30 gennaio 2011

Apparentemente



“ghe dixan quellu che nu peúan dî
de zeùggia, sabbu e de lûnedi.”
“le dicono quello che non possono dire
di Giovedì, Sabato e Lunedì.”
Fabrizio de André – A dumenega – dall’album Creuza de ma – (1984).

Oggi è Domenica. E’ una Domenica di neve e di noia, nell’attesa dell’appuntamento serale con l’autostrada, i caselli, le macchinette che domandano sempre e solo soldi e, infine, l’Ospedale.
Ma è anche una Domenica nella quale sembrano intessersi i destini della terra dei Faraoni, del centro del mondo arabo sunnita: di Al-Azhar, della Fratellanza Musulmana, dei musei, delle piramidi di Gizah, fino al Luna Park per occidentali di Sharm.

Nel corso della settimana oramai trascorsa, solerti cantori di regime si sono sperticati nell’acclamare le rivolte di Tunisi e del Cairo come il “voltar pagina” del mondo arabo, del nuovo – in questo caso è d’obbligo, “Islam” – che avanza. Eppure.
Eppure, non possiamo dimenticare gli avvenimenti d’appena due anni or sono: Piombo Fuso.

Regnava George Bush II il Giovane, ancora per poco: da lì a poco, si sarebbe insediato alla Casa Bianca un nero, che in gioventù – in Indonesia – aveva ricevuto insegnamenti nelle madrasse musulmane del luogo, un tizio dal nome sinistro. Barack Hussein Obama.
Già…Obama assomiglia troppo ad Osama, ma non è questo il punto: gli altri, due nomi sono entrambi d’origine medio-orientale.
E fa paura.
Tzahal, diligentemente, prende nota del “termine ultimo” fino al quale si può impunemente ammazzare, bruciare, distruggere e annichilire la gente di Gaza e lo fa con precisione: il 18 Gennaio 2009, poco prima che Obama faccia il suo ingresso al 1600 di Pennsylvania Avenue, tutto si placa. Sul campo.

La battaglia riprende, ma questa volta il premier israeliano Benjamin Netanyahu capisce che l’opzione militare è oramai “off limits”, e si deve agire in altro modo. Ci sono, negli USA, altri personaggi più affidabili per la politica israeliana: non si tratta forse della sola Sarah Palin – la tizia che va in giro a sparare ai caribù – e nemmeno dell’oramai “bruciato” senatore Mc Cain. Altri giungeranno, altri riprenderanno in mano e faranno garrire al vento lo stendardo degli USA perennemente a fianco di Tel Aviv, senza se e senza ma.
Questo, perché di “se” e di “ma” con Israele Obama aveva lastricato la strada fra Damasco e la Galilea, il Cairo e la striscia di Gaza ma, soprattutto, la via che porta a Teheran.

Troppo accondiscendente, troppo “morbido” con il regime iraniano che ha intenzione di dotarsi (?) d’armi nucleari: veramente, per ora, sta cercando di realizzare una centrale nucleare civile, per il resto mancano come minimo altri 10 anni, forse più.
Purtroppo, non si può raccontare ai coloni che vigilano negli avamposti del West Bank che la tigre nucleare iraniana, per molti anni ancora, sarà una tigre di carta: devono rimanere convinti che i missili iraniani siano lì per ghermirli, che l’assalto sia imminente. Soprattutto, non dovranno mai far mancare al Likud il loro appoggio.
E, negli USA, che si può fare?

La “novità” Obama è troppo forte, mediaticamente, per essere contrastata con mezzi usuali: non pratica il bunga-bunga, non sporca di sperma il reggiseno delle stagiste…niente…niente…niente…persino Signorini, Frattini, Minzolini, Belpietro…dovrebbero gettare la spugna.
Mumble, mumble…l’idea nasce col contrastare “dal basso” la presidenza Obama mentre, “dall’alto”, s’inizia a fare il vuoto, “consigliando” ai collaboratori di Obama di fede ebraica di lasciarlo[1].
Sul primo fronte, quello “popolare”, ecco spuntare nuovi “fenomeni” della politica statunitense, che s’accasano subito sotto la gonna di Sarah Palin nel movimento dei “Tea Party”, come il senatore Rubio[2], il quale va subito a rendere omaggio a Yad Yashem.
La frittata è servita, ed Obama perde alla grande le elezioni di medio termine.

