Questo è un lungo articolo, ve lo dico subito, così chi non se la sente d’affrontarlo può tranquillamente rivolgersi ad altro. E’ dedicato al problema di chi scrive, di chi legge, del loro rapporto dialettico e simbiotico, della possibilità che da questi rapporti ne possano nascere altri, più soddisfacenti per tutti, di natura politica e sociale.
Scrittori, giornalisti e bloggher
Tutti sappiamo scrivere, il problema è come si scrive. Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici della scrittura (ortografia, grammatica, ecc), un semplice programma come Word aiuta parecchio, giacché individua gli errori, o quasi. I veri problemi sono stilistici, ovvero dare coerenza al testo, e questo s’ottiene “sposando” l’argomento della trattazione con uno degli stilemi tradizionalmente usati nella letteratura italiana. Così, una trattazione scientifica avrà gli stilemi del saggio (precisione, linguaggio sintetico, citazioni, ecc) mentre un racconto userà un linguaggio più onirico, la favola, la suspense, ecc.
Queste sono, però, regole di massima, giacché un bravissimo scrittore potrebbe raccontare la sintesi delle proteine con lo stile della favola, ed a soluzioni del genere ricorrono gli scrittori della letteratura rivolta ai ragazzi, ma non è detto che non si possano ottenere buoni risultati anche con gli adulti.
Il mestiere di chi scrive, dunque, è quello di coordinare tutti questi aspetti e farli convivere armoniosamente.
Simili “percorsi” avvengono nella musica, laddove la parte “tecnica” vi potrà rendere perfetti esecutori, mentre per diventare “musicisti” ci vuole l’ispirazione e parecchio “mestiere”. Le doti che consentirono a Beethoven – oramai sordo – di scrivere la Nona Sinfonia senza averla mai ascoltata. Oppure, come per Grieg, scrivere il Peer Gynt in una baracca che sorgeva in un fiordo, dove non c’era nemmeno un pianoforte. I musicisti possiedono la cosiddetta “scala assoluta” nella mente: potrete osservare, nel film “Amadeus” di Milos Forman, come (probabilmente, è solo un esempio) Mozart scrisse il Requiem. Tutti i musicisti dell’epoca scrivevano senza provare nulla: in un certo senso, la procedura è simile nella stesura del software, quando il testing (ossia, provare le sezioni di un programma) avviene solo dopo la scrittura (implementazione).
E i parallelismi fra i due mondi – letteratura e musica – non s’arrestano qui: la punteggiatura, per lo scrittore, ha molto della scelta del tempo per il musicista, mentre il poeta è senz’altro più correlato alla musicalità del testo.
L’ultima cosa – last but not least – è avere qualcosa da raccontare.
Tutti abbiamo qualcosa da raccontare: quando, stesi sul letto o in poltrona, di fronte al mare o sotto un albero d’Estate chiudiamo gli occhi, le immagini appaiono da sole. Fateci caso.
Le prime volte non presteremo troppa attenzione a queste fantasie – potrebbe anche essere un sogno erotico sulla vicina di casa – ma, se comprendiamo dove inizia il filo d’Arianna che conduce a raccontare, quel sogno erotico potrà diventare un racconto erotico, oppure la vicina viene misteriosamente uccisa e allora “parte” il giallo a sfondo erotico/sessuale. Ancora: la vicina scompare, nessuna sa più niente di lei. Il mistero, la scomparsa, l’Africa dov’è fuggita con un altrettanto misterioso amante, e via a descrivere persone, luoghi, situazioni…
Il percorso l’ho indicato, ma non è detto che tutti riescano a percorrerlo: anche disegnare o dipingere è un “percorso” tecnico e d’ispirazione, ma non sono mai riuscito ad andar oltre un disegno infantile.
Alcuni possiedono personalità poliedriche, che consentono loro d’esprimersi in più campi e con più mezzi: sta a noi capire a quale universale apparteniamo, senza crederci subito chissà chi, ma nemmeno castrare immediatamente le nostre potenzialità.
Gli scrittori – nella semplice accezione di chi scrive ed ha qualcosa da raccontare – scelgono poi diversi campi nei quali proporre la loro comunicazione: libri, giornali, blog. Da notare che, oggi, tutte queste forme sono perfettamente fruibili in modalità cartacea ed elettronica.
Spesso, nei commenti ad un articolo, qualcuno obietta che l’argomento è sì interessante, ma non completamente svolto: questo, è il limite dell’articolo. Per rendere quel testo completamente esauriente, lo scrittore sarebbe stato costretto a “sconfinare” nel saggio, ma a quel punto la lunghezza del testo avrebbe scoraggiato molti lettori ad affrontarlo.
Così, chi scrive, tende ad auto-limitarsi, cosciente che – per semplici questioni di tempo, stanchezza o poca abitudine ad affrontare testi lunghi e complessi – la gran parte dei lettori rifiuterebbe la lettura. E, qui, si apre un nuovo scenario.
Chi, oggi, legge?
Una delle conquiste della società moderna è stata la sconfitta dell’analfabetismo: almeno, la grossolana sconfitta dell’analfabetismo. Ecco un esempio d’argomento tronco: se dovessi argomentare sugli attributi dell’analfabetismo (tradizionale, di ritorno, parziale, ecc), sarebbe necessaria una pagina in più.
Stabilito che solo una piccola parte della popolazione non sa leggere un testo, man mano che il livello degli argomenti proposti (ed il corrispondente linguaggio) aumentano per complessità, cala il numero dei lettori in grado di comprenderlo.
I quali, però, mantengono immutato il loro diritto di critica: questo spiega molti commenti campati per aria, che non hanno coerenza. Insomma, la classica situazione di chi indica il cielo e nella quale c’è chi s’ostina ad osservare il dito. Perché?
Beh, riflettiamo su una semplice constatazione: prima della Seconda Guerra Mondiale, poche persone superavano le scuole elementari. Dopo la guerra, divenne uno “standard” la terza media: per una maturità superiore, conseguita da quasi tutta una generazione, bisogna giungere ad oggi. Per questa ragione l’informazione sul Web è principalmente fruita da persone più istruite.
La circolazione dell’informazione, come oggi la conosciamo, vive solo da un decennio: prima, o acquistavi un giornale, oppure nulla. Questo, ha cambiato profondamente il mondo della comunicazione, e siamo solo agli inizi.
Ovunque, sul Web, troviamo informazione su tutto: vuoi preparare un piatto da gran chef? Vai al sito delle ricette. Vuoi sapere qualcosa di più su Giustiniano? Eccoti servito.
Ma, siamo preparati ad affrontare questo mare d’informazione?
Questo spiega la gran diffusione dei blog, ma non cadiamo nell’errore di pensare che il blog non esistesse prima di Internet: mai madre, a sua insaputa, è una bloggher giacché da decenni tiene un diario.
Il blog, questo è e non altro: importantissimo, poiché istantaneo. Se siamo riusciti a sapere molte cose sulla sporca guerra in Iraq, lo dobbiamo ai soldati americani i quali – muniti di palmare e di telefono satellitare – inviavano direttamente i post sui loro blog negli USA, spesso by-passando la censura dei giornalisti ufficiali, i cosiddetti “embedded”.
Il limite del blog è spesso lo spazio: nato come il successore elettronico del diario, mal si presta per analisi lunghe e dettagliate, anche se è tecnicamente possibile.
Nei blog, s’incontrano nello stesso luogo due diversi tipi di lettori: coloro che sono alla ricerca di un’informazione a largo spettro, forzatamente superficiale, con quelli che desiderano, invece, approfondire.
Ne nasce una confusione di termini: chi scrive su importanti siti si ritiene un giornalista, ma non c’è “giornale” in senso stretto, mentre anche le grandi testate, se vogliono sopravvivere, sono state obbligate a migrare sul Web ed a concedere i commenti, pur debitamente “purgati”.
La febbre del commento ha oramai pervaso tutto il Web: tutti vogliono commentare su tutto, sempre. Perché? Poiché, con la chiusura di tutti gli spazi di democrazia partecipativa tradizionale – talvolta solo effimeri consessi, ma pur sempre qualcosa – l’unico luogo dove farsi ascoltare è rimasto il Web. Riflettiamo sul significato e sulla partecipazione alla vita politica dei partiti in ambiti locali – il dibattito nelle sezioni – di pochi decenni or sono, e confrontiamolo con il canale a senso unico della politica in TV.
Dopo la prima Samarcanda – nella quale si correva il rischio d’incontrare non diciamo proprio il cittadino comune, ma almeno il presidente di una sconosciuta associazione, il responsabile di uno sperduto centro sociale, ecc – sono arrivate trasmissioni dove i tempi vengono suddivisi fra i politici con il manuale Cancelli. E la gente? Parterre, claque e basta.
Ovvio che, se nessuno m’ascolta, appena trovo uno spazio mi ci butto a pesce, e questo è l’aspetto positivo.
L’aspetto negativo, che finisce spesso per depotenziare totalmente la comunicazione nei siti dove si commenta, è che la critica ha dei canoni. Per carità: non tiriamo fuori la solfa della critica “costruttiva”, che fa tanto politically correct! D’altro si tratta.
Lo scrivente, che sa assai poco d’arti figurative, quando si trova (magari accompagnando una scolaresca in gita) di fronte ad un edificio di pregio architettonico o ad un quadro, esprime sempre dei giudizi estetici personali: mi piace, è armonico. No, non mi piace, ecc.
Mai, mi lancerei in analisi del tipo «L’abside ha pregevoli forme, mentre il transetto sembra incoerente, per stile e forme, con il resto del…» e così via. Cosa ci ricaverei? Probabilmente una brutta figura.
Invece, nei commenti, persone che non sanno nulla di petrolio o d’energia (e si capisce subito) si mettono tranquillamente a dissertare, assicurando che sì, è evidente che il petrolio ha origine inorganica. Oppure che no, non è vero.
Entrambe le critiche necessiterebbero di spazio e d’argomentazioni a sostegno: allora, come si risolve? S’incolla un bel collegamento ad un video ed il gioco è fatto. Giusto così?
No, perché qualsiasi contenuto esterno va presentato mediante un abstract: se ricorro ad un parere esterno, dovrò comunicare le ragioni che mi hanno condotto a sposare quella tesi. Perché? Poiché il collegamento esterno potrebbe contenere, a sua volta, imprecisioni e dubbi, e quindi non sortirebbe altro effetto che confondere ulteriormente.
Esempio: si fa presto a citare il rapporto Leuchter per quanto riguarda le camere a gas naziste ma…qualcuno ha provato a sondare le varie ipotesi per capire se sono fondate, oppure le ha prese per buone e via così? Le pietre che non contengono sufficienti quantità di residui di gas – e questa diventerebbe la prova della non esistenza di tutto l’ambaradan – di che tipo sono? Qual è la permeabilità ai gas di quel tipo di roccia? La curva di decadimento, per la concentrazione di quello specifico gas e per quel tipo di roccia, è conosciuta?
E questo vale per il mutamento climatico, per questioni finanziarie, per molte tesi “complottiste”, ecc.
Può commentare, dunque, solo chi è esperto, ha certezze che derivano dal suo curriculum studiorum? Non è detto: anche il grande “esperto” prende gran cantonate.
Come si può, allora, commentare?
Lo sforzo di commenta è, se non proprio pari a quello di chi scrive, di poco inferiore: la critica comporta l’attenta comprensione di un testo, l’approfondimento delle parti che si considerano dubbie e, infine, l’implementazione di una diversa coerenza che sia credibile, solida.
Secondo il metodo scientifico post-galileiano – dalle parti di Russell e Popper – è compito della critica proprio vagliare la produzione letteraria, saggistica, scientifica, ecc degli autori, giacché è solo sapendo che il proprio lavoro sarà attentamente vagliato che si distruggono gli assolutismi, di qualsiasi natura. Non riteniamo, però, che Russell e Popper considerassero come valida critica un commento del tipo: “E’ solo una str…zata: ascoltate qui, su http//www.youtube…”
Comunicazione, politica, cambiamento
Per quanto ci sforziamo, non troviamo nella Storia un solo evento nel quale un giornale (principale media dell’epoca) sia riuscito a scatenare un mutamento politico. Della serie: domattina, ore 8, tutti in piazza per…
E’ altrettanto vero, però, che i grandi mutamenti sono stati tutti catalizzati dall’informazione, almeno nella Storia Moderna e Contemporanea.
Che ne sarebbe stato della Rivoluzione Francese, senza gli Enciclopedisti? E di quella sovietica, senza il lavoro teorico prima di Marx e poi di Lenin? Tutte le grandi rivoluzioni – a partire da quella inglese – giunsero dopo l’invenzione della stampa.
