29 marzo 2010

Italia-Partitocrazia: 2 a 1

Sono le 23 di Domenica sera: ho appena letto i risultati sull’affluenza delle 22. Sconcertante: non so come andrà a finire, ma il dato politico – vinca l’uno o l’altro, siano di più o di meno gli astenuti – è chiaro.
Non conosco, mentre scrivo (voi, quando leggerete, li saprete), i dati definitivi ma vorrei rammentare che in anni non lontanissimi – alle Regionali del 1995 – votò circa l’85% degli aventi diritto: un abisso, rispetto ad oggi.
L’Italia sta votando, ma un terzo degli italiani non ha più partito, patria politica alla quale appartenere: se scorporiamo un 10% d’astensionismo “fisiologico”, un italiano su quattro ha deciso che non era il caso.
Non era il caso di sprecare del tempo per andare ad accasarsi in ruoli conosciuti e marcescenti, costruiti su nani e ballerine da un lato, su cariatidi muffite dall’altro.
Il percorso è stato lungo, travagliato, ma alla fine il dato è chiaro: un partito che avrebbe una consistenza paragonabile a quella della vecchia DC o del PCI è sull’Aventino, che attende. Quel “partito” composto soprattutto da giovani, che un sondaggio SWG affermava essere orientati – il 51% del campione! – verso l’astensionismo come forma di protesta politica.
Si fa presto a dire “qualunquismo”: chi lo fa è già intellettualmente marcio, perché non si rende conto delle enormi differenze che ci sono fra i movimenti “qualunquisti” degli anni ’50 ed oggi.

All’epoca, si poteva urlare il proprio dissenso per una partitocrazia che omologava, ma era una partitocrazia in grado d’esprime fior di statisti: aveva idee, programmi, certezze.
Una su tutte, la preminenza del “pubblico” come Stato – ossia dello Stato come unità rappresentativa dei cittadini – un percorso che non riuscirono mai a compiere seguendo appieno i dettami della Costituzione, ma almeno ci provarono. E si viveva meglio.
Il cosiddetto “qualunquismo” d’oggi è rivolto invece ad una partitocrazia che ha messo il concetto di “Stato” al servizio del capitale finanziario, delle multinazionali, degli asservimenti più squallidi ai potentati occulti. Per, in ultima istanza, ricavarne dorate e paradisiache “estraneità” rispetto alla sempre più difficile vita della gente comune.

Si dirà che due terzi degli italiani ancora credono in questa marcescente rappresentazione, ma si dimentica che sono – per la gran parte – persone che sono state schiavizzate da decenni di TV non “spazzatura” – è comodo gettarla nel cassonetto – bensì da un lunghissimo lavorio subliminale d’addestramento, nel quale destra e sinistra sono filate d’amore e d’accordo.
Se mister B. era, ovviamente, il depositario dei “file di sistema”, l’altra parte accettò di buon grado di scambiare la schiavitù degli italiani con la sopravvivenza al deragliamento del “Mosca-express”, gettando nel cesso le legittime istanze della popolazione, soprattutto dei meno abbienti.
Altrimenti, spieghiamoci perché giammai fu fatta dalla sinistra una legge sul conflitto d’interesse, al punto che Luciano Violante affermò pubblicamente che “c’erano stati precisi accordi”.
Ma, chi di tecnologia ferisce, di tecnologia perisce.

Che un quarto degli italiani siano approdati ad un astensionismo consapevole – in questo quadro – non è di per sé una vittoria: è un miracolo.
Il miracolo è dovuto in massima parte alla critica che tantissimi siti e blog hanno continuato, per anni, a proporre – senza ricevere in cambio, ovviamente, le dorate poltrone del giornalismo “embedded” – generando altre visioni, analizzando a fondo le menzogne di regime, non lasciano scampo alle caricature che lo schermo proponeva come referenti politici.

Questi giorni saranno ricordati, poiché c’è stato un altro evento a confermarlo: la “migrazione” di Annozero dai protettivi (ed asfittici) giardini di mamma RAI al Far-West di Internet. Vincendo alla grande la partita.
Chi scrive ha spesso criticato Annozero, ritenendolo troppo allineato con i potentati di sinistra, ma non esita a spezzare una lancia in loro favore se continueranno a “farla sempre fuori dal vaso”, come hanno promesso. Vedremo.
Qui, s’inserisce una novità che non è di poco conto e che travalica anche i giornalisti ed i comici presenti: sia Annozero o chi altro, il potere di RAISET ha subito uno smacco. Questo è il dato politico: da quanto tempo non avveniva?

Ancora ricordo il 1978, quando un oscuro imprenditore milanese andava a caccia di frequenze TV in tutta Italia, strapagandole, grazie ai fondi che solo dopo molti anni avremmo saputo provenire…provenire…no, Berlusconi non ha ancora confessato, non ha ancora detto chi gli diede quei soldi. Craxi gli regalò poi la Legge Mammì e ben tre “Decreti Berlusconi”, per consegnargli definitivamente l’etere nazionale, e questo già fornisce una traccia.
Passano 32 anni – un’eternità, gente che nasce e che muore, ma così è la Storia – ed una sera qualunque si scopre che il 13% degli italiani ha guardato la dissacrante puntata di Annozero senza approdare al monopolio RAISET, e moltissimi l’hanno seguita sul Web. Com’è potuto avvenire?
L’evento stocastico è tale soltanto se non s’analizzano i prodromi, le mille cause che possono averlo prodotto.

All’inizio sembrava quasi un gioco: ma guarda questi perditempo…annotano le loro impressioni su dei block notes elettronici…li chiamano “blog”. Che amenità: meglio dedicarsi alla politica “seria”, quella dei minimi sistemi, poiché se si è minimi solo al minimo si può pervenire.
Questi perdigiorno, invece, ambiscono ai massimi sistemi: mettono in discussione lo stesso capitalismo! Che illusi: mostreremo loro, coi fatti, di cosa siamo capaci. E l’hanno fatto.

Sicuri, nei loro harem di puttane pagate con i nostri soldi, giocavano un giorno ad indebitare lo Stato, quello seguente a venderlo a pezzi – prendi otto paghi uno – e, quando qualcuno li metteva in guardia, semplicemente toglievano diritti e mettevano gabelle. Si direbbe l’incedere dell’ultimo Re Capetingio, ma forse hanno fatto ancor peggio.
Si sentivano sicuri, protetti dai loro alfieri nazionali – ossia delle reti nazionali – che osannavano, spiegavano, stemperavano ogni squallida storia nei confessionali elettronici, poiché “la perfezione non è di questo mondo”. La perfezione certo, ma la decenza sì.

Poi, qualcuno inventa un piccolo televisore, minuscolo, che occupa solo una piccola parte dello schermo del computer, ma che in quella piccola parte fa vedere ed ascoltare cose mai viste né sentite: persino un capo del Governo che cerca di “vendere” alcune attricette in cambio di senatori!
Dai e poi dai, un giorno va appresso all’altro, per tirare a campare s’inventano o si sfruttano banali fatti di cronaca – potevano mancare gli “anarchici” e le loro lettere esplosive in concomitanza delle elezioni? – poiché si pensa che l’eternità sia a portata di mano. Illusi: avessero, almeno, studiato qualcosa sui banchi di scuola.
Oggi, 29 Marzo 2010, il disastro è compiuto.

Come ogni impero che si rispetti, il giorno dopo tutto continua come prima: chi recita solo a soggetto, non può certo impegnarsi in un dramma di Shakespeare.
Tutto quello che non hanno capito è l’incomprimibile voglia dell’essere umano d’esser ascoltato: quello che quei minuscoli blog erano in grado di fare. Non più soloni di tutte le scienze e gli umanesimi, assisi su scranni secenteschi con bianche porte, a dissertare sul nulla senza contraddittorio.
Migliaia, decine di migliaia di piccole stanze dove la gente s’incontrava e discuteva: parti di riflessioni si concatenavano ad altre mai pensate, dissidi finivano in un vaffa o in un abbraccio. Proprio come avviene nella vita di tutti i giorni.

Domani sarà, a prima vista, esattamente uguale ad oggi ma così non sarà: il Vaso di Pandora s’è rotto, ed i venti hanno iniziato ad accarezzare le menti.
Loro continueranno sulla loro strada – non hanno mai compreso l’inesorabile superiorità di un media bi-direzionale rispetto ad uno mono-direzionale – ed hanno perso tempo prezioso.
Anche se domani, per un miracolo (questo, veramente impossibile), decidessero di strambare e di mutare rotta, mare ed orizzonte, si troverebbero a navigare in acque agitate dall’incomprimibile voglia di sapere, conoscere, costruire insieme. Sono acque perigliose per i marinai d’acqua dolce, ed è per loro vero terrore: hanno trascorso l’intera vita a proteggersi proprio da questa evenienza. Dal confrontarsi a viso aperto con gli altri.

Tutto ciò pone chi fino a ieri scriveva per la necessità di farlo – tentando di fornire chiavi di conoscenza alternative alla corazzata di regime – in una nuova situazione: non basterà più criticare le malefatte altrui e proporre soluzioni migliori. Bisognerà dimostrare d’esser in grado di farlo, ossia passare dalla fase di studio e riflessione alla prassi, che significa organizzazione: milioni d’italiani lo chiedono.
Come?
Per prima cosa conoscendosi: tantissime persone che, da anni, scrivono sui loro blog non si conoscono personalmente, e questo è uno scoglio insuperabile. Tanto per capirci – perché le ho vissute personalmente – queste sono le secche nelle quali si sono arenate Italianova e Contragorà. E tanti altri dei quali non sono a conoscenza.

Perciò, prendendoci il tempo necessario – l’avvicinarsi della bella stagione aiuta – poniamoci l’obiettivo di raccogliere in un meeting propositivo le tante persone che hanno saputo mettere in crisi, con i loro piccoli coltelli spuntati, il grande vascello. Potrebbe essere un campeggio all’aria aperta, un incontro informale ma molto, mooolto “formativo”.
Dovremo magari mettere mano al portafogli, viaggiare, organizzare…ma cosa ci potrebbe essere di più utile e, in fin dei conti, divertente e rigeneratore per degli spiriti inquieti?
Personalmente, contatterò parecchie persone ma, come potrete notare, al fondo dell’articolo compare nuovamente una casella postale: senza essere inutilmente prolissi, s’accettano idee e proposte.
Sarà mio dovere informarvi sugli sviluppi.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

23 marzo 2010

Ite pargoli, ite

“Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione.”
Alcide de Gasperi

Premessa

La sorpresa giunge a metà Febbraio, quando – nello statino dello stipendio – compaiono conguagli ed addizionali: pazienza per i conguagli, ma tutte quelle addizionali, ad occhio e croce, sembra che crescano in percentuale più dello stipendio stesso. Ecco cosa leggo:

11/2010 Addizionale regionale IRPEF 45,99
11/2010 Addizionale comunale – saldo 15,29
11/2010 Addizionale comunale – acconto 6,41

Le date nella colonna a sinistra indicano che pagherò quei soldi, in busta paga, fino a Novembre del 2010: sommando le varie voci, e moltiplicando per 10 mesi, significa che i bei consiglieri regionali e comunali si prenderanno, solo da me, la bella cifra di 676,9 euro.
E le Province?
Le Province non compaiono perché s’approvvigionano mediante altre fonti: ad esempio, sulle tasse automobilistiche che paghiamo per i passaggi di proprietà. In Italia, circolano circa 30 milioni d’automezzi, il mercato dell’usato è quindi un mercato di milioni d’autoveicoli l’anno: si tratta dunque, anche lì, di un bel salasso.

