in cartoleria od in tabaccheria li osservo, nei pochi attimi nei quali ricevo il resto, oppure mentre attendo il mio turno.
Cosa narrano quei visi?
I più, raccontano una sofferenza troppo difficile da sopportare senza una speranza, una timida e lontanissima illusione, che mentre grattano o anneriscono i numeri prende forma, come un tempo ci si rivolgeva alla Madonna, in Chiesa, per ricevere conforto e soccorso.
Scorrono su quei visi la disoccupazione del marito, la cronica malattia della moglie, la figlia che si è appena separata con due figli da mantenere e lo scarso contributo dell’ex coniuge, l’anziana madre – alla quale bisogna comunque provvedere – e per la quale non si riesce nemmeno ad avere il modesto contributo per l’accompagnamento.
A parole, per ciascuno di quei problemi lo Stato ha una soluzione: in pratica, la Casta concede solo dopo martellanti attese, labirinti burocratici, inaccessibili contributi…e, spesso, si riesce soltanto al prezzo di baciare le mani del mammasantissima di turno. Se lo si conosce, se qualcuno te lo indica, ti raccomanda, t’introduce.
Altrimenti, l’ultima fermata dei perdenti è la ricevitoria, l’angolo del viale dove lo Stato t’attende per confortarti con un sogno menzognero, e rubarti i pochi soldi che ancora hai in tasca.
Non voglio districarmi fra calcoli assurdi – per sapere a quanto abbia ammontato, nei decenni, la capitalizzazione per il Giano Bifronte (Casta/Finanza) – ma è certamente una montagna di soldi. Per avere un raffronto, i provvedimenti in Finanziaria (quando ancora esistevano) per integrare la pigione delle famiglie più povere erano pressappoco dell’identico ammontare, ossia centinaia di milioni di euro. Quelli che la Casta incassa in una sola tornata del Superenalotto.
Ma, vogliamo paragonare l’impatto sulla psiche di un probabile rimborso per una piccola quota dell’affitto – sempre che si abbiano redditi da Quarto Mondo! – con la speranza, spacciata nelle fantasmagorie delle reti televisive, di una vincita che risolverà tutto?
Ed è quello che si legge sui visi di chi gratta schede, cerca d’indovinare numeri – giungendo ad affidarsi ai “maghi” – oppure punta su un cavallo…e chi più ne ha più ne metta.
C’è anche chi gioca per la suspense, l’adrenalina del gioco: in questo caso, quando si trascorre più tempo a grattare e pensare numeri che a conversare con i congiunti, si tratta tout court di una patologia, come i ragazzini “malati” di videogiochi.
La trasformazione dei cosiddetti “giochi” – da vincite che consentivano al più di “sistemarsi”, a quelle che devono sbalordire, al punto di conquistare le prime pagine dei giornali per giorni – è parte di un ben preciso programma: accalappiare risorse senza nominare mai la parola “tasse” e fornire (a pagamento!) un sogno che tende ad acquietare il malessere sociale.
Riflettiamo su una vincita pari a 1.000 stipendi (anni ’60): oggi, sarebbe di circa 1,5 milioni di euro.
Con quei soldi, sarebbe possibile acquistare una casa, intraprendere un’attività commerciale o artigianale, aiutare i familiari ed i figli e concedersi pure qualche “sfizio”, ma non rimarrebbero enormi capitali: in altre parole, le piccole vincite tornerebbero sotto forma di consumi o di piccoli investimenti nel mondo dell’economia reale, non sparirebbero nei caveau delle Banche.
Invece, gran battage pubblicitario, favolosi introiti per lo Stato ladrone che si pappa la metà dei soldi, capitali che prendono la via della finanza ed un subdolo succedaneo di speranza, una “dose” per chi è disperato e non sa come affrontare il domani.
Proprio un bel congegno: la Casta non lascia nulla al caso.
10 commenti:
Premessa: le vincite spropositate all'enalotto sono palesemente volute dallo stato, visto che proprio negli ultimi mesi si è deciso che parte del montepremi non assegnato quando non esce il 6 va messo da parte per avere un montepremi di partenza maggiore quando il 6 uscirà. Faccio un esempio per spiegarmi: fino a circa un anno fa, quando usciva il 6, non importa quanto grande, la volta successiva il premio per il 6 ripartiva da 0, per cui era "solo" un quinto del montepremi della prima estrazione dopo quella vincenze. Adesso non è più così: lo stato mette da parte qualcosa, per cui dopo l'ultima vincita si ripartirà con una base di circa 40 milioni di euro.
