06 novembre 2019

Cannabiniamo…sì o no?




Perché consumare foreste che hanno impiegato secoli per crescere e miniere che hanno avuto bisogno di intere ere geologiche per stabilirsi, se possiamo ottenere l'equivalente delle foreste e dei prodotti minerari dall'annuale crescita dei campi di canapa?
Henry Ford

I ricordi più dolci che ho di mia madre, erano quelli nei quali mi raccontava l’epopea della canapa, e come quella pianta girovagasse intorno alle vite di donne e uomini, nel lontano ferrarese dei lontanissimi anni ’30. Tutto ruotava intorno a quella pianta gigantesca – arriva a sei metri! – che nasceva con poche cure e forniva raccolti abbondanti, che richiedeva però quasi una liturgia dopo il raccolto. E tanta fatica.

Se ben ricordo, dopo la raccolta, la parte più legnosa doveva essere separata da quella più flessibile, che serviva per le fibre tessili e, per separarle – a parte varie operazioni meccaniche, svolte a mano oppure con rudimentali macchine ed attrezzi – bisognava metterla in acqua.

Pulitura e separazione delle varie parti della canapa

Così, dopo una prima separazione delle parti più legnose, le parti più “tenere” della pianta venivano legate fra loro per creare una sorta di zatteroni, che venivano affondati nei maceri, che erano dei piccoli laghetti alimentati dai canali i quali, nella “bassa”, corrono ovunque, formando una ragnatela che, dal Grande Fiume, si dirama fra strade e poderi.

Le "zattere" di canapa nel macero

A quei tempi, il macero veniva usato anche per l’allevamento spontaneo di pesce: carpe, tinche e anguille che, insieme alle uova ed a qualche pollo, fornivano un po’ di proteine per una dieta che, all’epoca, era quasi vegetariana diremmo oggi, ma allora era un vegetarianesimo forzato, dovuto alla povertà.
C’era anche il maiale, accudito con tutte le attenzioni possibili, poiché le famiglie erano molto numerose, e tutti i giorni si doveva mettere in tavola qualcosa per sostentare gente che faticava di zappa, vanga e scure ogni giorno dell’anno.
Dopo aver affondato la canapa nei maceri, il pesce “sballava” un po’ e veniva a galla: così – ricordava mia madre – partivano lei, ragazzina, e mio prozio, di pochi anni più grande, con la fiocina per catturarli: dopo, li infilavano con un ramo di salice, facendolo passare dalla bocca alle branchie e tornavano a casa con lunghe sfilze di pesci, che erano la dannazione della nonna, regina della cucina. Perché?

Poiché non avevano olio per friggerle! In quelle terre, così lontane da quelle dell’olivo, la penuria d’olio era endemica, giacché i metodi per estrarlo dai semi (mais, girasole, ecc) richiedevano una tecnologia troppo avanzata per dei semplici contadini. Potenti macine, poi torchi o viti senza fine di raffinata produzione meccanica erano oltre le loro possibilità.
Per non parlare delle estrazioni con solventi chimici, che oggi vanno per la maggiore e sono consentite dalla legge (italiana ed europea) se il solvente (n-esano) non recuperato non supera le 0,012 parti per milione. Anche usando il miglior olio di semi in commercio (quello di girasole è forse il migliore) qualche microgrammo di n-esano, alla fine, ce lo becchiamo ogni volta che si frigge qualcosa.

Così, quel pesce finiva sulla gradella, che era l’antenata delle nostre griglie per il barbecue: circolare, fatta di lamiera con, in alto, la griglia, era usata per tutte le attività di cucina. La mettevi sulle braci del camino e, sopra, pentole o padelle o, all’occorrenza, i pesci ad arrostire. Ne ho conservata una, e talvolta la uso per cuocere minestre o per sterilizzare la salsa di pomodoro.
Terminata la macerazione della canapa, e raccolto tutto il pesce possibile, si ritirava la canapa all’asciutto e si apriva la chiusa del canale, così cominciava un altro anno di pesca ed allevamento.
La canapa, a quei tempi, veniva filata e tessuta in casa: ho conservato alcune lenzuola – che oggi hanno quasi un secolo! – e sono di una robustezza incredibile, perché i tessuti di canapa sono un po’ grezzi, ma robustissimi.