Questa volta…mumble, mumble…il pensatoio s’insedia alla Casa Bianca: lo “scherzetto” di Netanyahu non viene gradito, anche perchè non c’è nessun “dolcetto” nella sconfitta elettorale del Presidente.
Allora, allora…
Cominciamo dal “piccolo”: c’è un dittatore da strapazzo in Tunisia. Che dite, lo togliamo di mezzo? Tanto, per quel che conta…
Però, però…se vogliamo rendere la pariglia a Tel Aviv, bisognerebbe far loro capire che le loro ingerenze non ci sono gradite…che potrebbero trovare insediato al Cairo una persona a noi più fedele, meno legata alle stanze del Mossad e dello Shin-Bet…

Torna alla mente, allora, niente di meno che un Nobel per la Pace: è lui, Mohamed El Baradei, l’uomo che ha saputo mediare per la faccenda iraniana sotto Bush, e bene lo ha fatto.
Perché, se l’Iran non è e non sarà per tanto tempo una potenza nucleare, per quanto riguarda l’eventuale blocco del Golfo Persico per le petroliere che riforniscono il Pianeta – dagli USA alla Cina, che non sappiamo cos’abbia detto al riguardo nel recente incontro a Washington con Obama – è un fatto assodato: sottomarini, motovedette, aerei e missili sono in grado di mandare a fondo migliaia di tonnellate di naviglio mercantile.
Forse non abbastanza per reggere ad un attacco in forze USA, ma abbastanza per far schizzare il prezzo del greggio a 200$ il barile e mandare a fondo l’economia mondiale.
E poi: sono forse in grado, gli USA che non riescono nemmeno a controllare l’Iraq e l’Afghanistan, d’intraprendere un’avventura “da paura” come un confronto bellico con l’Iran?

Allora, allora…El Baradei è attualmente “disoccupato”…mandiamolo al Cairo, a pretendere le dimissioni di quel bacucco di Mubarak, che prendono addirittura in giro affibbiandogli delle “nipoti” – un poco troie, eh, scusate… – per i sollazzi dei bunga-bunga italioti.
Il vegliardo pensa di salvare la ghirba nominando vicepresidente il capo dei servizi segreti egiziani – Suleiman – ma la cosa non sembra molto gradita al Segretario di Stato USA: la Clinton, afferma che si deve dare ascolto “al popolo”. Insomma…sarebbe come se, Berlusconi, nominasse suo successore Manganelli, De Gennaro o uno del genere: no, fuori tempo massimo.
E, il “popolo” – ma che caso – si ritrova unito sotto gli stendardi di El Baradei – dai movimenti di piazza ai Fratelli Musulmani – per dare il benservito a Mubarak.

Ci piacerebbe raccontare – come fanno tanti – una speranza per i popoli, dalla Tunisia all’Albania, passando per l’Egitto, ma non scorgiamo altro che gran movimenti di servizi segreti e di diplomazie “nell’ombra”.

Non si tratta, ovviamente, di una “rottura” diplomatica con Israele…giammai…è una cosa così…uno “scherzetto” per Netanyahu: anche questa volta, senza dolcetto.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.


Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.

19 commenti:

servo inutile ha detto...

Groton Guard detachment is heading to Egypt

Published 01/24/2011 12:00 AMUpdated 01/24/2011 04:59 AM
COMMENTS ( 1 )
Groton - Connecticut National Guard Detachment 2, Company I, 185th Aviation Regiment of Groton has mobilized and will deploy to the Sinai Peninsula, Egypt, to support the Multinational Force and Observers.
The unit left Connecticut Jan. 15 for Fort Benning, Ga., for further training and validation. The unit operates C-23C Sherpa aircraft and has deployed three times in the last seven years in support of the conflicts in Iraq and Afghanistan.
The unit will provide an on-demand aviation asset to the Multinational Force and Observers commander to support its mission of supervising the security provisions of the Egypt/ Israel Peace Treaty.
Chief Warrant Officer Four James Smith of Ivoryton commands the aviation unit.

