L'Italia importa, ogni anno, circa 60 milioni di tonnellate di
petrolio greggio, senza conteggiare la produzione interna né l'apporto di gas
metano: è un mare di petrolio, l'equivalente di 150 enormi petroliere da
400.000 tonnellate l'una. Una ogni due-tre giorni attracca ai terminal delle
grandi raffinerie e, da lì, il greggio riparte tramite oleodotti per altre
destinazioni, oppure viene raffinato.
Quando pensiamo “petrolio” la mente corre al distributore di
carburanti, ma il 5% del greggio prende un'altra via: quella dell'industria
petrolchimica. 3 milioni di tonnellate sono trasformate in migliaia di prodotti
diversi i quali, se trasportati su gomma, si trasformano in circa 150.000
autocisterne che corrono lungo la rete autostradale: qui è il problema.
Il problema è più complesso, e il lettore esperto del settore
scuserà le semplificazioni necessarie per affrontare un simile guazzabuglio in
un articolo: pur tuttavia, qualche nozione per chi è “fuori” da questo mondo
bisogna pur darla, altrimenti è del tutto inutile informare.
Scoprirà, al termine della lettura, che queste tragedie vengono
sfiorate ogni giorno: ha ragione il premier Conte ad affermare che “siamo stati
ancora fortunati”, perché poteva andare molto peggio, e tutti i giorni può
andare molto, molto peggio.
Come saprete, ho pubblicato libri sul mondo dell'energia e dei
trasporti e, per un caso della vita, ho un parente che per decenni ha condotto
autocisterne con prodotti pericolosi, con la regolare certificazione ADR per il
trasporto di queste sostanze: ritengo d'avere titolo per parlarne con
cognizione di causa.
Sgombriamo subito il campo dalla vicenda di Bologna: l'autista
s'è distratto per pochi attimi, niente di così trascendentale, aveva già 10 ore
di lavoro sulle spalle al momento dell'incidente, e le ore massime di guida
sono 9: per giungere a destinazione ne mancavano ancora tre-quattro. 13 ore di
guida? E le norme del Codice? Ah, già...ma i dischi “taroccati” sono la regola,
non l'eccezione, se non c'è anche la corruzione...
Sapere se è stata una chiamata, un video su Wathsapp od altro
ancora non serve: una attimo di distrazione può capitare a tutti ed a lui,
poveraccio, è costato la vita.
Nel caso dell'incidente ferroviario di Viareggio, invece, la
causa fu identificata in un difetto di fusione (una “bolla” d'aria) presente
nell'assale che aveva ceduto, innescando così il deragliamento del treno.
Paradossalmente, il carico (del camion e del treno) era di GPL –
e dunque non rientrava nel novero dei derivati del petrolio destinati
all'industria chimica, giacché il Gas Petrolifero Liquefatto è un semplice
prodotto della distillazione frazionata – mentre il camion tamponato era carico
di un solvente (non meglio precisato), il quale s'è infiammato nell'impatto, innescando
poi la vera e propria “bomba” del GPL.
L'industria petrolchimica può fornire sia prodotti semplici
(gas, benzina, kerosene, gasolio, ecc) oppure prodotti omogenei per singola
molecola (ad es. n-propano, isobutano, ecc) e questi ultimi prendono il nome di
“intermedi”, poiché – in genere – destinati all'industria chimica
generale, dalle vernici alle materie plastiche, dai medicinali al sacchetto di
plastica che usate al supermercato.
Semplificando, il petrolio greggio è molto simile ad una complessa
costruzione con il comune gioco del Lego: compito delle raffinerie
petrolchimiche è di separare i pezzi da due, da quattro, da otto, rettangolari
o quadrati, circolari oppure ellittici. I quali, raggruppati così in universali
omogenei, prendono il via verso l'industria chimica generale. Il paradosso, è
che – magari – un'industria farmaceutica compra la stessa sostanza (intermedio)
di un'industria delle resine e, ovviamente, il prodotto finale – dopo
differenti reazioni - è diverso.
Questa è la “forza” dell'industria moderna: produrre, in modo
prevalentemente automatizzato, da sostanze uguali una panoplia infinita di
prodotti, soltanto mutando le quantità ed i tipi di reattivi (intermedi) usati.