Le fibre tessili della canapa sono divise in due qualità: quelle più fini per la produzione di tessuti e quelle più grezze con le quali si fanno i cordami, i “canapi”.
Mentre la produzione della fibre più fini è tuttora richiesta, quella delle fibre per cordami lo è di meno, perché le cime di materiali sintetici costano meno ed hanno una buona resistenza: ho, comunque, a bordo della barca una cima di canapa lunga 120 metri, e non me ne sono mai dovuto lamentare.
Tutto quel mondo andò in fumo nel volgere di pochi anni ma, per indagare su questa vicenda, il problema è un altro, come avrete ben capito.(1)

Il cosiddetto “decreto Cossiga”, nel 1975, proibiva, di fatto, la coltivazione della canapa, senza distinguere fra le varie sottospecie e la quantità di THC: proibiva e basta. La coltivazione della canapa, in Italia, scomparve.
A dire il vero già da parecchi anni era diminuita, perché si era nel bel mezzo della seconda rivoluzione agricola: la prima aveva sostituito la trazione animale con quella meccanica, negli anni ’30-’70, mentre la seconda – appena iniziata – tendeva a specializzare al meglio tutte le lavorazioni agricole, con macchine espressamente dedicate per ogni coltura.
La canapa, se aveva un difetto, era la quantità di manodopera richiesta per tonnellata di prodotto finale: cosa abbastanza simile per altre colture, ma per la canapa il problema era molto avvertito. Sparita la vecchia società contadina, con famiglie con molti figli, più l’abitudine di concorrere con parenti o vicini di casa per i lavori più impegnativi, la coltivazione della canapa, per sopravvivere, doveva meccanizzare molte lavorazioni.
Il Decreto Cossiga – di là delle diverse motivazioni – calò proprio nel momento meno adatto per la coltivazione della canapa.

Oggi, quel decreto è, nella sostanza, decaduto, sostituito da una nuova legge del 2016 e, recentemente, da alcune correzioni ma, la domanda, è sempre la stessa: si può coltivare la canapa senza incorrere nei rischi di un suo uso per scopi non legali?
A mio avviso no, però si possono però  prendere delle precauzioni e, prima, informarsi di più sull’argomento.

La pianta della canapa è definita, dai botanici, cannabis sativa, ma ne esistono molte cultivar o sottospecie, perché non c’è nessuna differenza dalla cannabis sativa alla cannabis indica, soltanto il più alto tasso di THC, per una cultivar che si è più specializzata naturalmente per i climi caldi o tropicali.
Le resine, che contengono il famigerato THC, sono la naturale difesa della pianta contro le malattie e gli insetti: una pianta senza resine, deve affidarsi al solito balletto dei fitofarmaci i quali, come si sa, sono la vera “vigna” per le industrie del settore, anche se le sostanze che vengono sparse non sempre sono innocue per la salute umana.
La canapa, per sua fortuna, è una pianta robustissima,a patto di lasciarle le sue difese naturali!
Recentemente, è stata approvata una modifica alla precedente norma del 2016 che limitava il tasso di THC a 0,2% e l’ha portato allo 0,6%, proprio per consentire la difesa della pianta dai parassiti, ma non raccontiamocela soave: se la cannabis sativa, la meno ricca di THC, viene coltivata, è normale che si diffonda il suo uso anche ad impiego “ricreativo”.(2)
A questo punto, l’attenzione si sposta su due aspetti: la tossicità del THC e le conseguenze sulla malavita che gestisce il mercato.