Ma, sull’altro versante, c’erano condizioni sociali veramente estreme: perdita delle Terre Comuni, fame, carestie, guerre. Ed un’avanguardia in grado d’interpretare quei fenomeni.
Chi si aspetta, quindi, che l’informazione “a 360 gradi” sul Web, con libertà di commento – e dunque bi-direzionale – possa condurre da sola a nuove formazioni politiche – le quali produrranno quel cambiamento che in tanti aspettiamo, per veder scomparire nel ricordo questo brutto palcoscenico della politica italiana e far posto, almeno, ad un Paese “normale” – è un illuso.
Sull’altro versante, l’unica via per incrinare l’apparente, cristallina solidità degli apparati di potere, è l’informazione. Una contraddizione in termini? No.
Galileo accettò il verdetto dei cardinali ma, la prima cosa che fece appena riconquistata la piena libertà, fu inviare ad Amsterdam i suoi manoscritti affinché fossero pubblicati: Amsterdam, al tempo, non era più nelle generiche “Fiandre”, bensì nelle Zeven Provincien, le Province Libere. Liberate dal potere della Chiesa Cattolica con l’affrancamento dalla corona di Spagna.
Durante il Fascismo, vi furono numerose pubblicazioni clandestine – che circolavano in Italia ma, soprattutto, all’estero – e in quelle pubblicazioni il dibattito politico, negato dal potere, proseguì. Altrimenti, col cavolo che nel 1947 ci sarebbe stata una classe politica d’alto livello, in grado di scrivere una delle migliori costituzioni del Pianeta!
Per certi aspetti, il Web è oggi una pubblicazione clandestina, tanto è vero che vi sono molti, bravissimi scrittori, analisti, ecc…i quali, però, devono rimanere confinati sul Web, altrimenti sarebbero dirompenti per l’establishment. Che fine fecero fare a Benettazzo ad Anno Zero? Lo presentarono come un orfanello naif, una specie di grillo parlante. Trascurarono persino di presentarlo, e si dimenticarono anche – che caso! – di ricordare che aveva previsto con largo anticipo la crisi finanziaria. La stessa cosa avvenne con Chiesa e Blondet per l’11 Settembre, i quali furono abilmente immessi nell’arena, per recitare la parte del toro nella corrida.
Il media TV ha i suoi canoni di media mono-direzionale, ed a quella legge nessuno scampa: anche il giornalismo d’inchiesta, in TV, segue lo schema del reality. E’ intrattenimento politico, non dibattito.
Nessuno, sul Web, si sognerebbe di “in-trattenere” qualcuno perché mancano gli schemi per farlo: ovvio che si cambia canale come si cambia sito, ma in TV c’è lo spettacolo, i tempi sono orchestrati proprio all’insegna del veloce mutamento, per non “annoiare”. Così, si rimane annoiati da una serie di cambiamenti repentini, mentre s’attende il “coup de théâtre”. Che non giunge mai.
Non sono i contenuti, ma i tempi ad essere diversi. Leggere attentamente questo articolo, comporta una concentrazione che nessun media TV richiede: per contrappeso, le informazioni, i contenuti degli articoli rimangono ben impressi, fanno scaturire ulteriori dubbi, approfondimenti, ecc. La TV è, per antonomasia, usa e getta.
In altre parole, la pazienza del leggere e del ponderare quel che si legge è la “molla” che ci consente di salire di un livello nella comprensione della realtà: svuotati di tutto l’ambaradan pubblicitario e spettacolare, restiamo soli con un testo, noi e la nostra Gestalt. La TV non consente Gestalt, perché è lei stessa a fornirne una, pre-confezionata.
Ovviamente, chi segue questi percorsi, impara rapidamente e, altrettanto velocemente, desidererebbe quei cambiamenti che gli sembrano, oramai, tanto semplici quanto scontati. Vive, oramai, da Pegaso in mezzo alle mandrie che corrono nella prateria.
Si scontra, però, con la differenza – a questo punto “interpretativa” – della realtà che i due mezzi propongono: per questo le giovani generazioni (più informatizzate) sono più propositive, addirittura pragmatiche nella ricerca delle soluzioni. Man mano che si passa dal Web alla TV, le soluzioni proposte sono sempre più ingabbiate da preconcetti, giacché il media TV veicola, oltre allo spettacolo, una serie di limiti che diventano di fruizione quasi subliminale.
Ponete attenzione a quante volte viene citato l’aggettivo “corretto”: tale aggettivo passa come sinonimo di “giusto” ed invece è falso. Il verbo latino corrigo ha ben altro significato, mentre il Corregidor spagnolo era un ufficiale di nomina regia che aveva compiti di controllo coloniale. Altro che “giustizia”.
Così, anno dopo anno, vi diranno, vi ripeteranno che è necessario essere “corretti” e fabbricheranno un bozzolo intorno alla vostra personalità, al punto che sarete voi stessi a “correggervi” prima d’aprir bocca.
Sull’altro lato della via, invece, la libertà è totale e sconfina spesso in licenza. Non si tratta solo di un problema d’educazione, ma di pragmatismo.
Il dibattito sulla Shoà è spesso uno dei più crudi: non si lesinano insulti e minacce ma, a ben vedere, è quello che fornisce più frecce all’arco d’Israele per la sua politica terroristica nei confronti dei Palestinesi.
Indubbio che, sotto l’aspetto storico, la libertà di discutere deve essere garantita…ma…conviene? Forse che Irving o Trevor Roper mutarono una sola delle loro tesi, per un commento su un quotidiano o sul Web? No, però ci sarà chi sfrutterà quel commento per demonizzare tutto un sito.
Quando, un sito o blog seguito, con buone “penne”, riesce ad incidere?
Semplicemente quando fa quello che fanno tanti siti e blog: continuando a fornire informazione, a smascherare le pacchiane falsità, oppure ad indicare altre interpretazioni per un fenomeno che viene spacciato per unico ed inconfutabile.
Qui, dissento in parte con Paolo Barnard sulla necessità d’avere una struttura come lui l’ha indicata, ossia ben organizzata e, soprattutto, finanziata.
Certo, non ci sarebbe nulla di male a scrivere dandosi una veste redazionale – sicuramente la qualità del lavoro migliorerebbe – ma dubito che quella struttura sarebbe in grado di catalizzare la presa di coscienza della colossale finzione nella quale siamo immersi. Ossia, potrebbe fare senz’altro di più, ma l’errore sarebbe attendersi solo dall’informazione quel “go” verso il mutamento politico che l’informazione, storicamente, non ha mai avuto.
Inoltre, sono molto pessimista al riguardo di possibili “mecenate” che volessero sorreggere il reddito di cittadinanza, l’energia pulita, il riconoscimento del comunitarismo come valore fondante del vivere sociale…insomma, tutto quello che i tanti “Pegaso” del Web discutono da anni.
La Storia muta ogni istante, lentamente, inesorabilmente e, con essa, cambiano le nostre vite. Poi, apparentemente in maniera stocastica, succedono eventi di grande portata, che producono accelerazioni impensate solo la settimana prima. Pensiamo alle rivoluzioni, ma anche all’11 Settembre, che ha accelerato la caduta degli USA come dominatori assoluti del Pianeta.
Io credo fermamente nella forza e nell’importanza dell’informazione – e ritengo che il Web oggi sia un elemento veramente cruciale per la casta politico/affaristica al potere – però non penso che da siti o blog possa nascere qualcosa che, domani, sarà un nuovo soggetto politico. Forse potrebbe accadere in Germania – dove per fondare un partito bastano 50 firme – non certo in quest’Italia destinata inesorabilmente al disastro. Dopo una catarsi? Forse: scrivo articoli, non profezie.
L’aspetto economico
Da quando è nato il Web nella sua attuale forma, ovvero scambio d’informazione a largo raggio – poco più di un decennio – va per la maggiore che, chi produce cultura, debba farlo gratis.
Nessuno si salva; la musica finisce subito nei circuiti peer to peer, come i film, mentre per la letteratura il problema è presto risolto: scrivi ciò che ti passa per la testa sul tuo sito, sul tuo blog, su Facebook e noi leggiamo.
Peccato che non esistano paralleli circuiti per lo scambio gratuito delle carote, e la motivazione è semplice: le carote non possono essere scambiate, bensì solo consumate.
Per questa ragione – ossia per sostenere l’importanza di chi creava beni immateriali – tutte le normative prevedevano (e, tuttora, prevedono) la protezione del Diritto d’Autore: se, per la letteratura, sono gli stessi autori a preferire (vedremo dopo perché, come, ecc) la pubblicità dei loro scritti, così non è per la musica e per il cinema.
Con un’interpretazione della Corte di Cassazione, la quale equiparava lo scambio sui circuiti peer to peer al prestare un libro, oramai va per la maggiore che sia legale, o quasi (anche se non è vero), scaricare di tutto. Non sarà legale al 100%: però, indubbiamente tollerato.
Vi siete mai chiesti la ragione, per la quale tanta manna ci viene concessa?
E’ raro che leggiamo i patrocini ed i ringraziamenti all’inizio ed alla fine di un film, e facciamo male: sempre più spesso, all’inizio, compaiono una serie di patrocini che dovrebbero far riflettere.
“Sotto l’alto Patrocinio della Presidenza della Repubblica”, “Si ringrazia la Regione XY per l’aiuto offerto”, “Con la fattiva collaborazione del Comune di…”, “Con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio”, eccetera.
Siccome le sale cinematografiche, a parte le città, non esistono più, ed anche nei grandi centri sono oramai una frazione di quelle che c’erano un tempo, gli introiti al botteghino sono molto ridotti rispetto al passato. Dopo qualche mese (in genere, sei), il film passa nel circuito dell’Home Video e, dopo pochi giorni, compare la prima copia sui circuiti di scambio.
Le case di produzione s’affidano allora a delle strutture le quali, immettendo altri film nel circuito con lo stesso nome (in genere, film pornografici), tentano di “stancare” chi scarica: certamente rallentano il fenomeno, ma i programmi per lo scaricamento diventano sempre più raffinati nello riuscire a distinguere anzitempo le copie fasulle. E’ un guerra persa, ma tollerata.
Potrà senz’altro far piacere possedere migliaia di film, ma l’effetto che si produce sul fronte della produzione sono i mancati introiti: per questa ragione, i registi ed i produttori – con il cappello in mano – iniziano a “battere” le stanze della politica, a tutti i livelli, per mettere insieme i capitali necessari alla produzione di un altro film.
Ovvio che, chi dà dei soldi, non desidera essere maltrattato…anzi, se da quel film la sua immagine ne uscirà meglio…allora…meglio per il produttore, che la prossima volta otterrà altri spiccioli!
Ergo: con questi mezzi, la politica s’impadronisce delle leve della cultura cinematografica.
Chi ha saputo leggere fra le righe de “Il Caimano”, qualcosa avrà compreso, ma c’è un’ulteriore complicazione: il Presidente del Consiglio è anche il principale editore televisivo, che non disdegna qualche “passeggiata” nel mondo del Cinema (Medusa, ad esempio), e poi tutto l’ambaradan dei canali satellitari, delle Pay TV…
Che il gran tourbillon, nel quale finì Vittorio Cecchi Gori, dipendesse tutto dalla ex moglie e dalla Fiorentina…beh, ci si può credere, ma io non ci ho mai creduto. Soprattutto, soppesando il valore, in termini di titoli a listino, posseduto dal Cecchi Gori Group.
Insomma, dopo queste premesse, ci possiamo spiegare come mai non si facciano più veri film di denuncia, di critica all’establishment. Dove sono i “figli” di grandi film come “Finché c’è guerra c’è speranza” oppure “Detenuto in attesa di giudizio” con Alberto Sordi, o “Il caso Mattei” ed i tanti film di Gian Maria Volonté?
Di Sordi non rimane nulla, di Volonté il figlio: meglio Albertone.
Qualche regista prova a fare film che ancora si collochino nella grande stagione italiana del film di denuncia: Virzì, Soldini e pochi altri…ma non hanno più “l’impatto” sociale che ebbero le generazioni precedenti di cineasti, anche perché – per trovare i soldi – quanto dovranno mediare? Quanti portoni dovranno valicare?
La musica rock riesce a salvarsi un pochino grazie ai concerti, ed è proprio per gli scarsi (o nulli) introiti della distribuzione che i prezzi dei biglietti hanno raggiunto livelli esorbitanti. Le altre musiche – a partire dalla classica, passando per l’operistica e per finire con il jazz – si salvano solo più con i contributi pubblici, come del resto il teatro: Baricco cercò d’aprire un dibattito provocatorio sull’argomento[1], ma fu zittito.
La letteratura, invece, ha più “filoni”: libri, giornali, riviste, Web.
