28 settembre 2019

Futuri inaspettati, pagabili in comode rate


La notizia più interessante, nel panorama politico, è senz’altro l’inizio delle indagini sui (presunti) trascorsi affaristico/politico/stragisti di Silvio Berlusconi con la mafia. Qualcuno griderà al complotto: libero di farlo, però, prima, dovrebbe tenere in conto alcune cosette.

La vicenda, di per sé, non è nuova: già Paolo Borsellino – che s’aspettava d’essere ammazzato (1992) – ne parlò in una serie d’interviste, nelle quali tracciava i primi lineamenti della nuova strategia dei rapporti stato/mafia risultante dal crollo dei vecchi equilibri politici della prima Repubblica.

La “sospetta” tempistica? Non so se sia un esempio di giustizia ad orologeria, come qualcuno sospetterà, e domando: e se fosse capitato tre mesi fa, in pieno crisi politica? Oppure fra tre mesi, quando ci saranno i definitivi “allineamenti” per le elezioni amministrative di Primavera?
Il vero problema italiano è che la classe politica vive continuamente in uno stato di fibrillazione: dunque, qualsiasi novità, notizia di reato o semplice inchiesta giudiziaria, scuote i palazzi della politica come un uragano.

La notizia, di per sé, è vecchia e parecchio strana: un uomo che decide d’entrare in politica e ne scalerà i vertici, come Silvio Berlusconi, si tiene in casa – con la pietosa scusa dello “stalliere” – un personaggio come Vittorio Mangano, capo-mandamento della cosca di Porta Nuova a Palermo, pluriomicida e più volte condannato? Oppure era obbligato?

Oggi, le accuse che sono state rivolte a Berlusconi sono di una certa gravità e, cosa importante, tutte non-prescrivibili grazie alle leggi varate dai suoi governi, data la pesantezza delle accuse.

Insomma, questo è soltanto l’epilogo di fatti già annunciati, già noti ma complessi, zeppi di contraddizioni e di accuse portate e poi ritirate, com’è usuale nelle indagini su Cosa Nostra, che muove pedine, pizzini e pentiti, falsi, veri, oppure ad intermittenza. Per questa ragione, l’accusa di “giustizia ad orologeria” non ha senso e costrutto interni, giacché se fosse avvenuta un anno fa o fra un anno, per la classe politica, avrebbe avuto la stessa valenza.

La classe politica non sopporta d’essere chiamata a rispondere di reati – anche gravissimi – e si ritiene al di sopra d’ogni giudizio da parte della Magistratura. Insomma, la tripartizione dei poteri non è mai stata pienamente accettata nell’ordinamento italiano: siamo rimasti legati al vecchio concetto di “intangibilità” dei potenti, che Alberto Sordi ben evidenziò nel Marchese del Grillo con la vicenda del povero Aronne, oppure lo sberleffo di Don Raffaé da parte di de André. Come disse il Belli: Io so io, e voi non siete un cazzo, continua ad imperare.
Ciò non esime la Magistratura dalle sue responsabilità, come ha dimostrato la penosissima vicenda del CSM: anche qui, il connubio intrinseco fra potere giudiziario e potere politico.

Più interessante, invece, è la strategia che le forze politiche assumeranno di fronte alla prossima, evidente “defenestrazione” di Berlusconi a quasi un trentennio dalla sua comparsa nell’agone politico. Oddio, il vecchio capataz di Arcore in qualche modo doveva finire: anche se pesantemente truccato, gettato in scena come un ectoplasma e sempre sorretto da parlamentari (femmine) “badanti”, faceva più sorridere che paura.

Con lui, però, scompare dalla scena politica quel concetto di centro-destra di sapore post-montanelliano, che si nutriva di forze fresche prelevate dalla Destra più intransigente per convogliarle verso un centro più dialogante. Che, però, metteva in crisi le forze di Destra più intransigenti e “nutriva” in modo asfittico il Centro cattolico e legato all’Oltretevere.
Oggi, quale di queste strategie è attuabile per la coalizione di Destra?