Recentemente, il giudice Nino di Matteo s’è espresso negativamente sulla liberalizzazione della cannabis, adducendo il problema al fronte delle attività della mafia. Il magistrato sostiene – e di Matteo ha ampia esperienza di cose di Mafia – che non sappiamo come la Mafia andrebbe a “sostituire” i proventi del mercato della cannabis. Ossia, potrebbe gettarsi sui mercati delle droghe pesanti (e c’è già), oppure sulle armi (anche qui, già c’è). E dove, allora?
Qui, però, e non so se di Matteo se n’è accorto, si va a toccare un ganglio importante del rapporto dello Stato col potere mafioso: non si può giustificare una scelta – qualsiasi: potrebbe essere l’auto elettrica o a metano, le patatine fritte o il melograno candito – e la domanda rimane: lo Stato, deve calibrare le sue scelte sulla base della “risposta” che si potrebbe avere dal sistema mafioso? Mi sembra una ben triste condizione: a questo punto, diamogliela vinta del tutto e morta lì. Ma diciamolo a chiare lettere, non cincischiando con le commissioni antimafia.
Voglio precisare che ho grande stima e profondo rispetto per Nino di Matteo, ma non posso esimermi dall’incongruenza che questa sua esternazione contiene. Forse, la situazione di un uomo troppo abituato a vivere accanto ai problemi di mafia…forse un’amarezza profonda, che gli consente ancora di lottare ma forse senza crederci fino in fondo (e lo capisco), se non a patto d’accettare queste incongruenze. Non me lo spiego proprio, e sì che è un’affermazione grave.

Fra l’altro, tutti oramai sanno che il mercato della cannabis europea è l’Albania: da anni, oramai, a Tirana si assiste ad una sorta di miracolo economico, con forti investimenti nel mercato immobiliare ed un aumento ben diffuso e “spalmato” su tutti i beni di consumo più comuni. Dalle auto all’elettronica, dalla cosmesi alla spesa alimentare, ecc. (3)

Scene di guerra fra la polizia ed i narcos a Lazarat,in Albania

 La zona meridionale dell’Albania (Valona, Argirocastro, ecc) è oramai nelle mani dei trafficanti ed il governo è imbelle, forse coinvolto nella corruzione dilagante, forse sta solo a guardare questo “miracolo” economico che gli toglie le castagne dal fuoco, da quando l’Albania è diventata la prima produttrice europea di cannabis. 90 tonnellate di sequestri della Guardia di Finanza in Italia solo nel 2017: con chi trafficano gli albanesi? Con la Sacra Corona Unita – che è il loro dirimpettaio in Puglia – ma i clan albanesi sembra che abbiano stretto alleanze anche con alcune n’drine per lo smercio della cocaina nel nord Europa, soprattutto nel mercato tedesco.

Sarebbe possibile togliere dal controllo mafioso i proventi della cannabis per farli rientrare nel mercato legale, con lo Stato o dei privati a gestirlo? Ovviamente, mantenendo la “soglia” dello 0,6 di THC sulle coltivazioni, le sanzioni per chi guida in stato d’ebbrezza (alcolica o da THC), ma cancellando il reato penale per la detenzione di cannabis? In fin dei conti, l’alcool causa danni più gravi del THC, eppure è legale.
In queste faccende, quel che conta è la quantità e la frequenza con la quale si assumono certe sostanze: la scorsa Estate, sono stato presente, casualmente, ad una vendita di superalcolici in un supermercato. Sono arrivati in quattro o cinque ragazzi/e, hanno depositato sul banco bottiglie di vodka e di rum, sufficienti per ubriacare una compagnia d’alpini: alcuni erano, chiaramente, minorenni. Ma, quello che ha pagato, ha mostrato alla cassiera la carta d’identità (secondo me, era l’unico maggiorenne) che non ha potuto far altro che dargliele. Buona sbronza, colossale dal quantitativo acquistato: quando, poi, uno di loro guida, capitano le morti del sabato sera, puntuali, ogni fine settimana.