Quanto ci rubano?

Uno degli assiomi imperanti, che per tanto tempo ci hanno ammansito, è che i costi della politica non siano significativi rispetto al bilancio dello Stato: passiamo per vero quanto affermano (ma è falso), però nel bilancio di una famiglia quei soldi iniziano a pesare.
Per la mia famiglia, ad esempio, rappresentano circa metà della cifra che spendiamo per il riscaldamento: poco “significativo”?!?
Oppure, se volete metterla in altro modo, significa che potrei acquistare un’utilitaria nuova ogni dieci anni. Non è niente?
Allora, quanto ci rubano?
Quanti sono i lavoratori dipendenti in Italia?

Più di 19 milioni[1]. Quanto pagheranno per le loro Regioni e per i loro Comuni? All’incirca quello che pago io (lo stipendio di un insegnante non fa certo parte della fascia “alta”, anzi…) moltiplicato per 19 milioni, ossia 12,8 miliardi di euro. Bella cifra, vero?
Poi, ci sono i pensionati: anch’essi pagano le addizionali. Non so sotto quale forma paghino i lavoratori autonomi, ma il salasso “federale” ci sarà anche per loro.
Chi più e chi meno, partecipiamo tutti alla costruzione di questo bel castello di soldi che acchiappano. Qualcuno ribatterà: già, ma ci sono anche i dipendenti, non solo i politici. Risposta: ci sono anche altre gabelle, come l’IRAP, con la quale finanziano la Sanità.
“Stornando” la Sanità dal bilancio regionale, il resto delle “competenze” tanto strombazzate dalle Regioni smagrisce, e parecchio.

Ad una domanda in merito, sulla mancata soppressione delle Province, Tremonti rispose che si possono abolire gli enti, ma non le competenze.
Risposta: le competenze possono anche essere accorpate. Di più: ciò a cui assistiamo nel campo della Pubblica Amministrazione, non è la ripartizione delle competenze, bensì la loro sovrapposizione.
Un solo esempio: prima delle varie riforme (regionale, Titolo V, ecc) la competenza sul fiume Po era di un solo ente, il Magistrato del Po. Oggi, sono 28 diverse amministrazioni, con il risultato che ogni decisione deve essere mediata e discussa in 28, le delibere rimpallano da un TAR all’altro, vanno e vengono dal Consiglio di Stato alla Magistratura ordinaria, poi al Governo…arbitrati, accordi, poi cambia amministrazione o governo e…si torna da capo.
Il vero risultato, è che il Po è il fiume più abbandonato d’Europa: chi ha viaggiato ed ha visto con i suoi occhi come vengono curati fiumi come il Reno, il Danubio, il Rodano, il Tamigi, il Guadalquivir…non potrà che confermare.

Il problema non sono dunque le competenze, bensì un esercito di gente che pensa a tutt’altro (ossia ad utilizzare quei posti come rendite di posizione), e complica ancor più le cose poiché, per ogni “complicazione”, serve la relativa tangente per sbloccarla: è un “percorso” che ogni piccolo imprenditore ben conosce.

A quanto ammonta il bottino?

Senza aver la pretesa di spaccare il capello in quattro, cercheremo di capire – almeno – qual è l’ordine di grandezza del fiume di soldi che ingoia direttamente la politica italiana. Iniziamo col fare i conti in tasca ad uno dei tanti che s’insedieranno nei consigli regionali, quelli che vengono spesso scoperti a prender mazzette.
Quanto guadagna, ad esempio, un consigliere regionale?

Lasciamo perdere le astronomiche cifre della Regione Sicilia, ed accontentiamoci della “normalità”: poco meno che un parlamentare, circa 15.000 euro netti mensili.
Un consigliere regionale, in un quinquennio, mette da parte la bella cifra di 975.000 euro, poco meno di un milione. Poi, c’è l’indennità di fine rapporto: quanto fa?
Non è come per i comuni mortali, che accantonano pressappoco una mensilità netta per anno, ma il doppio: eh, che ci volete fare, sono “speciali” anche in questo.
Perciò, a 30.000 euro l’anno per cinque anni, aggiungeranno altri 150.000 euro, che porteranno il tutto alla considerevole cifra di 1.125.000 euro per un mandato. Una discreta vincita ad una lotteria.
Per questa ragione, non lesinano soldi per stampare quei bei volumetti in carta patinata – la pubblicità elettorale – poiché si tratta del loro biglietto per la, politicissima e riservatissima, “Lotteria Italia”. Biglietti stampati, oltretutto, a nostre spese.
A quanto ammonta il monte premi della vera Lotteria Italia, quella dei politici[2]?

Le Regioni

Le Regioni italiane sono 20: il numero dei consiglieri regionali per Regione è 60, che porta il numero dei consiglieri regionali italiani alla bella cifra di 1.200.
Lo stipendio medio di un consigliere regionale è di circa 15.000 euro mensili, ovvero 195.000 euro netti l’anno. I 1.200 consiglieri regionali ci costano quindi, annualmente, 234 milioni di euro l’anno.
Aggiungendo, annualmente, le due mensilità accantonate come liquidazione, sono altri 36 milioni di euro, che portano a 270 milioni di euro il totale.

Le Province

Le Province italiane sono 110 (alla faccia dell’eliminazione, erano 100!) e ciascuna ha un numero di consiglieri che varia da 12 a 60, secondo la popolazione.
Voliamo bassi, e consideriamo una media ragionata di 35 consiglieri per ogni Provincia: voilà, 3.850 consiglieri. Quanto guadagnano?
Un consigliere provinciale guadagna un’inezia rispetto ai fratelli maggiori: “solo” 6.300 euro. Poveracci.
Il che, per la Nazione, significa sborsare ogni mese 24.255.000 euro, che in una anno (13 mensilità) fanno altri 315 milioni di euro. Più delle Regioni? Sembrerebbe così.
Non siamo a conoscenza d’eventuali trattamenti di fine rapporto: perciò, ci asteniamo.

I Comuni

I Comuni italiani sono 8.100, ed hanno un numero di consiglieri che varia in una “forbice” che va da 12 a 60. Siccome la maggior parte sono piccoli Comuni, ipotizziamo una media ragionata di 20 consiglieri.
La “zuppa” diventa consistente, poiché si tratta di 162.000 consiglieri comunali: più dei dipendenti FIAT!
Quanto guadagnano?
Qui c’è gran disparità fra il popoloso Comune ed il piccolo centro: si va da niente a 1.700 euro, ma nei Comuni sono molto importanti i gettoni di presenza – che abbiamo tralasciato per le altre amministrazioni locali – e, voci di corridoio, affermano che 1.000 euro a cranio non siano molto distanti dalla realtà.
Perciò, 162 milioni di euro.

Il totale di queste prebende inizia a far cifra, numeri da Finanziaria, poiché siamo intorno ai 750 milioni di euro (stipendi netti: e il lordo?). Il nostro calcolo non tiene però conto di una serie di “variabili” che sono molto difficili da valutare, giacché le tengono ben nascoste nelle pieghe dei bilanci.
Ad esempio: le indennità dei Sindaci e dei Presidenti, degli assessori, di missione, i rimborsi-viaggio, spese telefoniche, “gettoni” vari, auto “blu”, ecc.
E, nemmeno, abbiamo preso in considerazione le circoscrizioni e le Comunità Montane: a quanto si giunge?
Difficile dirlo, però saremo ben oltre il miliardo di euro: ad essere molto, moooolto prudenti.
E i parlamentari?
I nostri “dipendenti” a Roma sono 630 deputati e 315 senatori, ossia 945 parlamentari, i quali percepiscono 20.600 euro mensili. Ogni mese, saranno 19.467.000, ogni anno 253 milioni di euro.

Avevamo premesso di non poter fornire cifre precise in merito, ma solo indicative, poiché sono tali e tanti i benefit che ci si perde in una palude: dai contributi per i “trombati” (ufficialmente, per riprendere l’attività lavorativa precedente la nomina), all’infinità di viaggi, telefoni, computer portatili, ecc. Un oceano.
Riflettiamo, poi, che il loro trattamento previdenziale è scandaloso in un Paese che non è in grado di concedere nemmeno 300 euro mensili ad un (vero) invalido al 100%. Maturano il diritto alla pensione in 36 mesi: ai comuni mortali non bastano 36 anni.
Se ci limitiamo a questi dati, potremmo concludere che è sì scandaloso pagare così profumatamente la classe politica (la più costosa del Pianeta), ma che le cifre in gioco – qualche miliardo di euro l’anno – sono sopportabili per il bilancio dello Stato.
L’impressione che si ricava è che siano tutte cifre sottostimate, poiché i benefit e le prebende fanno la parte del leone in questi conteggi ma, loro stessi – nonostante la strombazzata “trasparenza” – sono più bravi del miglior prestigiatore a farle sparire. Ma, aspettate: il bello, viene dopo.

Il saccheggio

La Corte dei Conti ha stimato[3] che, ogni anno, la corruzione “strappi” illegalmente agli italiani una cifra variabile fra i 50 ed i 60 miliardi di euro: sono una quantità di soldi paragonabile alle Finanziarie che più hanno succhiato il sangue agli italiani.
Non lo ha detto l’Arcivescovo di Costantinopoli, non sono illazioni di qualche centro sociale: sono cifre ufficiali, comunicate dalla più elevata autorità della Magistratura contabile, che i politici conoscono benissimo.
La cifra è coerente, oltretutto, con il famoso “teorema di Craxi”, ossia che un terzo dei trasferimenti di denaro dallo Stato alla periferia, oppure degli appalti sulle opere pubbliche, sia trasformato in tangenti. Considerando la quota di denaro che lo Stato trasferisce o spende direttamente in appalti, la cifra è coerente.
Siamo poveri, ci tocca lavorare “a singhiozzo” ed andare in pensione il giorno prima del funerale per mantenere questa pletora di delinquenti! Poiché, chi corrompe e chi si fa corrompere, è inequivocabilmente un delinquente, tale e quale a chi va a rubare negli appartamenti. Oltretutto, sono ladri che, per rubare i nostri soldi, si fanno pagare profumatamente! Ladri di Stato: non c’è miglior definizione.

Da un’inchiesta de “L’Espresso”, s’evince che – da quando Berlusconi è a Palazzo Chigi, ossia negli ultimi due anni – le spese della Presidenza del Consiglio sono “lievitate” di un miliardo di euro, solo per la Presidenza del Consiglio!
Ci sono addirittura i filmati – come quello del consigliere regionale Mirko Pennisi, che incassa 5.000 euro in un pacchetto di sigarette[4] – oppure le confessioni di un ex vicepresidente regionale (Frisullo), il quale ammette: sì, è vero, favorivo negli appalti Tarantini…ma quelle donnine “disinibite”, che mi faceva conoscere, m’inebriavano al punto di perdere la testa…
Eh, come cambiano i tempi…un paio di secoli or sono, quel “perdere la testa” non sarebbe stato soltanto metaforico.