E le industrie sono disposte sul territorio come una manciata di
coriandoli gettata al vento, collegate fra di loro con lunghe “stelle filanti”,
ossia le vie di comunicazione: terrestri, marittime, aeree: per l'Italia, è un
problema disperante.
Perché Conte ha detto “ci è ancora andata bene”? Poiché
l'incidente si è verificato in un'area con grandi spazi – anche se già
parzialmente urbanizzata – che ha consentito lo “sfogo” delle enormi pressioni
e temperature registrate nell'incidente.
E se fosse capitato fra Genova-Voltri e Genova-Nervi? Trenta
chilometri d'autostrada che corre in galleria oppure in mezzo alle case?
Proprio accanto agli enormi silos petrolchimici del retroporto di Genova? A
quanto si sarebbe fermata l'asticella dei morti: decine, centinaia di migliaia?
Mezza Genova sarebbe bruciata: ma anche a Napoli non si scherza, a Venezia-Marghera,
nella stessa Milano ed in mille altri luoghi.
La via più sicura per simili trasporti è quella marittima e
fluviale: corrono lontano dai centri abitati e sono circondate dall'acqua.
In Germania, circa il 30% dei trasporti interni è su via
fluviale: in Italia, nel primo dopoguerra, il trasporto fluviale era di 16
milioni di tonnellate, oggi raggiunge a malapena il milione di tonnellate,
un'inezia.
Il problema – agghiacciante – è come far circolare 150.000
autocisterne ogni anno sulla rete autostradale, oppure sulla ferrovia, o ancora
(meglio) da un porto all'altro. Attenzione: quelle 150.000 autocisterne non
comprendono il normale rifornimento di benzina e gasolio, poiché quelli non
sono intermedi, bensì prodotti diretti della distillazione frazionata!
E il fuoco, l'esplosione, non sono l'unico rischio: circolano
sulle autocisterne milioni di tonnellate di prodotti altamente tossici o
velenosissimi – pensiamo ai derivati cianidrici, usati nell'industria delle
materie plastiche, dei collanti e delle vernici – i quali, se liberati al suolo,
evaporano e possono uccidere in silenzio, senza che ce ne rendiamo conto.
Il Governo sta riflettendo se estendere la normativa dei
trasporti eccezionali anche ai prodotti chimici pericolosi, ma è proponibile?
Come ben saprete, un serio trasporto eccezionale non può
essere una burletta con semplici limiti di velocità: deve essere preceduto e
seguito da un'autovettura che lo segnali. Vi immaginate non solo
l'incremento dei costi, ma il conseguente intralcio alla circolazione? Con, in
aggiunta, l'innescarsi di mille sorpassi con relativi pericoli?
Il Governo si trova alle prese con un problema enorme: da un
lato le pressioni delle lobbies del trasporto su gomma, dall'altro il pericolo,
sempre incombente, di disastri di queste proporzioni.
Ci sono soluzioni?
Le soluzioni sono di breve, medio e lungo periodo, non può
essere diverso, giacché troppi anni di ritardi ci hanno portati a questo punto
morto.
Il breve periodo
Un primo, semplice mezzo per diradare gli incidenti sulle
autostrade risiede sugli interventi in materia di velocità e di tempi, poiché
il trasporto su gomma deve il suo grande successo al non rispetto di tutte le
normative: dal Codice della Strada ai contratti di lavoro, fino alle normative
sull'immigrazione, soprattutto in termini di comprensione della lingua italiana
ed inglese.
Ci vogliono autovelox che registrino la velocità effettuata ed
inviino, automaticamente, un sms all'azienda interessata con la sanzione
comminata: se la sanzione non viene pagata telematicamente nel volgere di 5
giorni lavorativi, scatta il fermo del mezzo. Per i mezzi esteri, nel medesimo
caso, il fermo scatterebbe all'ingresso del territorio italiano: se possibile,
anche prima, per non creare inutili aggravi all'azienda.
Ogni mezzo che trasporta simili sostanze deve essere munito di
GPS (credo che già lo sia) il quale dovrebbe essere inviato alla centrale
nazionale del traffico, unitamente al codice/i relativo all'autista/i.