Anche qui, assistiamo ad un parallelo fenomeno: anche se nella scuola, oramai, mancano i fondi per pagare i supplenti e qualsiasi attività aggiuntiva, tutte le Finanziarie prevedono un corposo contributo per la stampa.
E, anche qui – non riteniamo di doverci dilungare – un altro clamoroso conflitto d’interessi, con “Libero” o “Il Giornale” che si mettono, proni, a disposizione delle più elementari “necessità” di Berlusconi (ricordiamo il caso Moffo) ed il Governo che ricambia, con tutto ciò che serve per mantenere nell’oro i suoi scribacchini[2].
Chi vuol fare informazione nella carta stampata, dunque, si trova di fronte all’insormontabile problema di trovare un Direttore che gli dia una scrivania, poiché quel Direttore ha decine, centinaia di richieste e “segnalazioni” da parte dei politici, e sa che quelle persone non gli creeranno grattacapi. La qualità? Beh, a parte qualcuno che ancora sa scrivere, il resto…
Avevo già analizzato il problema nel mio “Alì Babà e i Quaranta Ladroni[3]”: chi vorrà, potrà approfondire.
Per i libri, la situazione è diversa ma altrettanto disperante: se una persona sa scrivere, ed ha qualcosa da dire, prima o dopo troverà una casa editrice che lo pubblicherà. Il problema è “quale”.
Difficilmente sarà una grande casa, e per questa ragione il suo libro rimarrà negli scaffali per pochi giorni: dopo, finirà “dietro” e nessuno più andrà a cercarlo.
Chi proprio ci tiene, potrà imbarcarsi in faticosissimi tour, per firmare una ventina di libri in una libreria o dopo una conferenza: le spese, in genere, sono a carico dell’autore.
Tutto ciò, avviene perché la programmazione in libreria avviene come negli ipermercati: la distribuzione fornirà, mesi prima, al libraio i “pacchetti” – tot di questo, tot dell’altro, questo no, aspetta… – ed il libraio accetterà, perché sa che quegli autori, nel periodo corrispondente, saranno in TV, avranno una recensione sul “Corriere”, ecc. Niente di diverso dal vendere prosciutti o banane.
Notiamo, a margine, quanti autori provengano dalle “truppe” della TV: non che non siano bravi, ma è inevitabile chiedersi quanti autori – che non hanno calcato le scene – rimarranno sempre nell’ombra.
Il cortocircuito è evidente: la bravura non è più dell’autore, bensì dell’agente editoriale, delle sue “aderenze” a questo o a quello…dei favori che dovrà ricambiare…inoltre, non dimentichiamo che siamo solo 60 milioni (italiani un po’ meno) e dobbiamo vedercela con i “colossi” di lingua inglese e spagnola, che hanno ben altri mercati, i quali raggiungono la notorietà nel loro bacino linguistico: solo dopo arrivano, a migliaia, le traduzioni. Contate quanti sono gli autori italiani che sono tradotti all’estero.
A questo punto, lo scrittore deciderà di puntare sul Web per farsi conoscere – ma il Web è una riserva indiana, chiusa e controllata – e da lì ha poche possibilità d’uscire.
Ovviamente, ci sono scrittori per necessità e per diletto. Chi cerca di farlo come mestiere, spesso deve arrangiarsi con le traduzioni – mica la Allende, le spiegazioni multilingue di un frullatore – e cercare di guadagnare qualcosa per rimanere a galla. Oppure, fare un altro lavoro part time…ci sono moltissime varianti.
Chi ha già un lavoro, dedicherà una parte del suo tempo alla scrittura, ben sapendo che non guadagnerà nulla o pochissimo.
Personalmente, ho scelto di pubblicare liberamente gli articoli e di mettere a pagamento la mia produzione di narrativa, con risultati non esaltanti, ma già lo sapevo. Per questa ragione, credo poco alle iniziative di giornali on line a pagamento: se non si ha dietro un gruppo editoriale (che ti chiederà sempre qualcosa in cambio), è molto difficile farcela.
Tirando le somme, dunque, uno scrittore che pubblica articoli sul Web è una persona che non ha nessun ritorno economico da quell’attività: c’è chi lo fa come mezzo per avere visibilità (ma da chi?), oppure quasi come volontariato sociale.
Per questa ragione, assistiamo spesso alle lagnanze degli scrittori quando vengono insultati (io per primo) da chi commenta; il diritto/dovere di critica va benissimo, l’insulto – palese o mediato con qualche assurda elucubrazione (il secondo è il più fastidioso) – fa scattare una semplicissima molla: e chi me lo fa fare?
La protesta viene sempre accolta dai gestori dei siti – anche loro volontari, che campano con altri lavori e non ci guadagnano nulla! – perché ci si sente nella stessa barca: insomma, cerchiamo di scrivere qualcosa che non sia la solita Bibbia di regime…e questi c’insultano?
Il risultato è lo sconforto, oppure il dubbio se continuare un’attività la quale – sia dal punto di vista professionale, sia da quello economico – si sa con certezza che non darà nulla. Anche perché, se si desidera un mondo dove tutti ricevano il sacrosanto rispetto che è loro dovuto, non s’inizia insultando il primo che scrive.
Vediamo, allora, chi legge, chi critica, chi insulta e perché lo fa.
L’utente
Le persone che frequentano i siti di controinformazione sono di due tipi: quelle che cercano informazione per l’incompletezza e la faziosità di quella di sistema e quelle che operano per seminare zizzania.
Scartiamo le seconde – a volte definite “troll” – perché sono utenze interessate: non crediamo che la classe politica sia così disattenta al Web.
Le prime, invece, sono molto diverse fra di loro: un tempo, la controinformazione era patrimonio della sola sinistra mentre oggi, persone deluse dai governi di centro-destra, si rendono conto anch’esse che la sbobba è la stessa per tutti. Dunque…
La pessima eredità, che non riusciamo a scrollarci, viene ancora una volta dalla TV: scorrendo i commenti, pare quasi d’assistere alla brutale trascrizione di un dibattito televisivo.
Purtroppo, in questo senso c’è ben poco da fare: o s’abbandona completamente la TV – ed i frutti di tale “privazione” s’iniziano ad osservare dopo mesi, una vera e propria “disintossicazione” – oppure ci si trascina appresso il pessimo vezzo d’imitare un alterco fra La Russa e Di Pietro.
Alcuni siti non prevedono commenti per gli utenti, e sono anch’essi molto seguiti, oppure filtrano attentamente gli interventi: non bisogna, subito, alzare grida di sdegno e di censura, poiché dipende da com’è gestito il filtro. Ovvio che chi insulta va filtrato, ma non è questo il problema: spesso, utenti abili – che operano per scelta politica o tornaconto personale sul Web – appena viene pubblicato un articolo immettono subito commenti fuorvianti, che non c’entrano nulla con il contesto. Lo scopo che si prefiggono è quello di depotenziare l’articolo, conducendo il “flusso” dei commenti in sterili polemiche, estraendo dal contesto una sola frase e facendo in modo che i commentatori si scatenino in un dissidio infinito.
Funari può essere considerato a pieno titolo l’inventore di questo “format”, anche se le tecniche di comunicazione lo prevedevano già prima. Un solo esempio: la “rissa” scatenata da Berlusconi nei confronti Rosy Bindi – “Rosy Bindi è più bella che intelligente” – ha spostato l’attenzione del pubblico sulla sua scarsa educazione (sulla quale si nutrivano pochi dubbi), mettendo in secondo piano fatti assai gravi, vale a dire le sue posizioni processuali, i conflitti istituzionali, ecc.
Seguendo questo “format”, chi commenta collabora poco alla sintesi, all’incontro fra le tesi di un autore ed il pubblico dei lettori – che dovrebbe essere la vera funzione dei siti e blog “aperti” – poiché tutto si perde in inutili chiacchiericci.
I quali, fra l’altro, finiscono proprio per stancare, per primo, chi legge: spesso, ci si guadagna a leggere il solo articolo ed a non prestare attenzione ai commenti. Il che, è tutto dire.
La notorietà
Alcuni sostengono che la notorietà acquisita sul Web sia in ogni modo un valore, qualcosa del quale l’autore può andar fiero. A prima vista così parrebbe.
Se, però, si “gratta” un poco la vernice di questa presunta “notorietà”, si scopre che non esiste. Anzi, talvolta può risultare quasi dannosa.
Stabilito che un autore non ricava nessun (o scarsissimo) ritorno economico dalla sua attività di scrittore sul Web, dobbiamo domandarci quali altri frutti maturi.
Senz’altro “l’applauso” dell’attore dilettante, quel momento di gioia e quella sensazione di trionfo che lo pervade sul proscenio, mentre s’inchina verso il pubblico. Questo è innegabile.
Si tratta, però, di un sentimento assai effimero, che è legato al narcisismo insito nella personalità umana: il quale, però, con il tempo si stempera nell’assuefazione.
Quando si pubblica il primo libro s’attende, trepidando, che arrivino le copie omaggio: dopo qualche pubblicazione, si risponde: «Ah, sono arrivate? Dopo le guardo…»
Stupisce poi notare che, fuori dal mondo del Web, quella notorietà non esiste: anzi, non esiste proprio quell’autore, quella firma, quel giornalista.
Salvo, appena esterna qualcosa che irrita il potere, “sbattere il mostro” in prima pagina – come fece Magdi Allam con me sul “Corriere” – e, in questo modo, invocare strali contro quel mondo d’ignoranti pervertiti, i quali sono solo bloggher e non conoscono, dunque, i canoni della comunicazione. Si tratta, ovviamente, di una posizione strumentale, ma – credetemi – essere sbattuti come “mostri” sul Corriere, o come Caracciolo su “Repubblica”, non è piacevole, per niente.
La Casta sta a guardare, ma non solo: quando scopre che un certo autore è seguito, la prima cosa che fa è contattarlo. Mica lo fa firmandosi con nome e cognome! Giungono bizzarre mail “interlocutorie” – a nome di strane associazioni, con i fini più disparati – le quali cantano tutte la stessa canzone: scrivi per noi, i soldi ci sono.
Qui sta all’autore scegliere: se proteggere la propria libertà d’espressione, oppure arricchirsi. Non sono mai andato oltre una risposta di cortesia, ma conservo quelle mail. Attenti: non uso raccontare frottole.
Conclusione
Dopo questa lunga “galoppata”, dovremmo domandarci cosa si può chiedere ad uno scrittore, giornalista, bloggher…chiunque sia…sotto due, distinti profili.
Il primo è la sua posizione pubblica poiché è evidente che, chiunque scriva, opera mutamenti: impercettibili? Sotterranei? Non è il “grado” ad essere importante, quanto l’evento.
Perciò, è evidente che chi scrive ha una responsabilità: oltretutto, quel che si scrive sul Web è quasi “per sempre”, mica come il giornale di oggi, che domani servirà per incartare le uova.
Personalmente, ho scelto di guardarmi bene dall’avvertire chiunque su quel che dovrebbe fare: stare attaccato alla tastiera, correre in un centro sociale, chiudersi in un monastero. Sono affari suoi. Nessuna rivoluzione è mai nata dai consigli, ma dal mutamento – dialettico – fra le condizioni sociali e la capacità d’interpretare la realtà, in evoluzione, da strati sempre più vasti della popolazione.
L’informazione serve solo a questo: a catalizzare l’analisi e la sintesi, null’altro.
Non ci sono rivoluzioni dietro l’angolo, facciamocene una ragione, e dopo Berlusconi ci saranno Montezemolo, Draghi, Fini, D’Alema, Casini…ed una buona pletora di seconde linee. Fameliche, dopo anni di gavetta. Quindi, si lavora per tempi che potrebbero essere assai lontani.
Quel che conta, però, è fornire informazione che sia il più possibile veritiera, e farlo costa fatica: tanta.
Da qui la decisione, da parte di qualcuno, di chiedere un compenso: non la ritengo affatto una bestemmia, anche perché so quale impegno ci vuole per scrivere. Bene.
Voglio terminare quasi con una battuta.
Quella che osservate alla mia sinistra, nella fotografia, si chiama Gretel. Sono cinque tonnellate e mezza d’acciaio assemblate, nel 1975, in un cantiere olandese a forma di sloop d’altura.
Oggi, hanno bisogno di tanto lavoro per poter riprendere il mare, ed è per me quasi una necessità – in pieno stile comunista, ossia è parte inscindibile della mia personalità – poterlo fare appena andrò in pensione.
Vi prego d’astenervi dai paragoni con D’Alema: fra me e mia moglie mettiamo insieme quasi 70 anni di lavoro, e non abbiamo bombardato nessuno.