Se è vero che Salvini è riuscito a costruire, grazie ad una notevole e ben gestita campagna mediatica, una figura di riferimento forte e attraente, è anche vero che quella figura risulta “ingombrante” per molti aspetti: è visto con sospetto dalla destra tradizionale, figlia o nipote di Almirante, ed anche da quella meno pretenziosa, che ha conosciuto la penosa vicenda di Fini, terminata con la sua sconfitta, personale e politica.

Anche nel partito di Berlusconi, però, i “mal di pancia” non si sono fatti attendere: tanto è vero che il tentativo di Toti di fondare “qualcosa” di “vicino ma non uguale” a Forza Italia, e di “amicizia ma non sudditanza” verso la Lega, è abortito con uno 0,qualcosa nei sondaggi elettorali. Non che i sondaggi elettorali siano oro colato, però quando si prende lo 0,qualcosa il significato è chiaro. Come, del resto, avviene da anni per formazioni d’estrema Destra quali Forza Nuova o per i partitini che la Sinistra sforna ogni due per tre.

Di primo acchito, verrebbe da pensare ad un “soccorso” alla Lega dopo l’abbandono del governo ed al superamento (indolore? quanto?) del lungo periodo d’interregno che ci separa dalle elezioni del 2023. Perché è chiaro, sin da oggi, che le forze politiche attualmente al governo vorranno nominare il nuovo Presidente della Repubblica (previste per il 2022) – questo è più che ovvio – e non ci sarà manovra di palazzo capace di schiodarle da questo obiettivo, di primaria importanza.
Allora, forse, l’attuale “downgrading” di Forza Italia (conseguente alle vicende giudiziarie di Berlusconi) non è un inutile soccorso alla Lega, quanto una apertura verso nuovi equilibri che segneranno – veramente – l’ingresso nella Terza Repubblica. E, qui, la “chiamata” al Bildenberg – per quanto squalificato e ridotto ad un mero evento di costume – di Matteo Renzi qualche significato l’ha.

L’uomo di Rignano non ha dato gran prova di sé: partito dal 40% di consensi ha dilapidato velocemente un simile vantaggio, finendo intrappolato da una riforma costituzionale mal gestita e, peggio ancora, finendo pugnalato da inchieste giudiziarie – legittimissime! -  che avevano coinvolto i genitori e parenti vari.
Il ragazzotto, di per sé, vanta una lunga frequentazione con il capataz di Arcore, si dai tempi nei quali Mediaset gli fece un “regalo” corposo (o pagamento occulto?) con la vincita ad un gioco a premi: viste le mille “provvidenze” di Berlusconi, a pensar male non si fa peccato.

Le recenti vicende (ed elezioni) avevano lasciato l’uomo di Rignano confinato, a rigor di logica, al suo scranno di senatore – ma la logica, in Italia, non è molto aristotelica e più legata agli empirismi di palazzo – e, dunque, il senatore controllava e controlla un buon numero di deputati, tanti da creare un nuovo soggetto politico.
Non ci si lasci abbindolare dalle difese in extremis nei confronti di Berlusconi (“stupito”, “senza prove”, ecc): sono soltanto dei segni d’omaggio e formali ringraziamenti. In realtà, il guitto della politica italiana, vuole ereditare: nient’altro. E, qui, si apre un bel dilemma al quale, però, l’inossidabile trasformismo della politica nazionale saprà fornire risposte.

Per prima cosa, Renzi ha dipinto un acquerello dalle modulazioni tenere: Italia viva sarà la ripulita e profumata casa dei veri “centristi” obbligati, obtorto collo, ad entrare, silenti, nel truce maniero dei bolscevichi rampanti dal Veltroni-pensiero. Una sorta di “nuovo CCD”? Il sospetto viene, ma non addossiamo al monello di Rignano pensieri e parole impure, come il copione della trattazione richiede.

La strada è stretta, inutile raccontarselo, però Renzi non pone fine al tempo: è giovane, ha rottamato in LeU i vecchi apparatcik del partito e, dunque, può divertirsi nel gioco del trasformismo senza temere trasformazioni troppo veraci. In altre parole, sarà capace di fingersi il grande nemico di Salvini fin quando gli servirà. Dopo? Eh, dopo…e chi lo sa quali bischerate m’inventerò? Fossi al posto di Conte – dopo le formali rassicurazioni di appoggiare il governo sine die – farei un salto a trovare Enrico Letta. Credo che insegni a Parigi: vuole il telefono? Ah, già lo tiene.