Quando parlano di “risparmi” da attuare tagliando la spesa sociale, intervenendo sulle pensioni o sulla “flessibilità” del lavoro, raccontano quindi una storiella che solo dei gonzi possono bere: la vera idrovora di denaro pubblico sono loro. Se, ogni anno, risparmiassimo una cifra intorno ai 60-70 miliardi di euro (tangenti più stipendi), non avremmo bisogno delle “lacrime e sangue” che ad ogni Finanziaria ci propinano. E, attenzione: non stiamo parlando dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, ma solo dei politici!
Giunge allora il dilemma di cosa fare alle elezioni.

Ma…votare chi?

L’attuale governo – il sultanato Chigi/Grazioli – è così squalificato che non merita nemmeno d’esser preso in considerazione: comprendiamo chi lo sostiene perché consente ai ceti più abbienti d’imboscare ricchezze nei paradisi fiscali e poi, con il solito trucco di Trecarte detto il Ministro dell’Economia, riportarli in Italia pagando il 5% invece del 40%. Per, alla prossima occasione, riportarli ai Caraibi e quindi farli tornare una seconda volta: una partita di giro col 5% di tasse! Per lor signori, ovvio: per noi, quasi 700 euro da pagare ogni anno in busta paga.
Non comprendiamo gli elettori (e lavoratori) di destra (ossia, chi crede nei valori sociali di destra, nei riferimenti economici di destra: De Benoist, ad esempio): riteniamo che sia giunto il giorno nel quale debbano rendersi finalmente conto che non votano una persona di destra, bensì per un affarista milanese che pensa soltanto ai suoi interessi. Un ex socialista, craxiano di ferro per giunta.

Anche le persone più abbienti, che si credono al riparo dalle crisi economiche, dovrebbe valutare con attenzione cosa sta accadendo alle finanze italiane, poiché quando arrivano i “crack”, modello Islanda o Grecia, nessuno è più al sicuro.
Forse poco attenti al bilancio dello Stato, non avranno meditato che il debito pubblico italiano viene valutato oramai attorno (per alcune fonti oltre) il 120% del PIL: siamo oramai in “zona Cesarini”, ad un passo dal baratro. La cosiddetta “strategia” di Berlusconi è semplicemente quella d’indebitare il futuro per glorificare se stesso oggi: questa è la politica economica del Governo, nient’altro.
Gioverà sapere che, nella Finanziaria per il 2010, sono stati “stornati” 3,5 miliardi di euro dal fondo INPS dei TFR per metterli alla voce della spesa corrente. Avete capito la gravità dell’atto? Non nelle spese in conto capitale per gli investimenti, alla spesa corrente! Argent de poche per affari e relative tangenti!

Sulla Lega che difende gli interessi del Nord, basti pensare che è stato rimorchiato fuori del bacino di carenaggio un vecchio bastimento, che là arrugginiva da anni: si chiamava “Cassa del Mezzogiorno”. Al prossimo varo – si dice – sarà ribattezzato “Banca del Mezzogiorno”: c’è da aggiungere qualcosa?
E, per chi l’avesse dimenticato, Umberto Bossi fu condannato esattamente come Craxi, nello stesso processo di Milano, per una tangente di 100 milioni di lire (dell’epoca) ricevuta da Montedison[5]. Celaduro, certo, per metterlo nello stoppino a noi.

Il cosiddetto “centro” di Casini – che s’allea di qua e di là – è soltanto una ruota di scorta a noleggio chilometrico: tutte le leggi, che proteggono il premier per le sue malefatte, sono prima concordate con Casini.
Il quale, non dimentichiamolo, è molto interessato agli appalti per le grandi opere: il fatto d’essere il genero del costruttore Caltagirone, non avrà importanza? E chi manovra il “rubinetto” delle grandi opere? Quello che, in Parlamento, ha bisogno dei voti di Casini per approvare le sue “mazzate” alla Costituzione. La prova? I deputati UDC, quando serve, “s’assentano” – nel miglior stile democristo, “la destra non sappia ciò che fa la sinistra” – com’è avvenuto in più occasioni.[6]

Il PD è, tuttora, un partito senza una linea politica che non sia il bieco appoggio ai potentati economici che ci stanno strangolando: si nutrono dalla stessa melma di Berlusconi. Quando furono al governo, fecero pressappoco le stesse cose: ricordiamo la riforma delle pensioni Damiano, quella che – col meccanismo dell’aumento ogni anno dell’età pensionabile – funziona come una carota appesa di fronte all’asino, per farci lavorare fino al giorno prima del funerale. Oppure dobbiamo ricordare che i CO.CO.CO li hanno inventati loro?
Inoltre, prima di parlare del PD come partito, dovrebbero trovarlo: ciò che è accaduto in Puglia insegna.
Infine, il centro-sinistra italiano ha mancato troppi “appuntamenti” con il suo elettorato quando era al governo (per sette anni!): ricordiamo che la “cedolare secca” sui redditi da capitale è tuttora del 12,5%.
E’ inutile parlare di “lavoro”, se non s’esplicita chiaramente che bisogna tassare di più i capitali e le rendite e meno il lavoro (dipendente ed autonomo).
Potranno anche rosicchiare qualche punto percentuale, ma il destino politico del partito voluto da Veltroni è soltanto un’interminabile agonia: la gente che ancora crede nei veri valori di sinistra – giustizia sociale, eguaglianza di fronte alla legge, solidarietà, protezione sociale dei più deboli, pace, ecc – non “se li fila” più.

Antonio di Pietro è bravissimo nel ruolo di capopopolo, un po’ meno quando deve scegliere le persone: non crederete mica che, aver condotto al Senato un uomo squalificato come De Gregorio, sia stato uno “sbaglio”? Di questo passo, potrete credere anche a Cappuccetto Rosso.
Non c’era proprio nessuno, nella cosiddetta “società civile”, da far sedere in Parlamento al posto di uno squalificato giornalista proveniente dalla destra, per giunta infilato in una squallida storia di finanziamenti ed assegni scoperti[7]? Conosciamo personalmente parecchie persone dell’IDV le quali – per onestà e capacità – sarebbero state degnissime per rappresentare l’IDV in Parlamento, invece “toccò” ad un ex giornalista de “Il Giornale”, per giunta già rifiutato da Forza Italia.
Oppure, vogliamo parlare della proposta di legge per depenalizzare il reato di bracconaggio (sì, il bracconaggio!), proposta dall’IDV e firmata dagli onorevoli Cimadoro, Di Giuseppe, Messina, Mura, Piffari e Rota[8]? Ma dove li va a scovare, Pietruzzo, elementi del genere da mettere in lista? Nei ruoli dei bruciabaracche?
Fuori dai denti, queste sono cose che avvengono nel sottobosco della politica, dove tutti cercano sempre d’avere “pedine di scambio” con l’uno o con l’altro: se non vi basta, chiedetevi perché s’alleò – quand’era Ministro – con il governatore del Molise del PdL – Iorio – per bloccare il primo “campo” d’aerogeneratori in mare[9]. Strana alleanza, vero? ENI ed Enel ancora ringraziano.

Le altre formazioni non meritano nemmeno d’esser prese in considerazione, perché insignificanti, compresa la litigiosa ed inconcludente sinistra “estrema” ed il penoso ambientalismo italiano, frantumato in mille sigle, in perpetua lotta fra di loro. In realtà, l’ambientalismo italiano non medita sull’ecologia e sulla tecnologia per risolvere i problemi, bensì sul manuale Cencelli.
Se vogliamo sorridere, visualizziamo personaggi come Rutelli – radicale, verde, margherito, PiDieddino, quasi UDC… – oppure un campione del salto della staccionata come Capezzone: nato l’8 Settembre, buon sangue non mente. E un tipetto un po’ fegatoso come Adornato? Cos’è, oggi, Adornato? Almeno lui, lo sa?

Fra i partiti “tradizionali”, vince la palma della comicità la Destra di Storace, la quale diffonde materiale elettorale dove afferma d’esser in lotta contro la Casta, per l’affermazione di valori come socialità, solidarietà, ecc. In fondo, scritto piccolo, c’è un “Con Berlusconi”: penosi. E appoggiano Cota, un secessionista: cosa risponde “la Patria”?

Rimane il “fenomeno Grillo” il quale – due anni or sono, al primo V-day – pareva aver l’Italia in tasca: se Beppe Grillo, all’epoca, avesse fondato un vero partito ed avesse chiesto il voto agli italiani, avrebbe ricevuto un consenso a due cifre.
Lo affermiamo perché l’elettorato “senza casa” – come conferma un sondaggio di SWG[10] – è principalmente quello giovanile (18-34 anni), il quale considera – per il 51%! – l’astensione come un mezzo di protesta. Proprio i giovani, i più informatizzati, quelli che più navigano sul web.
Invece, che fa Grillo?
Se lo mena per due anni, finché la gente capisce che ha solo a cuore i suoi interessi editoriali. Infine, presenta le sue liste in qualche circoscrizione alle elezioni regionali, tanto per dire che lo “ha fatto”: sarebbe questa l’alternativa?
Non discutiamo le proposte di Grillo – per buona parte condivisibili – ma poniamo una domanda: perché non ha fondato, allora, un partito a livello nazionale? Perché non lo fa oggi? Cosa ha guadagnato a non farlo?

La vera soluzione

Chi propaganda l’astensionismo potrebbe apparire nichilista: così non è.
Perché, piccoli partiti con buoni programmi, che si sono presentati a varie tornate elettorali, non hanno avuto successo? Poiché gli italiani sono affezionati, in modo ossessivo, ai loro carnefici: sembra quasi di rivedere, ogni giorno, “Portiere di notte”.
Blaterano, s’arrabbiano, urlano, ma il giorno delle elezioni si mettono ordinatamente in fila davanti al seggio.
Nessun nuovo partito potrà mai affermarsi, fin quando l’astensione consapevole non giungerà a cifre “bulgare”!
Soltanto la disaffezione degli italiani potrà condurre ad un nuovo percorso di speranza: da un lato renderà la partitocrazia più fragile – quando sa che la metà degli elettori non vota più né lui, e né il suo apparente avversario, il politico carrierista comincia a pensare: e se arriva un terzo incomodo? E se questo non si fa incantare dalle tangenti e dalle escort? – dall’altra renderà consapevoli le nuove, potenziali forze politiche che lo spazio per agire esiste. Altrimenti è inutile partire: già si sa di finire con lo 0, qualcosa %.

La principale obiezione, che i “votazionisti” oppongono agli “astensionisti”, è che il voto è partecipazione civile alla vita sociale, strumento mediante il quale funziona la democrazia.
Passiamo per buoni i principi (ci sarebbero parecchi “distinguo”, ma lasciamo perdere) e andiamo alla domanda: quali sono stati gli argomenti di questa (e d’altre) campagne elettorali?
Sfatiamo subito il mito che queste siano semplicemente delle elezioni locali: non si vota per eleggere il miglior Presidente di Regione, bensì per appartenenza di tipo calcistico.
Curiosa poi l’ennesima diatriba sull’aborto: si tratta di un tema da approfondire per dei programmi regionali? Significa forse che s’approssima uno scenario nel quale avremo varie “competenze” in questo settore? Forse una legge regionale che in Lazio concede l’aborto, in Calabria lo nega, a Milano solo per le milanesi, a Torino solo per le over-40, a Venezia solo per le nate sotto il segno dell’Acquario? Oppure, stiamo giocando all’eterna “partita” fra Peppone e Don Camillo? Sinceramente, ci siamo stufati.
E i programmi elettorali?

