“Nel paese della menzogna, la verità è una malattia.”
Gianni Rodari
E’ facile fare il giornalista o lo scrittore in Italia, perché tutto ciò che deve fare chi scrive è trovare uno dei tanti bandoli della matassa: dopo, appiccicati con colla petrolifera, salteranno fuori tutte le figurine Panini della politica e dell’economia. Si può partire da qualsiasi bandolo: gli altri, diligentemente incollati, seguiranno.
Toh, c’è un bandolo chiamato “FIAT”: proviamo da quello?
Ma sì.
La vicenda della FIAT, per come appare, lascia intravedere il problema di fondo, ossia quello del futuro industriale italiano.
Da più parti si ricorda l’impetuoso irrompere sulla scena delle economie emergenti – ed è senz’altro vero ed importante – si dimentica, però, che le altre nazioni europee hanno subito anch’esse l’impatto con la globalizzazione, ma non sembrano esserne uscite con le ossa rotte quanto l’Italia.
C’è, in questo ennesimo tormentone italiota, una catena di mistificazioni che è meglio affrontare e chiarire: la prima riguarda il reale impatto della crisi finanziaria internazionale sull’Italia.
E’ certamente vero che la crisi dei mutui subprime ha colpito l’Italia in modo meno violento rispetto ai Paesi anglosassoni: il capitalismo italiano presenta ancora molti aspetti di conduzione familiare, oppure s’affida al credito in modi più tradizionali. Sotto il puro aspetto capitalista, questa è una specificità che può diventare un freno – meno “elastica” è la mentalità nel far debiti, meno le merci circolano velocemente, ecc – difatti, le famiglie italiane sono meno indebitate rispetto a molti Paesi.
Un po’ di “carta straccia” è circolata anche qui, addirittura alcuni grandi comuni (Milano, ad esempio) sono finiti nella trappola, ma i “numeri” non erano certo quelli delle banche estere nazionalizzate “di brutto”, per non farle finire sul lastrico dalla sera alla mattina.
Sull’altro versante, la crisi dei subprime ha creato una voragine di debito che è stata scaricata sui bilanci statali (il famoso “piano Paulson”), con i conseguenti ed inevitabili aggravi per la popolazioni, derivanti da aumenti – più o meno mascherati – della fiscalità.
Il “raffreddarsi” dell’economia planetaria, il “vorticar lento” del processo materie prime/merci/rifiuti che è alla base di questo scellerato sistema economico, ha inevitabilmente colpito anche l’Italia, in modo diretto – diminuzione delle commesse e delle esportazioni – ed indiretto, ossia per quell’atteggiamento “attendista” che tuttora dura, poiché nessuno avverte come passato il pericolo.
La situazione, qual è?
Il sistema industriale naviga “a vista”, galleggia appena con esportazioni discontinue, mentre il “volano” della spesa per le infrastrutture non può avviarsi, poiché la crisi ha drenato risorse per il misero welfare nazionale.
Grandi opere come il Ponte sullo Stretto od il programma nucleare continuano a procedere sulla carta, ma nella realtà è difficile ipotizzare una loro partenza effettiva, poiché il debito pubblico continua a salire e la speculazione non aspetta altro che di poter colpire l’euro in un Paese più significativo, non la Grecia od il Portogallo. C’è da dire che, una crisi italiana sul modello greco, significherebbe probabilmente l’abbandono della moneta unica da parte della Germania e la fine dell’esperimento monetario europeo.
Il che, non sarebbe scevro di rivolgimenti politici e probabilmente di separazioni – più o meno “consensuali”, più o meno pacifiche, più o meno definitive – proprio perché il crollo della moneta unica non sarebbe, come molti ritengono, un semplice ritorno alla possibilità di svalutazione della Lira. Potrebbe essere un altro incubo, con i grandi fondi internazionale lanciati al ricatto della moneta italiana (o spagnola, o belga, ecc).
Per evitare simili scenari – questo è il “merito” che Tremonti, unilateralmente, si attribuisce – è stata varata la strategia del “congelamento”, ossia del puro e semplice mantenimento dello status quo. In quest’ottica, si può capire l’assenza di un ministro per le Attività Produttive lunga un semestre – impensabile in altri Paesi – perché, tanto, c’era poco da programmare e da decidere.
Silenziosamente, dalle dimissioni di Scajola, Tremonti ha provveduto a “drenare” le risorse di quel ministero, a dirottare fondi, per mantenere adamantina la visione dell’uomo che “mantiene i conti in ordine”.
Certo, avere a che fare con un Presidente del Consiglio più dedito al bunga-bunga che alla cura della nazione non aiuta, al punto che la nomina del successore di Scajola cade su un ex dipendente Mediaset, Paolo Romani. Come a dire: mettiamo su quella poltrona un uomo simile al famoso detersivo “che non graffia”.
Da qui, discendono “accordi” come quello raggiunto alla FIAT, che sono principalmente diretti a conseguire due obiettivi: mostrare la determinazione liberticida del Governo allo “zoccolo duro” dei ricconi che sicuramente lo voteranno sempre, il 20% della popolazione, ed a mostrare i muscoli nei confronti delle organizzazioni sindacali che s’oppongono.
Sull’altro versante – siccome il costo del lavoro nella produzione di un’automobile partecipa per un misero 7%, e dunque lo spostamento di qualche pausa o quota di straordinario od altro ancora non potranno mai compensare le deficienza organizzativa e la pochezza, in termini di know how, del gruppo – la mancanza di un piano industriale, d’innovazione, di ricerca (sommato al gap “storico” che la FIAT sconta nei confronti dei competitori nel mercato) è un occhio strizzato alla futura speculazione immobiliare sulla “città dismessa” che diventerà Mirafiori. Con, non dimentichiamolo, gli Agnelli che affilano le lame e gli Elkann che fanno altrettanto: Margherita Agnelli è già in causa con i figli!
