27 novembre 2007

La risposta delle cento pistole

Non è elegante citare sé stessi – tutti lo sanno – ma a volte è necessario farlo per riannodare i fili di un discorso lasciato in sospeso.
Osservo la strabiliante rivoluzione copernicana (e Gattopardesca) degli ultimi giorni e mi chiedo: era tutto così inaspettato?
Sono andato a rileggere un articolo che scrissi all’indomani delle ultime elezioni politiche – Aprile 2006 – dal titolo “La domanda delle cento pistole”, che potrete trovare facilmente sul Web. Sono circa 18 mesi or sono, ma allora tanti si cullavano nell’illusione di un “governo delle sinistre”, oppure in un pronto “ritorno delle destre”. Gli scenari, invece, già allora erano evidenti.
Ecco cosa scrivevo:

Fra cinque anni Berlusconi avrà circa 75 anni: non è più l’età nella quale si combattono le grandi battaglie elettorali; ci vuole un Delfino, che però non c’è, perché l’unico successore di Berlusconi – vista l’impostazione “aziendale” di un partito come Forza Italia – potrebbe essere solo il suo clone. Se il centro destra può affondare sotto i colpi di una eventuale (e molto probabile) sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale – giacché la Lega Nord non potrà superare un simile schianto, anche perché priva del suo leader storico – la base sociale che lo sostiene continuerà ad esistere.

Questa base sociale è quella di un paese che non è mai giunto alla maturità, che ancora non fa parte dell’Europa: sono i boiardi ed i parvenu di regime (d’entrambi gli schieramenti) che fra la sana competizione sul merito – associata ad un serio stato sociale – e le “combine” di regime scelgono senz’altro queste ultime. In altre parole, l’anticamera di un sottosegretario è senz’altro più affollata di una missione industriale in Oriente.
Anche se la corruzione tocca tutto l’arco politico, le responsabilità della borghesia sono più estese, giacché sono i ceti che dispongono di capitali a dare l’imprinting economico: questi ceti sono da sempre rappresentati dalle forze politiche di centro, dai tempi del “pentapartito” alla Casa delle Libertà. La quale, oggi è “implosa” non perché Prodi è riuscito ad approvare una Finanziaria, bensì perché era scoccata la sua ora. E chi sono i becchini/arabe fenici della situazione? Torniamo al vecchio articolo:

Una “riserva di caccia” della destra priva di Berlusconi e di Bossi è ciò che attendono il Gatto e la Volpe, ossia Casini e Fini, per rifondare un impianto politico basato sulle loro forze (molto radicate sul territorio), più un nuovo partito d’ispirazione liberale e gollista che potrà nascere dalle ceneri di Forza Italia. In definitiva, quindi, Prodi è oggi necessario anche al centro destra per il suo carisma in Europa – per cercare di sanare le astruse acrobazie di un tributarista che ha giocato a fare l’economista, un certo Giulio Tremonti – e rimettere in sesto l’economia per avere in futuro maggiori margini di manovra (e di spesa).

Il disegno di un “grande centro”, senza più l’ingombrante fantasma di Berlusconi, era da tempo nell’aria: Fini e Casini mordevano il freno da tempo e, oggi, il definitivo approdo al centro del Partito Democratico rende possibile quella prospettiva. I due non aspettavano Berlusconi, bensì Veltroni e Rutelli! E Berlusconi? Vediamo cosa sostenevo:

In fin dei conti, il Cavaliere da Arcore lavorava pro domo sua ed in questi anni lo ha dimostrato ampiamente: c’è da credere che cambi proprio adesso impostazione?
Il liberismo sfrenato della piccola e media impresa fa a pugni con qualsiasi tipo d’associazionismo: perché mai Berlusconi dovrebbe “associarsi” ad interessi perdenti quando può salvare sé stesso? La solidarietà non ha mai illuminato a giorno i salotti del capitalismo italiano.

La mossa di Berlusconi, quella di fondare un partito di destra, è disperata: allo scoccare delle nuove alleanze – puntualmente – è stata divulgata la gran scoperta dell’acqua calda: Rai e Mediaset erano un solo corpo bicipite! Questo è un vero e proprio “pizzino” nei confronti del Cavaliere: attento, Berluscon da Arcore, poiché questa volta stai rischiando non un partito od un futuro politico, ma le tue aziende! Consiglieremmo a Berlusconi ampi periodi di riposo in Sardegna: famiglia, nipotini e nulla più.
Chi è stato il gran regista occulto dell’operazione? Forse più di uno, ma qualche indicazione – già 18 mesi or sono – la fornivo:

Lo scontro interno a Confindustria condurrà inevitabilmente al rafforzamento di Luca Cordero di Montezemolo – che rappresenta l’altra faccia dell’imprenditoria, ossia i grandi gruppi – perché ha dimostrato d’aver puntato sul cavallo vincente: gli incentivi per la ricerca saranno appannaggio dei grandi gruppi industriali e non certo dei piccoli, che vedranno scomparire la loro ancora di salvezza, ossia la legge Tremonti sulla de-fiscalizzazione degli utili.