Eppure, quello di Renzi è un gioco pericoloso, e lui lo sa bene, perché oggi è assolutamente sprovvisto di sufficienti “scorte” politiche per affrontare il drago rampante padano ma, da bravo politico qual è, sa benissimo che dopo un’ascesa senza limiti non puoi che aspettarti due cose: un crollo rovinoso oppure una discesa lenta ed inesorabile. Salvini si nutre di promesse: fino a quando il suo elettorato s’accontenterà e non dirà “vedo”?

Qui è il nocciolo della questione – non Conte, i 5Stelle o robetta del genere, questi trastulli lasciamoli pure al PD – bensì come, da una stretta e poco confortevole poltrona da senatore, potrà diventare – chiamato a gran voce! – il difensore dei valori europei, globalismi, eccetera eccetera…e dovrà scendere nell’arena solo, ad incontrare il suo nemico. Il Salvinardo.
Come Macron debellò la Le Pen, questa è l’opera che nella sua stamberga di Rignano legge e rilegge, alternandola al Principe, del quale ha letto e capito qualcosa solo fino al capitolo settimo, saltando poi l’ottavo – Di quelli che per scelleratezze sono pervenuti al Principato – e finendo di non capire una mazza nei capitoli inerenti i costi per ottenerlo.
Però, sette capitoli li ha letti: dai, che oggi è già tanto.

Da buon toscano, il Renzino, è una persona furba e schietta: quello che si trasforma rapidamente nel tombarolo il quale s’appropria d’altrui tesori e poi li rivendica come, da sempre, propri. Perché toscano, e dunque etrusco.
In altre parole, Renzi è il miglior avvocato di se stesso che sia riuscito a trovare e, mettergli in bocca futuri intrallazzi o trappoloni farseschi, è come attendersi risposte limpide dal pappagallo di un pirata (i pappagalli sono molto longevi) che risponderà sempre “un giro di chiglia!” (1). Che ne farai di Conte? “Un giro di chiglia”. Cosa aspetta Salvini? “Un giro di chiglia!”. Cosa vorresti dal papa? “Un giro di chiglia!”. Perché?

Poiché, nell’immaginario che lui stesso ha creato di se stesso – oggi si va per ectoplasmi viventi e saltellanti sul Web, gli impegni politici sono fanfaluche – c’era soltanto la necessità di rientrare in gioco, non altro.
Quando si è alzato in Senato per parlare, ed esprimere appoggio al Conte2, era l’avvocato Matteo Renzi che difendeva il nuovo governo nascente ma senza attaccare troppo il vecchio, perché nei confronti di Salvini non è mai stato brutale od offensivo: “sono il tuo futuro avversario, ma (per ora) ti rispetto”, pareva dire.

Renzi sa benissimo che iniziare il gioco delle minacce, del “stacca/attacca” la fiducia al governo gli darebbe una pessima notorietà: è un avvocato, sa benissimo quali sono i rischi di un’arringa troppo veemente, come, del resto, sono avvocati Conte, Bonafede, Toninelli, Bongiorno…e tanti altri. Solo Salvini non lo è, e si vede: ottimo comunicatore, è una “bestia” da Web come Di Battista, ma non sa mediare e contrattare un accordo. O sfonda, o perde.
Di Maio, invece, non è avvocato ma non ha nemmeno una comunicazione molto efficace: ha doti di mediazione naturali (s’è visto nell’accordo con Arcelor per Taranto) ma, più di tanto, non riesce a combinare: probabilmente, proprio per questa ragione fu scelto da Beppe Grillo per guidare il Movimento, un elemento di mediazione che previene scissioni? Probabile: difatti, in tutto il trambusto che c’è stato, pochissimi hanno lasciato il Movimento e, passato il momento “clou”, non lo lasceranno.

In definitiva, l’unica strategia di Matteo Renzi, oggi, è quella di “ereditare” qualche parlamentare (da Forza Italia, principalmente), una è arrivata dal M5S, qualcuno può darsi si muoverà dal PD o dalle forze di centro sempre molto “mobili”. Ma, oggi, la sua strategia è attendista: vuole logorare Salvini sulla lunga distanza, aspettando il momento giusto per avere sufficienti forze parlamentari e mettere un piede “pesante” nella coalizione di governo. Quasi sicuramente, quel momento verrà con l’elezione del Presidente della Repubblica, nel 2022.