Cosa si può fare, oggi?
In questo scenario, con questi attori politici, con questa impostazione dell’economia, con questi poteri forti che la controllano, è presto detto: nulla. All’Italia servirebbe probabilmente una rivoluzione “bolivariana” o qualcosa di simile, perché ci sono troppi paradigmi che dovrebbero essere cancellati tout court per risollevarla.
Voglio, però, ricordare che questa situazione non è figlia dell’oggi, e che qualcuno già ci rifletteva parecchi anni or sono.
Nel 2004, quando uscì il mio Energia, Natura e Civiltà: un futuro possibile? (Giunti Editore), per una caso della vita una persona mi propose d’inviare una copia a Romano Prodi, fornendomi il suo indirizzo privato. A margine, voglio ricordare che – con una simile procedura – ne inviai una copia anche all’allora parlamentare dei Verdi Grazia Francescato: il libro fu rifiutato ed il pacco ritornò a me intonso. Tanto per dire come s’informano, al modico stipendio di 19.000 euro il mese.
Prodi, invece (all’epoca, era Presidente della Commissione Europea), gentilmente rispose sottoponendomi alcune critiche e proposte, che non svelerò perché non è educato rivelare la corrispondenza altrui.
Cosa proponevo nel 2004?
Le stesse cose che continuo a ripetere da anni: l’unica via per mutare la situazione dell’asfittica economia italiana è attingere, finalmente, alle decine di miliardi di euro che l’Italia ogni anno spende per l’approvvigionamento energetico. Siamo in una “forbice” fra i 30 ed i 60 miliardi l’anno, secondo i consumi, il variare dei prezzi ed i rapporti di cambio fra le monete: in ogni modo, una montagna di soldi.
Nel dettaglio, prospettavo un forte balzo in avanti dell’eolico e due settori di ricerca che, nel medio periodo, sarebbero potuti diventare dapprima dei progetti pilota, quindi delle fonti alle quali attingere: le caldere dei vulcani a magma basico e le correnti sottomarine.
La programmazione del piano energetico sarebbe dovuta rimanere in mano pubblica, mentre la realizzazione delle varie fasi poteva essere affidata ad una holding composta dai “fiori all’occhiello” della tecnologia e dell’imprenditoria italiana: FIAT, OTO Melara, Italcantieri, Ansaldo, ecc.
Agendo in questo modo, ci sarebbero state importanti “ricadute” sull’industria nazionale in termini di know how e di realizzazioni d’impianti anche all’estero, come un tempo avveniva per molte aziende italiane oltre, ovviamente, alle realizzazioni per l’Italia, Paese tributario dall’estero, ricordiamo, per più dell’80% del proprio fabbisogno energetico.
Vorrei precisare che, all’epoca, la situazione era diversa rispetto all’oggi: solo per citare un esempio, il solare termodinamico di Rubbia era solo alle prime fasi di sperimentazione, non una realtà come oggi. Dunque, un piano energetico dei nostri giorni potrebbe assommare più settori ed essere diverso rispetto a quello del 2004.
Ricordo che conclusi la lettera con un avvertimento – già si sapeva che Prodi sarebbe tornato in Italia, per sfidare Berlusconi alle elezioni del 2006 – che suonava pressappoco così “gli esami di riparazione sono stati aboliti (all’epoca, così era), perciò il centro-sinistra deve stare molto attento alle proposte che farà e, se eletto, a cosa realizzerà: gli elettori potrebbero bocciarlo senza possibilità d’appello.”
Fui facile profeta.
Aprendo una breve parentesi, qualcuno addossò quel fallimento al fragile equilibrio al Senato, frutto della “porcata” di Calderoli, dei vari tradimenti (sempre IDV, De Gregorio) e della solita campagna acquisti di Berlusconi con il consueto corollario d’attricette e roba del genere. E’ in parte vero, ma solo in parte.
Quello che mancava era una proposta politica chiara, e non solo sull’energia: la querelle dei PACS e del mancato adeguamento alla tassazione europea (20%) dei redditi da capitale (fermo, in Italia, al 12,5%), racconta due diverse vicende, nelle quali furono sempre le stesse persone a bloccare tutto, le stesse che oggi tengono sotto scacco il PD.
Come tutti sanno, il PD nasce dalla fusione fra parti di ex democristiani e di ex comunisti: un aborto spontaneo o procurato? E’ l’unico dilemma.
Oggi, non si parla più di “volar alto”, bensì di riuscire almeno ad avere una posizione comune sulle vicende politiche ma quei “veti”, che affossarono i provvedimenti necessari per riequilibrare la tassazione a favore dei redditi più bassi e da lavoro, sono gli stessi.
Personaggi come Fioroni si capisce fin troppo bene cosa stiano a fare nel PD: lavorano per l’amico Casini, per bloccare qualsiasi iniziativa non piaccia al Vaticano od alle classi di reddito medio alte, come un tempo bloccarono i PACS (un simbolo) o, più prosaicamente, il tentativo di riequilibrare la tassazione fra capitale e lavoro.
Oggi, cosa blocca un percorso che potrebbe portare ad una maggior indipendenza energetica e ad un maggior reddito per gli italiani, derivante dagli investimenti nel settore?
