04 gennaio 2019

Bella da morire


Gentile ministro Grillo,
                                    le confesso che sono un po’ sorpreso dal dover scrivere ad un “ministro Grillo” che non è il buon Beppe, ma la vita è strana, e talvolta le sorprese che ci riserva il Fato sono veramente curiose. Veniamo al dunque.
Lei, essendo medico, è stata giudicata “abile” per il Ministero della Salute: questo non mi è mai parso un titolo univoco di merito per sedersi su quella poltrona, poiché la salute è un bene di tutti, non dei soli medici. Non andrà certo meglio quando a dirigere la Difesa ci sarà un Generale. In ogni modo, oggi c’è lei ed è a lei che mi rivolgo perché la gestione della salute pubblica è piuttosto delicata e non è ben gestita, a fronte delle esorbitanti spese che il sistema le assegna.

E’ stata subito assorbita dal problema dei vaccini il quale, a mio avviso, era soltanto un modo per gettarla in un contradditorio infinito, in una diatriba inutile, tanto perché si lasciassero insoluti i grandi problemi della Sanità italiana: insomma, la solita pagliuzza per nascondere la trave nell’occhio.

Il primo problema riguarda la sciagurata suddivisione regionale della Sanità: non io, ma illustri analisti si sono espressi in tal senso, persino l’ex ministro Lorenzin (1) aveva espresso i medesimi dubbi, perché la Sanità è il motivo fondante per la sopravvivenza delle Regioni, non un settore di competenza regionale. Suvvia, non raccontiamoci balle.
Poi, quando si scassa un meccanismo che funzionava meglio, è inutile affermare “tornare indietro non si può”: se un sentiero è troppo arduo e periglioso, tornare indietro è il miglior consiglio da dare.

Se desiderate metter mano all’ordinamento italiano, non dovete farvi fuorviare da argomenti di scarso interesse, poiché sono alimentati proprio da chi non vuole che ci mettiate mano. La riforma regionale fu uno dei disastri più eclatanti della politica italiana: chi sceglie l’ordinamento regionale (lander) non deve avere un ordinamento napoleonico (province).
Cosa ne dice, oggi, delle Province italiane resuscitate come “enti di vasta area” e tuttora funzionanti, tutte, e con un ben strano “ordinamento”, assolutamente estraneo al dettato costituzionale? Sono composte da un “consiglio” formato solo dai sindaci delle aree delle ex province i quali, a  loro volta, eleggono il loro presidente.
Salta agli occhi, immediatamente, la loro stridore dal principio costituzionale, ossia sono persone non elette – il sindaco di Tivoli (esempio) non ha nessun titolo per decidere qualcosa nella provincia di Roma – perché è stato eletto dai cittadini di Tivoli, non dai romani.
Hanno trovato il modo di creare dei rappresentanti (?) che nessuno ha mai eletto. E che deliberano, stanziano somme, acquisiscono somme, dallo Stato e da altri cespiti (le contravvenzioni stradali, ad esempio) in piena libertà. Un espediente incostituzionale per mettere delle persone in dei posti nei quali nessuno ha controllo: ci sarebbe da ipotizzare un reato di “attentato alla Costituzione” per chi ha progettato ed avallato quelle scelte.
Come vede – essendo lei un politico e non solo un medico – la interpello a largo spettro, ma torniamo alla Sanità.

L’esborso annuo è intorno ai 100 miliardi di euro: una cifra iperbolica, ben superiore a quella che veniva stanziata per la sanità statale. Ma, le Regioni, a parte tanta aria fritta, di cosa si occupano? Scorporando la Sanità (con notevoli risparmi) non rimarrebbe quasi nulla, se non la velleitaria decisione a voler contrastare, limare, adattare leggi dello Stato che finiscono per generare conflitti interminabili di fronte al TAR, al Consiglio di Stato, alla Cassazione, fino alla Corte dei Conti. Ma si può vivere in un simile casino?
Senza contare le inutili complicazioni che tale scelta ha generato: per prendere una decisione sul fiume Po, si devono consultare e ricevere il consenso da ben 18 amministrazioni diverse! Un tempo, decideva il Magistrato del Po.