In questo modo, se immesso nella rete satellitare, allo scadere
delle 9 ore di guida il sistema fornirebbe automaticamente un allarme su quel
mezzo, con l'ordine (via sms) di fermarsi nel volgere di 15 minuti, pena
sanzione pecuniaria e sulla patente di guida: sono certo che gli autisti
sarebbero più attenti nel fermarsi per tempo, in un luogo non deserto come una
piazzola autostradale. Partenza, una volta trascorse le ore necessarie al
riposo: in genere, il giorno seguente.
In caso di comportamenti truffaldini – invio di dati falsi, ad
esempio – la sanzione sarebbe penale e comminata alla dirigenza dell'azienda.
Altro, nel breve periodo, non si potrebbe fare: però, almeno
l'emergenza, sarebbe superata. In egual modo, si dovrebbero controllare i tempi
di lavoro del personale ferroviario.
Il medio periodo
Nel medio periodo si dovrebbe agire su tre direttrici:
a) accelerare la transizione verso la trazione elettrica, perché
questo comporterebbe una sensibile diminuzione dei rifornimenti di prodotti
petroliferi, che sono pur sempre infiammabili e/o esplosivi. Una “stagione”
d'alcuni anni di “rottamazioni” veramente convenienti per chi compra un'auto
elettrica (costi, risparmi sulla tassazione, ecc) che potrebbero essere
finanziati anche con contributi europei. Parallelamente, accelerare la posa di
condotte elettriche più consone per il rifornimento elettrico sulle autostrade.
b) rivedere le scelte politiche degli ultimi anni per quanto
riguarda gli standard di sicurezza ferroviari, per poter fare affidamento su un
sistema su rotaia che, se attentamente e regolarmente attuato, abbassa
notevolmente il rischio di incidenti: assali che si spezzano perché non sono
stati debitamente controllati, oppure rotaie rabberciate col fil di ferro non
devono più esistere. Perché la grande officina di Foligno è stata quasi
rottamata? Perché i treni “comuni” ed i merci sono oramai dei ferrivecchi
ambulanti?
c) Allo stesso modo, porre sotto la lente d'ingrandimento la
rete degli ispettori del Registro Navale (RINA) e della Guardia Costiera, i
quali – anche se con solerzia ti fanno la multa su una barca da diporto per una
lampadina bruciata – chissà perché, quando si tratta di grandi navi (e grandi
lavori, grandi costi...ecc...capito mi hai?) non sempre risultano all'altezza.
Perché le grandi navi comportano anche grandi rischi: vedi la Haven,
bruciata ed affondata nel 1991 al largo di Genova, che poco prima di giungere a
Genova aveva ricevuto l'assenso alla navigazione (la “revisione”) dal RINA, mi pare a Messina.
Una volta rimesso ordine in questa materia, si potrebbero
“accorciare” le tratte su gomma/ferro creando degli hub per lo scarico di
queste sostanze più vicini alla consegna od al consumo. Anche i porti di media
grandezza potrebbero entrare in questo “circuito” di cabotaggio costiero, il quale
solo all'apparenza può apparire complesso, perché le economie di scala che si
otterrebbero limitando al minimo le tratte terrestri compenserebbero ampiamente
qualche incremento di rotta. E consentirebbero una forte riduzione dei rischi.
Il lungo periodo
Come si fa a pensare in termini di “lungo periodo”, in un Paese
dove le maggioranze parlamentari si formano sulla base di vaghe comunità
d’intenti e, spesso (in passato), condizionate da piccoli ed agguerriti
partitini formatisi “alla bisogna”, ossia espressioni del lobbismo più deciso a
farsi valere?
Questo è il vero problema, inutile girarci attorno: poi, le
soluzioni ci sono.
La soluzione principale è togliere gran parte del trasporto su
gomma e deviarlo sulla ferrovia o, meglio, sull’acqua.
A questo proposito, perché non porre fine all’infinito
tormentone (iniziato da Mussolini nel 1941) del canale navigabile di Milano? Ad
oggi, ne sono stati costruiti circa 12 Km (da Cremona) poi…tutto si è fermato, in
un tripudio di liti e di carte bollate. Quindi un nuovo progetto: costo, 2
miliardi dei quali la metà finanziata dall’UE.