A nostro avviso, li fotocopiano da un anno all’altro: in alcuni casi, addirittura, hanno inaugurato il “refuso freudiano”. Sulla pubblicità elettorale de “La Destra”, il “mutuo sociale” è diventato il “muto sociale” (pag. 3, rigo 25, “La Destra Cuneese): sappiamo d’esser muti, senza che ce lo venga a dire Storace o chissà chi altro.
La maggior parte delle persone che si presentano alle elezioni, manco conoscono il programma, al punto d’esser perfettamente intercambiabili: è il caso della candidata Fiorella Bilancio la quale, dopo aver tappezzato Napoli con i suoi manifesti elettorali (dove appare con il logo del PdL), non ha trovato chissà quale “accordo” con i berluscones e correrà per l’UDC[11]. I manifesti sono sempre là, con il PdL in prima vista: e il programma? E’ quello dell’UDC? Sono la stessa cosa?

Lo scopo di queste campagne elettorali (destra o sinistra, poco cambia) è quello di farci dimenticare quelli che dovrebbero essere i temi di una vera campagna elettorale. Non basta, come fa Bersani, affermare che è “per il lavoro”: cosa significa? Vale quanto il “contro il cancro” di Berlusconi pronunciato a San Giovanni.
Gli argomenti per una vera campagna elettorale ci sarebbero, ma li evitano accuratamente.

Se la crisi economica finisse, e si dovesse tornare ai livelli d’anni fa, molti economisti hanno avvertito che sarebbe impossibile tornare a quei livelli d’occupazione. Perché? Poiché, almeno qui in Europa, la competitività si raggiunge mediante l’automazione e la standardizzazione dei sistemi produttivi: ergo, con meno occupati.
Difatti, anche nei periodi di “vacche grasse”, l’occupazione nelle grandi imprese cala regolarmente dell’1% l’anno circa.

Un buon argomento da campagna elettorale sarebbe quindi non la carità del misero assegno di disoccupazione (per chi riesce a prenderlo!), bensì un serio dibattito sul reddito di cittadinanza.
Signori: l’automazione libera l’uomo dal lavoro ripetitivo e dalla fatica, vogliamo prenderne atto? Oppure continueremo ad osservare i processi produttivi inforcando gli occhiali della prima rivoluzione industriale?
E la Pubblica Amministrazione – della quale si parla solo più per le “sparate” di Brunetta – non è forse quella che più dovrebbe avvalersi della rivoluzione informatica, per svolgere meglio i suoi compiti, con meno occupati?
Ancora ricordo – sarà stato il 2004 – un sorridente Berlusconi, con a fianco l’allora Ministro per l’Innovazione Stanca, che presentava la carta d’identità elettronica: dov’è finita?
Il dibattito sul reddito di cittadinanza non è più la discussione sul sesso degli Angeli: mantenere gente al lavoro quando non ce ne sarebbe bisogno, è la politica degli struzzi. Dove trovare i soldi? Evitare la rapina seriale della classe politica – 60/70 miliardi di euro l’anno – sarebbe già un buon inizio.

Da lavoro all’energia, ma senza cadere nel tranello delle sole pazzie nucleari berlusconiane: la gestione dell’energia (e delle risorse, in primis l’acqua) viene data ai privati soltanto per rinsaldare i legami fra la classe imprenditoriale (i corruttori) e quella politica (i corrotti). Dove arriva il privato, i costi lievitano ed il servizio decade: sono gli stessi utenti ad accorgersene. Come stanno, per l’acqua, a Latina?
La vera “piazza” politica di Sabato 20 Marzo a Roma – giacché poneva un problema politico, non degli slogan – era quella del corteo per la pubblicità dell’acqua e delle risorse.

Se cerchiamo argomenti “politici” ne troviamo a bizzeffe: quali scelte operare riguardo all’inurbamento della popolazione? E’ preferibile continuare ad inurbare, oppure promuovere iniziative per ripopolare il territorio, che sta diventando un dormitorio per pensionati? Già, ma le risorse (agricole, energia, materie prime, ecc) sono nel territorio – laddove la “filiera” produzione/consumo s’accorcia – e, allora, chi lucrerebbe sulle reti di distribuzione?
Da qui si giunge ai trasporti: andiamo avanti nel costruire TAV, autostrade, raddoppi, corsie, tangenziali…oppure scegliamo d’usare l’acqua (fluviale e marina) che consente d’impiegare, a parità di tonnellata trasportata, il 30% del carburante rispetto al mezzo gommato, ed il 60% rispetto alla pur “risparmiosa” ferrovia?

Ci sarebbero tantissimi argomenti dei quali parlare, e ci limitiamo per sole questioni di spazio: la forma di Stato e le autonomie, l’istruzione, l’immigrazione, la sanità…

E la socialità? Il nostro vivere quotidiano? Non dovrebbe essere un argomento da campagna elettorale?
La società italiana ha retto abbastanza bene fin quando i giovani entravano presto nel mondo del lavoro e gli anziani andavano in pensione ad un’età accettabile, diciamo fra i 50 ed i 60 anni. Perché?
Poiché gli anziani sono anche nonni, e quindi sollevano i genitori dalla frenesia asilo/lavoro/asilo, vissuta come una corsa ad ostacoli. Inoltre, i pensionati ancora in forze non hanno mai vissuto con le mani in mano: quante case hanno ristrutturato? Quanti orti hanno coltivato? In definitiva, quanta ricchezza hanno prodotto? Le famiglie italiane hanno retto per tanto tempo grazie a questo equilibrio: distruggerlo, è da folli.

E proprio qui viene il punto che più fa male.
La realtà è che questa classe politica non desidera affatto promuovere la prosperità degli italiani, bensì proprio l’opposto, poiché questi sono i desideri delle banche.
La questione del denaro e delle banche non si limita alla sola proprietà pubblica della Banca d’Italia: il problema più scottante è che, grazie alla sempre minor ricchezza a disposizione, gli italiani sono costretti, sempre di più, a vivere “a debito”, ossia ad acquistare a rate oppure “in rosso”.
Comprare a debito è nettare per le orecchie dei banchieri i quali, su ogni piccola transazione a debito, incassano la loro tangente. Difatti, le retribuzioni sono scese – negli ultimi 20 anni – di circa il 30% in termini reali, e l’ammontare degli acquisti “a debito” è parallelamente cresciuto.

Conclusioni

Dopo queste riflessioni, ha ancora senso recarsi in un seggio, per far finta di credere che lì decideremo il nostro futuro?
Perciò, per una volta, cerchiamo d’esser europei: facciamo nostro l’esempio francese! Hanno votato contro la trappola della Costituzione Europea: l’Europa ha risposto con il Trattato di Lisbona e con Sarkozy.
I francesi, dapprima, ci sono cascati con la falsa contrapposizione fra gollisti e socialisti, ed oggi si sono stufati: come potrà, domani la Francia, far finta che non sia successo niente? Con il 60% d’astensione?!? Dov’è finita la democrazia in Francia, in quel 40% che ancora appoggia le élites di governo? Ah…la Francia…ha ottime tradizioni in tal senso: impariamo.
Al signor Bruni – per quel che si sa in giro – girano talmente i cosiddetti che, se lo buttassero in mare, finirebbe direttamente in Corsica come un aliscafo: e, attenzione, non per la scontata vittoria dei socialisti, ma per aver preso coscienza che l’elettorato francese è diventato fluido e non più controllabile. Insomma, i suoi padroni potrebbero chiedergli conto del guaio che sta combinando: il più grave, per le élites economiche che ci controllano.

In buona sostanza, siamo come i Nativi Americani che venivano privati delle loro terre, del loro modo di vivere e della loro cultura. E, nelle memorie dei filosofi (sì, filosofi!) di quella civiltà dimenticata – pensate o scritte oramai 150 anni fa – troviamo tutte le radici del nostro disgusto, del nostro fallimento come cultura egemone del Pianeta.
Quei poveretti – con la scusa della “civiltà” che avanzava – dovevano fuggire cercando d’indovinare, prima, quale direzione avrebbero preso le famose “Giacche Blu”. Per salvare la pelle.

Nel teatrino della democrazia addomesticata, invece, ci consentono di scegliere: preferisci essere inseguito da Capelli Lunghi Custer oppure da Cappotto d’Orso Miles? Scegli, suvvia: facci sapere se preferisci essere massacrato dalla cavalleria dell’uno o dell’altro.
Per quel che mi riguarda, inizierò col risparmiare la benzina che consumerei recandomi al seggio: rimarrò ad osservare se il sole, che sale ogni giorno più in alto nel cielo, inonderà il mio studio di luce, oppure se dovrò scendere in strada per incontrarlo.

Un’attività senz’altro più onorevole, piuttosto che andare a scegliere i miei futuri carnefici.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

[1] Fonte: http://www.ancot.it/cms/index.php?option=com_docman&task=doc_download&gid=1065
[2] Tutte le cifre sono state tratte da Wikipedia.
[3] Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/06/corte-conti-corruzione-rendiconto-generale-stato.shtml
[4] Fonte: http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/italia/2010/02/13/AMlplQND-beccato_consigliere_mazzetta.shtml
[5] Fonte: http://indiano1983.blogspot.com/2008/05/parlamento-pulito-umberto-bossi.html
[6] Soltanto alcune “assenze strategiche” dell’UDC (ci sarebbe da riempire una pagina di collegamenti): http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2344728&yy=2009&mm=09&dd=30&title=camera_pd_e_udc_assenti_salvan e http://ilnichilista.wordpress.com/2010/03/16/il-messaggio-devastante-delludc/
[7] Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Attualita%20ed%20Esteri/Attualita/2006/12/011206gatti_degregorio.shtml?uuid=06807776-810f-11db-88d7-00000e251029&DocRulesView=Libero
[8] Vedi: http://magazine.quotidianonet.ilsole24ore.com/ecquo/ecquo/2010/02/12/proposta-di-legge-idv-per-depenalizzare-il-bracconaggio-insorgono-gli-ambientalisti/
[9] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.html
[10] Vedi: http://www.italiafutura.it/dettaglio/110405/gli_italiani_e_l_astensione_motivata
[11] Vedi: http://www.napolinord.info/index.php?option=com_content&task=view&id=3954&Itemid=2

17 marzo 2010

Dei reati e della pubblicità degli stessi

“Il sentimento di giustizia è così universalmente connaturato all'umanità da sembrare indipendente da ogni legge, partito o religione.”

François-Marie Arouet detto Voltaire

Tutta la vicenda che si sta svolgendo a Trani, gira attorno ad un semplice problema: si possono rendere pubblici i reati prima ancora che vengano formalizzati? Questo è il senso degli ispettori inviati dal Guardasigilli Alfano in Puglia, null’altro.
Difatti, è papale che gli ispettori inviati dal Ministero non potranno interferire con l’inchiesta, nemmeno prendere visione degli incartamenti, per quanto hanno dichiarato i magistrati della Procura di Trani.
Dal punto di vista strettamente procedurale, è ovvio che in un Paese normale i primi a venir avvisati delle indagini dovrebbero essere gli interessati: in un Paese normale.

Sbattere il mostro in prima pagina è sempre stata la prassi del giornalismo “di pancia”, quando non sono i giornalisti stessi a crearlo il mostro: vedi la “fattiva collaborazione” del sedicente giornalista Farina nel caso di Abu Omar e quella del “copista” di Genova, che scrisse a se stesso la lettera minatoria delle BR. Guarda a caso, uno scribacchino di “Libero” e l’altro de “Il Giornale”.