I Parlamentari italiani sono i più pagati del mondo, su questo ci sono pochi dubbi: si può dissertare fin che si vuole su alcuni emolumenti dei congressisti statunitensi, ma – almeno qui in Europa – il confronto è sconfortante.
E’ quindi giusto “regolarizzare” gli emolumenti dei parlamentari italiani, ma sarebbe sciocco pensare che questo “taglio” conducesse a risultati importanti: se si vuole, veramente, incidere sui costi inutili e sugli sprechi, bisogna razionalizzare la catena degli amministratori.
Come non capire che la catena decisionale in campo sanitario, un tempo ridotta a singoli, è stata moltiplicata per 20? Un tempo, avemmo pure un Duilio Poggiolini, con tutta la corruzione conseguente, ma oggi ne abbiamo 20 a decidere sulle questioni dei farmaci!

E poi, la suddivisione regionale della sanità ha condotto alla regionalizzazione forzata degli italiani: è al corrente che un medico appartenente ad un sistema regionale con gran difficoltà può avere un paziente di un’altra regione?
Ovvio che la cosa non interesserà chi abita a Roma e Milano, ma gli abitanti che vivono “a cavallo” dei circa 10.000 km di confini regionali, quando traslocano nel comune vicino – per quanto riguarda il mantenimento del proprio medico – devono passare le forche caudine: corse alla ASL, documenti da far firmare al medico, ritorno alla ASL, validazione dei documenti…e questo ogni nuovo anno!

Non è una questione di lana caprina: visto che è miseramente fallito il piano di un database nazionale, consultabile e trasferibile – mediante la semplice tessera sanitaria – da un luogo ad un altro, è comprensibile che ogni paziente finisca per fidarsi solo del proprio medico. E ci sono anche molte, altre ragioni (fiducia personale, conoscenza dell’anamnesi approfondita dei singoli, amicizia, altro…) perché una persona che si sposta di qualche chilometro preferisca tenersi il proprio medico.
Non parliamo poi delle prestazioni specialistiche e dei rilievi analitici: apriti cielo! Se l’ospedale della “vecchia” regione dista solo una decina di chilometri, ti fanno mille problemi e ti chiedono, senza nessuna remora di decenza: “Perché non va all’Ospedale di Distantopoli?”

Tutto prova quel che già dicevo: la sanità regionale non è altro che un corposissimo cespite di fondi per rimpinguare le mille altre “attività” della Regione. A questo punto, anche i continui “risparmi” che vengono attuati – meno medici, meno infermieri, chiusura di ospedali e di singoli reparti – non sono altro che il tentativo di prendere più fondi possibile, per poi spenderne il meno possibile. E i “risparmi”? Beh…sfogliate le pagine dei giornali alla pagina giudiziaria…

Ma c’è un altro problema, ben grave, che attanaglia la sanità italiana.
In 35 anni d’insegnamento – all’incirca 200 classi condotte alla maturità, circa 5000 liceali – ho notato un solo caso di un allievo, figlio di medico, che scelse un’altra facoltà.
Con cadenza costante, tutti i figli di medici s’iscrivevano a Medicina, se fallivano il test d’ingresso s’iscrivevano a Biologia, così – appena passato l’esame d’ammissione, l’anno successivo – potevano iscriversi con l’abbuono di un certo numero di esami (oggi, “crediti”).
A volte ci fu addirittura la riapertura dei termini per il test d’ingresso in una nuova sezione “ridotta” (o “speciale”) dove, guarda a caso, tutti gli iscritti erano figli di medici. O, anche, l’aumento degli ammessi se “certi” non l’avevano passato.