Sempre le stesse persone, che solo apparentemente stanno nell’opposto schieramento: difatti, Casini è un fervente nuclearista come la solita, stessa fazione nel PD. Fazione che, se trasmigrasse da Casini, non comporterebbe nessun crollo elettorale per il PD: per questo restano, e solo gli sciocchi come Rutelli emigrano.
Dopo aver compreso perché il centro-sinistra non può avere una posizione chiara sulle scelte strategiche, torniamo all’energia.
In questi mesi, parecchie volte sono stati menzionati gli accordi fra Berlusconi e Putin in chiave energetica: South Stream, gas metano, ecc, giungendo a supporre l’interesse personale di Berlusconi in quegli affari.
La cosa, conoscendo il personaggio, non stupirebbe più di tanto: è spesso consuetudine che si “ungano” gli ingranaggi politici con puro grasso di petrolio, e non si capisce proprio perché Berlusconi dovrebbe essere l’eccezione.
La cosa grave è che, tutti questi aspetti – senz’altro veri, in toto od in parte – nascondono una grossa variabile, forse la parte più significativa della questione.
Chi è l’ENI?
Perché all’Italia, nazione sconfitta nella 2° G.M., fu consentito d’avere una compagnia petrolifera nazionale?
Sarebbe inutile, in questa sede, approfondire temi ancora oggi controversi: bisogna però riconoscere che – senza l’assenso americano a De Gasperi – la vecchia AGIP di fascista memoria sarebbe stata liquidata e l’ENI non sarebbe mai nata.
Le cause della nascita dell’ENI furono molteplici: la presenza di giacimenti in Paesi africani precedentemente colonizzati dall’Italia, che poteva dunque favorire le compagnie americane per le molte conoscenze “in loco” degli italiani, ed una probabile contropartita per la cobelligeranza.
Il successivo tentativo “indipendentista” di Mattei fu fermato come ben sappiamo: Mattei interpretò il copione in modo troppo personale, credendo che l’Italia fosse effettivamente un Paese indipendente. E le sette sorelle rimisero a posto gli equilibri petroliferi del Mediterraneo: costò pochi chilogrammi d’esplosivo.
Oggi, l’ENI, quale posizione ha nei confronti delle energie rinnovabili?
Per bocca di Paolo Scaroni, suo Amministratore Delegato, afferma[1]:
“Noi pensiamo che a breve, con le tecnologie esistenti e con quello che sappiamo fare, le rinnovabili, sostanzialmente eolico e solare, rappresenteranno forzatamente una cosa piccola. Proprio per questo noi, come Eni, investiamo in ricerca, in particolare sul solare, e siamo convinti che solo una scoperta tecnologica rivoluzionaria può far sì che le rinnovabili diano un contributo importante al nostro fabbisogno energetico.”
Letto fra le righe, sembra una campana a morto e, se si riflette sui tempi “biblici” per la realizzazione della centrale termodinamica di Priolo Gargallo, così è: l’ENI, chiacchiere a parte, non ha nessun interesse ad incrementare la quota delle rinnovabili.
Anche quel richiamo sulla “scoperta tecnologica rivoluzionaria” sa un po’ di “raggio della morte” di fascista memoria oppure di Nikola Tesla dimenticando, però, che gli studi più interessanti di Tesla sull’energia, se esistono, sono stati secretati dagli USA e tuttora lo sono. Perciò, chi ne parla può anche far bene a ricordarlo, ma sono soltanto illazioni: Tesla fu senz’altro un genio ed un pioniere dell’elettrotecnica, ma gli studi sulla captazione e sulla trasmissione dell’energia che (probabilmente) compì sono, a noi, ignoti.
La vicenda fa probabilmente il paio con i paritetici studi di Einstein sulla teoria dell’unificazione dei campi, carteggio risalente agli anni intorno al 1925, del quale Einstein stesso ordinò la distruzione pochi giorni prima di morire.
Di conseguenza, chi cerca di deviare l’interesse verso fumose “fonti” che non si sa nemmeno se esistono realmente, finisce per fare il gioco di Scaroni: non si capisce perché non si possa attuare ciò che abbiamo e che già conosciamo, più che sufficiente per il fabbisogno planetario. Vorrei ricordare che la sola fonte eolica potrebbe fornire 4 volte l’attuale fabbisogno mondiale: fonte? L’ENEL, che riporta uno studio dell’Università di Standford. E il sole? L’acqua? Non raccontiamo balle.
Allora, se l’ENI le racconta “soavi”, andiamo a vedere perché lo fa.
Strutturalmente, l’ENI è una società quotata in borsa e, dunque, parrebbe un’azienda privata ma, ma…lo Stato, ossia il Ministero dell’Economia, controlla una quota superiore al 30% del pacchetto azionario, suddivisa fra il Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti. Per inciso, la Cassa Depositi e Prestiti fa capo principalmente al risparmio postale.
Ma, ma…oltre alla consistente quota azionaria, l’ENI conserva la cosiddetta golden share[2] (letteralmente, “quota dorata”) che consegna, praticamente, nelle mani dei Governi i destini delle aziende “privatizzate”, poiché consente ai Governi di nominare nei Consigli d’Amministrazione membri aggiuntivi con ampi poteri.
Che la golden share sia il solito pateracchio fra liberalismo (di facciata) ed interesse politico e lobbistico (reale), si vide con la cosiddetta “tassa sul tubo” di qualche anno fa, trasformata poi in un semplice prelievo di denaro, da parte del Tesoro, dalle casse di ENI ed ENEL.