Lo scontro interno a Confindustria vide il suo apice al meeting di Vicenza, che avvenne pochi giorni prima delle elezioni del 2006: chi non ricorda la “platea” di piccoli e medi imprenditori che applaudiva Berlusconi, mentre la grande impresa era giunta lì solo per incoronare Prodi?
Qui va aperta una parentesi, che riguarda i rapporti interni alla borghesia: mi rendo conto d’usare un linguaggio che può sembrare “demodè”, ma è l’unico che può spiegare con semplicità il fenomeno.
C’è un aspetto unitario della borghesia – che potremmo riassumere nella pratica di rimanere classe sociale dominante – ma la borghesia possiede anche aspetti contradditori al suo interno, che la conducono a frantumarsi per competere sul piano economico e finanziario.
Così, gli interessi del grande capitale – attento agli sviluppi internazionali – possono non coincidere con quelli di chi produce beni per il mercato interno, oppure dei commercianti che sono in qualche modo legati alla potenzialità di spesa dei ceti meno abbienti.
La situazione internazionale – negli ultimi due anni – è sostanzialmente mutata: due anni fa Bush non era ancora “l’anatra zoppa”, non aveva un Congresso in grado di mettergli bastoni fra le ruote. In altre parole, doveva mediare molto di meno.
Oggi, invece, è chiaro a tutti che l’avventura neocon statunitense è fallita, ed è franata miseramente: i dati economici sugli USA e sulla divisa americana preannunciano scenari da brivido. Le avventure neocoloniali sono agli sgoccioli: la guerra in Libano del 2006 – a mio avviso – fu il giro di boa, quando s’accorsero con costernazione che Israele (con l’appoggio USA) non era in grado di raggiungere il Litani. Altro che guerra in Iran.
Tutto ciò non mette al riparo da nuove guerre (ricordiamoci di Clinton…) oppure da nuove alleanze nello scacchiere internazionale (le “aperture” della Francia a Washington…), ma il quadro futuro annuncia nuovamente scenari multipolari, laddove sarà necessario contrattare ogni mossa. Paradossalmente, Teheran e Caracas potrebbero correre più rischi dal prossimo inquilino della Casa Bianca che da un Bush “bollito”.
Questi mutamenti possono interessare poco alle piccole imprese – più attente a competere sulla qualità, oppure a trovare “santi in paradiso” per sopravvivere – mentre sono la principale preoccupazione del grande capitale: future commesse internazionali, grandi opere da realizzare in posti lontani, dopo il passaggio delle truppe.
In questo scenario, a chi affidarsi?
Come sempre, la poltrona più elevata di Confindustria coincide con quella della più grande azienda italiana: il signor FIAT del momento è anche signore di Confindustria, ed è anche deus ex machina degli equilibri politici, poiché oggi la grande borghesia – prospettandosi lo sblocco di una serie di “nodi” internazionali (Balcani, Vicino e Medio Oriente, Europa dell’Est, Caucaso) – già pregusta stratosferici affari.
Come si può notare, Berluscon da Arcore è una figura secondaria, utile al momento, oppure da gettare nella spazzatura quando non serve più. Andiamo a rileggere un’altra frase del precedente articolo:

Ciò spiega anche la strana “dimenticanza” del varo di una legge sul conflitto d’interesse fra il 1996 ed il 2001: in quel caso Berlusconi doveva essere lo spauracchio da presentare agli elettori del centro sinistra per far loro ingoiare anche i bocconi meno gradevoli. Oggi, invece, anche il “babau” non fa più paura perché cotto e stracotto soprattutto dai suoi stessi alleati, e dunque Romano Prodi potrà governare anche se avrà un solo voto di margine.

Puntualmente, Prodi se la cava per il rotto della cuffia ad ogni votazione al Senato: non è un miracolo? No, signori miei, è soltanto il prodotto dell’abile orchestrazione che i poteri forti – bancari ed imprenditoriali – azionano dietro le quinte. Qualcuno ancora crede che il Parlamento sia il luogo dove si sceglie la politica italiana? Torniamo ancora una volta al passato:

Nel momento stesso che il centro destra riuscisse a rifondare sé stesso, lì inizierebbe il campo minato per il professore, ma a quel punto – con i conti pubblici in ordine – il capitalismo italiano tornerebbe a “sdoganare” una destra divenuta “europea” e senza l’ingombro di un Berlusconi di troppo. Ah, dimenticavo: che c’entriamo noi? Niente, la “carne da cannone”, la fanteria, non ha mai interrotto il sonno dei generali.