Da quando ho pubblicato il mio blog (ma anche prima) ho scritto circa 200 articoli, che hanno letto decine di migliaia di persone. Quale dei due diritti è preminenete? Quello di chi desidera leggere gratis? Il mio, che vorrebbe vederla scendere in acqua già il prossimo anno?
Ovvio che, più tempo dedico a scrivere, meno ne dedicherò alla mia barca: oggi, invece di scrivere, dovrei rifinire il boccaporto di prua che ho appena costruito.
Sarebbe un bel sogno – in pieno stile comunista – se qualcuno rispondesse: nella prossima Estate, prenderò il sacco a pelo e verrò a darti una mano. So saldare, so verniciare, so rimontare le attrezzature.
La parte di lavoro dalla quale sarai sollevato, dedicala a scrivere, perché è giusto che tu lo faccia.
Quanti risponderebbero? Siate sinceri.
Non importa, non fa nulla, perché altri hanno già risposto.
Sono i vecchi amici, le persone che mi onoro d’avere accanto, i quali hanno già risposto: tranquillo – Carlo – il pennello è mio. Oppure: mettimi da parte la levigatrice. Ancora, Carlo: telefona quando vuoi per qualsiasi consiglio, poi verrò io a tesarti il sartiame ed a verificare le attrezzature, sempre che tu ritenga l’esperienza di un ex Ufficiale della Marina Militare (velista) sufficiente.
E, questa – se da un lato è una bellissima storia, ed io sono fortunato in tal senso – mostra tutti i limiti di quella che è la “socialità del Web”. Il problema non è il denaro, bensì la consapevolezza dell’azione.
Solo quando riusciremo ad abbattere la barriere fra di noi, a tornare allo spirito del dono rituale, magari un misero euro, ma dato con la consapevolezza e la gioia di volerlo donare – come praticavano i Nativi Americani – potremo dissertare su un nuovo mondo.
Come vedete, il problema non sono pochi euro dati o non dati che modificano le nostre e le altrui finanze: è la consapevolezza dell’azione che modifica, in primis, noi stessi, per prepararci ad un nuovo mondo. Oggi, saremmo i primi a non esser pronti.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Scrittori, giornalisti e bloggher
Tutti sappiamo scrivere, il problema è come si scrive. Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici della scrittura (ortografia, grammatica, ecc), un semplice programma come Word aiuta parecchio, giacché individua gli errori, o quasi. I veri problemi sono stilistici, ovvero dare coerenza al testo, e questo s’ottiene “sposando” l’argomento della trattazione con uno degli stilemi tradizionalmente usati nella letteratura italiana. Così, una trattazione scientifica avrà gli stilemi del saggio (precisione, linguaggio sintetico, citazioni, ecc) mentre un racconto userà un linguaggio più onirico, la favola, la suspense, ecc.
Queste sono, però, regole di massima, giacché un bravissimo scrittore potrebbe raccontare la sintesi delle proteine con lo stile della favola, ed a soluzioni del genere ricorrono gli scrittori della letteratura rivolta ai ragazzi, ma non è detto che non si possano ottenere buoni risultati anche con gli adulti.
Il mestiere di chi scrive, dunque, è quello di coordinare tutti questi aspetti e farli convivere armoniosamente.
Simili “percorsi” avvengono nella musica, laddove la parte “tecnica” vi potrà rendere perfetti esecutori, mentre per diventare “musicisti” ci vuole l’ispirazione e parecchio “mestiere”. Le doti che consentirono a Beethoven – oramai sordo – di scrivere la Nona Sinfonia senza averla mai ascoltata. Oppure, come per Grieg, scrivere il Peer Gynt in una baracca che sorgeva in un fiordo, dove non c’era nemmeno un pianoforte. I musicisti possiedono la cosiddetta “scala assoluta” nella mente: potrete osservare, nel film “Amadeus” di Milos Forman, come (probabilmente, è solo un esempio) Mozart scrisse il Requiem. Tutti i musicisti dell’epoca scrivevano senza provare nulla: in un certo senso, la procedura è simile nella stesura del software, quando il testing (ossia, provare le sezioni di un programma) avviene solo dopo la scrittura (implementazione).
E i parallelismi fra i due mondi – letteratura e musica – non s’arrestano qui: la punteggiatura, per lo scrittore, ha molto della scelta del tempo per il musicista, mentre il poeta è senz’altro più correlato alla musicalità del testo.
L’ultima cosa – last but not least – è avere qualcosa da raccontare.
Tutti abbiamo qualcosa da raccontare: quando, stesi sul letto o in poltrona, di fronte al mare o sotto un albero d’Estate chiudiamo gli occhi, le immagini appaiono da sole. Fateci caso.
Le prime volte non presteremo troppa attenzione a queste fantasie – potrebbe anche essere un sogno erotico sulla vicina di casa – ma, se comprendiamo dove inizia il filo d’Arianna che conduce a raccontare, quel sogno erotico potrà diventare un racconto erotico, oppure la vicina viene misteriosamente uccisa e allora “parte” il giallo a sfondo erotico/sessuale. Ancora: la vicina scompare, nessuna sa più niente di lei. Il mistero, la scomparsa, l’Africa dov’è fuggita con un altrettanto misterioso amante, e via a descrivere persone, luoghi, situazioni…
Il percorso l’ho indicato, ma non è detto che tutti riescano a percorrerlo: anche disegnare o dipingere è un “percorso” tecnico e d’ispirazione, ma non sono mai riuscito ad andar oltre un disegno infantile.
Alcuni possiedono personalità poliedriche, che consentono loro d’esprimersi in più campi e con più mezzi: sta a noi capire a quale universale apparteniamo, senza crederci subito chissà chi, ma nemmeno castrare immediatamente le nostre potenzialità.
Gli scrittori – nella semplice accezione di chi scrive ed ha qualcosa da raccontare – scelgono poi diversi campi nei quali proporre la loro comunicazione: libri, giornali, blog. Da notare che, oggi, tutte queste forme sono perfettamente fruibili in modalità cartacea ed elettronica.
Spesso, nei commenti ad un articolo, qualcuno obietta che l’argomento è sì interessante, ma non completamente svolto: questo, è il limite dell’articolo. Per rendere quel testo completamente esauriente, lo scrittore sarebbe stato costretto a “sconfinare” nel saggio, ma a quel punto la lunghezza del testo avrebbe scoraggiato molti lettori ad affrontarlo.
Così, chi scrive, tende ad auto-limitarsi, cosciente che – per semplici questioni di tempo, stanchezza o poca abitudine ad affrontare testi lunghi e complessi – la gran parte dei lettori rifiuterebbe la lettura. E, qui, si apre un nuovo scenario.
Chi, oggi, legge?
Una delle conquiste della società moderna è stata la sconfitta dell’analfabetismo: almeno, la grossolana sconfitta dell’analfabetismo. Ecco un esempio d’argomento tronco: se dovessi argomentare sugli attributi dell’analfabetismo (tradizionale, di ritorno, parziale, ecc), sarebbe necessaria una pagina in più.
Stabilito che solo una piccola parte della popolazione non sa leggere un testo, man mano che il livello degli argomenti proposti (ed il corrispondente linguaggio) aumentano per complessità, cala il numero dei lettori in grado di comprenderlo.
I quali, però, mantengono immutato il loro diritto di critica: questo spiega molti commenti campati per aria, che non hanno coerenza. Insomma, la classica situazione di chi indica il cielo e nella quale c’è chi s’ostina ad osservare il dito. Perché?
Beh, riflettiamo su una semplice constatazione: prima della Seconda Guerra Mondiale, poche persone superavano le scuole elementari. Dopo la guerra, divenne uno “standard” la terza media: per una maturità superiore, conseguita da quasi tutta una generazione, bisogna giungere ad oggi. Per questa ragione l’informazione sul Web è principalmente fruita da persone più istruite.
La circolazione dell’informazione, come oggi la conosciamo, vive solo da un decennio: prima, o acquistavi un giornale, oppure nulla. Questo, ha cambiato profondamente il mondo della comunicazione, e siamo solo agli inizi.
Ovunque, sul Web, troviamo informazione su tutto: vuoi preparare un piatto da gran chef? Vai al sito delle ricette. Vuoi sapere qualcosa di più su Giustiniano? Eccoti servito.
Ma, siamo preparati ad affrontare questo mare d’informazione?
Questo spiega la gran diffusione dei blog, ma non cadiamo nell’errore di pensare che il blog non esistesse prima di Internet: mai madre, a sua insaputa, è una bloggher giacché da decenni tiene un diario.
Il blog, questo è e non altro: importantissimo, poiché istantaneo. Se siamo riusciti a sapere molte cose sulla sporca guerra in Iraq, lo dobbiamo ai soldati americani i quali – muniti di palmare e di telefono satellitare – inviavano direttamente i post sui loro blog negli USA, spesso by-passando la censura dei giornalisti ufficiali, i cosiddetti “embedded”.
Il limite del blog è spesso lo spazio: nato come il successore elettronico del diario, mal si presta per analisi lunghe e dettagliate, anche se è tecnicamente possibile.
Nei blog, s’incontrano nello stesso luogo due diversi tipi di lettori: coloro che sono alla ricerca di un’informazione a largo spettro, forzatamente superficiale, con quelli che desiderano, invece, approfondire.
Ne nasce una confusione di termini: chi scrive su importanti siti si ritiene un giornalista, ma non c’è “giornale” in senso stretto, mentre anche le grandi testate, se vogliono sopravvivere, sono state obbligate a migrare sul Web ed a concedere i commenti, pur debitamente “purgati”.
La febbre del commento ha oramai pervaso tutto il Web: tutti vogliono commentare su tutto, sempre. Perché? Poiché, con la chiusura di tutti gli spazi di democrazia partecipativa tradizionale – talvolta solo effimeri consessi, ma pur sempre qualcosa – l’unico luogo dove farsi ascoltare è rimasto il Web. Riflettiamo sul significato e sulla partecipazione alla vita politica dei partiti in ambiti locali – il dibattito nelle sezioni – di pochi decenni or sono, e confrontiamolo con il canale a senso unico della politica in TV.
Dopo la prima Samarcanda – nella quale si correva il rischio d’incontrare non diciamo proprio il cittadino comune, ma almeno il presidente di una sconosciuta associazione, il responsabile di uno sperduto centro sociale, ecc – sono arrivate trasmissioni dove i tempi vengono suddivisi fra i politici con il manuale Cancelli. E la gente? Parterre, claque e basta.
Ovvio che, se nessuno m’ascolta, appena trovo uno spazio mi ci butto a pesce, e questo è l’aspetto positivo.
L’aspetto negativo, che finisce spesso per depotenziare totalmente la comunicazione nei siti dove si commenta, è che la critica ha dei canoni. Per carità: non tiriamo fuori la solfa della critica “costruttiva”, che fa tanto politically correct! D’altro si tratta.
Lo scrivente, che sa assai poco d’arti figurative, quando si trova (magari accompagnando una scolaresca in gita) di fronte ad un edificio di pregio architettonico o ad un quadro, esprime sempre dei giudizi estetici personali: mi piace, è armonico. No, non mi piace, ecc.
Mai, mi lancerei in analisi del tipo «L’abside ha pregevoli forme, mentre il transetto sembra incoerente, per stile e forme, con il resto del…» e così via. Cosa ci ricaverei? Probabilmente una brutta figura.
Invece, nei commenti, persone che non sanno nulla di petrolio o d’energia (e si capisce subito) si mettono tranquillamente a dissertare, assicurando che sì, è evidente che il petrolio ha origine inorganica. Oppure che no, non è vero.
Entrambe le critiche necessiterebbero di spazio e d’argomentazioni a sostegno: allora, come si risolve? S’incolla un bel collegamento ad un video ed il gioco è fatto. Giusto così?
No, perché qualsiasi contenuto esterno va presentato mediante un abstract: se ricorro ad un parere esterno, dovrò comunicare le ragioni che mi hanno condotto a sposare quella tesi. Perché? Poiché il collegamento esterno potrebbe contenere, a sua volta, imprecisioni e dubbi, e quindi non sortirebbe altro effetto che confondere ulteriormente.
Esempio: si fa presto a citare il rapporto Leuchter per quanto riguarda le camere a gas naziste ma…qualcuno ha provato a sondare le varie ipotesi per capire se sono fondate, oppure le ha prese per buone e via così? Le pietre che non contengono sufficienti quantità di residui di gas – e questa diventerebbe la prova della non esistenza di tutto l’ambaradan – di che tipo sono? Qual è la permeabilità ai gas di quel tipo di roccia? La curva di decadimento, per la concentrazione di quello specifico gas e per quel tipo di roccia, è conosciuta?