Prelievi, è bene ricordarlo, che non sono finalizzati a precise voci di bilancio, a specifici progetti verificabili, bensì (come il prelievo di 3,5 miliardi dal fondo TFR dell’INPS) sono inseriti indistintamente come attivi di bilancio.
A quel punto, si scatena la lotta fra i vari dicasteri per acchiappare tutto quel che si può: con quei soldi, si finanziano i mille rivoli del sottogoverno e della marcescente finanza locale. Esempi?
I circa 900, fra parenti e sodali, inseriti dal sindaco di Roma Alemanno nelle varie società controllate dal Comune di Roma, rappresentano proprio la personificazione, la tangibilità del perverso “giro” petrolio>prelievo pubblico>voci di spesa sui bilanci pubblici>ritorno sotto forma di voti. In quel caso, fu usata come tramite la legge per “Roma capitale”.
Il medesimo percorso fu quello che condusse allo scontro fra il Ministro Carfagna e il Coordinatore campano del PdL, Cosentino, sulla destinazione dei “fondi speciali” per la “soluzione” (ah! ah! ah!) del problema dei rifiuti in Campania: in realtà, quei soldi serviranno nella prossima campagna elettorale per il Sindaco di Napoli, e chi riceverà più soldi nominerà i suoi sodali nei posti chiave, dai quali partirà la “raccolta” elettorale.
Ciò che fa sorridere, è che tutte queste operazioni portano l’imprimatur (anche) dei “controllori padani”. Bossi? Prrrr…
Vogliamo un ulteriore esempio di contraddizione fra il benessere della popolazione e gli interessi dell’oligarchia?
Tu, cittadino, fai pure tutte le attività virtuose che ritieni giuste per limitare la quantità di rifiuti: raccolta differenziata, separazione della frazione umida, ecc.
Noi, Stato, variamo una legge che consente ai comuni di calcolare la tassa sulla spazzatura sui soli metri quadrati della tua casa, che tu li abiti tutti oppure in parte, che tu faccia un quintale di spazzatura il giorno oppure mezzo chilo.
Perché, vedi, se tu produci poca spazzatura, si riduce il “giro” dei camion e delle discariche, dal quale ricaviamo voti e tangenti. Hai capito che, per noi, che tu produca sempre più spazzatura è una necessità ineludibile, vero?
Poi, faremo tutte le campagne di stampa e gli spot che vorrai… – se li faremo sulle reti del nostro Capo meglio ancora, così ci guadagnerà qualcosa per i suoi bunga-bunga – insomma…faremo tutto quello che ci farà apparire belli e puliti ma tu, ci raccomandiamo, getta più che puoi e paga. Questo è ciò che conta: soprattutto, paga.
Riassumendo, la classe politica può rischiare di privarsi di un sicuro cespite di reddito – destinato principalmente al binomio sottogoverno/voti – per approvare piani di sviluppo industriali (energie rinnovabili) i quali, pur diventando – nel medio-lungo periodo – delle fonti di reddito per gli italiani più sicure, finirebbero per rendere più indipendenti gli italiani stessi dalle anticamere dei notabili politici?
Ossia, il voto sarebbe più per scelta ed “appartenenza” che per convenienza?
Una simile, scellerata gestione dell’economia e della cosa pubblica può avvenire soltanto perché, a differenza d’altri Paesi, le famiglie italiane sono meno indebitate e, anzi, conservano al loro interno sufficienti risorse per sopperire al lavoro “a singhiozzo” e/o sottopagato dei giovani. Già, fino a quando?
Per ora, la tendenza sembra ancora quella scellerata di voler “mobilizzare” le risorse interne alle famiglie: da un lato con la vera e propria rapina che rappresenta l’aumento iperbolico di gabelle, che si moltiplicano per tutte le amministrazioni. Con l’eventuale approvazione del cosiddetto “federalismo”, si stima – per i redditi medi – un aggravio di spesa di 900 euro l’anno.
Su un altro versante, si prospetta il “mattone” come unica soluzione sicura per chi ancora conserva i frutti delle passate stagioni industriali, quando – a fronte delle produzione diffusa e con sindacati che non erano proprio scesi all’ultimo scalino – qualcosa si riusciva ancora a risparmiare.
Nella nostra follia, consumiamo territorio[3] a ritmi apocalittici:
“…l'equivalente della superficie di Lazio e Abruzzo messi insieme, più di 3 milioni di ettari liberi da costruzioni e infrastrutture, era sparita in soli 15 anni, dal 1990 al 2005.”
Perché lo facciamo?
Avevo chiarito questo aspetto in un altro articolo – La guerra di Cementland[4] – ma, sinteticamente, riassumiamo per due motivi: mantenere altro il “sacro” PIL e far credere agli italiani che quelle case siano, in realtà, “ricchezza”.
In realtà, continuando a costruire cubature pari a 10 volte l’aumento della popolazione (considerando gli immigrati, perché il saldo dei soli italiani è negativo o prossimo allo zero), prima o dopo la legge della domanda e dell’offerta comincerà a far sentire la sua inesorabile tagliola. Già oggi, il puro mantenimento dei caseggiati e degli appartamenti ne consiglia la vendita: e, qualora, il fenomeno si generalizzasse? Assisteremmo, di botto, al crollo dei valori immobiliari: decenni passati ad ammassare cemento per nulla.
Concludendo, impegniamo risorse, tempo ed energie per costruire “cose” che non servono a niente mentre, per un perverso “giro” contabile che deve consentire la sopravvivenza dell’attuale classe politica, ci guardiamo bene dal programmare ed investire in settori quali l’energia, l’agricoltura di qualità ed il turismo, che potrebbero realmente migliorare le nostre vite.