La prova del nove finale? Osserviamo le dichiarazioni di voto che s’annunciano per la fiducia sul decreto del welfare: Rifondazione Comunista s’è vista sbattere la porta in faccia, nemmeno qualche misero emendamento per una legge che consegnerà generazioni di giovani alla schiavitù, non al lavoro. I Comunisti Italiani “ci penseranno”: meno male che c’è qualcuno che “pensa”, mentre gli altri finiscono a 90 gradi.
Entrambi, hanno annunciato che voteranno la fiducia. Poi, l’hanno “messa giù dura” per Gennaio: ci vorrà un “ripensamento”! Bisognerà “rifondare” l’alleanza! Secondo voi, qualcuno li sta a sentire? Se non li invitarono nemmeno alla riunione del 23 Luglio sul welfare!
In realtà, questi signori sono i peggiori traditori dei lavoratori – che ingenuamente, in molti, li hanno eletti – poiché sanno benissimo che la nuova “Santa Alleanza” fra Fini, Casini, Veltroni & Rottami Vari non li prevede. I loro voti sono serviti per ripianare i deficit di bilancio lasciati da Tremonti, per avere un po’ di fiducia dall’Europa, per tranquillizzare i banchieri.
Nessuno di loro ha nemmeno tentato di chiedere qualcosa (che era nel programma) sulla tassazione delle rendite: Prodi ha semplicemente risposto loro che non era “all’ordine del giorno”, un eufemismo che cela un “vaffanculo” istituzionale.
Eppure, non demordono. Perché? Poiché sanno che troveranno sempre uno scranno a 20.000 euro il mese, comode poltrone in TV, benefici a pioggia per i loro silenzi e le loro omissioni. Nessuno di loro ha il coraggio di comunicare la verità: terminata una stagione politica, si serrano le fila e si torna all’antico, ossia a contrattare le alleanze in Parlamento, alla conta delle preferenze truccate, ai “penta” ed “esa” partiti, al blocco di centro che ha addormentato il paese per decenni.
Giordano e Diliberto sono proprio indefinibili: ingenui o venduti? La borghesia, una volta concluso l’affare, liquida la manovalanza con pochi spiccioli.