E questo vale per il mutamento climatico, per questioni finanziarie, per molte tesi “complottiste”, ecc.
Può commentare, dunque, solo chi è esperto, ha certezze che derivano dal suo curriculum studiorum? Non è detto: anche il grande “esperto” prende gran cantonate.
Come si può, allora, commentare?
Lo sforzo di commenta è, se non proprio pari a quello di chi scrive, di poco inferiore: la critica comporta l’attenta comprensione di un testo, l’approfondimento delle parti che si considerano dubbie e, infine, l’implementazione di una diversa coerenza che sia credibile, solida.
Secondo il metodo scientifico post-galileiano – dalle parti di Russell e Popper – è compito della critica proprio vagliare la produzione letteraria, saggistica, scientifica, ecc degli autori, giacché è solo sapendo che il proprio lavoro sarà attentamente vagliato che si distruggono gli assolutismi, di qualsiasi natura. Non riteniamo, però, che Russell e Popper considerassero come valida critica un commento del tipo: “E’ solo una str…zata: ascoltate qui, su http//www.youtube…”
Comunicazione, politica, cambiamento
Per quanto ci sforziamo, non troviamo nella Storia un solo evento nel quale un giornale (principale media dell’epoca) sia riuscito a scatenare un mutamento politico. Della serie: domattina, ore 8, tutti in piazza per…
E’ altrettanto vero, però, che i grandi mutamenti sono stati tutti catalizzati dall’informazione, almeno nella Storia Moderna e Contemporanea.
Che ne sarebbe stato della Rivoluzione Francese, senza gli Enciclopedisti? E di quella sovietica, senza il lavoro teorico prima di Marx e poi di Lenin? Tutte le grandi rivoluzioni – a partire da quella inglese – giunsero dopo l’invenzione della stampa.
Ma, sull’altro versante, c’erano condizioni sociali veramente estreme: perdita delle Terre Comuni, fame, carestie, guerre. Ed un’avanguardia in grado d’interpretare quei fenomeni.
Chi si aspetta, quindi, che l’informazione “a 360 gradi” sul Web, con libertà di commento – e dunque bi-direzionale – possa condurre da sola a nuove formazioni politiche – le quali produrranno quel cambiamento che in tanti aspettiamo, per veder scomparire nel ricordo questo brutto palcoscenico della politica italiana e far posto, almeno, ad un Paese “normale” – è un illuso.
Sull’altro versante, l’unica via per incrinare l’apparente, cristallina solidità degli apparati di potere, è l’informazione. Una contraddizione in termini? No.
Galileo accettò il verdetto dei cardinali ma, la prima cosa che fece appena riconquistata la piena libertà, fu inviare ad Amsterdam i suoi manoscritti affinché fossero pubblicati: Amsterdam, al tempo, non era più nelle generiche “Fiandre”, bensì nelle Zeven Provincien, le Province Libere. Liberate dal potere della Chiesa Cattolica con l’affrancamento dalla corona di Spagna.
Durante il Fascismo, vi furono numerose pubblicazioni clandestine – che circolavano in Italia ma, soprattutto, all’estero – e in quelle pubblicazioni il dibattito politico, negato dal potere, proseguì. Altrimenti, col cavolo che nel 1947 ci sarebbe stata una classe politica d’alto livello, in grado di scrivere una delle migliori costituzioni del Pianeta!
Per certi aspetti, il Web è oggi una pubblicazione clandestina, tanto è vero che vi sono molti, bravissimi scrittori, analisti, ecc…i quali, però, devono rimanere confinati sul Web, altrimenti sarebbero dirompenti per l’establishment. Che fine fecero fare a Benettazzo ad Anno Zero? Lo presentarono come un orfanello naif, una specie di grillo parlante. Trascurarono persino di presentarlo, e si dimenticarono anche – che caso! – di ricordare che aveva previsto con largo anticipo la crisi finanziaria. La stessa cosa avvenne con Chiesa e Blondet per l’11 Settembre, i quali furono abilmente immessi nell’arena, per recitare la parte del toro nella corrida.
Il media TV ha i suoi canoni di media mono-direzionale, ed a quella legge nessuno scampa: anche il giornalismo d’inchiesta, in TV, segue lo schema del reality. E’ intrattenimento politico, non dibattito.
Nessuno, sul Web, si sognerebbe di “in-trattenere” qualcuno perché mancano gli schemi per farlo: ovvio che si cambia canale come si cambia sito, ma in TV c’è lo spettacolo, i tempi sono orchestrati proprio all’insegna del veloce mutamento, per non “annoiare”. Così, si rimane annoiati da una serie di cambiamenti repentini, mentre s’attende il “coup de théâtre”. Che non giunge mai.
Non sono i contenuti, ma i tempi ad essere diversi. Leggere attentamente questo articolo, comporta una concentrazione che nessun media TV richiede: per contrappeso, le informazioni, i contenuti degli articoli rimangono ben impressi, fanno scaturire ulteriori dubbi, approfondimenti, ecc. La TV è, per antonomasia, usa e getta.
In altre parole, la pazienza del leggere e del ponderare quel che si legge è la “molla” che ci consente di salire di un livello nella comprensione della realtà: svuotati di tutto l’ambaradan pubblicitario e spettacolare, restiamo soli con un testo, noi e la nostra Gestalt. La TV non consente Gestalt, perché è lei stessa a fornirne una, pre-confezionata.
Ovviamente, chi segue questi percorsi, impara rapidamente e, altrettanto velocemente, desidererebbe quei cambiamenti che gli sembrano, oramai, tanto semplici quanto scontati. Vive, oramai, da Pegaso in mezzo alle mandrie che corrono nella prateria.
Si scontra, però, con la differenza – a questo punto “interpretativa” – della realtà che i due mezzi propongono: per questo le giovani generazioni (più informatizzate) sono più propositive, addirittura pragmatiche nella ricerca delle soluzioni. Man mano che si passa dal Web alla TV, le soluzioni proposte sono sempre più ingabbiate da preconcetti, giacché il media TV veicola, oltre allo spettacolo, una serie di limiti che diventano di fruizione quasi subliminale.
Ponete attenzione a quante volte viene citato l’aggettivo “corretto”: tale aggettivo passa come sinonimo di “giusto” ed invece è falso. Il verbo latino corrigo ha ben altro significato, mentre il Corregidor spagnolo era un ufficiale di nomina regia che aveva compiti di controllo coloniale. Altro che “giustizia”.
Così, anno dopo anno, vi diranno, vi ripeteranno che è necessario essere “corretti” e fabbricheranno un bozzolo intorno alla vostra personalità, al punto che sarete voi stessi a “correggervi” prima d’aprir bocca.
Sull’altro lato della via, invece, la libertà è totale e sconfina spesso in licenza. Non si tratta solo di un problema d’educazione, ma di pragmatismo.
Il dibattito sulla Shoà è spesso uno dei più crudi: non si lesinano insulti e minacce ma, a ben vedere, è quello che fornisce più frecce all’arco d’Israele per la sua politica terroristica nei confronti dei Palestinesi.
Indubbio che, sotto l’aspetto storico, la libertà di discutere deve essere garantita…ma…conviene? Forse che Irving o Trevor Roper mutarono una sola delle loro tesi, per un commento su un quotidiano o sul Web? No, però ci sarà chi sfrutterà quel commento per demonizzare tutto un sito.
Quando, un sito o blog seguito, con buone “penne”, riesce ad incidere?
Semplicemente quando fa quello che fanno tanti siti e blog: continuando a fornire informazione, a smascherare le pacchiane falsità, oppure ad indicare altre interpretazioni per un fenomeno che viene spacciato per unico ed inconfutabile.
Qui, dissento in parte con Paolo Barnard sulla necessità d’avere una struttura come lui l’ha indicata, ossia ben organizzata e, soprattutto, finanziata.
Certo, non ci sarebbe nulla di male a scrivere dandosi una veste redazionale – sicuramente la qualità del lavoro migliorerebbe – ma dubito che quella struttura sarebbe in grado di catalizzare la presa di coscienza della colossale finzione nella quale siamo immersi. Ossia, potrebbe fare senz’altro di più, ma l’errore sarebbe attendersi solo dall’informazione quel “go” verso il mutamento politico che l’informazione, storicamente, non ha mai avuto.
Inoltre, sono molto pessimista al riguardo di possibili “mecenate” che volessero sorreggere il reddito di cittadinanza, l’energia pulita, il riconoscimento del comunitarismo come valore fondante del vivere sociale…insomma, tutto quello che i tanti “Pegaso” del Web discutono da anni.
La Storia muta ogni istante, lentamente, inesorabilmente e, con essa, cambiano le nostre vite. Poi, apparentemente in maniera stocastica, succedono eventi di grande portata, che producono accelerazioni impensate solo la settimana prima. Pensiamo alle rivoluzioni, ma anche all’11 Settembre, che ha accelerato la caduta degli USA come dominatori assoluti del Pianeta.
Io credo fermamente nella forza e nell’importanza dell’informazione – e ritengo che il Web oggi sia un elemento veramente cruciale per la casta politico/affaristica al potere – però non penso che da siti o blog possa nascere qualcosa che, domani, sarà un nuovo soggetto politico. Forse potrebbe accadere in Germania – dove per fondare un partito bastano 50 firme – non certo in quest’Italia destinata inesorabilmente al disastro. Dopo una catarsi? Forse: scrivo articoli, non profezie.
L’aspetto economico
Da quando è nato il Web nella sua attuale forma, ovvero scambio d’informazione a largo raggio – poco più di un decennio – va per la maggiore che, chi produce cultura, debba farlo gratis.
Nessuno si salva; la musica finisce subito nei circuiti peer to peer, come i film, mentre per la letteratura il problema è presto risolto: scrivi ciò che ti passa per la testa sul tuo sito, sul tuo blog, su Facebook e noi leggiamo.
Peccato che non esistano paralleli circuiti per lo scambio gratuito delle carote, e la motivazione è semplice: le carote non possono essere scambiate, bensì solo consumate.
Per questa ragione – ossia per sostenere l’importanza di chi creava beni immateriali – tutte le normative prevedevano (e, tuttora, prevedono) la protezione del Diritto d’Autore: se, per la letteratura, sono gli stessi autori a preferire (vedremo dopo perché, come, ecc) la pubblicità dei loro scritti, così non è per la musica e per il cinema.
Con un’interpretazione della Corte di Cassazione, la quale equiparava lo scambio sui circuiti peer to peer al prestare un libro, oramai va per la maggiore che sia legale, o quasi (anche se non è vero), scaricare di tutto. Non sarà legale al 100%: però, indubbiamente tollerato.
Vi siete mai chiesti la ragione, per la quale tanta manna ci viene concessa?
E’ raro che leggiamo i patrocini ed i ringraziamenti all’inizio ed alla fine di un film, e facciamo male: sempre più spesso, all’inizio, compaiono una serie di patrocini che dovrebbero far riflettere.
“Sotto l’alto Patrocinio della Presidenza della Repubblica”, “Si ringrazia la Regione XY per l’aiuto offerto”, “Con la fattiva collaborazione del Comune di…”, “Con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio”, eccetera.
Siccome le sale cinematografiche, a parte le città, non esistono più, ed anche nei grandi centri sono oramai una frazione di quelle che c’erano un tempo, gli introiti al botteghino sono molto ridotti rispetto al passato. Dopo qualche mese (in genere, sei), il film passa nel circuito dell’Home Video e, dopo pochi giorni, compare la prima copia sui circuiti di scambio.
Le case di produzione s’affidano allora a delle strutture le quali, immettendo altri film nel circuito con lo stesso nome (in genere, film pornografici), tentano di “stancare” chi scarica: certamente rallentano il fenomeno, ma i programmi per lo scaricamento diventano sempre più raffinati nello riuscire a distinguere anzitempo le copie fasulle. E’ un guerra persa, ma tollerata.
Potrà senz’altro far piacere possedere migliaia di film, ma l’effetto che si produce sul fronte della produzione sono i mancati introiti: per questa ragione, i registi ed i produttori – con il cappello in mano – iniziano a “battere” le stanze della politica, a tutti i livelli, per mettere insieme i capitali necessari alla produzione di un altro film.
Ovvio che, chi dà dei soldi, non desidera essere maltrattato…anzi, se da quel film la sua immagine ne uscirà meglio…allora…meglio per il produttore, che la prossima volta otterrà altri spiccioli!
Ergo: con questi mezzi, la politica s’impadronisce delle leve della cultura cinematografica.