Traduzione da
http://www.ariannaeditrice.it/
articolo.php?id_articolo=37038

“Il distaccamento 2 della Guardia Nazionale del Connecticut National Guard, Compagnia I, 185esimo Reggimento Aereo di Groton è stato mobilitato e inviato nella penisola del Sinai, in Egitto, per sostenere la Forza Multinazionale e gli Osservatori. L’unità ha lasciato il Connecticut il 15 gennaio per Fort Benning, nella Georgia [USA] per ottenere ulteriore addestramento. L’unità adopera aerei C-23C Sherpa ed è stata usata tre volte negli ultimi sette anni a sostegno di conflitti in Iraq e Afghanistan. L’unità fornirà assistenza aerea a richiesta al comandante della Forza Multinazionale e degli Osservatori nella loro missione di supervisionare le clausole di sicurezza del trattato di pace tra Egitto e Israele”.

grazie Carlo
blackskull

Carlo Bertani ha detto...

Sì, sapevo di questo invio, che dovrebbe garantire Israele che le cose non scappino di mano. Ma, la diplomazia americana - con un El Baradei al Cairo - avrebbe in mano ben altre armi nei confronti di Israele. Non tanto per la questione palestinese, quanto per dissuadre a mettere troppo il naso negli affari di Washington.
Ciao e grazie
Carlo

Carlo Bertani ha detto...

Barzelletta:
Se cade Mubarak, al processo di Milano per la faccenda Ruby, cadrà l'accusa di millantata e falsa identità verso un Capo di Stato estero.
Ascoltate Silvio che ve la racconta lui la verità sull'Egitto: è stata la potenza della diplomazia italiana, che ha provocato tutto il can can, per proteggermi dalla protervia dei giudici milanesi!
Forza Frattini! Forza Silvio!

Potrebbero crederci.
Carlo

servo inutile ha detto...

Approfondimenti sulla speculazione finanziaria, poker-scommessa globale mai finita e mai contrastata seriamente da chicchessia.

Non li scrive il professor Prodi, che bello bello fa di nuovo il primo della classe ai tg, perchè qualcuno ha pensato bene di usarlo come ariete per sfondare il cancello della villa di Arcore.

In realtà dell'ariete gli saranno rimaste le corna,ficcategli in testa da tutti gli elettori che hanno tradito la sinistra italiana dopo l'accoppiata vincente di super-svendite nazionali di cui si è reso protagonista: IRI-LIRA.

Lo dice il Vaticano, l'eterno Richelieu alle spalle di ogni potere evidente e/o occulto che sia.

http://www.asianews.it/
notizie-it/Rivolte-per-
il-caro-prezzi:-il-frutto-
della-politica-della
-Fed-20602.html

Ritorno a bomba sull'oro.
Perchè i Ben Alì, i Mubarak e prossimamente i PaDeLlini italiani, fuggono, come fece "crapapelata" a Dongo, con tonnellate di oro?

Chissa se anche il Dalema ne tiene qualche kilo nella stiva?

Ma che bella coincidenza, da una parte carta straccia che gira vorticosamente per il pianeta e fa impoverire i popoli, gli heidge-found, dall'altra, ammassamento di metallo giallo in quantità bibliche.

Possibile che da qualche parte si stia ridando vita al culto del vitello d'oro?

Una rispostina gli svizzeri ce l'avranno pure in cassetta di sicurezza...

https://emagazine.credit-suisse.com/app/article/
index.cfm?fuseaction=OpenArticle&aoid
=246633&lang=IT

ciao
blackskull

Carlo Bertani ha detto...

Sì, il dubbio esiste sempre, che il "gioco" sfugga di mano.
Ricordiamo che Lenin attraversò la Germania in guerra contro la Russia protetto dai servizi segreti germanici, che meditavano d'inserire un "virus" nel nemico.
Già, il "virus" attecchì sul serio.
Grazie a tutti
Carlo

Orazio ha detto...

Quello che dici tu nell'articolo è sostanzialmente vero. Però sei eccessivamente schematico. Infatti un governo che, cacciato Mubark, avrà sicuramente i fratelli musulmani che l'appoggiano ben difficilmente potrebbe mantenere il blocco di Gaza. Infine ti devo ricordare che questa rivolta e le manovre che adombri sono un'ulteriore vittoria di wikileaks che aveva già da tempo detto che Obama e gli USA tramavano con l'opposizione egiziana. Più passano i mesi più le rivelazioni di wikileaks si rivelano esatte e illuminanti.

Ciao Carlo

Speriamo che Berlusconi non mandi i carri armati in piazza.

Carlo Bertani ha detto...