C’è da chiedersi perché, da anni, la Magistratura si lasci “scappare” anzitempo i brogliacci delle intercettazioni: è avvenuto in tanti casi, che coinvolgevano sia la destra e sia la sinistra. Berlusconi la fa da padrone in quelle trascrizioni, ma ricordiamo che “sfuggirono” anche le intercettazioni di Fiorani che chiamavano in causa esponenti del PD.
Si può chiudere la faccenda chiamando in causa i giornalisti che “ronzano” intorno alle Procure – il che ipotizzerebbe, al minimo, che qualcuno non abbia rispettato il codice deontologico – ma ci possono essere anche altre ipotesi, poiché le fughe di notizie sono oramai la normalità e non l’eccezione.

Avevamo premesso, sopra, che tutto ciò è anomalo: già, ma in un “Paese normale”.
Proviamo ad ipotizzare l’opposto, ovvero che l’inchiesta di Trani fosse rimasta sepolta negli archivi della Procura, poi fossero stati inviati gli avvisi di garanzia e, solo successivamente, la notizia fosse divenuta di dominio pubblico.

I legali di Silvio Berlusconi sono già scesi in Puglia, per chiedere l’avocazione del procedimento al Tribunale dei Ministri, a Roma.
Si sono mossi ancor prima degli ispettori, mentre il CSM (che ha almeno una sospetta “mela marcia” al suo interno, il giudice Ferri) ha cercato di mettere sotto la sua “protezione” gli inquirenti pugliesi, ed il Presidente Napolitano ha finito, come sempre, d’interpretare la vicenda nella tradizione del miglior cerchiobottismo italiota.

Proviamo ad ipotizzare cosa sarebbe successo in un Paese normale: non sarebbe stata resa pubblica nessuna intercettazione ma, vista la gravità della vicenda – le ingerenze indebite, la concussione o la corruzione di uomini che dovrebbero garantire la pluralità dell’informazione, ecc – nessun Tribunale dei Ministri, o chi per esso, avrebbe negato l’autorizzazione a procedere.
Sicché, dopo l’autorizzazione a procedere, la formalizzazione dell’inchiesta e tutti adempimenti necessari, ci sarebbe stata la pubblicità degli eventi: almeno, la precisazione delle accuse.
Infine, in fase di dibattimento, tutti gli atti sarebbero diventati di pubblico dominio, fino alla sentenza. Da scontare.

In questo modo, nessun “mostro” sarebbe stato sbattuto in prima pagina, non ci sarebbe stata nessuna fuga di notizie e tutti avrebbero compiuto il loro dovere come la legge prescrive.
Piccola parentesi: in un Paese normale, un uomo di governo che si fa beccare con le mani nella marmellata in questo modo, la prima cosa che fa è dimettersi, il giorno stesso.
Fa quasi pena il povero Marrazzo il quale, stante agli atti, l’unico reato che avrebbe commesso sarebbe stato quello d’aver utilizzato l’auto di servizio per i suoi incontri “trasgressivi”. Credendo di vivere in un Paese normale, Marrazzo si dimise.

In un Paese normale di categoria C-29 (per usare un parametro tanto caro agli economisti), in presenza di una simile richiesta d’autorizzazione a procedere, tutto viene inviato al Tribunale dei Ministri: il quale, archivia subito tutto.
Se, invece, è “disponibile” una Procura per archiviare tutto, non si scomoda nemmeno l’Alto Consesso Ministeriale: è il caso delle clamorose rivelazioni svelate dall’intercettazione fra Berlusconi e Saccà, la telefonata nella quale l’allora capo dell’opposizione chiedeva di far lavorare alcune attrici nelle fiction televisive, donne in qualche modo “vicine” – per svariati motivi – a senatori del centro-sinistra, “per riuscire a comprare qualche senatore e far cadere il governo Prodi”.
La Procura di Napoli non riscontrò nessuna rilevanza penale in quel fatto: veniamo così a sapere che si possono usare nani e ballerine per “comprare” dei senatori, utilizzando il servizio pubblico (RAI, pagato col canone) ad uso squisitamente privato. Cioè, politico, no…privato…boh!

Qualora la disgrazia delle disgrazie finisca per colpire l’amato premier – ossia che non sia possibile arrestare l’inchiesta e tutto il resto – lo stesso premier va in Parlamento e presenta raffiche di leggi, tutte con “corsie preferenziali” per esser subito approvate, con le quali – utilizzando con sagacia detersivo ed ammorbidente – accorcia le prescrizioni ed allunga i processi.
L’avvocato che scende a Trani, per chiedere l’avocazione a Roma dell’inchiesta, è la stessa persona che va in Parlamento a perorare la legge: sempre lui, Ghedini l’omnicomprensivo, l’uomo che sta in tutte le taglie, dalla small alla extra large, sotto tutti i cieli e smazza leggi e richieste d’avocazione con la precisione di un distributore di merendine.
Ghedini non è un uomo, è un transformer multifunzione: dopo aver soddisfatto la richiesta – “insert coin” – si premono i rispettivi codici, panino e bevanda…pardon, legge da approvare in Parlamento e richiesta d’avocazione in Tribunale. La macchina è perfetta e non sbaglia un colpo: l’unico modo di fermarla è staccare la spina.
Oggi una prescrizione, domani un legittimo impedimento, dopodomani uno dei tanti “lodi” incostituzionali (tanto per prender tempo), fin quando la coperta della prescrizione – lavata e ri-lavata, così ristretta da diventare uno scendiletto – non manderà tutto al macero.
Cosa fa, allora, la Magistratura?

Secondo i sodali del premier, si tratta di “giustizia ad orologeria”: beh, con tutto quel che ha detto, negli anni, al telefono Berlusconi, in un Paese normale quel congegno ad orologeria avrebbe per lo meno fatto saltar per aria un’atomica.
E quel che ha fatto? Saranno stati contenti i pugliesi i quali – quando pagavano il ticket – finivano per concedere anche la “sovrattassa P”, ossia quella che consentiva a Tarantini di pagare le puttane di Berlusconi?
E, questo, manda all’aria un vecchio assioma – ossia che il politico debba essere ben pagato per non cedere alla corruzione – poiché, se uno come Berlusconi deve ricorrere ad un corruttore per una puttana…non può pagarsela da solo?!?
Ma, anche in questo caso, non c’è reato: Tarantini sarà un corruttore, ma…chi corrompeva?

Ad osservare questo bel panorama, ci sono i magistrati: promuovono delle intercettazioni per scoprire un giro d’usura e finiscono nella rete, per altri motivi, il direttore del TG1, un membro dell’Agenzia che dovrebbe tutelare l’imparzialità dell’informazione, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Letta, altri personaggi mica tanto “minori” e sempre lui, il capataz del sultanato Chigi/Grazioli.
Allora: quale può essere l’intento della Magistratura in questo bel quadretto?

Sono, ovviamente, tutti comunisti; osservateli bene quando escono dai Tribunali, ma non fatevi fuorviare: sotto pastrani e gonnelle, celano libretti di Mao, Kalaschnikov e bombe a mano.
Questa pletora di comunisti mangiatori di bambini, ringhiosi nemici del premier perché invidiosi della sua ricchezza, veri e propri Torquemada del nostro tempo, stanno semplicemente interpretando non la giustizia (quella, è sparita da tempo), bensì il senso di Giustizia che ancora rimane, negletto, nello Stivale.

Già sapendo che gli artifizi legali del premier riusciranno, alla lunga, ad avere la meglio sul loro paziente lavoro di ricostruzione degli eventi – e che non ci sarà mai un tribunale imparziale in grado di giudicarlo, oppure se lo farà sarà solo per vedere sprofondare tutte le carte nella prescrizione – ci mostrano non quello che è, bensì quello che potrebbe essere. Se vogliamo, la pura “virtualità” delle Giustizia: fra un po’, saranno ridotti a celebrare i processi su Second Life.

Perciò, non scorgiamo nessun “tradimento” se le carte affiorano prima del processo: anche perché quel processo non giungerà mai oppure, nel migliore dei casi, con mille mezzucci gli incartamenti saranno tutti passati nella scolorina.
Non sarà un Paese normale l’Italia ma, fra il sapere ed il non sapere, è almeno meglio sapere.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

14 marzo 2010

A scuola da Jafar


E’ un bel lusso essere nonni, non tutti – oggi – riescono a diventarlo: sarà che si diventa oramai padri a 50 e più anni, che i figli si sposano tardi…insomma, diventare nonni – nell’era globalizzata – è diventato un miraggio. Soprattutto, esserlo senza essere confinati in un letto e dunque di peso per i figli affaccendati in mille lavori e lavoretti: giovani che s’arrabattano e s’affannano per portare a casa un salario da fame. Un altro bel regalo della globalizzazione.
Fra i privilegi dell’esser nonni, c’è quello di rivedere i vecchi cartoni che, quando s’era genitori, o non esistevano oppure (più frequente) non s’aveva il tempo di seguire insieme ai figli (i quali, alla prima occasione, te lo fanno notare con un pizzico di sarcasmo).
La “nonnità” è quindi un privilegio, anche se chi scrive è un nonno che ancora lavora, ma impegnando poco di se stesso: il minimo indispensabile, quello richiesto dai “brunettiani” per non essere tacciato di “fannulloneria”. Perché? Poiché, quando si è nonni, s’inizia a percepire il tramonto della vita, quello che le tradizione colte del Pianeta (quella dell’India, ad esempio) riservavano all’anziano per prepararsi all’ultimo passaggio.

Noi, invece – schiavizzati dalla cultura del “giovani sempre”, per fornire “un’occasione di consumo” alla finanza anche quando non ce ne sarebbe più bisogno – posticipiamo l’età della pensione inviando, contemporaneamente, nell’etere messaggi subliminali: vecchi/giovani che saltano staccionate, s’inerpicano su ripidi pendii, giocano a calcio perdendo nelle azioni più concitate non la palla, bensì il libretto della pensione.
Ci sembra, tutto sommato, un mondo alla rovescia, dove chi dovrebbe decidere se ha meno di 70 anni non viene nemmeno preso in considerazione, mentre se ne ha solo (!) 40 riceve pacche sulle spalle ed inviti a “pazientare”. Verrà il tuo momento, credimi, quando sarai così bacucco che nemmeno più il Viagra ti salverà: sai che consolazione…

Lasciamo queste riflessioni ad altri lidi, ad altri articoli, perché – proprio mentre stavamo rivedendo “Aladin” con il nipotino al fianco – siamo stati colti da una folgorazione della logica, un’Epifania della sintesi politica, un’illuminazione sui tempi che stiamo vivendo.

