Tutti sappiamo che, dalla firma del Trattato di Maastricht
in poi, siamo stati fregati, ma fregati di brutto: il reddito di signoraggio è
passato nelle mani di una banca privata ed extraterritoriale, ossia sta a
Francoforte ma è come se si trovasse a Bankenland. Nessuno le può dire niente:
e poi, qualcuno, si prende ancora del fesso perché si chiede che fine abbiano
fatto le prerogative degli Stati nazionali!
Non serve triturarsi il cervello su nuove monete, uscita
dall’euro e via bofonchiando, poiché il reddito di signoraggio è parte
integrante del sistema capitalista.
Siccome una moneta, nel momento stesso nel quale viene
coniata, crea dal nulla la differenza fra il suo valore metallico ed il valore
assegnato (un tempo dal signore, e
dunque signoraggio) non è su questo
valore che si deve dissetare, bensì dalla destinazione dello stesso.
Nelle economie liberiste è prerogativa del sistema bancario
(e, dunque, dei banchieri), in un sistema veramente socialista viene
messo a bilancio nella parte attivi, in un sistema misto (come era l’Italia, ma
qui ci sarebbero molti “però” da aggiungere) era a disposizione della classe
politica.
Per questa ragione, le soluzioni al problema vanno prima
viste a livello storico, e poi declinate a livello politico: senza credere,
però, che una classe politica come quella attuale si degni di concedere redditi
di signoraggio, nuove monete e quant’altro.
La genesi del problema è degli anni ’70, quando le lotte
operaie marcarono così stretto il sistema capitalista da ottenere non sono
onori, ma ben precisi diritti.
In una intervista all’avv. Agnelli del sempiterno Bruno
Vespa, salta fuori un discorso interessante, visto il personaggio che si
confida al Vespone nazionale.
L’intervista – del 1976 – è riportata dal Giornale (1), e
mostra un Gianni Agnelli affranto, assediato dai collettivi sindacali in
fabbrica e dalle Brigate Rosse fuori, che vuole cedere: racconta a Vespa
d’essere d’accordo per avviare la mitbestimmung,
ossia la cogestione delle aziende fra proprietari e maestranze, come avviene in
Germania per dettato costituzionale. Che frutta, a fine anno, a seconda delle
aziende, dal 4.000 ai 7.000 euro per lavoratore, oltre al già “succoso” salario
(2): per questa ragione i tedeschi sono sempre i più presenti a crociere,
viaggi aerei, villaggi vacanze, ecc.
Gianni Agnelli è d’accordo, chi si mette di mezzo?
Luciano Lama – classe 1921 – non è d’accordo: sogna, per il
sindacato (in particolare per la sua CGIL) un ruolo diverso, più alto. Lama
vuole portare il sindacato a diventare il potere, super partes, più in alto
della classe politica e di quella imprenditoriale: è ancora intriso di
sindacalismo rivoluzionario, quella branca di pensiero politico che cerca di
superare la dicotomia fra Lenin e la Luxemburg (rivoluzione e basta) e Karl Kautskji
(il potere grazie alla compartecipazione al capitalismo), ossia il sindacalismo
rivoluzionario, che avrebbe condotto la classe operaia al potere che nasceva
dal disporre dei mezzi di produzione (cosa falsa, ma tant’è) .
E’ di quegli anni la grande conquista sindacale: la
cosiddetta “scala mobile” che mette al riparo il lavoratore dal rischio di
vedersi “scippato” il salario da ogni aumento reale dall’inflazione.
In quegli anni – e ne ho un ricordo personale – lo stipendio
era “magico”: inflazione al 4% su base trimestrale? 25.000 lire d’aumento ogni
trimestre. Pareva il Bengodi. Ogni anno che passava – con inflazioni che
raggiunsero il 20% - uno stipendio di 500.000 lire diventava, a fine anno, di
600.000, e si viveva bene.
Immaginate, se guadagnate mille euro, che ad ogni fine anno
diventano 1.200. Com’è?
I nodi – con una simile inflazione – non tardarono a venire
al pettine: ciò dipendeva dal fatto che non c’era nessun accordo preventivo
sulla ripartizione del plusvalore generato dai lavoratori, bensì si lasciava
tutto nelle mani di un sistema automatico. E alla classe politica.
I quindici anni dal 1975 al 1990 furono senz’altro i più
ricchi di soddisfazioni per i lavoratori italiani: poi, visti i pessimi
risultati di una classe politica ladrona, si giunse a Maastricht.
Ovvio che una classe politica che ha sempre la “riserva” del
signoraggio sotto mano, è portata a sottovalutare le conseguenze delle sue
azioni: tanto, a fine anno, s’aggiusta tutto…
Ricordiamo solo un caso: i fondi per il sisma dell’Irpinia
del 1980, che ammontarono all’astronomica cifra di 50.000 miliardi di lire –
una follia per l’epoca, quando non molti guadagnavano un milione il mese – che
furono saccheggiati dalla camorra e furono la prima “base” per un
riconoscimento politico del legame fra politica e malaffare.
Oggi, si prospettano soluzioni “salvifiche” – il
signoraggio, la democrazia diretta, il reddito di cittadinanza, ecc,ecc – ma
nessuno ne indaga le basi: la ripartizione dei proventi dell’impresa, che è
alla base del capitalismo.
Benissimo riappropriarci del signoraggio sulla moneta –
Weimar insegna – ma dopo? A chi consegniamo le chiavi del forziere se non ci
sono regole costituzionali alle quali attenersi?
Le diamo a Renzi, a Berlusconi, a Prodi oppure a Grillo…non
cambia niente! Tutti sono bravi a promettere ma poi, quando hanno a
disposizione un fondo consistente a fine anno, le clientele politiche – che
generano voti – prendono il sopravvento su qualsiasi buon proponimento.
E, una riforma costituzionale che assegni – con il rango
della legge più elevata dello Stato – la ripartizione dei dividendi, ha un solo
nome: socialismo.
Fate voi.
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