Caro Orazio, qualsiasi governo facesse mancare il blocco di Gaza, significherebbe soltanto una terza guerra con l'Egitto, con altri esiti catastrofici. La Fratellanza Musulmana è accorta, e sa fino a quale punto può tirare la corda.
Ciao
Carlo

Orazio ha detto...

Israele sa che qualsiasi attacco ad un paese arabo la porterebbe sull'orlo di una sconfitta e il dover ricorrere all'arma atomica. Il Libano è ormai perduto per le forze USA ed israeliane presto anche l'Egitto potrebbe essere in bilico per l'occidente, anche se le rivolte sono controllate, ma poi come si controlla la massa dei diseredati? Con quel che ne segue.

Ciao

Eli ha detto...

Oggi un amico mi ha mandato un articolo di tale Paul Joseph Watson,
pubblicato su
www.prisonplanet.com
sito di Alex Jones, nel quale risulta che El Baradei farebbe capo ad una
ONLUS finanziata da: Fondazione Carnegie, Fondazione Ford, Fondazione Bill e Melinda Gates, così come dall'Open Society Institute di George Soros. Ovvero, finanziata dalla crème de la crème degli Illuminati.

Cambiare tutto perché non cambi nulla? Speriamo bene per l'Egitto!
Carlo ti mando la mail.
Ciao, ed auguri alle nonne, che spero migliorino!

Eli ha detto...

Caro Blackskull,

ho visto che il sito da te indicato per vedere i film richiede la registrazione.
Sono sempre restia a dare i miei dati, perché spesso queste società ti riempiono poi di spam.
Tu hai mai avuto problemi con questo sito? E ti sei chiesto, dal momento che è una visione gratuita, come facciano a mantenersi economicamente?
Grazie!

Mahmoud ha detto...

Gli intellettuali: sono il capo della rivolta oppure la coda?

“Loro non possono rappresentarsi, devono essere rappresentati” Karl Marx.

Vorrei iniziare con una precisazione: poiché considero questo blog come un viaggio che trasporta noi, autore e commentatori, nel “qui” e nell’”altrove”, mi piacerebbe riconsiderare una tappa fondamentale del buon cammino, tanto per citare DOC, quando Carlo pubblico’ un articolo sul ruolo socio-politico dell’intellettuale, che a voi ricorda il caldo torrido estivo e riporta me al digiuno di ramadan, “Il tepee perduto”. Sottolineammo allora, con una sintonia tipica della nostra “Heimat”, che l’intellettuale “de-struttura/struttura sul filo del rasoio, giacché vive all’interno del pensiero che desidera criticare”.Dico “sintonia di Heimat” e non di pensiero perché noi, autore e commentatori, non apparteniamo ad un certo orientamento ideologico, né tantomeno ci facciamo ingannare da considerazioni democratiche che ci possono condannare a vivere sotto l’egemonia della maggioranza, bensì siamo una famiglia, nel senso laico del termine, che analizza, discute e conclude per il bene dell’informazione e delle fruttuose analisi. La discussione sul razzismo/non razzismo di Paolo Rumiz, oppure quella sui palestinesi come forza lavoro in Israele sono alcune dimostrazioni par excellence di una convivenza più eterogenea che omogenea seppur nella stessa Heimat.

Tornando alla tappa di cui sopra, ci viene da chiedere: quale potrebbe essere il ruolo degli intellettuali arabi, in generale, ed egiziani in particolare in questo momento storico decisivo che stanno vivendo i cairoti, gli alessandrini, i contadini del Suez, i beduini del Sinai? È chiaro che un intellettualismo costruttivo in questa fase debba approfittare della distanza minima che separa la massa dalla classe dirigente: è più corta della lunghezza di una pallottola!

Mahmoud ha detto...

Il “Venerdì della rabbia”, bisogna dirlo, non è nato direttamente dall’utero degli scrittori, giornalisti, storici, accademici. Sono stati bensì i giovani del Wafd, partito che sta all’opposizione, e del Movimento Egiziano per il Cambiamento (Kifaya) e soprattutto il gruppo di Facebook “6 Aprile”, fondato dal poco piu’ che ventenne Ahmed Maher, a lanciare la prima fiamma della rivolta egiziana. Questo ci porta ad un’altra sosta nel nostro viaggio con Carlo, in cui lo stesso autore, Black, DOC ed altri evidenziavano la fondamentale importanza della social Network nelle sommosse organizzate a scopo politico.