Questo è il quadro che abbiamo di fronte, non altro: tutti possono acquistare superalcoli in quantità industriale, e dobbiamo consegnare alla giustizia penale un tizio che ha qualche grammo di marijuana?
L’industria degli alcolici, però, è sacra e non si devono scalfire i livelli occupazionali…quindi…dobbiamo anche mantenere stabili i livelli occupazionali delle mafie? O sarebbe un atto d’orgoglio, da parte dello Stato, togliere loro quei proventi? Resterebbero loro la cocaina, la morfina, l’eroina, l’LDS e tutte le droghe sintetiche.
Resta da definire se la cannabis sia così nociva.

Il problema è complesso, giacché tutti riconoscono che il THC ha degli effetti molto positivi e conclamati nel controllo del dolore, degli spasmi nervosi in molte patologie, malattie dove la farmacopea ufficiale si trova un po’ spiazzata non tanto per l’efficacia dei prodotti, quanto per gli effetti collaterali indesiderati.
Hanno provato a produrre THC sinteticamente, ma i risultati sono stati scarsi: molti effetti collaterali rispetto al derivato naturale…insomma, la maledizione della canapa sembra quella d’essere…perfetta!
Tutti, per fortuna, riconoscono che la cannabis non dà assuefazione né crisi d’astinenza: insomma, è un po’ come chi è  abituato a bere vino a tavola. Se non c’è non è certo contento, però s’adatta a bere acqua: sarebbe forse meglio pensare alle vere droghe, eroina e cocaina, ad esempio e fare qualcosa per un mercato che è praticamente libero ed in mano alle mafie. Già, ma fa comodo scagliarsi contro una sostanza ed una pianta che hanno accompagnato l’avventura umana per millenni, piuttosto che guardare in faccia alla realtà.

Fra l’altro, la canapa ha avuto una storia “legale” molto complessa: fu proibita negli USA già nel 1937, ma non per vicende legate al THC. Fu una storia strana: Henry Ford aveva costruito un’automobile usando come componente di base del telaio le fibre di canapa, “annegata” in una resina proveniente dalla soia, che rendevano più leggera la struttura e molto robusta: il motore funzionava ad etanolo, sempre ricavato dalla canapa. La prima auto al mondo ad essere costruita in gran parte con materiali naturali!
La Ford, però, entrò in collisione con la potente industria chimica Du Pont la quale, ovviamente, non vedeva di buon occhio questa “incursione” dei prodotti agricoli nell’industria automobilistica. La Du Pont scatenò una campagna giornalistica che, alla fine, condusse alla proibizione di coltivare la canapa nel 1937. Ovviamente, fu la fine per l’innovativa Hemp Body Car (auto di canapa). (4)

Una Hemp Car del 1941

 Insomma, la chimica contro i prodotti naturali: anche per quanto riguarda la produzione di cordami, l’industria chimica vedeva nella canapa l’avversario da sconfiggere, perché stava iniziando la produzione di fibre tessili o adatte per la filatura. La cosa sorprendente, però, avvenne nel dopoguerra quando un ricercatore americano ebbe dei fondi per studiare la composizione chimica della tela di ragno: ebbene, fu proprio dalla riproduzione chimica di quel polimero che nacquero molte fibre adatte a corde resistenti ma anche elastiche, oggi usate in alpinismo o nella nautica. Insomma, sembra proprio che la natura, mettendoci milioni di anni d’evoluzione, sia ancora vincente sull’uomo!
La vicenda di Henry Ford è emblematica – e, in qualche modo, parallela a quella di Raoul Gardini: anche lui vedeva nel futuro una nuova chimica, più legata all’agricoltura che al petrolio – e, per sua fortuna, Henry Ford cedette e…salvò la pelle? Mah…