Una spiegazione di questa scelta può essere quella che lo stato vuole garantirsi un flusso costante di denaro anche dopo le vincite record, perchè è chiaro che se riparti da zero per qualche settimana non gioca più nessuno, mentre se riparti da 40 milioni, anche chi non è dipendente dal gioco lo diventa. Ma secondo me esiste un'altra ragione, più subdola della prima, ed è tutta ideologica: la vincita spropositata serve a far accettare l'aumentata sproporzione dei redditi tra ricchi e poveri. Insomma, è come se lo stato dicesse al cittadino "è vero che tu guadagni 1000 euro al mese e un manager qualsiasi, anche se massacra la propria azienda, si mette in tasca milioni di euro, ma cosa sono i 10 milioni di Tronchetti Provera (la cifra è a caso, il nome del manager incompetente strapagato no) di fronte ai 150 milioni che potresti vincere tu anche domani senza nessun merito? Lui almeno lavora..." Una volta non c'era bisogno di dare questo contentino al popolo, perchè non c'era una simile sproporzione di redditi, e quelli medi dei "proletari" erano più che sufficienti per comprarsi la casa e mantenere moglie e figli , per cui c'era quel benessere diffuso sufficiente ad aver un certo distacco nel confronto del denaro, e quella capacità diffusa di usare oculatamente ogni eventuale entrata supplementare. Oggi al posto del proletario autosufficiente di ieri c'è un precario morto di fame che fa fatica ad arrivare a fine mese quando lavora, figuriamoci mettere su famiglia o casa, senza doversi umiliare a portare in banca in garanzia le pensioni dei genitori, e dover sperare che vivano per altri 30 anni per pagare il mutuo. E' chiaro che una persona in simili condizioni odi nel modo più assoluto tutto della sua vita, e quindi vuole dal lotto tutto ciò che non ha, e non basterebbe certo un milione e mezzo di euro a ripagarlo della merda che ha mandato giù....
Caro Carlo, come ha detto giustamente amaryllide (sono curioso di sapere cosa significa) la Casta ci guadagna su due fronti, quello economico e quello, ben più importante, sociale.
Con queste 'speranze' altissime in effetti, la casta si aiuta a tenerci a freno e contemporanemanete a non farci deprimere troppo.
Infatti, grazie a queste promesse, ci sentiremo un po' più vicini ai vari Tronchetti, cioè avremo molta ricchezza presa agli altri, senza meritarcela, gratuitamente...e come il nostro non-santo, non-santone e non-maestro, gran cavoliere dell'arco-r, potremo tranquillamente spenderceli tutti quanti a puttane anzi 'escorts' o meglio 'veline', ché contanta ricchezza piovuta, dal cielo sembra quasi un invito allo sputtanamento.
La religione cattolica viene in aiuto anche in questi casi, prescrivendo l'astensione dal gioco d'azzardo (e tale gioco, pure se impiega piccole cifre è un grande azzardo) che risolverebbe anche questo 'problema' alla radice.
Penso anche che la vincita non sia mai avvenuta, che qualcuno fra i soliti ignoti, qualche misteriosa 'casta' dei servizi segreti dello stato, abbia deciso che era il momento di fermare questo 'mostro' mediatico che avevano creato.
Ringrazio ancora amaryllide per l'informazione sulla 'base' di partenza, che non conoscevo.
Questa cosa mi convince ancor di più sulla volontà di 'pilotaggio' di certe cose, come questa.
ciao
RA
Anch'io non sapevo del meccanismo spiegato da amaryllide, perciò la ringrazio del contributo.
Sia l'informazione che amaryllide ci ha fornito, sia la disanima di Roberto, confermano quello che pensavo: un duplice scopo, ossia rastrellamento di ricchezza ed "eroina" sociale (sotto varie forme, come voi avete ben indicato).