Gli intellettuali conducono la rivolta popolare oppure la seguono? Il loro scarso coinvolgimento nella fase pre-rivoluzionaria non impedirebbe tuttavia la loro necessaria partecipazione nel processo di trasformazione di una dittatura feroce in uno “status” che rispetti e riconosca la pienezza dei diritti civili e della cittadinanza. In questa prospettiva, credo che sia giunto il momento per questi intellettuali di cercare di costruire una dimensione che includa l’insieme di teorie e pratiche che organizzano l’esistenza e lo sviluppo sociale, economico e politico. Tale paradigma, a mio avviso, dovrebbe spiegare alla massa i modi in cui l’andazzo politico funziona come “gioco di potere” locale e internazionale. Gli intellettuali, in altre parole, fungono da ponte tra il popolo ed i decision makers. I motivi principali per cui ritengo che tale ponte sia da erigersi nel più immediato possibile sono tre (potreste aggiungerne altre):

Mahmoud ha detto...

- Per la semplice diffusione dell’informazione. Ho notato, guardando al Jazeera, che tanti manifestanti egiziani hanno come obiettivo ultimo la caduta di Mubarak. Il rischio sarebbe, in questo modo, che i nomi cambiano, ma il regime rimane. In fin dei conti, meglio manifestanti informati che non informati.
- Un’alternativa alla voce degli intellettuali egiziani viene fornita da opinionisti e giornalisti occidentali che fino a ieri riducevano il caso Egitto, nelle loro analisi superficiali, ad un “discorso religioso”, fanatismo, dittatura in ambito interno ed allo stesso tempo un Paese amico ed alleato nella guerra contro Gaza, Hamas, contro il terrorismo e, dunque, moderato. Occorrerebbe pertanto lasciare poco spazio a questo genere di opinionisti a favore di voci messe a tacere per decenni che rappresentano le varie realtà socio-politiche locali: intellettuali di sinistra come Fahmi Hueidi, pensatori del movimento Kifaya quali Abdel Halim Qandil ed il romanziere ‘Ala alAswani (consiglio il suo libro, Palazzo Yacoubian (Feltrinelli, 2002), opinionisti ikhwani (fratelli musulmani come Yaser Al-Zaatre).
- Un impeto intellettuale locale seguito dalla massa servirà a formare “corpus informativo” pronto a fornire in futuro un materiale per un eventuale revisionismo storico. Noi sappiamo, cari lettori del blog, che sono i vincitori a scrivere la storia. La guerra partigiana italiana, ad esempio, viene raccontata da diverse prospettive. Provate a dare un’occhiata ai testi scolastici statunitensi che trattano dell’argomento e comparateli con “Partigiani della montagna” di Giorgio Bocca per focalizzare quel che intendo dire.
Già un articolo pubblicato su CDC mostra come la “Rivolta della rabbia” sia stata architettata negli USA. Questa sarebbe l’ennesima affermazione che i popoli arabi non riescono mai a ribellarsi da soli: “loro” hanno sempre bisogno di “noi” – “non possono rappresentarsi, devono essere rappresentati” -. Nessuno nega la copertura ed il sostegno segreto degli americani ad alcune forze dell’opposizione egiziana negli ultimi mesi, ma ciò non toglie che decine di migliaia di manifestanti egiziani, per la maggior parte giovani sotto i trent’anni siano scesi in piazza (e senza l’aiuto del gigante Jama’at Fratelli Musulmani) a far valere le loro ragioni. Per questo, sarà compito degli intellettuali cercare di non sottovalutare questa coraggiosa rivolta.

Mahmoud, Giordania.

Carlo Bertani ha detto...

Non tutti siamo Lenin, Mahmoud. Solo lui riuscì a sfruttare l'insignificanza dei menscevichi per scopi rivoluzionari. Finiti come sappiamo, ma poco importa.
Nessuno dubita sulla "freschezza" dei giovani egiziani - sono certo che, se potessimo, potremmo gustare con loro una pizza od un kebab scambiandoci molte impressioni - ma io temo per quei ragazzi. Come temo per i giovani italiani.
El-Baradei è meglio di Mubarak? Senz'altro. Come Bersani è meglio di Berlusconi. Converrai.
Ricordo un Mahmoud che si professava "illuminista senza Illuminismo, democratico senza Democrazia..." e via discorrendo.
E' proprio questo nostro confine d'apolidi in cerca del proprio Heimat - di là delle culture, delle religioni, dei sistemi di governo, ecc - a renderci fragili ed invincibili - tremendo ossimoro - nel nostro vivere.
Cosa possiamo raccontare ai giovani egiziani che sfidano le pallottole, ma anche ai giovani italiani che sfidano la polizia dei Manganelli?
Che domani ci sarà un rassicurante El-Baradei a sostenere le loro giustissime rivendicazioni?
Come da noi un'accozzaglia di perduti nella nebbia - da Fini a Di Pietro - potranno essere faro per il nostro cammino?
Mio Dio, Tuo Dio, quanta strada da compiere.
Un abbraccio
Carlo