Comprendo che lei, medico, si sentirà un pochino a disagio se le chiedo di marginalizzare il potere dell’Ordine dei Medici all’interno delle strutture sanitarie nazionali. Attenzione: il medico è e resterà sempre la figura di spicco per quanto riguarda le questioni sanitarie, solo che non deve più avere il potere di scegliersi i suoi collaboratori. Che saranno, sempre, figli o nipoti d’altri medici: a buon rendere, ovvio.
La soluzione?
Concorsi. Concorsi nazionali dove – se si vuole farlo – si è in grado d’impedire qualsiasi tentativo di nepotismo. Pesanti sanzioni penali per chiunque venga sorpreso – e provato – a camuffare i risultati dei concorsi. Basta minacciare l’espulsione dall’Ordine.
Ma, la migliore cosa che si può fare, è rendere la possibilità a tutti gli studenti che vogliono accedere a Medicina di poterlo fare, alzando però l’asticella delle conoscenze apprese e delle competenze dimostrate. I migliori, faranno carriera perché bravi.

Questo andazzo porta i (pochi) specialisti che lavorano nella sanità pubblica ad essere in qualche modo “evasivi” – se non si tratta di questioni gravi, con pericolo di vita – con diagnosi più sfumate, che alimentano dubbi ed incertezze. Perché? Poiché il sistema privato è separato da quello pubblico, ma i parenti medici (il nepotismo!) che lavorano negli studi privati…meglio tenerseli buoni, magari domani ci sarà posto anche per me…

Insomma, la vogliamo finire con queste pratiche del numero chiuso nelle facoltà? Si contravviene alla libertà d’apprendimento, sancita dalla Carta Costituzionale.
Poi, massacriamo pure agli esami di Anatomia e di Biochimica come un tempo: avremo la certezza d’avere la classe medica migliore del mondo, non per censo, ma per merito.

Anche fra gli infermieri – che oggi hanno un ruolo più importante di un tempo – si nota una rarefazione: è ben vero che, quando c’è un concorso pubblico, sono sempre migliaia per centinaia di posti. Ma andate a vedere nelle strutture private: rumene, ungheresi, cubane, argentine, ecuadoregne, croate, russe…c’è il mondo nel settore infermieristico privato. E, in quel caso, c’è anche il problema della lingua: non sono riparatrici di computer, sono quelle che girano per i reparti, e che a colpo d’occhio devono capire come state.
Tutto questo avviene non per questioni salariali (i salari sono pressappoco uguali) ma per il diverso contratto che, nel pubblico, garantisce più diritti. E non parliamo poi delle Operatrici Sanitarie (OS) dove veramente stiamo raschiando il fondo del barile, con veloci corsi privati che tutto danno per poco tempo e denaro. Garanzie, dopo? Eh…   

Termino dandole un consiglio più “politico”.
Se volete veramente andare a toccare i veri sprechi – gli stipendi dei parlamentari, nazionali, europei e locali – ma anche le mille “scrivanie” che non servono a niente, c’è da fare una ricerca certosina, con molta attenzione, per non fare errori.
Dopo, però, non fate il solito decreto legge: fate una comune legge d’iniziativa parlamentare e portatela in aula. Vedrete chi ci sta e chi non ci sta: e lo vedranno anche gli italiani.
Saluti ed auguri di buon lavoro.



2 commenti:

bambilu ha detto...

Grande come sempre Carlo Bertani. Competente, filosofico, chiaro.
I presidi di Roma minacciano di non aprire le scuole perché nei paraggi oltre gli spacciatori di color marrone e beige circolano i RATTI ! I simpatici topoloni possono
stare tranquilli. Hanno vaccinato tutti, anche i neonati ! Possono tranquillamente scorazzare in santa pace e bene.

René ha detto...

Ciao ex collega,
Credo che il numero chiuso a medicina lo abbiano tolto. Lo si farà gradualmente, ma si farà.

Un abbraccio.

P.S.
Mi è mancata la 'storiella' natalizia che solitamente pubblichi sul blog. Quella sullo specchio del Rabbino la racconto ai miei alunni ogni tanto. :)