Sul fatto che la vincita non sia mai avvenuta...mah...a quel punto, ottenuto il duplice scopo, si può anche concederla.
Basta che, subito dopo, l'infernale meccanismo ricominci.
Ritengo molto importante questo articolo, più di tanti altri, poiché è importante smascherare i trucchi della Casta e spero che siano sempre di più a farlo.
Ciao a tutti
Carlo
In un economia malata il superenalotto è una delle poche cose che ha ancora un suo senso, non sono per niente d'accordo con l'articolo.
I falsi moralismi danno il voltastomaco, perchè non si è fatta tanta cagnara sui derivati che sono scommesse molto peggiori dove non si capivano neanche le regole.
Veramente - Arthur - di "cagnara" sui derivati finanziari se n'è fatta parecchia, ed anch'io ho cercato di spiegare a cosa servivano: a mantenere (apparentemente) vive le economie dei Paesi i quali, dopo 5 secoli, avevano perso il predominio nel Pianeta.
Perché, poi, sia "immorale" cassare un "gioco" dove altri si pappano il 62% dell'ammontare totale, vorrei capirlo.
Se, poi, lo stesso gioco serve come tranquillante sociale, qualcuno mi deve spiegare sulla base di quale morale giudica.
Saluti
Carlo Bertani
Non credo che sia una questione di falso moralismo. è ovvio, ognuno di noi può spendere i propri soldi come crede e sognare di ottenere le cose migliori. Ma la questione fondamentale, secondo me, è un altra. Perchè tanti milioni di italiani sognano e tentano una improbabile, direi impossibile, vincita piuttosto che tentare di migliorare la propria e l altrui vita? Perchè si cerca un inverosimile svolta economica personale piuttosto che percorrere un faticoso cammino che porti all innalzamento qualitativo esistenziale collettivo? In parole povere: tutti, o molti, vogliamo diventare ricchi, ma non capiamo che ciò è impossibile! Soltanto una svolta collettiva può farci vivere meglio. Certo, i bombardamenti mediatici e sociali spingono in un senso solo, l individualismo, e disintossicarsi è veramente complesso, ma sta ad ognuno di noi compiere dei piccoli o grandi gesti "eroici" per cambiare questa situazione. Raccomandare i propri figli per fargli ottenere un posto di lavoro, senza che ne abbiano nessun merito,è una cosa che va contro gli interessi della collettività. Lasciare le luci accese dentro casa senza necessità è una cosa che, oltre che dannosa per il portafoglio, fa male alla collettività. Mangiare la carne più di una volta alla settimana va contro i nostri interessi. Spennare il turista è controproducente. Raccomandarsi a qualche dottore per accorciare i tempi di una visita è dannoso. Il mio invito è quello di agire e comunicare! Comunicare al vicino, comunicare al collega che ci sta antipatico, cercare di avere un dialogo con tante, tante persone. Diventare dei "martellatori" del vivere collettivo. Faticoso, impegnativo e sicuramente molto, molto difficile come percorso da intraprendere, ma abbandonare il nostro piccolo "io" per cercare la felicità di tutti, tra le quali c è la nostra, può essere una pratica ricca anche di soddisfazioni personali. Chiudo qui e chiedo commenti a voi tutti. Aspettando Italianova Giorgio
Il falso moralismo è quello del Codacons (Tremonti al tribunale delle anime) o di alcuni esponenenti della chiesa.
Lei ha poi scritto:
"Basta che, subito dopo, L'INFERNALE meccanismo ricominci.
Ritengo molto importante questo articolo, più di tanti altri, poiché è importante smascherare i trucchi della Casta e spero che siano sempre di più a farlo."
Se ha prove per il quale questo gioco sia truccato le scriva, altrimenti qua non c'è nessun trucco, i trucchi, e molto peggiori sono ben altri, come scrivere blandamente "il nucleare non è da fare", piuttosto che affermare " abbiamo firmato un referendum contro la proliferazione del nucleare, a nostra insaputa non è stato rispettato, anzi siamo pieni di testate, quindi togliamo le bombe, rifacciamo il referendum ed almeno tutti quelli che sapevano se ne devono andare, altrimenti la democrazia è una presa in giro"
Cosa quest'ultima della quale sono oramai convinto.