servo inutile ha detto...

Caro Mahmoud,

sarebbe bello metabolizzare con te e con tutti gli amici del blog, questo momento storico sul quale credo e non mi smentirai, si verseranno fiumi d'inchiostro dopo i rivi di sangue che spero non diventino di eguale portata dei primi, già dispersi nella polvere e nel fuoco del Magreb e altrove.

Un'insorgenza spontanea c'è stata, nessuno può negarlo e il fatto che sia partita da un Social Network -che non dimentichiamo è un'involuzione dell'incontro di piazza - ha insegnato ai suoi inventori e fruitori, qui in Occidente che la sostituzione di quelle piazze, osservate in questi giorni dai nostri giochini tecnologici, è impossibile.

Il Social Network è una miccia che può essere infiammata di coraggio e speranza, una simulazione di un tam tam nella quale ci si può e ci si deve organizzare per riconquistare gli spazi fisici dove ci si incontra e scontra con il potere che ci aggioga.

La fuga di Ben Alì è codardia, come lo fu quella di Menem in Argentina o di Batista a Cuba.

Nel 2011 nessuno ha inventato la teoria della rivoluzione, ma, chiunque dotato d'intelligenza socio-politica può contribuire - e questo dovrebbe essere il ruolo degli intellettuali che approfittano di queste insorgenze spontanee - a migliorarne la prassi, viste le mutazioni che ogni secolo porta con sè.

In questo momento in Italia, ad esempio, abbiamo il social network, abbiamo analisi sociopolitiche a dir poco raffinate, ma ci manca coesione e organizzazione, immaginati la prassi.

Ti domando:
cosa abbiamo da perdere secondo te e cosa dovremmo conquistare?

Quale parallelo potremmo azzardare con le società del Nord Africa in tumulto?

Quale vocazione collettiva ci dovrebbe ispirare o muovere verso un cambiamento radicale, al di fuori di una mera soddisfazione di desideri, tutto sommato, materiali, che investono già tutte le nostre energie quotidiane individuali?

In Occidente, techne e nichilismo sono le nostre residenze fisiche e psichiche dove trascorriamo tutto il tempo libero a disposizione, gentilmente concesso dalla complessità delle nostre istituzioni tecno-burocratiche.

Infatti, la più grande fobia che serpeggia da queste parti è la disoccupazione ovvero la mancanza totale di tempo produttivo.

Sarà che il dai e dai del produci-comsuma-crepa, ci è talmente penetrato nelle ossa, che crediamo di non poter meritare di meglio.

Ma qui, è ancora la scimmia che strilla e si raduna in branchi, e l'uomo, la corda tesa verso l'eternità, non si è ancora visto nella sua forma finale, ma solo abbozzata in quelle rivoluzioni che si sono consumate e si dovranno ri-manifestare prima che sia troppo tardi.


con sincera amicizia
blackskull

servo inutile ha detto...

Dal sito

www.wallstreetItalia.com

Crisi araba: c'e' piu' di un modo per approfittarne sui mercati


INVESTIMENTI | Dopo la Tunisia l'Egitto. Ci saranno implicazioni anche su azionario, valutario e commodity, non solo sul piano geopolitico. Tutti parlano del rischio di stop al Canale di Suez e il possibile effetto che avrebbe sui prezzi del petrolio. Ma c'e' molto di piu'.

QUESTO E' L'OCCIDENTE!!

ed è per questo modo di essere che gli altri popoli ci giudicheranno.

buonanotte
b.s.

Mahmoud ha detto...