 Ricordiamo qui – en passant – le mille proprietà della canapa per entrare nel mercato in tanti settori: soprattutto la creazione di pannelli leggeri che contendono la palma di miglior sistema rispetto alla fibra di Carbonio (sensibilmente più costosa), pannelli composti da base di canapa e reagenti poliuretanici, oppure cementi od altre resine. Lo “scarto” sarebbe costituito da lignina, utile – e naturale – per usi energetici e  di riscaldamento o per la formazione di pannelli più resistenti, destinati a mille usi diversi. Insomma, la canapa è un cespite di idee e di soluzioni per l’edilizia, l’industria automobilistica, il mondo dell’energia, la produzione di carta, la produzione di foraggio per animali, di semi oleosi, di cellulosa, senza dimenticare la fibra tessile ed i cordami…non per nulla la pianta comparve nell’avventura umana sin dal lontanissimo 8.000 a.C. Una vera e propria miniera a cielo aperto.



Cosa si oppone a tutto questo?
 Sul Web, la pubblicistica sulla cannabis è enorme, ovviamente suddivisa in favorevoli e contrari: normale, visto che la canapa, come mercato complessivo (tessile, chimico, energetico, farmaceutico, ecc) muove interessi enormi, perciò mi sono affidato a Wikipedia la quale riporta, almeno, fedelmente le varie posizioni.
Sul fronte sanitario e scientifico, non c’è assolutamente una certezza alla quale affidarsi: in Spagna hanno rivelato che il THC uccide le cellule tumorali nel cervello, mentre in Gran Bretagna negano che sia vero…secondo alcuni psichiatri l’uso della cannabis favorisce psicosi, nevrosi od altro per il 40% dei casi, per altri psichiatri solo per l’1%, ossia nulla. Un disastro totale, la scienza all’ammasso.
Inoltre, se si prendono in esame le vie di inalazione insieme al fumo del tabacco, non si riesce a discernere quali sono i danni dell’uno o dell’altro…niente, una follia totale.
Si riconoscono, almeno, gli effetti positivi del THC nella cura del dolore neuropatico e nella sclerosi multipla…di più, è inutile cercare perché si finisce nella ridda di contenuti contradditori. Ma, qualcosa si muove.

Alla legalizzazione della cannabis, per prima attuata dall’Uruguay e dal Cile, s’è aggiunta quella più “pesante” del Canada, che ha completamente legalizzato la coltivazione e l’uso “ricreativo”. Gli USA, come sempre, sono a macchia di leopardo: dipende dalle scelte di ciascuno stato, mentre gli organismi federali non prendono decisioni. In Europa, solo l’Olanda permette un blando uso, sempre però circoscritto in locali pubblici ben definiti dalla legge.
Nel panorama generale, sembra che l’anti-proibizionismo nei confronti della cannabis stia diminuendo: forse, ci si è accorti che i danni collaterali sono meno gravi di quelli causati dall’alcool e, per non avviare campagne pubblicitarie che coinvolgerebbero inevitabilmente anche l’alcool (con relativi aspetti economici), si preferisce chiudere la faccenda senza troppo chiasso.

In Uruguay – per confermare quello che temeva Nino di Matteo – c’è stata una virulenta ripresa degli omicidi mafiosi: probabilmente, la perdita di un mercato clandestino, un settore molto “succoso” – la vendita della cannabis, in Uruguay, è adesso affidata ai monopoli di Stato – ha comportato una ri-definizione degli equilibri del mercato illegale per le altre droghe, che nel campo mafioso contiene sempre la sfilza di morti ammazzati.