Non a caso, proprio nei settori indicati, ci sono stati “ignavi immobiliari” (Scajola) – non so chi mi ha comprato casa! – poi sostituito, dopo molti mesi, da un ex dipendente Mediaset che ne sa di attività produttive quanto io conosco il cinese. L’Agricoltura è una “poltrona a rotazione”, con risultato finale sempre identico: zero, mentre al Turismo c’è una ragazza che, come palmares, può presentare la sua attività di “giornalista” (ah! ah! ah!) nei locali notturni di dubbio gusto. A coronamento del tutto, due veri “professionisti”: Bondi (mai passato per un’esperienza amministrativa di teatri, gallerie et similia) e la Gelmini, che non ha insegnato un sol giorno. Andem ben.
Su tutto, a regnare su questo panorama da incubo, le prime pagine dei giornali che si strusciano un giorno dopo l’altro sotto le lenzuola della villa di Arcore, per scoprire se Ruby Rubacuori, quando e se la dava, aveva oppure no 18 anni.
I tunisini hanno dimostrato d’essere maggiorenni: noi, più che minorenni, sembriamo minorati.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Gianni Rodari
E’ facile fare il giornalista o lo scrittore in Italia, perché tutto ciò che deve fare chi scrive è trovare uno dei tanti bandoli della matassa: dopo, appiccicati con colla petrolifera, salteranno fuori tutte le figurine Panini della politica e dell’economia. Si può partire da qualsiasi bandolo: gli altri, diligentemente incollati, seguiranno.
Toh, c’è un bandolo chiamato “FIAT”: proviamo da quello?
Ma sì.
La vicenda della FIAT, per come appare, lascia intravedere il problema di fondo, ossia quello del futuro industriale italiano.
Da più parti si ricorda l’impetuoso irrompere sulla scena delle economie emergenti – ed è senz’altro vero ed importante – si dimentica, però, che le altre nazioni europee hanno subito anch’esse l’impatto con la globalizzazione, ma non sembrano esserne uscite con le ossa rotte quanto l’Italia.
C’è, in questo ennesimo tormentone italiota, una catena di mistificazioni che è meglio affrontare e chiarire: la prima riguarda il reale impatto della crisi finanziaria internazionale sull’Italia.
E’ certamente vero che la crisi dei mutui subprime ha colpito l’Italia in modo meno violento rispetto ai Paesi anglosassoni: il capitalismo italiano presenta ancora molti aspetti di conduzione familiare, oppure s’affida al credito in modi più tradizionali. Sotto il puro aspetto capitalista, questa è una specificità che può diventare un freno – meno “elastica” è la mentalità nel far debiti, meno le merci circolano velocemente, ecc – difatti, le famiglie italiane sono meno indebitate rispetto a molti Paesi.
Un po’ di “carta straccia” è circolata anche qui, addirittura alcuni grandi comuni (Milano, ad esempio) sono finiti nella trappola, ma i “numeri” non erano certo quelli delle banche estere nazionalizzate “di brutto”, per non farle finire sul lastrico dalla sera alla mattina.
Sull’altro versante, la crisi dei subprime ha creato una voragine di debito che è stata scaricata sui bilanci statali (il famoso “piano Paulson”), con i conseguenti ed inevitabili aggravi per la popolazioni, derivanti da aumenti – più o meno mascherati – della fiscalità.
Il “raffreddarsi” dell’economia planetaria, il “vorticar lento” del processo materie prime/merci/rifiuti che è alla base di questo scellerato sistema economico, ha inevitabilmente colpito anche l’Italia, in modo diretto – diminuzione delle commesse e delle esportazioni – ed indiretto, ossia per quell’atteggiamento “attendista” che tuttora dura, poiché nessuno avverte come passato il pericolo.
La situazione, qual è?
Il sistema industriale naviga “a vista”, galleggia appena con esportazioni discontinue, mentre il “volano” della spesa per le infrastrutture non può avviarsi, poiché la crisi ha drenato risorse per il misero welfare nazionale.
Grandi opere come il Ponte sullo Stretto od il programma nucleare continuano a procedere sulla carta, ma nella realtà è difficile ipotizzare una loro partenza effettiva, poiché il debito pubblico continua a salire e la speculazione non aspetta altro che di poter colpire l’euro in un Paese più significativo, non la Grecia od il Portogallo. C’è da dire che, una crisi italiana sul modello greco, significherebbe probabilmente l’abbandono della moneta unica da parte della Germania e la fine dell’esperimento monetario europeo.
Il che, non sarebbe scevro di rivolgimenti politici e probabilmente di separazioni – più o meno “consensuali”, più o meno pacifiche, più o meno definitive – proprio perché il crollo della moneta unica non sarebbe, come molti ritengono, un semplice ritorno alla possibilità di svalutazione della Lira. Potrebbe essere un altro incubo, con i grandi fondi internazionale lanciati al ricatto della moneta italiana (o spagnola, o belga, ecc).
Per evitare simili scenari – questo è il “merito” che Tremonti, unilateralmente, si attribuisce – è stata varata la strategia del “congelamento”, ossia del puro e semplice mantenimento dello status quo. In quest’ottica, si può capire l’assenza di un ministro per le Attività Produttive lunga un semestre – impensabile in altri Paesi – perché, tanto, c’era poco da programmare e da decidere.
Silenziosamente, dalle dimissioni di Scajola, Tremonti ha provveduto a “drenare” le risorse di quel ministero, a dirottare fondi, per mantenere adamantina la visione dell’uomo che “mantiene i conti in ordine”.