Black chiede: “Quale parallelo potremmo azzardare con le società del Nord Africa in tumulto?”
Sembra paradossale, caro Black, ma non è del tutto inutile ascoltare quello che dichiara Berlusconi (che non è farina del suo sacco probabilmente, ma frutto di gente, anche esperta, di cui si contorna). Una volta ha detto che gli italiani stanno bene: tutte le famiglie posseggono almeno una macchina e tutti hanno almeno due cellulari. Questa situazione lo autorizza a occuparsi dei propri affari, perché mai una percentuale così alta di persone, come in Egitto, scenderà in piazza. Il premier è aiutato dal fatto che i giovani rappresentano in Italia solo una piccola percentuale della popolazione.

In Egitto, invece, la massa è nullatenente; i giovani sono milioni e milioni e rappresentano la maggioranza del Paese: l’età media è, infatti, di 25 anni. Moltissimi tra loro sono disoccupati. In questi giorni abbiamo visto tantissimi di questi giovani dichiarare alle telecamere che resteranno lì in piazza fino alla caduta di Mubarak perché non hanno nulla da perdere. Non si può competere, quindi, con una potenza del genere. Berlusconi, tuttavia, pochi giorni fa, ha lanciato il piano d’azione per l’occupabilità dei giovani. Per la prima volta, questo governo, che si è occupato finora esclusivamente degli affari privati di una persona, si interessa della disoccupazione giovanile … sarà l’effetto Egitto?

Mahmoud ha detto...

Anch’io, Carlo, sono preoccupato per i giovani egiziani … ed El Bradei, secondo me, non è la persona adatta. I problemi sono due. Uno interno con tre sfaccettature: Mubarak stesso non si arrende, complica, anzi, la situazione mandando le forze armate (in borghese), criminali ed ex carcerati a scontrarsi contro i manifestanti; i giovani manifestanti non hanno un punto di riferimento che possa guidare loro; inoltre, le forze all’opposizione sono divise: Wafd, Fratelli Musulmani, Kifaya ecc. (anche se sono d’accordo sul fatto che le discussioni possono iniziare solo dopo la caduta di Mubarak)

Il secondo problema è esterno: Obama, Merkel e quasi tutti i leader occidentali si limitano a sostenere che qualsiasi cambiamento debba essere pacifico e che il potere non vada nelle mani dei Fratelli Musulmani. Il Premier israeliano, invece, ha detto alla Merkel che bisogna appoggiare Mubarak. Ma i tedeschi non hanno accolto questa proposta con entusiasmo.

Per quanto riguarda il dopo Mubarak, la mia preoccupazione è che gli scontri di piazza vadano avanti, causando ulteriori danni ai beni pubblici. In tal caso, Washington farà subito il suo gioco sporco: “voi egiziani, siete un paese sfinito. Volete aiuto? O.K. Fateci entrare e rifonderemo le istituzioni daccapo insieme! Non vogliamo niente in cambio. Se non ci credete, andate a Baghdad e chiedetelo a Nour al-Maliki! hahaha”

ciao, Mahmoud.

Carlo Bertani ha detto...

Ancora spero che El-Baradei - non so perché, ma mi ricorda Mossadeq, anch'egli salito al potere con un'alleanza molto eterogenea - riesca a disarcionare Mubarak.
L'esercito, che "ascolta" molto Washington, sembra aver abbandonato il vecchio Faraone, e prepararsi a tempi nuovi.
Nell'Iran degli anni '50, però, c'erano partiti d'ispirazione borghese e popolare che non scorgo in Egitto. Un clero organizzato come quello sciita: Al-Azhar è un tink-thank, niente di più.
A mio avviso, l'ago della bilancia sarà la Fratellanza Musulmana (che si sta muovendo bene, su posizioni che, qui in Occidente, col nostro metro definiremmo "socialdemocratiche"), perché la situazione dovrà per forza cambiare.
Mubarak non potrà restare abbarbicato al potere dopo tutto il can can e l'esposizione mondiale degli USA a favore del cambiamento.
Fra l'altro, gli introiti petroliferi (minimi) dell'Egitto non gli consentono di realizzare quella stabilità sociale che possono invece fornire Libia ed Algeria.
Questo spiega anche perché le rivolte siano partite in due Paesi praticamente privi di risorse energetiche, ed è complicato vivere di solo turismo, agricoltura e poca industria.
Ai piani "sociali" di Berlusconi credo poco: se valgono quanto le riforme della pubblica amministrazione di Brunetta, siamo a posto.
Staremo a vedere.
Carlo