Chi ha saputo leggere fra le righe de “Il Caimano”, qualcosa avrà compreso, ma c’è un’ulteriore complicazione: il Presidente del Consiglio è anche il principale editore televisivo, che non disdegna qualche “passeggiata” nel mondo del Cinema (Medusa, ad esempio), e poi tutto l’ambaradan dei canali satellitari, delle Pay TV…
Che il gran tourbillon, nel quale finì Vittorio Cecchi Gori, dipendesse tutto dalla ex moglie e dalla Fiorentina…beh, ci si può credere, ma io non ci ho mai creduto. Soprattutto, soppesando il valore, in termini di titoli a listino, posseduto dal Cecchi Gori Group.
Insomma, dopo queste premesse, ci possiamo spiegare come mai non si facciano più veri film di denuncia, di critica all’establishment. Dove sono i “figli” di grandi film come “Finché c’è guerra c’è speranza” oppure “Detenuto in attesa di giudizio” con Alberto Sordi, o “Il caso Mattei” ed i tanti film di Gian Maria Volonté?
Di Sordi non rimane nulla, di Volonté il figlio: meglio Albertone.
Qualche regista prova a fare film che ancora si collochino nella grande stagione italiana del film di denuncia: Virzì, Soldini e pochi altri…ma non hanno più “l’impatto” sociale che ebbero le generazioni precedenti di cineasti, anche perché – per trovare i soldi – quanto dovranno mediare? Quanti portoni dovranno valicare?
La musica rock riesce a salvarsi un pochino grazie ai concerti, ed è proprio per gli scarsi (o nulli) introiti della distribuzione che i prezzi dei biglietti hanno raggiunto livelli esorbitanti. Le altre musiche – a partire dalla classica, passando per l’operistica e per finire con il jazz – si salvano solo più con i contributi pubblici, come del resto il teatro: Baricco cercò d’aprire un dibattito provocatorio sull’argomento[1], ma fu zittito.
La letteratura, invece, ha più “filoni”: libri, giornali, riviste, Web.
Anche qui, assistiamo ad un parallelo fenomeno: anche se nella scuola, oramai, mancano i fondi per pagare i supplenti e qualsiasi attività aggiuntiva, tutte le Finanziarie prevedono un corposo contributo per la stampa.
E, anche qui – non riteniamo di doverci dilungare – un altro clamoroso conflitto d’interessi, con “Libero” o “Il Giornale” che si mettono, proni, a disposizione delle più elementari “necessità” di Berlusconi (ricordiamo il caso Moffo) ed il Governo che ricambia, con tutto ciò che serve per mantenere nell’oro i suoi scribacchini[2].
Chi vuol fare informazione nella carta stampata, dunque, si trova di fronte all’insormontabile problema di trovare un Direttore che gli dia una scrivania, poiché quel Direttore ha decine, centinaia di richieste e “segnalazioni” da parte dei politici, e sa che quelle persone non gli creeranno grattacapi. La qualità? Beh, a parte qualcuno che ancora sa scrivere, il resto…
Avevo già analizzato il problema nel mio “Alì Babà e i Quaranta Ladroni[3]”: chi vorrà, potrà approfondire.
Per i libri, la situazione è diversa ma altrettanto disperante: se una persona sa scrivere, ed ha qualcosa da dire, prima o dopo troverà una casa editrice che lo pubblicherà. Il problema è “quale”.
Difficilmente sarà una grande casa, e per questa ragione il suo libro rimarrà negli scaffali per pochi giorni: dopo, finirà “dietro” e nessuno più andrà a cercarlo.
Chi proprio ci tiene, potrà imbarcarsi in faticosissimi tour, per firmare una ventina di libri in una libreria o dopo una conferenza: le spese, in genere, sono a carico dell’autore.
Tutto ciò, avviene perché la programmazione in libreria avviene come negli ipermercati: la distribuzione fornirà, mesi prima, al libraio i “pacchetti” – tot di questo, tot dell’altro, questo no, aspetta… – ed il libraio accetterà, perché sa che quegli autori, nel periodo corrispondente, saranno in TV, avranno una recensione sul “Corriere”, ecc. Niente di diverso dal vendere prosciutti o banane.
Notiamo, a margine, quanti autori provengano dalle “truppe” della TV: non che non siano bravi, ma è inevitabile chiedersi quanti autori – che non hanno calcato le scene – rimarranno sempre nell’ombra.
Il cortocircuito è evidente: la bravura non è più dell’autore, bensì dell’agente editoriale, delle sue “aderenze” a questo o a quello…dei favori che dovrà ricambiare…inoltre, non dimentichiamo che siamo solo 60 milioni (italiani un po’ meno) e dobbiamo vedercela con i “colossi” di lingua inglese e spagnola, che hanno ben altri mercati, i quali raggiungono la notorietà nel loro bacino linguistico: solo dopo arrivano, a migliaia, le traduzioni. Contate quanti sono gli autori italiani che sono tradotti all’estero.
A questo punto, lo scrittore deciderà di puntare sul Web per farsi conoscere – ma il Web è una riserva indiana, chiusa e controllata – e da lì ha poche possibilità d’uscire.
Ovviamente, ci sono scrittori per necessità e per diletto. Chi cerca di farlo come mestiere, spesso deve arrangiarsi con le traduzioni – mica la Allende, le spiegazioni multilingue di un frullatore – e cercare di guadagnare qualcosa per rimanere a galla. Oppure, fare un altro lavoro part time…ci sono moltissime varianti.
Chi ha già un lavoro, dedicherà una parte del suo tempo alla scrittura, ben sapendo che non guadagnerà nulla o pochissimo.
Personalmente, ho scelto di pubblicare liberamente gli articoli e di mettere a pagamento la mia produzione di narrativa, con risultati non esaltanti, ma già lo sapevo. Per questa ragione, credo poco alle iniziative di giornali on line a pagamento: se non si ha dietro un gruppo editoriale (che ti chiederà sempre qualcosa in cambio), è molto difficile farcela.
Tirando le somme, dunque, uno scrittore che pubblica articoli sul Web è una persona che non ha nessun ritorno economico da quell’attività: c’è chi lo fa come mezzo per avere visibilità (ma da chi?), oppure quasi come volontariato sociale.
Per questa ragione, assistiamo spesso alle lagnanze degli scrittori quando vengono insultati (io per primo) da chi commenta; il diritto/dovere di critica va benissimo, l’insulto – palese o mediato con qualche assurda elucubrazione (il secondo è il più fastidioso) – fa scattare una semplicissima molla: e chi me lo fa fare?
La protesta viene sempre accolta dai gestori dei siti – anche loro volontari, che campano con altri lavori e non ci guadagnano nulla! – perché ci si sente nella stessa barca: insomma, cerchiamo di scrivere qualcosa che non sia la solita Bibbia di regime…e questi c’insultano?
Il risultato è lo sconforto, oppure il dubbio se continuare un’attività la quale – sia dal punto di vista professionale, sia da quello economico – si sa con certezza che non darà nulla. Anche perché, se si desidera un mondo dove tutti ricevano il sacrosanto rispetto che è loro dovuto, non s’inizia insultando il primo che scrive.
Vediamo, allora, chi legge, chi critica, chi insulta e perché lo fa.
L’utente
Le persone che frequentano i siti di controinformazione sono di due tipi: quelle che cercano informazione per l’incompletezza e la faziosità di quella di sistema e quelle che operano per seminare zizzania.
Scartiamo le seconde – a volte definite “troll” – perché sono utenze interessate: non crediamo che la classe politica sia così disattenta al Web.
Le prime, invece, sono molto diverse fra di loro: un tempo, la controinformazione era patrimonio della sola sinistra mentre oggi, persone deluse dai governi di centro-destra, si rendono conto anch’esse che la sbobba è la stessa per tutti. Dunque…
La pessima eredità, che non riusciamo a scrollarci, viene ancora una volta dalla TV: scorrendo i commenti, pare quasi d’assistere alla brutale trascrizione di un dibattito televisivo.
Purtroppo, in questo senso c’è ben poco da fare: o s’abbandona completamente la TV – ed i frutti di tale “privazione” s’iniziano ad osservare dopo mesi, una vera e propria “disintossicazione” – oppure ci si trascina appresso il pessimo vezzo d’imitare un alterco fra La Russa e Di Pietro.
Alcuni siti non prevedono commenti per gli utenti, e sono anch’essi molto seguiti, oppure filtrano attentamente gli interventi: non bisogna, subito, alzare grida di sdegno e di censura, poiché dipende da com’è gestito il filtro. Ovvio che chi insulta va filtrato, ma non è questo il problema: spesso, utenti abili – che operano per scelta politica o tornaconto personale sul Web – appena viene pubblicato un articolo immettono subito commenti fuorvianti, che non c’entrano nulla con il contesto. Lo scopo che si prefiggono è quello di depotenziare l’articolo, conducendo il “flusso” dei commenti in sterili polemiche, estraendo dal contesto una sola frase e facendo in modo che i commentatori si scatenino in un dissidio infinito.
Funari può essere considerato a pieno titolo l’inventore di questo “format”, anche se le tecniche di comunicazione lo prevedevano già prima. Un solo esempio: la “rissa” scatenata da Berlusconi nei confronti Rosy Bindi – “Rosy Bindi è più bella che intelligente” – ha spostato l’attenzione del pubblico sulla sua scarsa educazione (sulla quale si nutrivano pochi dubbi), mettendo in secondo piano fatti assai gravi, vale a dire le sue posizioni processuali, i conflitti istituzionali, ecc.
Seguendo questo “format”, chi commenta collabora poco alla sintesi, all’incontro fra le tesi di un autore ed il pubblico dei lettori – che dovrebbe essere la vera funzione dei siti e blog “aperti” – poiché tutto si perde in inutili chiacchiericci.
I quali, fra l’altro, finiscono proprio per stancare, per primo, chi legge: spesso, ci si guadagna a leggere il solo articolo ed a non prestare attenzione ai commenti. Il che, è tutto dire.
La notorietà
Alcuni sostengono che la notorietà acquisita sul Web sia in ogni modo un valore, qualcosa del quale l’autore può andar fiero. A prima vista così parrebbe.
Se, però, si “gratta” un poco la vernice di questa presunta “notorietà”, si scopre che non esiste. Anzi, talvolta può risultare quasi dannosa.
Stabilito che un autore non ricava nessun (o scarsissimo) ritorno economico dalla sua attività di scrittore sul Web, dobbiamo domandarci quali altri frutti maturi.
Senz’altro “l’applauso” dell’attore dilettante, quel momento di gioia e quella sensazione di trionfo che lo pervade sul proscenio, mentre s’inchina verso il pubblico. Questo è innegabile.
Si tratta, però, di un sentimento assai effimero, che è legato al narcisismo insito nella personalità umana: il quale, però, con il tempo si stempera nell’assuefazione.
Quando si pubblica il primo libro s’attende, trepidando, che arrivino le copie omaggio: dopo qualche pubblicazione, si risponde: «Ah, sono arrivate? Dopo le guardo…»
Stupisce poi notare che, fuori dal mondo del Web, quella notorietà non esiste: anzi, non esiste proprio quell’autore, quella firma, quel giornalista.
Salvo, appena esterna qualcosa che irrita il potere, “sbattere il mostro” in prima pagina – come fece Magdi Allam con me sul “Corriere” – e, in questo modo, invocare strali contro quel mondo d’ignoranti pervertiti, i quali sono solo bloggher e non conoscono, dunque, i canoni della comunicazione. Si tratta, ovviamente, di una posizione strumentale, ma – credetemi – essere sbattuti come “mostri” sul Corriere, o come Caracciolo su “Repubblica”, non è piacevole, per niente.
La Casta sta a guardare, ma non solo: quando scopre che un certo autore è seguito, la prima cosa che fa è contattarlo. Mica lo fa firmandosi con nome e cognome! Giungono bizzarre mail “interlocutorie” – a nome di strane associazioni, con i fini più disparati – le quali cantano tutte la stessa canzone: scrivi per noi, i soldi ci sono.
Qui sta all’autore scegliere: se proteggere la propria libertà d’espressione, oppure arricchirsi. Non sono mai andato oltre una risposta di cortesia, ma conservo quelle mail. Attenti: non uso raccontare frottole.
Conclusione
Dopo questa lunga “galoppata”, dovremmo domandarci cosa si può chiedere ad uno scrittore, giornalista, bloggher…chiunque sia…sotto due, distinti profili.
Il primo è la sua posizione pubblica poiché è evidente che, chiunque scriva, opera mutamenti: impercettibili? Sotterranei? Non è il “grado” ad essere importante, quanto l’evento.
Perciò, è evidente che chi scrive ha una responsabilità: oltretutto, quel che si scrive sul Web è quasi “per sempre”, mica come il giornale di oggi, che domani servirà per incartare le uova.