A dire il vero, tutta la vicenda di Alfredo Milioni, dei suoi panini, delle telefonate, delle “assistenti del cavo orale” catapultate in politica[1], più che farci inorridire ci fa ridere. E di gusto. Com’è possibile che, una paperotta che ti lava i denti la sera (ma perché il Pelatone non se li lava da solo?), diventi degna di uno scranno in politica? Per fare cosa? Il ministro della sanità orale? Mah…
Giustamente, il Web ha incoronato Alfredo Milioni come l’icona del suo tempo: uno sfaccendato che ammette d’esser entrato in politica solo per non guidare più gli autobus, è “nel personaggio” se si dimentica delle liste da consegnare per mangiare un panino con la porchetta. Oppure, pressato da troppe telefonate – scrivi, cancella, riscrivi, ri-cancella, sovrapponi un nome… – alla fine il buon Alfredo sbotta: ma andatevela a piglià…vado a mangiare un panino con la porchetta…li mortacci vostri…
Nel miglior stile di Albertone: non fa una grinza.
Stante la consueta normalità della vicenda, nel panorama della politica “alla Cosimo Mele” – la coca non è coca se è la coca di un politico, la squinzia un po’ escort è solo un’assistente sociale, s’organizza l’orgia solo perché si è lontani dalla famiglia, ecc – tous va bien, c’est habituel.
Quello che invece non torna è l’atteggiamento del Nanus Primus dal cavo orale assistito, il quale va a tirar fuori addirittura “l’interpretazione autentica” di una norma del 1968.

Stiamo proprio riflettendo su questa “autenticità” quando, sullo schermo, transita Jafar che è stato chiamato dal Sultano per rispondere della (presunta) esecuzione di Aladin.
La situazione ci appare subito comica: anche sullo schermo c’è un vecchietto che abita nel Palazzo più alto, sul “colle” di Aqaba e che, ad onor del vero, non sembra tanto sveglio. Anzi.
E c’è Jafar.
Quel che incuriosisce è che, per giustificare la richiesta del Sultano sulla repentina esecuzione, Jafar sostiene che è stato il Sultano stesso a chiedergli di far rispettare l’ordine ad Aqaba, e così lui ha fatto. Ha dunque “interpretato” le volontà del Sultano.

Le interpretazioni più comuni nel Diritto sono tre: letterale, logica e teleologica. La prima non necessita di spiegazioni – è quella per la quale vale la più comune accezione dei termini e delle frasi, con il rischio che se rubi una banca od una mela sia la stessa cosa – la seconda è la più comune, che si affida al buon senso del magistrato, ossia alla correlazione della norma con la vicenda sotto esame. La terza riguarda principalmente l’interpretazione della norma alla luce dello scorrere del tempo.
C’è poi l’interpretazione “autentica”, che sembra più che altro la figlia di un Dio minore.

Jafar non applica nessuna delle tre interpretazioni, giacché non tutti i crimini sono puniti con la repentina decapitazione (letterale), tanto meno cerca di correlare il crimine di Aladin con la pena (logica), mentre ad Aqaba il tempo non scorre, e quindi non può esistere interpretazione teleologica.
Jafar, ricevuto dal Sultano il generico ordine di far rispettare la legge ad Aqaba, fa in pratica quel che vuole e si giustifica affermando che è stato il Sultano stesso a chiedergli di farlo: potrebbe starci un’interpretazione logica, ma il Sultano gli ricorda che le condanne a morte vanno discusse con lui prima, e non dopo.
Curiosamente, tutto ciò che fa Silvio Berlusconi è ripetere, alla noia, che lui fa tutto quel che fa perché ha ricevuto quel mandato dagli italiani.
Quando s’afferma che l’Italia è oramai un sultanato, non si è proprio fuori strada.

Con l’interpretazione autentica, insomma, si va a riscrivere – di fatto – una norma precedente ritenuta generica o di non facile interpretazione; di più: ha valore retroattivo!
Fuor di metafora, viene da chiedersi perché sia stata lasciata aperta una simile “porta” del Diritto, dalla quale può passare tutto ed il contrario di tutto.
L’unica spiegazione è che i giuristi ritennero, in casi sporadici, che ci potessero essere dubbi così fondati da richiedere al legislatore di tornare sui suoi passi e chiarire. Seguendo questa logica, le interpretazioni autentiche non dovrebbero accadere a distanza di molto tempo: se una norma è poco chiara, si dovrebbe capirlo subito.
E, invece, osservate cosa combina il piazzista di Arcore con la sua mania “jafariana”: approfitta di una interpretazione che fu accettata solo per ambiti temporali limitati – altrimenti diventa un’interpretazione teleologica, la quale deve giustificare le mutate condizioni (sviluppo tecnologico, ecc) per essere valida – per fare e disfare a piacimento. Retroattivamente!
E, il buon Jaf…pardon, Berlusconi, è un maestro d’interpretazioni “autentiche”.

Nel 2005, Berlusconi si trova alle prese con una delle tante “rogne” che puntualmente scadono perché è sempre occupato dagli affari suoi e non da quelli degli italiani: la vicenda del personale scolastico, transitato nel 2000 dagli Enti Locali allo Stato, viene al pettine. Dopo numerosi ricorsi e sentenze, la Corte di Cassazione sancisce semplicemente che due lavoratori con identico livello e la stessa anzianità di servizio debbano percepire lo stesso salario.
La Corte, interpreta in modo letterale l’art. 8 della legge 124/99:

2. Il personale di ruolo…omissis…dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili…omissis…A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l'anzianità maturata presso l'ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto[2].

Insomma, il testo è così chiaro che consente l’interpretazione letterale: passi dagli Enti Locali allo Stato (senza licenziamento e riassunzione, chiariamo) e percepirai, di conseguenza, lo stesso salario di un dipendente statale tuo pari grado.
Il che, però, richiede di mettere a bilancio una cifra – quisquilie, al confronto di quel che lo stesso Berlusconi sta letteralmente sprecando, nominando Direttori Generali alla Presidenza del Consiglio delle semplici segretarie, però delle segretarie “a lui care” – e non ci sta. Gli “altri”, quelli che vedono calpestare un loro diritto sancito molti anni prima (quando potevano scegliere se accettare il trasferimento) a Berlusconi non interessano: non sono mica “care” segretarie, sono soltanto carne da cannone.
Fa allora inserire nella Finanziaria per il 2006 un minuscolo comma (218), che è definito di “interpretazione autentica”, con il quale “chiarisce” il significato di quella norma del 1999.
Ecco come Jafarioni interpreta “autenticamente” l’art 8 della Legge 124/99:

Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell’allegata tabella B, d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31-12-1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità nonché, per coloro che ne sono provvisti, dall’indennità specifica prevista dall’art. 4, comma 3 del CCNL 16-7-1996 enti locali come modificato dall’art. 28 del CCNL 1-4-1999 enti locali, dall’indennità prevista dall’art. 37, comma 4, del CCNL 6-7-1995 e dall’indennità prevista dall’art. 37, comma 1, lettera d) del medesimo CCNL.
E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge
[3].[4]

Ci avete capito qualcosa? Della norma originaria è rimasto qualcosa?
Molto semplice: seguendo il “metodo Amato” – il quale ha ammesso che il Trattato di Lisbona è stato scritto volutamente in modo incomprensibile per non essere capito – quelle frasi indecifrabili significano che continuerai a percepire lo stipendio del 1999, senza nessuna comparazione con i pari grado, qualifica ed anzianità dello Stato.
Ridicola poi la disposizione finale, che concede a chi ha avuto una sentenza definitiva di non rientrare nell’applicazione della legge, creando un’ulteriore sperequazione, ma si sa: le interpretazioni “autentiche”, proprio perché tali, sono il frutto di un’intuizione e quindi, se qualcosa non ci sta dentro…oh, insomma, che noia…sono solo per il volgo…
Recentemente, infine, lo scendiletto del capataz – Jago/Sacconi – è riuscito a far passare una norma che sottrae le controversie sul lavoro al giudice naturale, affidandole ad un non meglio identificato “arbitrato”. Del Gran Visir?

La vicenda della scuola, per chi desiderasse prenderne visione[5], è kafkiana (per il centro-destra e per il centro-sinistra): siccome in presenza di sentenze favorevoli quei lavoratori ebbero dallo Stato il dovuto, oggi si trovano a doverlo rendere con gli interessi. Una rapina: alcuni di quei poveri bidelli, dopo una vita di lavoro, sono andati in pensione con 400 euro il mese, poiché devono restituire mensilmente cifre altissime. Lo Stato si premunisce: restituisci in fretta, prima che la “sentenza” dell’aspettativa di vita vada in giudicato.
Vorremmo chiedere dov’è – ad ascoltare certe becere prostrazioni – il difensore dei deboli Tremonti, quello che in campagna elettorale scriveva libri su libri contro la globalizzazione. C’è ancora? Attendiamo nuove pubblicazioni.

A questo punto, Jafarioni si è ripetuto con il “decreto ad listam”, con il quale ha “interpretato” l’art. 9 comma 1 della Legge 17 Febbraio 1968[6]:

Le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale di cui al primo comma dell'articolo precedente dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione ; a tale scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20.

Con questa bella innovazione:

Il primo comma dell'articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale dei delegati può essere provata con ogni mezzo idoneo[7].

Scrivere un simile articolo di legge significa essere semplicemente degli incompetenti, non sapere nemmeno dove s’inizia a scrivere un testo di legge. I delegati “fanno ingresso”: come si può provarlo? “Con ogni mezzo idoneo”.
Cosa significa? Dico al magistrato che Milioni è al bar, ma è passato un momento dal Tribunale? Scatto una foto a Milioni all’interno del Tribunale e vale come prova? E l’ora? Scatto con l’ora sullo sfondo? E come si fa a sapere se la foto è taroccata? E la documentazione che Milioni ha sotto braccio, è la stessa che sarà consegnata?
Non basta ancora aver emanato una legge elettorale per la quale i parlamentari sono tutti “senatori del Re”, ossia nominati dai partiti e non scelti dalla popolazione: con questa norma i candidati si presenteranno “al buio”. Si dirà “parole” per arrestare il processo di formazione delle liste? Cos’è, una partita di poker? Ogni serio commento è superfluo.

La spicciola realtà è che, quando Berlusconi non riesce ad ottenere quel che vuole – proprio come Jafar – non esita ad usare tutti i mezzi a disposizione, anche quelli che la Costituzione limita ai casi eccezionali – come legiferare per Decreto – e li utilizza per la comune normalità, by-passando tutte le strutture di controllo.
Recentemente, il “pentito” avv. Taormina ha dichiarato che, quando Berlusconi lo chiamava perché desiderava che fosse presentata una delle tante leggi ad personam (per salvarlo dall’ennesimo processo) non parlava mai di leggi per la Nazione. Gli chiedeva, semplicemente, di scrivere una norma per lui, perché gli serviva così. E gli italiani? Chi se ne frega!
Se ancora non l’avete letta, prendete visione dell’intervista di Taormina: è illuminante[8].
I risultati, si vedono.