14 novembre 2007

Lettera aperta al Ministro dell’Interno

Gentile On. Amato,
mi permetto d’importunarla mentre l’Italia è squassata da un vento di mille perché, giacché pochi riescono a capire come si possa definire un fatto “accidentale”, una maledetta “fatalità”, colpire a morte un giovane che si trova sull’auto e si sta recando ad una partita di calcio.
Non siamo rassicurati, convinti, acquietati dalle sue parole: non riusciamo a capire perché le circostanze “siano ancora da chiarire”; sembra che a non aver compreso nulla – paradossalmente – sia proprio il primo depositario della sicurezza interna, ossia Lei.
Le giustificazioni addotte ci sembrano un guazzabuglio di non sense, un tentativo puerile di giustificare l’ingiustificabile, di normalizzare ciò che normale non può essere.
Dapprima ci avete raccontato che il poliziotto aveva sparato in aria poi – forse rendendovi conto che la stavate “sparando” voi un po’ troppo in alto – vi siete corretti, per lasciar posto ad una ridda di “giustificazioni” e di “chiarimenti” che parevano quelli di un ragazzino che ha marinato la scuola e viene scoperto.
La prima cosa che mi ha subito insospettito – signor Ministro – è la sparizione del bossolo: non s’era in piena Amazzonia, non eravamo nelle paludi di Key West, bensì in una tranquilla area di servizio dell’Autostrada del Sole. Il tanto osannato RIS di Parma riesce a trovare mezzo capello in una scena del delitto a decine d’anni di distanza e…sparisce un bossolo?
No, ci racconti un po’ come stanno le cose, perché Bruno Vespa ci ha strapazzato i cosiddetti per anni, facendo e disfacendo il processo di Cogne in diretta, e oramai ciascuno di noi sa benissimo che, a quei professionisti, non sfugge nulla. Un bossolo: possibile?
Visto che un bossolo “scarta” al massimo di qualche metro, dopo l’esplosione, non è che – per caso – qualcuno ha “provveduto” subito a farlo sparire?
Dopo poco tempo – maledizione – salta fuori un testimone che afferma, e sostiene con una testimonianza agli inquirenti, che ha visto l’agente sparare ad altezza d’uomo. Finalmente, da un agente (di commercio) in viaggio, giunge agli italiani una parola di verità: gli aerei possono continuare a volare tranquilli, nessuno ha sparato in aria.
Sarà sorpreso anche Lei – Signor Ministro – e ne converrà che è assai strano che un agente di polizia spari ad altezza d’uomo senza un bersaglio, così, tanto per sparare. Una situazione d’emergenza? Qualcuno stava per essere ucciso, sopraffatto, ferito?
Non ci sembra, perché altri testimoni affermano che la breve baruffa fra una decina di persone, che s’era creata nel parcheggio per questioni di tifo, s’era acquietata quando le auto della polizia – dall’opposto parcheggio – avevano acceso le sirene.
Come spiegare l’arcano? Anche Lei, persona sagace e “sottile”, sarà incuriosito.
Vuoi vedere che… – per carità, è solo un’ipotesi – che l’agente ha meditato di sparare alle gomme dell’autovettura per, in un secondo momento, raggiungere l’opposto senso di marcia ed arrestare i tifosi?
Ci sembra un poco azzardata – lo ammettiamo – poiché non ne esistevano gli elementi: i ragazzi stavano andandosene, le macchine stavano per partire, ogni rischio di colluttazione era rientrato.
Sparare un colpo di pistola per colpire un pneumatico…a quella distanza?
Gli italiani – Ministro – non riescono a comprendere poiché sanno che, a 70 metri di distanza, nemmeno Guglielmo Tell riuscirebbe a colpire qualcosa con una pistola d’ordinanza. Per colpire una gomma a quella distanza, ci vuole una carabina.
A meno che, a meno che…l’agente non abbia millantato di poterlo fare…potrebbe essere…magari dopo alcune, brillanti prove al poligono di tiro, sostenuto dai risultati ottenuti…”Mo’ ci provo…” e gli altri stanno a guardare. Un’ipotesi troppo assurda?
Può esserlo senz’altro, lo ammettiamo, ma ricordiamo che la tragedia del Cermis – quella funivia tranciata dal timone di coda di un A-6 americano – avvenne perché il pilota aveva scommesso di passarci sotto. Una bravata.
Come dice, Ministro? Che non ne abbiamo certezza?
Certo, ha ragione: possiamo solamente ipotizzarlo (sulla base d’alcune notizie dell’epoca), perché non ci fu processo in Italia, tutto fu deciso lontano, negli USA. Tre anni di carcere, se ben ricordo, in parte condonati o roba del genere: il solito amorevole buffetto.
Faceste tanto i gradassi e finiste per farvi soffiare il processo sotto il naso: vuoi vedere che, se provavate a minacciare di rescindere il contratto d’affitto della base di Aviano, magari il processo sarebbe rimasto in Italia?
Adesso, sembra che tutta la faccenda sia soltanto una questione di ordine pubblico: addirittura, per le violenze accadute a Roma in serata, avete sibilato nuovamente la parola “terrorismo”.
Spero – Ministro – che qualcuno stesse scherzando, perché anche lei dovrà capire che – a forza di raccontare che la gente muore per le pallottole sparate in aria, oppure che le funivie cadono per nonsisabeneperché – qualcuno s’incazza e sono dolori.
Certo – Ministro – vorremmo tutti avere la sua flemma, il suo aplomb britannico, la sua elegante parlata germanica, la sua cultura, il suo savoir faire ma – che vuole – non tutti ci riescono.
Ci sono in giro giovani poco acculturati, che non comprendono le “sottigliezze” del linguaggio giuridico, che non afferrano come il reato ipotizzato per chi uccide sia “omicidio colposo” – ossia senza volontarietà dell’atto – mentre per quattro ragazzi che si spintonano in un parcheggio scatti subito l’ipotesi di “lesioni colpose”.
Temono – i poveretti – che nella patetica giustizia italiana, con le aggravanti e le attenuanti che s’accavallano a caso, le due sentenze potrebbero finire addirittura per assomigliarsi.
Lo so, Ministro, bisognerebbe fare uno sforzo per addentrarci meglio – tutti – nei meandri del diritto: che ci vuole fare, siamo soltanto il misero prodotto della scuola che voi ci propinate.
Se parliamo di sforzi, però, qualcosa si potrebbe fare.
Circa un paio di settimane or sono – a Napoli – una pattuglia di carabinieri sparò ad un’auto che non s’era arrestata ad un blocco. Risultato: un giovane ucciso. Subito dopo, la autorità (sono uno scrittore, so quando usare le maiuscole) comunicarono che “probabilmente i giovani avevano appena effettuato una rapina”.
Sentenziare la pena di morte per una rapina ci sembra un’interpretazione del codice penale assai estrema – ne conviene? – anche perché non sapremo mai – ci perdoni, ma talvolta la sfiducia c’assale – se veramente quei giovani avevano rapinato qualcuno. Di veramente certo, c’è solo il morto, colpito ovviamente “per caso”, magari sparando con un’arma corta a decine di metri di distanza su un bersaglio in movimento. I gommisti chiedono, all’unisono, una maggior precisione nel tiro, i becchini s’astengono, gli impresari di pompe funebri votano a favore.
Siccome io e Lei – signor Ministro – abbiamo qualche anno alle spalle, mi sono permesso di salire in biblioteca e di cercare un vecchio libro, che forse anche Lei avrà sfogliato.
Cerca e ricerca…alla fine – coperto di polvere – è saltato fuori: si chiama “Cronaca di una strage”. Non le dice nulla?
Ma sì, Ministro, era il 12 maggio del 1977 – adesso ricorda, so che ha prodigiosa memoria – stiamo parlando del ponte Garibaldi, dell’uccisione di Giorgiana Masi.
Terrorismo? Per carità, Ministro, non provi a barare con me: ci accomunano i capelli brizzolati e il mal di schiena.
Era una manifestazione non violenta indetta dal Partito Radicale dell’epoca, per sostenere alcuni referendum: non vado oltre, so che ha una mente prodigiosa. Se ha qualche vuoto di memoria, chieda al suo (allora) compagno di partito Fabrizio Cicchitto – lo troverà all’opposto balcone, fra le file di Forza Italia – no, non è più socialista. Cicchitto fece un animoso intervento alla Camera dei Deputati, laddove domandava lumi. Ne cito un breve estratto:

“Vi è stato un preventivo attacco contro chiunque si avvicinasse a Piazza Navona, da cui è derivata una situazione aggressiva verso i cittadini, per nulla organizzati, per nulla violenti…E’ la direttiva impartita alle forze dell’ordine che va nettamente contestata e condannata…”

Se vuole il testo completo dell’intervento di Cicchitto, sono a disposizione.
Sfogliando quelle pagine, mi sono chiesto che fine fecero le indagini per sapere chi aveva ucciso – colpita alla schiena – una ragazza che fuggiva sul ponte Garibaldi verso piazza Sonnino.
In quelle pagine – se vorrà, ripeto, sono a Sua disposizione – ci sono le fotografie di poliziotti in borghese che sparano ad altezza d’uomo, armati con mazze e bastoni (armi improprie per dei poliziotti, che dice?). Si vedono pistole e fucili “fumanti”, tutti in mano a poliziotti e carabinieri: anche quella volta, il morto fu dalla solita parte.
Il motivo della missiva è semplice – e qui concludo – perché si riassume in una sola domanda: quali provvedimenti furono presi per quei poliziotti in borghese, armati con pistole, fucili, mazze e bastoni, che sparavano su dei giovani che stavano fuggendo?
Di questo passo – con la sostanziale impunità dei “tutori” dell’ordine – dove andremo a finire? A quando la prossima “Uno Bianca”?
Con “sottile” cordialità
Carlo Bertani

11 novembre 2007

Sono aperte le iscrizioni alla nuova DC

L’accettazione, da parte di Veltroni, del sistema elettorale proporzionale è la grande novità, il giro di boa della politica italiana: ovviamente, siamo sempre all’interno del sistema del Gattopardo, ma qualcosa è mutato.
Da quell’annuncio, è tutto un rincorrersi verso il centro: Casini vede premiati gli sforzi di anni, Fini scende a rotta di collo la china che lo porterà all’abbraccio con Casini e lascia all’alpeggio Storace e la Santanché.
Silvio Berlusconi comprende il rischio, ed attua la contromossa: volete il grande centro? Dovrete fare i conti con me, con le camicie nere di Storace e con quelle verdi della Lega.
A sinistra, i rossi orfanelli di tanto clamore si contano, dopo il grande embrassons nous del Partito Democratico, e comprendono che il loro ruolo sarà quello del PCI d’antica memoria: opposizione e “governi ombra”. Non consideriamo rottami vari, come i rais Mastella e Di Pietro: per loro, ci sarà solo l’accasamento coatto o l’estinzione.
Per comprendere l’improvvisa accelerazione, dobbiamo tornare indietro di un paio di settimane, al monito lanciato – all’unisono – da Luca di Montezemolo e da Mario Draghi. Quando i poteri forti si muovono – Confindustria e Banca d’Italia – significa che gli equilibri non sono più coerenti con i desideri delle borghesie, finanziarie ed industriali, e che si deve cambiare.
Ricordiamo un passo del discorso di Montezemolo, laddove affermava che “il futuro della politica italiana non possono essere Grillo e la Brambilla”.
E passi che la FIAT non consideri Grillo un interlocutore – niente auto elettriche ad idrogeno? – mentre il rifiuto della Brambilla è più interessante: perché? Poiché la Brambilla è una creatura di Berlusconi: chi rifiuta lei, rifiuta lui.
In realtà, doveva essere lo scorrere del tempo a sancire la fine politica di Silvio Berlusconi – pensavano ad un governo Prodi autorevole, che durasse l’intera legislatura – ma così, per tante ragioni, non è stato. Che fare? Lasciare nuovamente al governo l’uomo di Arcore, che si trascina appresso l’amico Tremonti (mal visto sia in Corso Marconi che a Via Nazionale), con prevedibili scontri con il sindacato, con nuovi “tira e molla” fra i centristi e la Lega?
Ricordiamo che Berlusconi riuscì a fare quasi solo riforme “a futura memoria” – scuola, pensioni – oppure nate monche in partenza (quella costituzionale), perché anch’egli aveva a che fare con una maggioranza composita. Per altre – quella dei fondi pensione, ad esempio – non ci riuscì proprio, e sì che aveva una solida maggioranza parlamentare.
Silvio Berlusconi non è più l’uomo dei poteri forti, e il centro sinistra deve abbandonare “piantagrane” vari: tutti uniti per sorreggere la FIAT e le grandi banche, niente più grilli per la testa. Da Fini a Veltroni, tutti insieme appassionatamente: anche Dini chinerà il capo.
Il risultato? Una legge elettorale fatta ad hoc per favorire l’aggregazione al centro: stiamo tornando indietro, a prima del 1992, con i partiti che non indicheranno più un premier ma lo sceglieranno in Parlamento, come un tempo, con le classiche “combine” sottobanco.
Con il meccanismo delle preferenze, potranno affermare che gli italiani sceglieranno nuovamente i loro rappresentanti; dimenticano una cosa: con le preferenze, potranno nuovamente controllare il singolo voto, grazie al noto meccanismo della combinazione di numeri e di nomi. La mafia ringrazia.
L’accettazione dei diktat di Confindustria e della Banca d’Italia, nasce per i partiti da un’amara constatazione: se la Brambilla era l’icona di un Berlusconi dai capelli rossi, il vero pericolo poteva nascere soltanto da un partito che venisse alla luce dai movimenti che sono scesi in piazza con il V-day, e dalle proteste della Rete.
Lo sbarramento – potranno decidere se del 5% o del 10% (come ha chiesto Mastella) – li garantirà dal rischio di nuove formazioni politiche: la Casta, in questo modo, rinnova sé stessa al potere, cambia volti e numeri ma continuerà a controllare, sostanzialmente, il timone e le macchine della nave.
Un po’ di maquillage sarà necessario – comprendiamo – ma gli amanuensi della carta stampata e delle TV sono già pronti per una nuova, colossale operazione mediatica: d’altro canto, in Italia si riesce a far credere che un ragazzo muore, in un autogrill, colpito da una pallottola esplosa da una pistola che sparava in aria.
Possiamo fare qualcosa? A mio avviso, poco o nulla: stiamo lasciando scorrere settimane e mesi importanti, nei quali sarebbe stato possibile creare una nuova formazione politica, come affermo da tempo.
Molti storcono il naso, sostengono che chiunque vada al potere replicherà le magagne di sempre: siamo giunti al “contro-qualunquismo”. Altri si defilano nell’ombra, pronti a salire sul carro di Cesare.
Qualcuno ha sbagliato? Quando Grillo, dopo il V-day dell’8 Settembre, scrisse che ne prevedeva un altro per il 25 Aprile, qualcuno – sul suo blog – gli chiese: e cosa facciamo fra Settembre ed Aprile?
Ecco, quella era la vera domanda.