Personalmente, ho scelto di guardarmi bene dall’avvertire chiunque su quel che dovrebbe fare: stare attaccato alla tastiera, correre in un centro sociale, chiudersi in un monastero. Sono affari suoi. Nessuna rivoluzione è mai nata dai consigli, ma dal mutamento – dialettico – fra le condizioni sociali e la capacità d’interpretare la realtà, in evoluzione, da strati sempre più vasti della popolazione.
L’informazione serve solo a questo: a catalizzare l’analisi e la sintesi, null’altro.
Non ci sono rivoluzioni dietro l’angolo, facciamocene una ragione, e dopo Berlusconi ci saranno Montezemolo, Draghi, Fini, D’Alema, Casini…ed una buona pletora di seconde linee. Fameliche, dopo anni di gavetta. Quindi, si lavora per tempi che potrebbero essere assai lontani.
Quel che conta, però, è fornire informazione che sia il più possibile veritiera, e farlo costa fatica: tanta.
Da qui la decisione, da parte di qualcuno, di chiedere un compenso: non la ritengo affatto una bestemmia, anche perché so quale impegno ci vuole per scrivere. Bene.
Voglio terminare quasi con una battuta.
Quella che osservate alla mia sinistra, nella fotografia, si chiama Gretel. Sono cinque tonnellate e mezza d’acciaio assemblate, nel 1975, in un cantiere olandese a forma di sloop d’altura.
Oggi, hanno bisogno di tanto lavoro per poter riprendere il mare, ed è per me quasi una necessità – in pieno stile comunista, ossia è parte inscindibile della mia personalità – poterlo fare appena andrò in pensione.
Vi prego d’astenervi dai paragoni con D’Alema: fra me e mia moglie mettiamo insieme quasi 70 anni di lavoro, e non abbiamo bombardato nessuno.
Da quando ho pubblicato il mio blog (ma anche prima) ho scritto circa 200 articoli, che hanno letto decine di migliaia di persone. Quale dei due diritti è preminenete? Quello di chi desidera leggere gratis? Il mio, che vorrebbe vederla scendere in acqua già il prossimo anno?
Ovvio che, più tempo dedico a scrivere, meno ne dedicherò alla mia barca: oggi, invece di scrivere, dovrei rifinire il boccaporto di prua che ho appena costruito.
Sarebbe un bel sogno – in pieno stile comunista – se qualcuno rispondesse: nella prossima Estate, prenderò il sacco a pelo e verrò a darti una mano. So saldare, so verniciare, so rimontare le attrezzature.
La parte di lavoro dalla quale sarai sollevato, dedicala a scrivere, perché è giusto che tu lo faccia.
Quanti risponderebbero? Siate sinceri.
Non importa, non fa nulla, perché altri hanno già risposto.
Sono i vecchi amici, le persone che mi onoro d’avere accanto, i quali hanno già risposto: tranquillo – Carlo – il pennello è mio. Oppure: mettimi da parte la levigatrice. Ancora, Carlo: telefona quando vuoi per qualsiasi consiglio, poi verrò io a tesarti il sartiame ed a verificare le attrezzature, sempre che tu ritenga l’esperienza di un ex Ufficiale della Marina Militare (velista) sufficiente.
E, questa – se da un lato è una bellissima storia, ed io sono fortunato in tal senso – mostra tutti i limiti di quella che è la “socialità del Web”. Il problema non è il denaro, bensì la consapevolezza dell’azione.
Solo quando riusciremo ad abbattere la barriere fra di noi, a tornare allo spirito del dono rituale, magari un misero euro, ma dato con la consapevolezza e la gioia di volerlo donare – come praticavano i Nativi Americani – potremo dissertare su un nuovo mondo.
Come vedete, il problema non sono pochi euro dati o non dati che modificano le nostre e le altrui finanze: è la consapevolezza dell’azione che modifica, in primis, noi stessi, per prepararci ad un nuovo mondo. Oggi, saremmo i primi a non esser pronti.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
[1] Vedi: http://axelmanhattan.wordpress.com/2009/03/01/lultima-provocazione-di-baricco/
[2] La pagina non è recentissima, ma il sistema è cambiato poco: http://www.stampalternativa.it/wordpress/2007/10/17/la-casta-dei-giornali-i-contributi-alla-stampa/
[3] Vedi: http://www.carlobertani.it/ali_bab%C3%A0_e_i_quaranta_ladroni.htm
14 commenti:
Egregio Signor Bertani, ho letto varie volte i suoi articoli e l'ho subito apprezzata per la saggezza di questi. Complimenti per il pezzo, se le può far piacere le posso dire che mi ha lasciato qualcosa. Le confesso che sono un assiduo lettore di vari siti di controinformazione nei quali raramente commento, e mai insulto, anche perchè la mia è solo sete di informazione. Le rinnovo la mia stima e considerato che mi verrebbe difficile darle una mano con la barca vedrò di passare dalla libreria e prendere un suo libro.
Gaetano
Caro Carlo prima di tutto debbo ringraziarti perchè sei stato capace di lasciarmi incollato su una splendita riflessione costituita da questo meraviglioso articolo facendomi dimenticare l' ansia dell' arrivo di mio figlio ( mia moglie ha rotto le acque e sono quasi trenta ore che è in ospedale nell' attesa di andare in travaglio).Sublime è il tuo modo di scrivere che rende ancor più difficile commentare. Come ben sai seguo i talk show (annozero) le trasmissioni di approfondimento (report) e sono attivista a tempo perso per il coordinamento dell' Idv del mio municipio, però, devo dire da quando seguo te e leggo blog come DonChisciotte i miei dubbi (proprio come tu citi nell' articolo) sono aumentati e sicuramente sono meno assolutista sull' opera di questi mezzi di informazione.Oramai preferisco spendere tempo per leggere un articolo interessante su blog come il tuo, che scorrere le pagine di quotidiani come la stampa o il fatto (del quale sono abbonato) seppur capaci ancora di regalare qualche buon articolo.Reputo che l' opera di blogger come te o Barnard (anche se quest'ultimo si può considerare un giornalista a pieno titolo) sia fondamentale e produttiva, anche se, continuo a sostenere che le immagini siano altrettanto importanti, spesso loro possono rappresentare la giusta colonna sonora delle parole e fissarle ancor più efficacemente nella mente.Carlo ho letto molto di quello che scrivi e ti apprezzo moltissimo l' unico invito che mi sento di fare a te e ad altri tuoi colleghi blogger è di continuare nella vostra difficile opera cercando di non sconfinare nei stessi limiti selettivi che impongono i grandi media, vedi, io spesso posto e commento magari dicendo anche "cialtronate" ma senza essere mai volgare e ci sono tuoi esimi colleghi (vedi Randazzo) che sistematicamente cancellano i post non perchè siano volgari ma perchè non affini al loro pensiero e ciò non è come tu dici rivolto a troncare inutili discussioni.Il Web a mio modo di vedere è nato proprio per aprire nuove discussioni, quindi, il rischio di affrontarne alcune lunghe e crude lo si deve preventivare altrimenti si finisce per essere censori al pari di quei media dove ogni giorno invio mail per segnalare vostri "meravigliosi articoli" e puntualmente li snobbano.Grazie ancora e un saluto a tutti!
Grazie per i vostri commenti, amici: non dovete in nessun modo sentirvi in obbligo verso la mia persona, giacché scrivo quel che scrivo perché mi va di farlo. Qualora dovesse diventare un "mestiere" perderebbe la genuinità e diventerebbe un semplice "lavoro" (labor) e non un'opera (opus).
Per quanto riguarda i commenti, qui non ci sono mai stati problemi: l'educazione regna sovrana, anche perché il proprietario del blog non consentirebbe mai di scadere nell'insulto.
E, questo, anche se qualcuno - raramente - si mostra fortemente critico: mai ho cancellato interventi critici. A dire il vero, gli unici casi nei quali ho dovuto cancellare erano per interventi su questo blog che si riferivano ad altri blog ed autori, laddove erano stati cancellati.
Non ho mai amato le primedonne, perché sono il veleno del nostro tempo: chi "addomestica" i commenti per ingloriarsi compie un'azione di dubbio valore. Non è forse lo stesso "cancro" della TV?
Poi, ciascuno è libero di commentare come può e come riesce: ci mancherebbe che io, cultore di un liberalismo anarchico, soffocassi l'altrui pensiero!
Ciao a tutti
Carlo
Caro Carlo,
non hai citato, almeno esplicitamente, due doti di cui invece di solito il vero artista (sia esso scrittore, musicista, pittore, scultore, architetto o poeta) è dotato, ovvero la capacità di sintesi e la lucidità di pensiero.
Per capacità di sintesi intendo quella capacità che porta l'artista a descrivere un concetto, o un paesaggio e contemporaneamente a esprimere il tipo di emozione che gli dà quanto descritto, con pochi tratti di penna o di pennello.
E' stato scritto o dipinto in quel modo, e solo in quel modo poteva essere scritto o dipinto.
Una composizione di Beethoven o di Mozart sono perfette fin nelle più elementari frasi musicali, e non è possibile cambiare niente per trovare una melodia migliore, perchè le note presenti sono esattamente quelle giuste né una in più né una in meno, e solo scritte come sono acquisiscono in toto la loro forza evocativa.
Lo stesso si può dire per opere come "La Divina Commedia", "Una Colomba", o la Basilica di san Pietro, o "La ronda di notte".
Ma per poter essere sintetici bisogna essere dotati di lucidità di pensiero: quello che voglio rappresentare e già presente nella mia mente in modo chiaro ed inequivocabile e fluisce liberamente attraverso le mie mani trasferendosi su di un foglio o su di una tela senza resistenze o titubanze.
Lucidità e sintesi si applicano a qualsiasi livello e forma di espressione del pensiero umano sia che io stia progettando un palaexpo, sia che io stia scrivendo in un blog.
Rimanendo al livello dei blog, tu, caro Carlo, sei molto bravo nello scrivere articoli, ed esprimi in modo molto chiaro e sintetico diversi concetti anche difficili rendendoli comprensibili a tutti noi(almeno a me), evidenziandone nessi e incongruenze.
Poi, siccome il bisogno e la necessità aguzzano l'ingegno,in quest'ultimo post hai dato il massimo.... e va bene, però se ti serviva una mano, potevi dirlo subito!!
Comunque, io devo ancora:
1. finire di sistemare la cucina, (mancano un bancone, delle mensole, l'illuminazione sui banconi e la cappa aspirante);
2. finire di sistemare la camera dei bimbi (mancano da attaccare delle foto, tre mensole, sistemare l'impianto elettrico e mettere la luce al centro della stanza, le tende alle finestre.
3. risistemare l'impianto elettrico in garage.
4. trovare al più presto una baby sitter affidabile che mia moglie non ce la fa più (e sono solo due...).
E poi esistono anche le Banche del Tempo. Ne hai (avete) mai sentito parlare? Ci sono anche a Torino e provincia. Funzionano.
Aloa aloa,
Alex
Non necessariamente i Pegaso debbano considerarsi contra-opposti ai Furia; per me , semmai, il problema e' la quasi totale mancanza di Bellerofonte.
Il web - ad un livello nettamente superiore- sta assumendo il ruolo che ebbe la stampa nella diffusione della informazione, che, comunque (mente) manipolata forniva in ogni caso elementi per almeno "cercare" i dubbi sui quali innestare la propria rielaborazione critica.
Al suo interno i Blogger stanno assumendo - sempre ad un livello superiore e più incisivo della stampa e o tv- il ruolo di Virus della informazione..
Credo - ma non con le modalità indicate da Barnard , e nè con la sua "ossesione" utopistica - nella necessità di una sorta di coordinamento funzionale tra Bloggers.
Questa necessità deriva da considerazioni, diciamo così, di carattere storico: ogni forma di evoluzione positiva (in senso di avanzamento cultural-socio-economico) ha visto il potere costruire strutture per...la restaurazione.
Il web sta già correndo - in modalità diaboliche- un serio pericolo di accerchiamento:
lo scopo è il soffocamento della funzione primaria del blog, per questo vengono costruiti cloni-troiani dalla indubbia efficacia.
In Italia, purtroppo e non a caso, l'accesso al web e' un forte discriminante di classe: serve ancora che la cloroformizzazione cerebrale delle masse attraverso il telecomando continui: lo zapping con il telecomando è l'elemento, apparente, di una libertà di scelta perfettamente controllata.
Allo stesso modo, e per questo motivo,nel web tardano ad arrivare su larga scala prodotti culturali a basso prezzo,tipo i pdf di Bertani.