Certo, avere a che fare con un Presidente del Consiglio più dedito al bunga-bunga che alla cura della nazione non aiuta, al punto che la nomina del successore di Scajola cade su un ex dipendente Mediaset, Paolo Romani. Come a dire: mettiamo su quella poltrona un uomo simile al famoso detersivo “che non graffia”.
Da qui, discendono “accordi” come quello raggiunto alla FIAT, che sono principalmente diretti a conseguire due obiettivi: mostrare la determinazione liberticida del Governo allo “zoccolo duro” dei ricconi che sicuramente lo voteranno sempre, il 20% della popolazione, ed a mostrare i muscoli nei confronti delle organizzazioni sindacali che s’oppongono.
Sull’altro versante – siccome il costo del lavoro nella produzione di un’automobile partecipa per un misero 7%, e dunque lo spostamento di qualche pausa o quota di straordinario od altro ancora non potranno mai compensare le deficienza organizzativa e la pochezza, in termini di know how, del gruppo – la mancanza di un piano industriale, d’innovazione, di ricerca (sommato al gap “storico” che la FIAT sconta nei confronti dei competitori nel mercato) è un occhio strizzato alla futura speculazione immobiliare sulla “città dismessa” che diventerà Mirafiori. Con, non dimentichiamolo, gli Agnelli che affilano le lame e gli Elkann che fanno altrettanto: Margherita Agnelli è già in causa con i figli!
Cosa si può fare, oggi?
In questo scenario, con questi attori politici, con questa impostazione dell’economia, con questi poteri forti che la controllano, è presto detto: nulla. All’Italia servirebbe probabilmente una rivoluzione “bolivariana” o qualcosa di simile, perché ci sono troppi paradigmi che dovrebbero essere cancellati tout court per risollevarla.
Voglio, però, ricordare che questa situazione non è figlia dell’oggi, e che qualcuno già ci rifletteva parecchi anni or sono.
Nel 2004, quando uscì il mio Energia, Natura e Civiltà: un futuro possibile? (Giunti Editore), per una caso della vita una persona mi propose d’inviare una copia a Romano Prodi, fornendomi il suo indirizzo privato. A margine, voglio ricordare che – con una simile procedura – ne inviai una copia anche all’allora parlamentare dei Verdi Grazia Francescato: il libro fu rifiutato ed il pacco ritornò a me intonso. Tanto per dire come s’informano, al modico stipendio di 19.000 euro il mese.
Prodi, invece (all’epoca, era Presidente della Commissione Europea), gentilmente rispose sottoponendomi alcune critiche e proposte, che non svelerò perché non è educato rivelare la corrispondenza altrui.
Cosa proponevo nel 2004?
Le stesse cose che continuo a ripetere da anni: l’unica via per mutare la situazione dell’asfittica economia italiana è attingere, finalmente, alle decine di miliardi di euro che l’Italia ogni anno spende per l’approvvigionamento energetico. Siamo in una “forbice” fra i 30 ed i 60 miliardi l’anno, secondo i consumi, il variare dei prezzi ed i rapporti di cambio fra le monete: in ogni modo, una montagna di soldi.
Nel dettaglio, prospettavo un forte balzo in avanti dell’eolico e due settori di ricerca che, nel medio periodo, sarebbero potuti diventare dapprima dei progetti pilota, quindi delle fonti alle quali attingere: le caldere dei vulcani a magma basico e le correnti sottomarine.
La programmazione del piano energetico sarebbe dovuta rimanere in mano pubblica, mentre la realizzazione delle varie fasi poteva essere affidata ad una holding composta dai “fiori all’occhiello” della tecnologia e dell’imprenditoria italiana: FIAT, OTO Melara, Italcantieri, Ansaldo, ecc.
Agendo in questo modo, ci sarebbero state importanti “ricadute” sull’industria nazionale in termini di know how e di realizzazioni d’impianti anche all’estero, come un tempo avveniva per molte aziende italiane oltre, ovviamente, alle realizzazioni per l’Italia, Paese tributario dall’estero, ricordiamo, per più dell’80% del proprio fabbisogno energetico.
Vorrei precisare che, all’epoca, la situazione era diversa rispetto all’oggi: solo per citare un esempio, il solare termodinamico di Rubbia era solo alle prime fasi di sperimentazione, non una realtà come oggi. Dunque, un piano energetico dei nostri giorni potrebbe assommare più settori ed essere diverso rispetto a quello del 2004.
Ricordo che conclusi la lettera con un avvertimento – già si sapeva che Prodi sarebbe tornato in Italia, per sfidare Berlusconi alle elezioni del 2006 – che suonava pressappoco così “gli esami di riparazione sono stati aboliti (all’epoca, così era), perciò il centro-sinistra deve stare molto attento alle proposte che farà e, se eletto, a cosa realizzerà: gli elettori potrebbero bocciarlo senza possibilità d’appello.”
Fui facile profeta.
Aprendo una breve parentesi, qualcuno addossò quel fallimento al fragile equilibrio al Senato, frutto della “porcata” di Calderoli, dei vari tradimenti (sempre IDV, De Gregorio) e della solita campagna acquisti di Berlusconi con il consueto corollario d’attricette e roba del genere. E’ in parte vero, ma solo in parte.
Quello che mancava era una proposta politica chiara, e non solo sull’energia: la querelle dei PACS e del mancato adeguamento alla tassazione europea (20%) dei redditi da capitale (fermo, in Italia, al 12,5%), racconta due diverse vicende, nelle quali furono sempre le stesse persone a bloccare tutto, le stesse che oggi tengono sotto scacco il PD.
