Ancora una volta, cerco disperatamente di guardare un programma televisivo fino al termine – in questo caso, “Anno zero” – e finisco per salire nello studio e mettermi a scrivere.
Finché trasmettono qualche intervista a Biagi od a Tonini va bene, ma quando i giornalisti presenti in studio iniziano a dissertare sulla libertà d’espressione in TV, mi viene da pensare dov’abbiano vissuto negli ultimi anni. In RAI?
Come fanno a non sapere che le nomine televisive sono tutte pilotate dal potere politico, da decenni? Perché non scorrono l’elenco dei cognomi presenti in RAI e li confrontano con quello dei parlamentari? Potrebbero munirsi di matita rossa e divertirsi a tracciare i collegamenti: ecco…Buttiglione Angela…Buttiglione Rocco…, Berlinguer Bianca…Berlinguer Enrico…
Ma fateci il piacere…
Il fatto curioso, perché squisitamente “RAI-centrico”, è riscontrare che lamentano una débacle dell’informazione: scarsa libertà, giornalismo d’inchiesta quasi inesistente, censura su tutto…
Tutto vero, ma vero per il giornalismo televisivo.
Io, sto scrivendo queste righe e non ho angeli custodi che mi suggeriscono cosa devo scrivere. Se mi garba, invierò il pezzo ad altri siti che lo pubblicheranno, oppure deciderò d’approfondire l’argomento…insomma, come un qualsiasi giornalista.
Io posso farlo: loro, no.
Domattina, pagherò questa mia libertà andando a scuola ed occupandomi – come faccio da decenni – dell’educazione dei ragazzi: stipendio basso, inutili “grane” a iosa, noiosissimi dibattiti sul nulla incombente, su una scuola che non si rende conto d’esser stata dimenticata da tutto e da tutti. Che s’arrangino i poveri “prof”.
Eppure, ho il mio spazio d’informazione: anzi, che spazio!
L’informazione sul Web cresce a ritmi del 5-10% annuo – oggi siamo intorno al 45% – e non mostra cedimenti: per la prima volta, nel 2007, gli investimenti pubblicitari televisivi hanno iniziato a scendere: TV, giornali, radio, riviste, tutti.
L’unico a salire? Il Web.
I ragazzi, oramai, non cercano altri canali d’informazione: se serve sapere qualcosa, lo digitano su Google oppure vanno a leggere Wikipedia. Con tutti i rischi del caso, ovviamente, sempre – però – minori di quelli che incontrerebbero ascoltando “Porta a Porta”.
Che dire? Questi signori – che identificano l’informazione con le loro dorate poltrone in TV – non si rendono conto che oramai sono dei dinosauri in estinzione: altrimenti, non avrebbero tentato di tapparci la bocca con il pietoso decreto Levi, aggirabile facilmente su provider esteri, e forse per questa ragione hanno desistito.
Il giorno che dal Web riusciremo a far emergere un’organizzazione politica – e credo che quel tempo non sia più così lontano – di questa gente parleremo come oggi si narra dei cantastorie. Folcloristici, fantasiosi, ma irrimediabilmente confinati nel ricordo.
E’ solo questione di tempo, quel tempo che in Occidente non sappiamo più considerare come un alleato, il quale lavora per noi e contro di loro. Sursum corda.
Finché trasmettono qualche intervista a Biagi od a Tonini va bene, ma quando i giornalisti presenti in studio iniziano a dissertare sulla libertà d’espressione in TV, mi viene da pensare dov’abbiano vissuto negli ultimi anni. In RAI?
Come fanno a non sapere che le nomine televisive sono tutte pilotate dal potere politico, da decenni? Perché non scorrono l’elenco dei cognomi presenti in RAI e li confrontano con quello dei parlamentari? Potrebbero munirsi di matita rossa e divertirsi a tracciare i collegamenti: ecco…Buttiglione Angela…Buttiglione Rocco…, Berlinguer Bianca…Berlinguer Enrico…
Ma fateci il piacere…
Il fatto curioso, perché squisitamente “RAI-centrico”, è riscontrare che lamentano una débacle dell’informazione: scarsa libertà, giornalismo d’inchiesta quasi inesistente, censura su tutto…
Tutto vero, ma vero per il giornalismo televisivo.
Io, sto scrivendo queste righe e non ho angeli custodi che mi suggeriscono cosa devo scrivere. Se mi garba, invierò il pezzo ad altri siti che lo pubblicheranno, oppure deciderò d’approfondire l’argomento…insomma, come un qualsiasi giornalista.
Io posso farlo: loro, no.
Domattina, pagherò questa mia libertà andando a scuola ed occupandomi – come faccio da decenni – dell’educazione dei ragazzi: stipendio basso, inutili “grane” a iosa, noiosissimi dibattiti sul nulla incombente, su una scuola che non si rende conto d’esser stata dimenticata da tutto e da tutti. Che s’arrangino i poveri “prof”.
Eppure, ho il mio spazio d’informazione: anzi, che spazio!
L’informazione sul Web cresce a ritmi del 5-10% annuo – oggi siamo intorno al 45% – e non mostra cedimenti: per la prima volta, nel 2007, gli investimenti pubblicitari televisivi hanno iniziato a scendere: TV, giornali, radio, riviste, tutti.
L’unico a salire? Il Web.
I ragazzi, oramai, non cercano altri canali d’informazione: se serve sapere qualcosa, lo digitano su Google oppure vanno a leggere Wikipedia. Con tutti i rischi del caso, ovviamente, sempre – però – minori di quelli che incontrerebbero ascoltando “Porta a Porta”.
Che dire? Questi signori – che identificano l’informazione con le loro dorate poltrone in TV – non si rendono conto che oramai sono dei dinosauri in estinzione: altrimenti, non avrebbero tentato di tapparci la bocca con il pietoso decreto Levi, aggirabile facilmente su provider esteri, e forse per questa ragione hanno desistito.
Il giorno che dal Web riusciremo a far emergere un’organizzazione politica – e credo che quel tempo non sia più così lontano – di questa gente parleremo come oggi si narra dei cantastorie. Folcloristici, fantasiosi, ma irrimediabilmente confinati nel ricordo.
E’ solo questione di tempo, quel tempo che in Occidente non sappiamo più considerare come un alleato, il quale lavora per noi e contro di loro. Sursum corda.
1 commento:
Io di quella trasmissione ho assistito ai primi venti minuti, poi me ne sono andato pensando al monito di Gesù di Nazareth: "Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti".
Detto questo, tu mi insegni che sul blog puoi esprimere opinioni, analisi anche eccellenti, ma non hai possibilità di fare inchieste e analisi approfondite delle situazioni. E se molte cose dei Balcani non le sappiamo, o le sappiamo solo in ritardo, è perché non ce le hanno fatte sapere attraverso un giornalismo indipendente. Che richiede non solo coraggio, ma anche finanziamenti, e una dedizione a tempo pieno. Altrimenti ci affidiamo ai sentito dire, o ai giornalisti che pagano gli ufficiali delle retrovie per farsi raccontare come sono andare le cose e ce le passano come notizie di prima mano, o alla lettura delle veline da parte degli inviati "embedded".
Posta un commento