Ma, in Italia – nella stessa Italia dove ti seppelliscono interi
camion di rifiuti e poi ci piantano sopra l’insalata – se progetti di scavare
il letto di un fiume per consentire alle navi fluviali di passarci, ti saltano
addosso le associazioni degli agricoltori, poi cacciatori e pescatori, quindi i
cicloturisti, le associazioni ambientaliste, Province, Regioni…per terminare un
canale che toglierebbe, con una sola nave fluviale, 84 TIR la volta dalle
strade? C’è da darsi i pizzicotti. Da non credere.
Non aggiungo altro: il canale è lì, basta terminarlo: potrebbe
giungere, oltre che a Milano, fino a Pavia, a breve distanza dal sistema
produttivo piemontese. Con la risistemazione del canali veneti, il Nord Italia
sarebbe servito da un’infrastruttura non inquinante (le navi, già oggi, possono
andare a metano e, in futuro, con i motori elettrici), che passerebbe lontano
dalle case e che scodellerebbe – molto vicino ai luoghi di produzione/consumo –
una serie infinita di prodotti, fra i quali quelli pericolosi. L’Italia
peninsulare potrebbe utilizzare una cinquantina di porti secondari – da Imperia
a Monfalcone – per i quali basterebbe costruire un terminal nelle acque
territoriali, a poche miglia dalla costa, mediante il quale caricare/scaricare
liquidi e gas. Troppo difficile? Oneroso? Per niente: anzi, alla fine ci
sarebbero anche dei risparmi di scala.
La “vulgata” dei dirigibili, poi, è tutt’altro che una
“vulgata”: è un sistema serio, pensato una ventina d’anni fa dai tedeschi,
proprio per le consegne di materiali molto ingombranti e pesanti – i carichi
eccezionali, ma anche quelli pericolosi – direttamente dal “cortile” di uno
stabilimento ad un altro.
C’era il progetto del Cargolifter
– che poteva sollevare 160 tonnellate (il carico di 5 TIR) – ma il progetto non
andò avanti per la mancanza di fondi, segno che “qualcuno” aveva premuto sulle
banche affinché stringessero i cordoni della borsa.
Premettendo che la tecnologia odierna si basa sull’Elio – e non
sull’infiammabile Idrogeno – è stupefacente notare come questa tecnologia
nacque proprio in Italia e in Germania: il dirigibile norvegese Norge – che conquistò il Polo Nord –
era, in realtà, l’ex dirigibile N1 di proprietà della Regia Marina, venduto ai
norvegesi.
Oggi, con le attuali tecnologie, non sto a dilungarmi su cosa si
potrebbe fare: addirittura, un simile aeromobile non necessiterebbe nemmeno di
pilotaggio, giacché potrebbe essere radiocomandato (con le precauzioni del
caso) direttamente da terra. Rivestito di pannelli fotovoltaici flessibili, non
necessiterebbe nemmeno d’essere rifornito.
Qualcosa si fa, alcune piccole aziende producono piccoli
dirigibili per la videosorveglianza – e, per questi compiti, sono economici,
sia per i costi e sia per la manutenzione – ma, per passare al trasporto di
merci vero e proprio, ci vorrebbero investimenti. Che “qualcuno” blocca.
Come potrete notare, in sole cinque pagine ho riassunto un
vademecum per ovviare ad una serie di problemi, attualizzati dal disastro di
Bologna. Ovviamente, già oggi (dopo soli 3 giorni), una vicenda che poteva
diventare una strage di ben altre proporzioni è scomparsa da tutti i giornali
mainstream, ma state tranquilli: se si
continuerà a non fare nulla, un giorno non molto lontano tornerà a
materializzarsi sotto i nostri occhi. Speriamo non troppo vicino.
1 commento:
Beh, Augusto, grazie. Comunque, per la questione dei terminal, basta un terminal su piattaforma fuori un miglio...Ciao.
PS: la Gretel è una barca meravigliosa, s'è fatta un mare "rotto" con onde che passavano sopra la prua e non se n'è fatta un baffo. L'ho portata fuori col mare calmo: sembrava che s'annoiasse...(io, no). Tanto, non ho nessuna intenzione di portarla dalle parti della Bretagna, anche se un amico mi ha invitato là...
Ciao
Carlo
2PS: se capiti a Genova, ci facciamo un paio di bordi a vela?
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