Nei giorni scorsi, l’OCSE ha redatto il consueto rapporto dove tira le orecchie un po’ a tutti: la solita solfa, lavorare di più e guadagnare di meno. Ci sono, però, alcuni passaggi riservati all’Italia che non sono consueti: viene chiaramente esplicitato che l’Italia non sta soffrendo per la crisi internazionale (per qualche aspetto sì, ma di riflesso), bensì per i suoi mali strutturali. Apparato produttivo fatiscente, scarsa intraprendenza degli imprenditori, organizzazione del lavoro desueta, ecc.
A tutto questo, i vari governi hanno sempre risposto con ricette vecchie: “flessibilità” (usiamo un eufemismo) per i giovani e spostamento dell’età pensionabile per i più anziani, con l’obiettivo di finanziare il welfare (da fame) con le casse previdenziali.
Tutto l’andazzo è chiaramente a termine poiché, se è vero che c’è pace sociale, è altrettanto vero che la fiducia degli italiani nella vita sta crollando: sempre di più, le persone “tirano a campare” con l’impressione di vivere in una grande galera, dove nessuno t’ascolta e dove non puoi cambiare niente.
Tutto ciò, ha dei pesanti riflessi sul lavoro inteso come progettualità, impegno, dedizione: a parte le sorridenti facce dei politici e del gossip, c’è poca allegria in giro. Se il PIL va sotto zero, il QFN (Quoziente di Felicità Netta) è sotto i piedi: dove si vuole andare con una simile crisi di fiducia? Ci salverà la rinnovella Cassa del Mezzogiorno? Per carità…

Oppure, noi insegnanti dovremmo credere in quel pasticcio inverosimile che sarà la cosiddetta Riforma Gelmini? La riforma partita (un piccolo esempio) con 40 classi di Liceo Musicale e 10 di Coreutico, passata quindi sotto la “forbice” di Tremonti e finita con 10 classi di Musicale ed una (sì! Una in tutta Italia!) di Coreutico? E, questo, doveva essere il fiore all’occhiello della riforma!
Non si potevano, semplicemente, ripristinare le vecchie Scuole Medie ed i Licei interni ai Conservatori, com’era un tempo? Eh no – dice Tremonti – novanta Conservatori in Italia sono troppi! Nemmeno uno per Provincia? Ma miss Gelmini firma e tace, tanto sa d’esser lì per figura.
L’importante è far soldi per non far pagare le tasse agli amici degli amici, per foraggiare ogni sorta di corruzione che trasformi i soldi pubblici in privati sollazzi: escort, G8, Protezione Civile…si perde addirittura il conto.
In un simile panorama, l’istituzione della Presidenza della Repubblica ha dei ruoli? A sentire Napolitano parrebbe essere soltanto un passacarte, ma a leggere la Costituzione così non è.

La figura del Presidente della Repubblica, dopo le ultime vicende, ha perso parecchio “smalto” ed è stato costretto a giustificare il suo operato sul sito Web della Presidenza: non era mai successo, in tutta la storia repubblicana, che un Presidente si giustificasse tramite la stampa.
E’ sbagliato “sparare a zero” sulle istituzioni, ma in un Paese democratico si ha il pieno diritto di criticare tutti, anche il Presidente della Repubblica quando, a nostro avviso, sbaglia. E si ha tutto il diritto di criticarlo a viso aperto, non con l’atteggiamento da sacrestia di Bersani & soci, i quali beffardamente affermano che quella valutazione non può essere data dal “volgo”, ossia da chi è digiuno di Diritto.
Dimenticano che prerogativa del Capo dello Stato è di trattenere un decreto 30 giorni prima di firmarlo, se proprio ritiene di doverlo fare.
Inoltre, i rilievi esposti dal TAR del Lazio[9] sono anche di natura Costituzionale (materia di sua competenza), ed il Presidente non può passar oltre il pronunciamento di un magistrato su un decreto così discusso (e da lui stesso firmato a tempo di record) come se niente fosse.

Ma, in democrazia, criticare non significa fucilare: se Napolitano s’è preso a cuore la vicenda degli italiani che non potevano votare per colpa d’Alfredo Milioni, dovrebbe pure prendersi a cuore quelle di milioni d’italiani che non campano più a causa dei disastri di Silvio Berlusconi.

Ora, chi è sostanzialmente un determinista – ossia pensa che tutto sia deciso nelle ristrette cerchie della finanza internazionale, dalla danza dei “grembiulini”, oppure ritiene che la classe operaia tutto sistemerà – può terminare di leggere qui, e lo salutiamo, perché non troverà nulla d’interessante da qui in avanti.
Chi, invece, ancora crede che l’Italia dovrà in qualche modo uscire dal budello dove s’è cacciata, rifletterà che negli anni (o forse addirittura nei mesi) a venire dovranno per forza avvenire degli importanti rivolgimenti.

La parabola di Silvio Berlusconi è al tramonto, oramai è chiaro: qualcuno ritiene che tutto sia ordito dai vari potentati internazionali – e non la escludiamo come concausa – ma il destino di Berlusconi è semplicemente il karma maturato in tanti anni di sotterfugi e di piccole furbizie, condite con il dolo ed ottenute grazie al suo potere sui media. Una situazione che – ricordiamo, per la contemporanea proprietà delle TV – ha avuto un solo parallelo nel Pianeta: in Thailandia dove, peraltro, se lo sono già tolto di mezzo.
L’abbiamo ascoltato in molti, nell’intercettazione dove chiedeva a Saccà di far lavorare alcune attrici solo per comprarsi qualche senatore e far cadere il governo Prodi: cosa che, con Dini e Mastella, puntualmente avvenne. Non dobbiamo ricordare a nessuno che questa si chiama corruzione o concussione ed attentato alle istituzioni della Repubblica. Ma la Procura di Napoli decise che l’intercettazione non aveva rilievo penale: posso comprarmi un senatore? Anche la moglie? C’è per caso un “prendi tre e paghi due”?

L’uomo, occupato solo a celebrare il suo carisma personale, ha dimenticato che il dovere di un politico è quello di scegliere, di compiere delle azioni che – nelle intenzioni – diano buoni risultati. Si potrà affermare che anche in tempi precedenti siano vissuti corrotti e corruttori, ma erano anche uomini di Stato: ancora oggi, il dibattito su Bettino Craxi verte proprio sulla sua dualità, ovvero essere stato indubbiamente un corrotto, ma con il senso delle istituzioni, vedi Sigonella.
Quel che manca a Silvio Berlusconi – offuscato dal suo delirio personale, esplicitato a chiare lettere dalla ex moglie come “malattia” – è il senso del divenire, della continuità oltre la propria persona. Qui è il dramma: lo stesso demone di Jafar.
Tutta la vicenda delle escort ha in sé il nocciolo del problema: un uomo anziano, che fatica ad accettare la sua caducità, e per rimuoverla si circonda di giovani donzelle facendo finta che siano “amiche”, mentre ben sa che sono soltanto delle prezzolate puttane.
Accecato – come giustamente afferma Veronica Lario – dalla sua malattia, perché tale è questo disturbo della psiche, non riesce nemmeno a comprendere cosa significhi governare un Paese: difatti, a parte le strombazzate mediatiche, non lo sta facendo.

Ora, le istituzioni internazionali possono anche fregarsene dell’Italia, ma se l’Italia dovesse finire come la Grecia non sarebbe possibile nessun salvataggio in extremis: non sarebbe soltanto la débacle del nostro Paese, ma un colpo mortale per l’intera Unione Europea.
Ciascuno di noi avrà le sue idee sull’UE, ma ammetterà che un simile spettro l’UE non può permetterselo.
All’estero ed all’interno, dunque, vi sono forze che ritengono oramai Silvio Berlusconi una iattura, un uomo che servì quando era il momento, e che oggi è semplicemente da buttare.
Ovviamente, questi potentati tramano alle sue spalle – come sta facendo Fini da tempo – ma non possono chiudere la faccenda perché non c’è un’alternativa possibile: non si tratta di miseri numeri parlamentari, bensì di prospettive politiche che mancano, d’idee all’ammasso, di un’etica della politica che è andata completamente perduta. Mancano i giovani che portino idee giovani, nuove prospettive, coraggio: tutto quello che la gerontocrazia al potere non può più dare.

L’Italia avrebbe un gran bisogno di riformare alle fondamenta il proprio sistema amministrativo – nessuno, in Europa, si permette di sovrapporre lo schema tedesco a quello napoleonico, i costi sarebbero astronomici – eppure noi lo facciamo: ad ogni elezione promettono d’abolire le Province, ed oggi ne stanno promuovendo altre 24. Perché?
Poiché la macchina partitica del PdL e del PD è praticamente la stessa, con differenze di dettaglio: un ristretto gruppo dirigente ed una pletora di parvenu della politica che bisogna mantenere per ricevere voti.
Oramai, l’appoggio elettorale s’ottiene più con le prebende che con le proposte: siamo tornati alle corporazioni del ‘400, con la moderna rivisitazione del lobbismo. Al resto, pensano nani e ballerine delle TV.

Se qualcuno pensa che tutto il mondo sia paese, viaggi un po’ per l’Europa e si renda conto che sì, esiste la corruzione ovunque, ma nessuno ha un Parlamento infarcito di condannati ed inquisiti: alcuni anni or sono, un parlamentare tedesco si dimise sua sponte perché condannato per un grave incidente stradale.
In aggiunta, c’è quel cancro che si stima controlli il 30% dell’economia nazionale – al Sud praticamente tutto – che era tollerabile nell’era pre-globalizzazione, quando l’apparato produttivo del Nord era in grado di far fronte alle mafie, alla corruzione ed all’evasione fiscale.
Oggi, il tutto è troppo.

Qui non stiamo parlando dell’economia di Wall Street, bensì di quella che regge la sopravvivenza di molti italiani: quella della famiglia, che rimane l’unico sicuro welfare sul quale possiamo contare. Negli ultimi vent’anni, la discontinuità di lavoro di molti giovani – causata dalle note riforme liberiste – è stata calmierata dalle maggiori potenzialità economiche dei genitori.
I giovani d’oggi, non solo non riescono ad avere un reddito costante, ma non accumulano quasi nulla sotto il profilo previdenziale. Il fenomeno sta iniziando ad interessare anche le generazioni che attualmente stanno andando in pensione: con l’abbassamento dei coefficienti ed altri trucchi delle tre carte, i futuri pensionati riusciranno a badare appena a loro stessi, che tutto vada bene.
Sta frantumandosi un equilibrio che ha retto per mezzo secolo: in famiglia, bene o male, si riusciva sempre a trovare una soluzione. Domani, la coperta sarà più corta per tutti: non serve andare lontano per rendersene conto, basta osservare quel che accade intorno a noi, nelle nostre famiglie, con giovani precari e cinquantenni che perdono il lavoro.

Questo disastro avviene principalmente per due motivi: l’Italia, a differenza delle altre nazioni europee, non ha curato il settore agricolo. A differenza di Francia e Germania – dove il ricambio generazionale è completo (circa un giovane agricoltore per un anziano) – il rapporto italiano è di sette a uno: ciò significa l’abbandono d’attività generatrici di ricchezza e l’inevitabile inurbamento. Perché è avvenuto?
Per due ragioni: per la completa assenza di pianificazione economica e poi – last but not least – poiché una persona che non ha indipendenza economica è più ricattabile.
Hanno preferito ingombrare le anticamere della politica piuttosto che incrementare la gente nei campi: oggi, con la rete a disposizione per vendere i prodotti, un’agricoltura di qualità potrebbe essere fonte di reddito per tanti.

La seconda ragione è che l’Italia ha drammaticamente perso il treno delle nuove tecnologie energetiche (e non solo): fra le follie nucleari di Jafarioni e l’inettitudine del centro sinistra, non abbiamo creato quasi niente.
A Parigi sistemano turbine Kaplan sotto i ponti della Senna, a Londra con tetti fotovoltaici riescono a far funzionare intere reti di computer, senza parlare dei Paesi di lingua tedesca, che sono al “top” in queste realizzazioni (basta recarsi a Friburgo per capire che è un altro pianeta): in Italia, Sgarbi scatena per misere questioni di bottega la guerra contro gli aerogeneratori, mentre l’ENI non porta nemmeno a termine la prima centrale termodinamica, attesa oramai da lustri, non da anni. In Spagna, costruiscono oramai quelle di seconda generazione.
Quella dell’energia potrà rivelarsi veramente la pietra tombale di questa classe politica, perché essere fuori da quel mercato significa non partecipare, domani, al più esteso settore economico a livello planetario.