Come tutti sanno, il PD nasce dalla fusione fra parti di ex democristiani e di ex comunisti: un aborto spontaneo o procurato? E’ l’unico dilemma.
Oggi, non si parla più di “volar alto”, bensì di riuscire almeno ad avere una posizione comune sulle vicende politiche ma quei “veti”, che affossarono i provvedimenti necessari per riequilibrare la tassazione a favore dei redditi più bassi e da lavoro, sono gli stessi.
Personaggi come Fioroni si capisce fin troppo bene cosa stiano a fare nel PD: lavorano per l’amico Casini, per bloccare qualsiasi iniziativa non piaccia al Vaticano od alle classi di reddito medio alte, come un tempo bloccarono i PACS (un simbolo) o, più prosaicamente, il tentativo di riequilibrare la tassazione fra capitale e lavoro.
Oggi, cosa blocca un percorso che potrebbe portare ad una maggior indipendenza energetica e ad un maggior reddito per gli italiani, derivante dagli investimenti nel settore?
Sempre le stesse persone, che solo apparentemente stanno nell’opposto schieramento: difatti, Casini è un fervente nuclearista come la solita, stessa fazione nel PD. Fazione che, se trasmigrasse da Casini, non comporterebbe nessun crollo elettorale per il PD: per questo restano, e solo gli sciocchi come Rutelli emigrano.
Dopo aver compreso perché il centro-sinistra non può avere una posizione chiara sulle scelte strategiche, torniamo all’energia.
In questi mesi, parecchie volte sono stati menzionati gli accordi fra Berlusconi e Putin in chiave energetica: South Stream, gas metano, ecc, giungendo a supporre l’interesse personale di Berlusconi in quegli affari.
La cosa, conoscendo il personaggio, non stupirebbe più di tanto: è spesso consuetudine che si “ungano” gli ingranaggi politici con puro grasso di petrolio, e non si capisce proprio perché Berlusconi dovrebbe essere l’eccezione.
La cosa grave è che, tutti questi aspetti – senz’altro veri, in toto od in parte – nascondono una grossa variabile, forse la parte più significativa della questione.
Chi è l’ENI?
Perché all’Italia, nazione sconfitta nella 2° G.M., fu consentito d’avere una compagnia petrolifera nazionale?
Sarebbe inutile, in questa sede, approfondire temi ancora oggi controversi: bisogna però riconoscere che – senza l’assenso americano a De Gasperi – la vecchia AGIP di fascista memoria sarebbe stata liquidata e l’ENI non sarebbe mai nata.
Le cause della nascita dell’ENI furono molteplici: la presenza di giacimenti in Paesi africani precedentemente colonizzati dall’Italia, che poteva dunque favorire le compagnie americane per le molte conoscenze “in loco” degli italiani, ed una probabile contropartita per la cobelligeranza.
Il successivo tentativo “indipendentista” di Mattei fu fermato come ben sappiamo: Mattei interpretò il copione in modo troppo personale, credendo che l’Italia fosse effettivamente un Paese indipendente. E le sette sorelle rimisero a posto gli equilibri petroliferi del Mediterraneo: costò pochi chilogrammi d’esplosivo.
Oggi, l’ENI, quale posizione ha nei confronti delle energie rinnovabili?
Per bocca di Paolo Scaroni, suo Amministratore Delegato, afferma[1]:
“Noi pensiamo che a breve, con le tecnologie esistenti e con quello che sappiamo fare, le rinnovabili, sostanzialmente eolico e solare, rappresenteranno forzatamente una cosa piccola. Proprio per questo noi, come Eni, investiamo in ricerca, in particolare sul solare, e siamo convinti che solo una scoperta tecnologica rivoluzionaria può far sì che le rinnovabili diano un contributo importante al nostro fabbisogno energetico.”
Letto fra le righe, sembra una campana a morto e, se si riflette sui tempi “biblici” per la realizzazione della centrale termodinamica di Priolo Gargallo, così è: l’ENI, chiacchiere a parte, non ha nessun interesse ad incrementare la quota delle rinnovabili.
Anche quel richiamo sulla “scoperta tecnologica rivoluzionaria” sa un po’ di “raggio della morte” di fascista memoria oppure di Nikola Tesla dimenticando, però, che gli studi più interessanti di Tesla sull’energia, se esistono, sono stati secretati dagli USA e tuttora lo sono. Perciò, chi ne parla può anche far bene a ricordarlo, ma sono soltanto illazioni: Tesla fu senz’altro un genio ed un pioniere dell’elettrotecnica, ma gli studi sulla captazione e sulla trasmissione dell’energia che (probabilmente) compì sono, a noi, ignoti.
La vicenda fa probabilmente il paio con i paritetici studi di Einstein sulla teoria dell’unificazione dei campi, carteggio risalente agli anni intorno al 1925, del quale Einstein stesso ordinò la distruzione pochi giorni prima di morire.
Di conseguenza, chi cerca di deviare l’interesse verso fumose “fonti” che non si sa nemmeno se esistono realmente, finisce per fare il gioco di Scaroni: non si capisce perché non si possa attuare ciò che abbiamo e che già conosciamo, più che sufficiente per il fabbisogno planetario. Vorrei ricordare che la sola fonte eolica potrebbe fornire 4 volte l’attuale fabbisogno mondiale: fonte? L’ENEL, che riporta uno studio dell’Università di Standford. E il sole? L’acqua? Non raccontiamo balle.
Allora, se l’ENI le racconta “soavi”, andiamo a vedere perché lo fa.