Quindi, per concludere, la storia della cannabis è, in realtà, la storia della canapa: nessuno, penso, se n’accorgerebbe se fosse liberalizzata la produzione della cannabis sativa con uno 0, qualcosa in più od in meno di THC, perché la canapa fa parte – anzi, è quasi la Regina – di quel mondo che preferisce la chimica da prodotti agricoli invece che da prodotti fossili. Questo è il vero motivo del proibizionismo.
La canapa fu anche studiata come farmaco agli albori della Carlo Erba: qui, probabilmente, c’è un altro, enorme conflitto di interessi poiché la funzione antidolorifica del THC è accertata e sicura. Ovvio che si scatenano conflitti paurosi, come quelli sotterranei laddove le case che si basano sull’acetil-salicilico stampano (per soli medici e farmacisti, ovvio) pubblicazioni – le ho viste di persona – che colpiscono il paracetamolo, e viceversa quelli del paracetamolo verso l’acetil-salicilico. Figuriamoci se entrasse nel mercato un potente antidolorifico ed antispastico d’origine, oltretutto, naturale!
Perciò, io ritengo che i (possibili?) danni sarebbero senz’altro inferiori ai rischi: non fate, però, diventare la coltivazione della canapa uno stato di polizia se, un’Estate a causa del calore eccessivo, si scopre una coltivazione con lo 0,7% di THC! Oltretutto, chi volesse usarla per scopi “ricreativi” dovrebbe soltanto prendere qualche infiorescenza, senza nemmeno sapere se è 0,2 o 0,7: tanto sarebbe la stessa cosa.
L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di vedere un agricoltore in manette a causa del caldo: pensate piuttosto a come limitare od abolire – veramente, non lasciando praticamente il mercato libero alle mafie – le terribili droghe di sintesi, l’eroina, la cocaina ed a limitare seriamente il consumo d’alcool, ma con un po’ di cognizione: non si capisce perché si deve stare attenti, al ristorante, a non bere più di un paio di bicchieri di vino, mentre c’è gente che va in giro completamente sbronza e/o “fatta” e semina morti a profusione.

Come diceva Henry Ford, perché dobbiamo rinunciare alla risorse che ci dà il mondo vegetale per aderire senza riflessione al mondo dei fossili? Chissà, forse rivedremo la Hemp Body Car 3.0, e ne saremo soddisfatti. Anzi, l’hanno già fatta: in Canada ovviamente.





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3 commenti:

Eli ha detto...

Mentre questi si occupano di demonizzare la Cannabis, nelle principali città italiane scorrono quintali di coca, la ritrovano perfino nel Tevere, nel Po, nell'Arno, in ogni dove. I giovani si sfondano di pastiglie, ed ogni tanto qualcuno ci saluta e se ne va.

Anni fa, in un paesino toscano, riuscii ad acquistare un abito di canapa coloro avorio. Era così bello, era così piacevole indossarlo, morbido ed elegante. Sembrava seta. Poi quegli artigiani hanno dovuto chiudere, travolti dalla globalizzazione e dalle robacce cinesi.

Alla mia gatta diciassettenne, e dunque quasi centenaria, il THC fa molto bene, le allevia i dolori dell'artrite alle ossa. Fortunatamente non soffro di artrite, ma se mai dovessi, saprei a chi rivolgermi.

La chimica costa e rende moltissimo, l'erba costa poco e chiunque la può coltivare, non si fanno "cartelli" né multinazionali.
Cherchez l'argent...E salutami Mr.Dupont e tutte le sue schifezze.
Ciao.
E.

Carlo Bertani ha detto...

La cosa grave è che qualcuno come Di Matteo, che continuo a credere sia una persona per bene ed onesta, caschi in queste "trappole ideologiche", ossia di preoccuparsi, prima di una decisione, di sapere cosa farà la mafia. Ovvio che, essendo dei delinquenti, cercheranno il massimo profitto senza guardare in faccia nessuno - e, qui, concordo con i timori degli inquirenti - ma non possiamo farci bloccare dalla mafia per qualsiasi decisione. Altrimenti, è finita, Falcone e Borsellino sono morti inutilmente.
Poi, sarebbe ora di finirla di telefonare alla "Chimica" (non faccio nomi) per sapere cosa dobbiamo fare, che decisioni dobbiamo prendere. La Scienza è al servizio dell'Uomo, non l'Uomo al servizio della Scienza.
Ciao, e buona vita per la tua gatta: la mia ha passato i 20 anni, poi...una sera s'è addormentata e non s'è più svegliata. Anche lei aveva una colonna vertebrale da brivido, ma tirava avanti...
Carlo

Fedora Rigotti ha detto...

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