08 novembre 2007

Noi e loro

Ancora una volta, cerco disperatamente di guardare un programma televisivo fino al termine – in questo caso, “Anno zero” – e finisco per salire nello studio e mettermi a scrivere.
Finché trasmettono qualche intervista a Biagi od a Tonini va bene, ma quando i giornalisti presenti in studio iniziano a dissertare sulla libertà d’espressione in TV, mi viene da pensare dov’abbiano vissuto negli ultimi anni. In RAI?
Come fanno a non sapere che le nomine televisive sono tutte pilotate dal potere politico, da decenni? Perché non scorrono l’elenco dei cognomi presenti in RAI e li confrontano con quello dei parlamentari? Potrebbero munirsi di matita rossa e divertirsi a tracciare i collegamenti: ecco…Buttiglione Angela…Buttiglione Rocco…, Berlinguer Bianca…Berlinguer Enrico…
Ma fateci il piacere…
Il fatto curioso, perché squisitamente “RAI-centrico”, è riscontrare che lamentano una débacle dell’informazione: scarsa libertà, giornalismo d’inchiesta quasi inesistente, censura su tutto…
Tutto vero, ma vero per il giornalismo televisivo.
Io, sto scrivendo queste righe e non ho angeli custodi che mi suggeriscono cosa devo scrivere. Se mi garba, invierò il pezzo ad altri siti che lo pubblicheranno, oppure deciderò d’approfondire l’argomento…insomma, come un qualsiasi giornalista.
Io posso farlo: loro, no.
Domattina, pagherò questa mia libertà andando a scuola ed occupandomi – come faccio da decenni – dell’educazione dei ragazzi: stipendio basso, inutili “grane” a iosa, noiosissimi dibattiti sul nulla incombente, su una scuola che non si rende conto d’esser stata dimenticata da tutto e da tutti. Che s’arrangino i poveri “prof”.
Eppure, ho il mio spazio d’informazione: anzi, che spazio!
L’informazione sul Web cresce a ritmi del 5-10% annuo – oggi siamo intorno al 45% – e non mostra cedimenti: per la prima volta, nel 2007, gli investimenti pubblicitari televisivi hanno iniziato a scendere: TV, giornali, radio, riviste, tutti.
L’unico a salire? Il Web.
I ragazzi, oramai, non cercano altri canali d’informazione: se serve sapere qualcosa, lo digitano su Google oppure vanno a leggere Wikipedia. Con tutti i rischi del caso, ovviamente, sempre – però – minori di quelli che incontrerebbero ascoltando “Porta a Porta”.
Che dire? Questi signori – che identificano l’informazione con le loro dorate poltrone in TV – non si rendono conto che oramai sono dei dinosauri in estinzione: altrimenti, non avrebbero tentato di tapparci la bocca con il pietoso decreto Levi, aggirabile facilmente su provider esteri, e forse per questa ragione hanno desistito.
Il giorno che dal Web riusciremo a far emergere un’organizzazione politica – e credo che quel tempo non sia più così lontano – di questa gente parleremo come oggi si narra dei cantastorie. Folcloristici, fantasiosi, ma irrimediabilmente confinati nel ricordo.
E’ solo questione di tempo, quel tempo che in Occidente non sappiamo più considerare come un alleato, il quale lavora per noi e contro di loro. Sursum corda.