Conte, oggi, non ha molte scelte di fronte: ha una buona immagine nell’elettorato, che sa difendere bene, e dunque sa che – in futuro – la sua immagine sarà sempre molto “spendibile” per richiamare consensi: la strategia del governo è di basso profilo. Sparita la contrapposizione a muso duro con l’Europa, scomparse tutte le velleità “no-euro” e “no-Europa” – sulle quali, in realtà, nemmeno Salvini premette molto sull’acceleratore, difatti i suoi due “alfieri” (Borghi e Bagnai) sono sempre rimasti nell’ombra – quindi, molto della partita sarà vissuta dal governo per ottenere qualcosa di “sostanzioso” dalla nuova commissione, viste anche le pessime condizioni tedesche.

La strategia di Salvini dovrà essere riveduta, per due ragioni: la vicenda dei migranti non è molto cambiata, prima arrivavano di nascosto, oggi arrivano alla luce del sole, però con un accordo europeo di redistribuzione che, per oggi, è solo provvisorio ma esiste. La seconda è la strategia di volere elezioni ad ogni costo, che è svanita e, dunque, si tratterà di correggere la sua esposizione politica e, soprattutto, mediatica, per far fronte alla nuova situazione. E’ molto difficile cambiare la strategia d’attacco su tutta la linea di Salvini, la sua totale esposizione mediatica, perché l’elettorato di Salvini vuole “risultati subito” e Salvini, oggi, non è in grado d’offrirli.

Difatti, il “boom” elettorale dei sondaggi scende, proporzionalmente all’esposizione mediatica di Salvini: non sono io a dirlo, bensì Libero, il quotidiano che gli è più vicino. Ed anche Il Giornale titola più su faccende europee che sulle vicende italiane, vale a dire glissa, sospende, non s’azzarda.
Vedremo come se la sfangherà, perché è difficile mutare una strategia per lo sfondamento in una per l’attesa: è come passare da Germanico a Quinto Fabio Massimo, e non sempre riesce.

Certamente, il vero sconfitto, oggi, è il M5S che era partito come colui che avrebbe mutato non la pelle, bensì l’intero organismo della politica italiana: va bene il taglio dei parlamentari, ma il continuo bisogno di alleanze (prima la Lega, poi il PD) per stare al governo cancella molte delle promesse e delle speranze iniziali. Hanno tentato, fallendo, la via delle alleanze e, oggi, se ne vedono i frutti.
La sua immagine è appannata, anche il consenso è intorno al 20%: questo accade a chi promette la luna e, dopo, non può fornirla. D’altro canto, la stessa parabola che ha obbligato Sryza e poi Podemos ad accettare più miti consigli e abbandonare le posizioni più estreme.

Il poco è sempre meglio del nulla”, rammentava Parmenide…già…però, oggi, nel clamore mediatico del Web, ogni ridimensionamento è considerato un fallimento, ogni parola data ed impossibile da realizzare un tradimento. D’altro canto, è la sempiterna vicenda fra chi vuole innovare e chi desidera, invece, mantenere. E’ la molla che spinge la Storia verso una risultante che è sempre una mediazione fra opposti, non la volontà rivoluzionaria o reazionaria. Facciamocene una ragione.

(1) Giro di chiglia: punizione molto usata nella marineria velica, consisteva nel legare il malcapitato con due funi ai polsi. Poi, gettato a babordo, veniva recuperato a tribordo compiendo un giro subacqueo della parte immersa (opera viva). Se sopravviveva…

3 commenti:

giuseppe castronovo ha detto...

Tutto e perfettamente valido, manca però l'oste come si diceva una volta per i conti! Le dinamiche della politica estera travolgeranno la povera barchetta italiana.

Carlo Bertani ha detto...

E' un articolo "interlocutorio" perché, in realtà, nessuno ha la sfera di cristallo. Però, iniziamo a dare alle parole il loro significato, ad osservare i fatti e non i propri desideri.

Fedora Rigotti ha detto...

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