La diffusione di questo e di altri strumenti simili, di provenienza "certificata", possono rappresentare il nuovo canale evolutivo della "ri-voluzione"
Doc
P.S. Non posso aiutarti:
a) sono troppo distante;
b) ho una "certa" età;
c) avevo anche io un sogno (che era già iniziato con il possesso di circa 1 hettaro di terreno su una collina vicino al mio paesello..): piantare una vigna a "spalliera" il cui vino sarebbe stato dato in dono ad amici..
per creare occasioni di incontro ove, ricordando, progettare il futuro.
Con grande stima
Doc
Spero, e ti auguro,che il varo sia...domani.
Perché il televisore è considerato anti-democratico? Perché instaura un rapporto gerarchico (ex cattedra) quotidiano tra chi parla e chi è costretto esclusivamente ad ascoltare. Lui informa, intrattiene, fa sondaggi, sceglie le notizie e decide quando, quanto e come far partecipare il subalterno. Per quanto concerne la letteratura, la musica e più in generale l’arte, il discorso è diverso. Lì, l’autore è morto e sarà sempre e comunque il testo, o, come dice il poeta barocco Marini, la “meraviglia” a coinvolgere tutti quanti.
Il Web ora come ora è un rifugio. Mentre la famiglia sta a tavola, unita dai festeggiamenti natalizi, dal cibo e dalla televisione, qualcuno si alza e si allontana dall’albero di Natale e da altre favole che circondano la Cena calda e, in camera sua, comincia a navigare, cercando tutto ciò che mette in discussione la verità ufficiale: cosa sta succedendo veramente in Calabria? Chi sono i veri clandestini? La crisi economica nel sud? La Palestina? Ecc. Oltre a navigare, il “qualcuno” può finalmente parlare.
Se in televisione non c’è spazio per tutti, ecco il Web che ti consente di parlare, di scrivere e di commentare. Tale spostamento da oggetto ad agente attivo ha reso il Web, secondo alcuni, un luogo alternativo, ma per la classe dirigente, un luogo anarchico. Tutto è permesso. Non ci sono regole. Troppa libertà per tutti e quindi, a loro, non piace, e di conseguenza rimane un mezzo semi- o non ufficiale. (Provate a citare un sito internet o un blog e vi accusano subito di essere poco scientifici. Citare una riga qualsiasi di un libro della Fallaci, o frase pronunciata su Porta a Porta è più scientifico!). Negli anni 70, è uscito il saggio più pericoloso di Samuel Huntington, “Crisis of Democracy”, che accusava i canali televisivi statunitensi di anarchia perché godevano di tanta libertà, poca censura e poche regole, e quindi, non potevano rappresentare ufficialmente il pensiero nazionale.
Ciò, però, non dovrebbe togliere il dubbio che maggiori controlli futuri interessano anche il Web. Così, la crisi dell’informazione e della controinformazione unirà nuovamente tutti i popoli della Terra. Ma questo ha anche il suo vantaggio: cavolo! Se no, come facevo a scoprire una sensibilità intellettuale e critica come quella di Carlo Bertani, per molti versi paragonabile al nostro Edward Said. Mahmoud, Giordania.
Egregio Signor Bertani, leggo i suoi articoli da un po' di tempo. La ammiro per ciò che scrive (che condivido molto, sembra ci metta un bel po' di buon senso che abbiamo oramai perso) e per il modo in cui scrive, di facile presa e non arzigogolato.
Mi stavo interrogando proprio in questi giorni riguardo il ruolo dell'informazione in generale.
Ritengo, prendendo in considerazione il web, che purtroppo non è tutto oro quel che luccica. Lei lo ha spiegato perfettamente, soprattutto nella parte sui commenti; una cosa che però ho constatato sulla mia pelle è che la voglia di conoscenza rischia di trasformarsi in fine e non mezzo. Ovvero, l'informazione come fine e non come mezzo per modificare in meglio i comportamenti quotidiani. Il forte rischio è quello dell'information overload (a volte, per seguire tanti siti da me ritenuti attendibili, non ricordavo il succo degli articoli letti). Ecco che allora è forse il caso di fare una profonda cernita delle nostre fonti (prese come sempre con le molle, perché anche i siti della cosiddetta controinformazione contengono a volte teorie assurde, per cui, invece di svolgere un ruolo utile, continuano a farci fuggire dalla possibile chiave di lettura). Con stima, Dario De Rosa
egregio sig bertani le rinnovo i miei più sinceri complimenti. Sprecare mezzoretta a leggere i suoi articoli, è lo "spreco" migliore della mia giornata.
Grazie
Carlo complimenti per l'articolo.
Scusate il ritardo con il quale rispondo ai vostri commenti, ma anche gli scrittori possiedono i denti del giudizio. No comment.
Queste "confidenze" sanitarie fanno parte di una precisa strategia: dobbiamo riportare con i piedi per terra tutti gli scrittori del web, fare in modo che siano percepiti per quel che sono e basta, ossia persone che sanno scrivere. Come altri sanno verniciare un mobile, aggiustare un tubo, ecc. Sono lavoratori.
Concordo con te - Alex - ma ho un dubbio: sei proprio certo che questo articolo non potesse avere...diciamo una pagina in meno? La sintesi sarebbe potuta essere migliore: purtroppo, è il tempo che manca, quello che consente di rileggere non 3-4 volte, ma almeno il doppio, ed a distanza di qualche giorno.
Trovo molto bella "l'umanizzazione" che ha portato questo articolo: anch'io, ho la stanza degli ospiti da rifinire. Il cemento è finito, dovrei passare al legno, alle finestre, ecc.
Siamo una nuova classe d'intellettuali: quelli con i calli alle mani, che non sanno soltanto un po' di filosofia, bensì sanno anche quanto cemento ci vuole nell'impasto, secondo se è destinato ad un "magrone" od una soletta.Questo è un aspetto nuovo ma importante: per parlare di lavoro bisogna conoscere la fatica, il tempo, la tecnica.
Altrimenti, si rischia di finire come gli attuali ministri, i quali dissertano solo di fronte ai grafici coloratissimi fatti con Excel, senza capire che - dietro quel foglio - ci sono le vite. Le vite degli altri.
Il problema che pone doc è uno di quei dilemmi delle "cento pistole": non a caso ho preso a prestito il cavallo, Pegaso, e non il cavaliere Bellerofonte.
Contrapposto a Furia, il cavallo anni '70, ossia delle generazioni che, in maggioranza, s'affidano ancora al mezzo TV per l'informazione.
Ho scelto Pegaso perché intravedo in questa nuova cultura che viaggia su Web qualcosa d'animalesco, nel senso che procede più per istinto che altro.
E', comunque, un "buon istinto", poiché tanto produce.
A quando un Bellerofonte che affronterà i nemici?
E' presto per dirlo: l'Italia volge al declino, e questa classe politica dovrà esaurirsi per difetto di fabbricazione - ))
Hanno costruito e stanno costruendo un tale bozzolo, che li separa dalla popolazione, che non è possibile frangerlo, nessuna spada lo trancerebbe. Pensiamo alla terrificante legge elettorale.
Lo stesso bozzolo, però, li sta soffocando. E' ovvio che le sofferenze per noi aumenteranno, però non abbiamo mezzi per fronteggiarli. Almeno, per ora.
Sarebbe auspicabile un confronto ed una collaborazione fra tanti autori del web, ma il web t'abitua a lavorare da solo e non in redazione. Quando devi compiere il "salto", le diffidenze crescono.
Saranno il tempo e le condizioni a rendere possibile l'evento, e credo che giungerà quasi in modo naturale.
(continua)
Il prossimo articolo che scriverò (o uno dei prossimi)- Mahmoud - tratterà d'energia, ma come equipollenza alla ricchezza e dunque pietra angolare del potere.
La monoidirezionalità è il sancta sanctorum di questa caligine del capitalismo internazionale: solo sistemi mono-direzionali consentono il controllo, mentre il Web e la produzione diffusa d'energia sono un elemento dirompente verso questi sistemi gerarchici ed autoritari.
Ti ringrazio per il paragone con Said - che non merito - anche perché non sono del tutto convinto dalle sue tesi, che ritengo comunque importanti.
Esistono differenze, ma se riuscissimo a comprendere che la Storia è stata un "palleggiarsi" conoscenze e scoperte (pensiamo alla Baghdad del VIII - X secolo), non esisterebbe l'orientalimo. O forse potrebbe esistere, ma come qualifica di ricchezza che trae origine dalla diversità.
In fin dei conti, le razze pure non sono certo le più favorite nell'evoluzione: più s'allarga il "pool" delle conoscenze e delle culture, più si è attrezzati ad affrontare difficoltà e cambiamenti.
La crescita del Web - Dario - essendo una crescita senza censure, "imbarca" ovviamente una serie di stupidaggini, quando non si tratta di cialtroni interessati.
E' un prezzo da pagare: in democrazia, alla fine, la serietà nel lavoro paga.
Questo bolg, nell'ultimo anno, ha scalato 900 posizioni su BlogBabel, e qualcosa vorrà pur dire. Significa anche una cernita: in questo gruppo di persone che discute, oramai, s'è creato un plafond di comportamenti e metodi accettati, anche se poi ciascuno mantiene le sue specificità.
Come noti, usiamo tutti un linguaggio semplice, anche se poi gli argomenti trattati proprio "sempliciotti" non sono.
Andiamo avanti, costruiamo: il "tutto subito" è morto da tempo, con l'illusione reganiana.
Ringrazio Dr34 per il bellissimo complimento, mentre sono preoccupato per Orazio. Che non stia tanto bene?
Avete notato che non ha nominato la scommessa? - )))
Ciao a tutti
Carlo
Grazie per l'interessamento per la mia salute, ma sto bene. Non ho nominato la scommessa perchè vedo che la sto, purtroppo vincendo. Guardate il siur Berlusca dopo che per 15 anni ha promesso di abbassare le tasse ieri se ne uscito dicendo che non lo può fare. In qualsiasi paese europeo lo avrebbero cacciato via a furor di popolo, in Italia, grazie all'incitrullimento operato dalle sue TV lo osannano ancora. Italiani citrulli d'Europa.
Scusate se intervengo di nuovo, ma vorrei precisare che non volevo mettere a confronto il pensiero di Carlo Bertani con le tesi di Said. Il paragone, infatti, interessava la sensibilità intellettuale e critica degli autori in questione. Basti pensare al MODO con cui i due scrittori affrontano la questione del rapporto tra mass media e potere. Naturalmente non vi invito qui a leggere “Orientalismo”, ma “Covering Islam: How the Media and the Experts Determine How We See the Rest of the World”, Vintage, 1981.
Caro Carlo, di solito, una riflessione del genere viene stabilita, condivisa e discussa dai lettori e quindi è inutile che tu, scrittore, la respingi semplicemente dicendo: “non la merito”:))) … quanto alle tesi “orientaliste” di Said che non condividi, ne parleremo. Intanto aspettiamo l’articolo sull’energia. Ciao, Mahmoud.
Per un momento ho creduto che tu volessi smettere di scrivere...
Meno male che nelle risposte ai commenti "prometti" un prossimo articolo, su un argomento che tra l'altro mi è congeniale (quello con l'energia è una sorta di rapporto amore/odio, da una parte l'interesse immutato per l'argomento, dall'altra parte il ricercatore delle mie fantasie da ragazzo che per campare ha scelto di occuparsi d'altro).
Prendere il sacco a pelo e venire a darti una mano lo farei. Non sto dietro l'angolo ma non è certo un problema insormontabile. Tuttavia, per quanto affascinato dal mare, rimango pur sempre un "montanaro" e mi intendo gran poco di barche, forse potrei verniciare. Con la levigatrice me la cavo ma non l'ho mai usata su di una barca.
Non so quale sia il diritto preminente. Messa giù così, tra quello di chi vuole leggere gratis ed il tuo di provare ad andar per mare già dal prossimo anno, direi che la precedenza va al tuo. Anzi, togli il condizionale: lo dico, punto e basta. Mi limito a dire che se tu smettessi di scrivere mi dispiacerebbe molto, verrebbe a mancare un eccellente bloggher, peccato. In ogni caso un paio di tuoi libri li ho acquistati, probabilmente prima dell'esistenza del blog o quanto meno quando ancora la ignoravo. Il secondo non è stato facile da trovare, ho dovuto scassare le balle mica male alla libraia, che però alla fine me l'ha procurato. Secondo me, anche lei è tra i tuoi lettori (quanto meno quando ho chiesto del libro e dell'autore non ha detto "chi?").
Per quanto riguarda la necessità di un mondo più solidale, come darti torto... A volte credo che ormai ci arriveremo solo più "per catarsi", a volte osservo associazioni tipo vigili del fuoco volontari o cose di questo genere e sono meno pessimista.
A rileggerti, pazienza se magari con meno frequenza.
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