La perdita di ricchezza nei settori tradizionali dell’industria non è stata compensata con la ricerca, con l’attuazione di nuove tecnologie e di nuovi approcci ai settori tradizionali: a poco serviranno le “interpretazioni autentiche” quando questi nodi verranno al pettine. Il problema non siamo noi: sono loro, la loro incompiutezza come politici, la loro incompetenza nel governare una Nazione che potrebbe essere ricca, soddisfare le esigenze della popolazione senza queste continue ristrettezze.

Il problema che potrebbe dover affrontare Napolitano (o un suo successore, ma non crediamo a tempi così lunghi) non sarà più il misero dilemma di firmare un pateracchio elettorale: dovrà usare tutti i suoi poteri per ricostruire una classe politica che è maturata nella corruzione e che, alla fine, n’è rimasta strangolata perché ha finito per rimirarla come unico orizzonte.
L’unica soluzione – se ci si pensa un attimo non è poi così strampalata, anzi, sembra quasi l’unica via d’uscita – sarebbe quella d’usare i poteri che la Costituzione gli conferisce all’art. 88 per lo scioglimento delle Camere.
Un Presidente può sciogliere le Camere senza chiedere niente a nessuno: non lo può fare soltanto negli ultimi sei mesi del suo mandato.

Dovrebbe innanzitutto chiedere una riforma elettorale in senso proporzionale puro, senza sbarramenti, poiché sarebbe l’unico modo per scegliere una nuova classe politica. Ma dove, come in Italia al Senato, ci sono sbarramenti all’8 per cento? Che, in un sistema bicamerale perfetto, significa controllare anche l’altro ramo del Parlamento?
Le “buone coscienze” urleranno che si rischierebbe l’ingovernabilità: perché, oggi, qualcuno governa? Ci sono vere risposte ai problemi del lavoro, dell’energia, della scuola, della sanità…eccetera?
Parallelamente, rimuovere tutti gli ostacoli per la presentazione di nuove formazioni politiche: una sorta di “costituente” che non avrebbe il compito di riscrivere la Costituzione, bensì la prassi della politica che è andata smarrita. Le aggregazioni e le inevitabili bocciature, eventuali sbarramenti per non frammentare troppo il quadro, avverrebbero in seguito: la prima istanza dovrebbe essere quella di portare gente nuova, con idee nuove, nel posto dove la politica va discussa, ossia in Parlamento.
In tanti penseranno che nessun Presidente avrà mai quel coraggio: se lo faranno, non avranno compreso il senso di questa analisi.

Non si tratterà più di una scelta, ma di una situazione così incancrenita che non consentirà altro: una sorta di nemesi non procrastinabile, l’ingovernabile necrosi – di fatto – dell’attività politica.
Nessuno dei piccoli partiti che oggi ritengono di portare in Parlamento “aria nuova” riuscirà mai a farlo: i nani politici controllano tutti i media e sono loro a scrivere le regole per la presentazione di nuove liste. In Germania, per presentarsi alle elezioni, bastano 50 firme.
Nonostante tutto ciò, ed anche ai numeri che ancora riescono a radunare intorno ad essi, gli attuali partiti sono cotti e stracotti, senza una rotta da seguire né gente in grado di reggere il timone: le liste che presentano sono infarcite di persone incompetenti e, in larga parte, poco intelligenti (eufemismo).
Potranno ancora tirare a campare per qualche tempo, ma anche governi “tecnici” o simili pateracchi dovranno nutrirsi dall’humus che manca: una classe politica in grado di pensare: trepidiamo, nell’attesa di conoscere i dati sull’assenteismo alle prossime elezioni, poiché si presume che saranno alti. Buon segno.

Il dilemma che si troverà a dover affrontare il Presidente della Repubblica – tramontato ogni “sogno” secessionista, la Lega s’è accomodata nella greppia – sarà quello di una classe politica incartata, come un motore grippato durante una salita.
Quel che sta accadendo non è più la “crisi” di un centro, della destra o della sinistra: qui si va nel mondo reale. Sta andando in frantumi l’ultima certezza degli italiani, ossia che all’interno della famiglia ci siano sufficienti risorse per ripararsi dalle buriane: la generazione degli attuali 50-60enni non potrà mai soccorrere i propri figli come ha fatto la generazione precedente. Queste sono realtà, non fanfaluche.
E, quando le sofferenze passano dal mondo delle idee e dei dibattiti alla realtà quotidiana, nessuno sa come evolverà una società: la “pace sociale”, propalata ai quattro venti, potrebbe finire in un amen.

Speriamo che il Presidente riesca a comprendere l’incedere dei tempi, i gravi rischi ai quali siamo esposti (la voragine del debito pubblico che avanza), che nulla sono rispetto al “Bagaglino” dell’attuale politica.
Se non dovesse comprenderlo per tempo, gli scenari che si spalancherebbero sarebbero davvero molto fumosi: non vorremmo che dovesse prendere simili decisioni sotto la spinta degli eventi. In quel caso, non basterebbe certo scrivere una bella letterina sul sito del Quirinale.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

[1] Vedi:

08 marzo 2010

Il Re dei...




"Al di là delle differenze politiche tutti gli italiani si riconoscono e credono nei valori della Costituzione". Lo ripete il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
...

"Tra questi valori," sottolinea Napolitano, ci sono "l'impegno civile, la solidarietà, il rispetto della legalità, valori fondanti del nostro vivere civile".

Da "Repubblica" del 8-3-2010


Peccato che il primo a non crederci - lo dimostra quel che ha firmato - sia proprio lui.
Legalità??? Ma facitece 'o piacere...

06 marzo 2010

Lettera aperta a Sua Maestà, Vittorio Emanuele IV


«Queste decisioni spettano soltanto a me. Dopo lo stato d'assedio non c'è che la guerra civile. Ora bisogna che uno di noi due si sacrifichi.»


«Vostra Maestà non ha bisogno di dire a chi tocca la pena.»

Non riteniamo, Maestà, di doverVi ricordare chi furono gli attori di quel dialogo, e lo facciamo soltanto per i posteri, che potrebbero avere qualche difficoltà a ricordare: si svolse fra un Vostro lontano Avo, Vittorio Emanuele III, e l’allora Primo Ministro Facta, la mattina presto del 28 Ottobre 1922, il giorno della Marcia su Roma.
Ci scusiamo anche per la forma: al posto della tradizionale Supplica alla Corona, abbiamo preferito usare la Lettera Aperta. Ci assolverete se, fra le tante “interpretazioni autentiche”, ci siamo permessi d’usare un’interpretazione teleologica del Protocollo Reale.

Saltano però agli occhi le profonde difformità fra le due situazioni: a differenza del Vostro Avo, Maestà, qui non scorgiamo pericoli di “stato d’assedio”, né gravi rischi per una democrazia dissacrata dalla presenza o meno d’alcune liste elettorali per delle semplici elezioni amministrative.
Si sa: la Storia si manifesta, in origine, come tragedia per tracimare poi nella farsa. E, ci scusiamo per l’ardire, tutta la vicenda ci sembra più adatta al teatrino dei Pupi piuttosto che alle vette della semantica giuridica, con tutto ciò che ne discende per gli attori della compagnia.
Notiamo, invece, dei raffazzonati e pericolosi tentativi per fare a pezzi i principi della nostra Costituzione – della quale Voi siete il custode – ed un prevaricante diritto d’ingerenza del potere esecutivo su norme elettorali a processo in atto. Come la prenderanno i sudditi, Maestà?

Perché osiamo affermare che la compagnia è oramai più adatta per le rappresentazioni d’avanspettacolo, piuttosto che per l’interpretazione giuridica?
Poiché affermare che, per presentarsi ad una competizione elettorale, è sufficiente dimostrare “d’essere presenti” nel fabbricato della Corte d’Appello per avere accesso alle elezioni, ci suscita più il riso che la riflessione.
Ma…Maestà: avete letto quel che avete firmato? Oppure eravate assorto a catalogare la vostra collezione numismatica? La Regina Vi ha forse interrotto per ricevere un parere sui nuovi arredi del Quirinale? Se così fosse ditelo, suvvia: Voi siete il Re! Che regna per volontà di Dio, non scordatelo.

Se Voi non foste il Re – perdonateci un volgare parallelismo – e foste soltanto uno dei tanti plebei che presiedono le nazioni repubblicane, lo sapete che il malcapitato potrebbe essere messo sotto accusa per attentato alla Costituzione?
Eh sì, perché intervenire con norme di “interpretazione autentica” in materia elettorale, a termini scaduti, senza un voto parlamentare, per un semplice presidente repubblicano potrebbe rivelarsi fatale. Perché? Poiché non si tratta semplicemente di una questione di “regolamenti”: qui, sono i principi basilari che reggono una democrazia che vanno in fumo!

Quando abbiamo, invece, saputo che la “lettura e l’interpretazione dei timbri e delle firme” potrà anche avvenire dopo le elezioni (quando? ah, saperlo…) ci siamo sentiti rinfrancati ed abbiamo sperato.
Cogliamo l’occasione di questa supplica per comunicarVi un nostro segreto desiderio: avremmo tanto desiderato diventare un cardiochirurgo.
Abbiamo a disposizione una serie di graziosi timbri dei nostri – ahimé, oramai cresciutelli – ragazzi, i quali in gioventù si dilettavano a stampare su carta recuperata centinaia di quelle graziose figurine. C’erano il leone e l’asinello, la papera e lo scoiattolo.
Ora, se preparo con la mia stampante una graziosa Laurea in Medicina ed una Specializzazione in Cardiochirurgia – secondo il Vostro regale parere – sarebbe meglio usare il timbro con lo scoiattolo? La papera?

Ah, ho compreso da solo.
E’ bastato visualizzarVi di fronte a me per ricevere la regale illuminazione: come ho fatto a non pensarci prima! Solo Voi, principe di Napoli, potevate illuminarmi: l’asinello! Ma certo…imprimerò il “ciuccio” sull’agognata Laurea In Medicina!
Spero già, dal prossimo Lunedì, di potermi presentare in sala operatoria, col mio bel camice verde: tanto. timbri e firme, quando mai potranno controllarle? Se solleveranno delle obiezioni, m’appellerò alla Vostra regale firma di “interpretazione autentica”.

Grazie, Maestà: è proprio vero che un Sovrano ama i suoi sudditi tutti, ad uno ad uno, con equanimità, e provvede a soddisfare i loro desideri, affinché la loro vita sia felice e colma di gratificanti realizzazioni.
Siamo quindi certi che interverrete celermente, con sovrano incedere, sulle norme che regolano la disoccupazione: tanti italiani – dall’Alcoa a Termini Imerese, “di qua e di là del mare”, e ovunque nello Stivale – aspettano un Vostro cenno, il Vostro certo avvallo sulla norma di “interpretazione autentica” che estenderà l’assegno di disoccupazione per tutti, senza limiti temporali, fin quando non troveranno un nuovo lavoro.
Siamo certi che farete tornare loro il sorriso.

Nel salutarVi, c’inchiniamo al Sovrano.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.