05 novembre 2007

Ignoranza, male primigenio

Nel volgere di pochi giorni, ci sembra d’aver scoperto che esistono bande di romeni che rubano e ammazzano. Facciamo appena in tempo a voltar pagina, che la trama del film “Un giorno d’ordinaria follia” si svolge sotto i nostri occhi. Un ex capitano dell’esercito – congedato per turbe psichiche – costruisce un bunker sul terrazzo condominiale, lo attrezza con trappole esplosive, “collauda” un lanciafiamme (era un capitano del Genio…) e dà inizio alla mattanza, sparando con armi di precisione a puntamento laser.
Il cadavere della povera Patrizia Reggiani è appena sceso nella terra che subito la segue quello di Pino di Sanfelice, che passava di lì per caso.
Due morti “imprevedibili” – qualcuno potrebbe affermare – e invece erano due morti evitabili, se solo si fossero comprese anzitempo le ragioni di quelle storie.
Pensando al film “Un giorno d’ordinaria follia”, un’altra pellicola mi torna alla mente, “Il tempo dei gitani”, di Emir Kusturica, e il filo dei pensieri mi riporta nello schermo della mente l’ex ambasciatore della Repubblica di Jugoslavia – un montenegrino – al tempo della guerra del Kosovo.
Sì, perché il diplomatico – pressato dalle domande che chiedevano lumi sull’apparente follia di quelle terre – rispose che, per comprendere i Balcani, e più precisamente la Jugoslavia, non si poteva far altro che “leggere i libri di Ivo Andric e guardare i film di Kusturica”.
Sembrerebbe – detta da un diplomatico – quasi una battuta per evitare domande e risposte imbarazzanti, eppure così è: senza afferrare il coagulo di vicende che si concentrano in quei luoghi, è quasi impossibile comprendere come mai una persona riduca in fin di vita una donna solo per approfittare del suo corpo. Così, è difficile capire perché un uomo malato di mente possa mantenere il privilegio dell’arma – tipico degli ex ufficiali – e che nessuno se ne renda conto. L’Esercito lo congeda perché non si fida più di lui, e lo consegna – armato – in un condominio della capitale.
Nella stessa città, per vie assai misteriose, il destino “recapita” un romeno, il quale s’imbatte in una donna che torna a casa una sera come tante altre, e finisce in tragedia.
In queste faccende, però, il Fato c’entra ben poco: sono gli uomini che creano il filo degli eventi.
Macrocosmo e microcosmo sembrano sovrapporsi in queste due vicende, quasi che le due follie – l’una definita quasi “antropologica” da frettolosi analisti, l’altra ritenuta oramai facente parte del nostro vivere quotidiano – siano fatali, ineluttabili, quasi “normali”. Eppure, di normalità – oramai – c’è ben poco.
Le statistiche ci dicono che i crimini sono diminuiti – non intendo commentare queste cifre, conscio che il noto “mezzo pollo” non ha mai sfamato chi il pollo non ce l’ha – ma credo che, una sola giornata “d’ordinaria follia” del nostro vivere odierno, stramazzerebbe in pochi minuti un abitante di mezzo secolo fa che dovesse giungere fra noi con la macchina del tempo.
Basta scorrere qualche giornale dell’epoca per rendersene conto: il delitto Fenaroli/Ghiani tenne banco per mesi, ma non avveniva lo stillicidio di violenza – spesso gratuita – come oggi accade. In questo senso, dobbiamo ammettere che siamo profondamente malati: i legami di solidarietà sono oramai labili, mentre quelli della competizione – stimolati dal sistema economico – prevalgono. Sui capitani in pensione e sui romeni girovaghi.
Su tutto, poi, regna oramai un senso di fatalismo che ci preclude di capire cosa sta succedendo.
A molti, oggi, risulterà incomprensibile perché la Romania sia entrata in Europa frettolosamente, senza che s’attendesse qualche anno di “decantazione” prima d’aprire le porte di quel paese all’UE.
Romania e Bulgaria sono entrate in Europa per precise ragioni geo-strategiche: dei rumeni e dei bulgari, a nessuno fregava un accidente.
La necessità, la fretta era dettata dal momento storico favorevole: prima che gli USA riescano a districarsi dal pantano iracheno, prima che la Russia torni ad essere così forte da gettare nuovamente la spada sui Balcani.
La furbesca Europa dei banchieri – conscia di non avere forza militare per un confronto – ha approfittato del momento favorevole per occupare uno spazio che altri, in quel momento, non erano in grado d’occupare.
Tanto per capirci, la debolezza economica di quei paesi, li consegna mani e piedi legati alle burocrazie europee, alle banche europee, al sistema economico europeo.