Per quanto riguarda il superenalotto le regole sono chiare, le probabilità calcolabili, la percentuale che incamera lo stato è alta ma almeno è dichiarata nero su bianco. Poi uno con 140 milioni può sempre fare beneficienza, o investire i soldi in altre cose, per fortuna non tutti si fermano col pensiero al Porsche o alla villa in Sardegna.
Porrei piuttosto l'accento sul fatto che sia stupido che il gioco d'azzardo sia regolare in internet e non in un bar, oppure nel Casinò di Venezia e non in altre parti d'Italia. Tanto vale regolarizzare tutto.
Saluti
Mi complimento con Giorgio per il suo intervento: chiaro, lucido, non fa una grina. Grazie.
Vedi - Arthur - sono d'accordo con te che sul piano formale non c'è nessun trucco.
Ti faccio però notare che le potenzialità di comunicazione che esprimono da un lato i potentati economici e, dall'altro, chi non ha mai diritto di parola (ovvero il 99% della popolazione) inficiano la validità morale (uso una tua espressione) del gioco.
Forse che i giornali e le TV hanno mai detto che il monte premi è il 38% delle giocate? Mai sentito.
Invece, ogni sera e su tutti i canali, gran strombazzamenti su chi sarà il miliardario.
Io, sto con Giorgio: solo un po' di benessere collettivo (su tutti i piani) ci può rendere più ricchi: le altre sono solo droghe, al pari della coca o dell'eroina.
Carlo Bertani
Ottimo articolo e grandi risposte credo che soprattutto le parole di Giorgio siano lo specchio esatto di una società nella quale noi non sappiamo più trasmettere valori e dove il gioco ha terreno fertile proprio per la nostra povertà di intenti nella quale ci piace vivere chiusi dentro una bolla di sapone fatta da sole illusioni.Come ben saprai Carlo io lavoro in un albergo e da quando è scoppiata la totomania i miei colleghi hanno incominciato a fare sistemi da centinaia di euro a settimana sottraendoli dalle nostre sempre più povere mance, alchè io ho chiesto di esimermi spiegandogli che spesso per me erano terreno fertile per fare la spesa o andare per l' appunto a mangiare una pizza. Dico ciò non per far notare quanto sono bravo ma quanto la realtà sia vicina a quella descritta da Giorgio e quanto sia giusto ciò che dici tu Carlo di un paese dove gente che guadagna dagli 800 ai 1200 euro al mese getta le sue speranze su un impossibile quanto improbabile "6".Il nostro paese è ancora molto lontano dal cambiare proprio perchè purtroppo dentro quelle ricevitorie non vanno solo disperati e pensionati ma anche giovani impettiti in giacca e cravatta e manager da strapazzo che ricercano ancor di più l' utopia della ricchezza facile.Credo che anche questo sia il motivo per il quale non credo nell' astensionismo perchè la gente non è capace di capire fino in fondo quale illusione gli viene propinata con una vincita improbabile che serve solo a far cassa per lo stato pensa se è capace di credere in un voto nullo e poi perseguire una vita fatta di cose semplici come dice giorgio pur di scardinare un sistema.Credo che tu Carlo debba scrivere ancora tanti articoli, ma proprio tanti prima di poter cambiare questo paese, intanto io continuo a leggerli molto volentieri ciao a tutti!!! PS."Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro.Solo cosi possiamo non aspettarci che assolutamente si avveri, nè allo stesso modo sperare il contrario. Cosi pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto.Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita. Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre la scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell' anima, perchè questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia.
Tratto da Epicuro "lettera sulla felicità" Dedicata a tutti quelli che in questo paese vivono dentro una illusione.
Grazie, Marco, per la citazione di Epicuro, che è fra i miei preferiti insieme a Seneca...forse più "duro" con se stesso di Epicuro...ma le Lettere a Lucilio sono un pozzo di saggezza.
Che dire...certo, se continua così, ci diventiamo vecchi (non io, che lo sono già, ma voi!) però le situazioni, a volte, mutano all'improvviso. Spesso è doloroso, ma cambiano.
Ad esempio, stasera che ho un po' mal di schiena, rigioisco: come starei peggio se avessi mal di denti!
Ciao
Carlo
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