Cosa se ne fa l’Europa della Romania?
Del paese, in sé, poco o nulla ma del territorio sì, perché la Romania si apre sul Mar Nero, e sull’altra sponda del Mar Nero c’è tanto petrolio e tanto gas che vorrebbe giungere in Europa, ma non ci riesce. Fra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare.
Su quel mare s’affacciano l’Ucraina – sempre in bilico fra Russia ed USA – e la Turchia in bilico fra USA e UE. Da quelle parti ci sono la Cecenia, La Georgia, il Kazachistan ed il Caspio…ho, mio Dio, quanto petrolio e gas c’è intorno al Caspio…
Si può farlo giungere in Europa con i “corridoi” adriatici: il meglio sarebbe un percorso nella pianura serba, poi Montenegro o Albania, quindi la Puglia, ma c’è di mezzo un rompicapo chiamato “Kosovo”, che nessuno sa come risolvere. Si può optare per un percorso più a sud, che coinvolga Grecia ed Albania, ma dall’altra parte sempre sulle coste rumene bisogna andare a parare.
Ecco la soluzione dell’enigma, ecco perché due paesi con economie traballanti, con un controllo del territorio evanescente, con popolazioni nomadi che li attraversano hanno trovato casa a Bruxelles.
Scopriamo oggi i Rom e gli tzigani?
Veramente, sono secoli che viaggiano per l’Europa: già rubavano galline quando ero bambino, però non capitava mai che una donna che tornava a casa dopo aver fatto la spesa venisse uccisa in quel modo.
Qualcosa è cambiato, già, tutto cambia.
Ad uno di questi “cambiamenti” abbiamo dato una mano anche noi, anche se ne siamo immemori: quando l’UCK scese in Kosovo, nel 1999, si fece consegnare le piantine delle città e diede 24 ore di tempo ai Rom di quelle terre per andarsene. Chi fuggiva perdeva casa e beni, chi restava bruciava insieme alla casa: se avete dubbi, leggete la “Storia di Reska” – la troverete facilmente sul Web – per rendervi conto di cosa successe a Pristina, a Graçanica, a Kosovo Polje, a Mitrovica.
A Kosovska Mitrovica, in un solo pomeriggio, furono date alle fiamme 1.500 case di Rom che vivevano lì, stanziali, da secoli. Decine di migliaia di Rom, che vivevano e lavoravano in quelle terre, fuggirono in Serbia ed in Bulgaria: poi, come uccelli migratori, si sparsero ovunque.
Sarebbe ingiusto, però, non ammettere che i Rom sono molto diversi dalle popolazioni europee, differenti anche dalle altre etnie jugoslave. Le donne lavorano e mendicano – non battono il marciapiede, è assai raro – ed i bambini sono considerati forza lavoro a costo zero. Questa è la loro società, il loro modo di vivere, da secoli: a Bruxelles non lo sapevano?
I Rom che viaggiavano nell’Europa di 50 anni fa, trovavano un mondo contadino che quasi li specchiava: molti facevano i calderai, e non era raro che nelle campagne la gente acquistasse i paioli di rame dagli “zingari”. I quali, poi, se c’era qualche pollaio “invitante” lo visitavano, ma non accadevano tragedie.
Poi la comunicazione s’è espansa, e le TV occidentali hanno iniziato a “battere” i Balcani, con l’iconografia di un mondo opulento, facile, a portata di mano.
La linea di faglia dei due mondi ha iniziato a scricchiolare: il concetto del tempo ci ha divisi. Loro, che continuano a viaggiare con i loro ritmi antichi, con le loro abitudini ataviche – che noi non condividiamo, non accettiamo, non comprendiamo – e noi che ci affrettiamo sulla via del tempo, dove non ci seguono più.
Inevitabilmente, inesorabilmente, lungo le linee di faglia si scatenano i terremoti. Anche questo non sapevano a Bruxelles?
E a Roma? Nessuno poteva accertare che una “faglia” s’era creata – ed era stata quasi sicuramente certificata da una commissione medica militare – nella mente di un ex ufficiale? Nessuno ha pensato di privare quell’uomo delle armi? Non è la prima volta che persone che possiedono armi facciano macelli: in famiglia, soprattutto. E la vicenda della “Uno Bianca”? Non ci ha insegnato nulla?
Linee di faglia che si creano, nelle menti e nella storia, mentre noi procediamo immemori del nostro vivere, del nostro creare mondi mostruosi, per noi e per gli altri.
Alla fine – per dare giustizia a una moglie che tornava a casa pensando alla cena e ad un passante che probabilmente cercava una pizzeria – si scatena la “vucirria” di giornalisti e commentatori, mentre gli avvoltoi della politica si lanciano su quei due poveri morti per cercare d’accaparrarsene un’unghia.
Intanto, le linee di faglia, sotterranee, nascoste, continuano a fremere, a stridere, ad aggrovigliarsi. Fino al prossimo terremoto.