Strutturalmente, l’ENI è una società quotata in borsa e, dunque, parrebbe un’azienda privata ma, ma…lo Stato, ossia il Ministero dell’Economia, controlla una quota superiore al 30% del pacchetto azionario, suddivisa fra il Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti. Per inciso, la Cassa Depositi e Prestiti fa capo principalmente al risparmio postale.
Ma, ma…oltre alla consistente quota azionaria, l’ENI conserva la cosiddetta golden share[2] (letteralmente, “quota dorata”) che consegna, praticamente, nelle mani dei Governi i destini delle aziende “privatizzate”, poiché consente ai Governi di nominare nei Consigli d’Amministrazione membri aggiuntivi con ampi poteri.
Che la golden share sia il solito pateracchio fra liberalismo (di facciata) ed interesse politico e lobbistico (reale), si vide con la cosiddetta “tassa sul tubo” di qualche anno fa, trasformata poi in un semplice prelievo di denaro, da parte del Tesoro, dalle casse di ENI ed ENEL.
Prelievi, è bene ricordarlo, che non sono finalizzati a precise voci di bilancio, a specifici progetti verificabili, bensì (come il prelievo di 3,5 miliardi dal fondo TFR dell’INPS) sono inseriti indistintamente come attivi di bilancio.
A quel punto, si scatena la lotta fra i vari dicasteri per acchiappare tutto quel che si può: con quei soldi, si finanziano i mille rivoli del sottogoverno e della marcescente finanza locale. Esempi?
I circa 900, fra parenti e sodali, inseriti dal sindaco di Roma Alemanno nelle varie società controllate dal Comune di Roma, rappresentano proprio la personificazione, la tangibilità del perverso “giro” petrolio>prelievo pubblico>voci di spesa sui bilanci pubblici>ritorno sotto forma di voti. In quel caso, fu usata come tramite la legge per “Roma capitale”.
Il medesimo percorso fu quello che condusse allo scontro fra il Ministro Carfagna e il Coordinatore campano del PdL, Cosentino, sulla destinazione dei “fondi speciali” per la “soluzione” (ah! ah! ah!) del problema dei rifiuti in Campania: in realtà, quei soldi serviranno nella prossima campagna elettorale per il Sindaco di Napoli, e chi riceverà più soldi nominerà i suoi sodali nei posti chiave, dai quali partirà la “raccolta” elettorale.
Ciò che fa sorridere, è che tutte queste operazioni portano l’imprimatur (anche) dei “controllori padani”. Bossi? Prrrr…
Vogliamo un ulteriore esempio di contraddizione fra il benessere della popolazione e gli interessi dell’oligarchia?
Tu, cittadino, fai pure tutte le attività virtuose che ritieni giuste per limitare la quantità di rifiuti: raccolta differenziata, separazione della frazione umida, ecc.
Noi, Stato, variamo una legge che consente ai comuni di calcolare la tassa sulla spazzatura sui soli metri quadrati della tua casa, che tu li abiti tutti oppure in parte, che tu faccia un quintale di spazzatura il giorno oppure mezzo chilo.
Perché, vedi, se tu produci poca spazzatura, si riduce il “giro” dei camion e delle discariche, dal quale ricaviamo voti e tangenti. Hai capito che, per noi, che tu produca sempre più spazzatura è una necessità ineludibile, vero?
Poi, faremo tutte le campagne di stampa e gli spot che vorrai… – se li faremo sulle reti del nostro Capo meglio ancora, così ci guadagnerà qualcosa per i suoi bunga-bunga – insomma…faremo tutto quello che ci farà apparire belli e puliti ma tu, ci raccomandiamo, getta più che puoi e paga. Questo è ciò che conta: soprattutto, paga.
Riassumendo, la classe politica può rischiare di privarsi di un sicuro cespite di reddito – destinato principalmente al binomio sottogoverno/voti – per approvare piani di sviluppo industriali (energie rinnovabili) i quali, pur diventando – nel medio-lungo periodo – delle fonti di reddito per gli italiani più sicure, finirebbero per rendere più indipendenti gli italiani stessi dalle anticamere dei notabili politici?
Ossia, il voto sarebbe più per scelta ed “appartenenza” che per convenienza?
Una simile, scellerata gestione dell’economia e della cosa pubblica può avvenire soltanto perché, a differenza d’altri Paesi, le famiglie italiane sono meno indebitate e, anzi, conservano al loro interno sufficienti risorse per sopperire al lavoro “a singhiozzo” e/o sottopagato dei giovani. Già, fino a quando?
Per ora, la tendenza sembra ancora quella scellerata di voler “mobilizzare” le risorse interne alle famiglie: da un lato con la vera e propria rapina che rappresenta l’aumento iperbolico di gabelle, che si moltiplicano per tutte le amministrazioni. Con l’eventuale approvazione del cosiddetto “federalismo”, si stima – per i redditi medi – un aggravio di spesa di 900 euro l’anno.
Su un altro versante, si prospetta il “mattone” come unica soluzione sicura per chi ancora conserva i frutti delle passate stagioni industriali, quando – a fronte delle produzione diffusa e con sindacati che non erano proprio scesi all’ultimo scalino – qualcosa si riusciva ancora a risparmiare.
Nella nostra follia, consumiamo territorio[3] a ritmi apocalittici:
“…l'equivalente della superficie di Lazio e Abruzzo messi insieme, più di 3 milioni di ettari liberi da costruzioni e infrastrutture, era sparita in soli 15 anni, dal 1990 al 2005.”
Perché lo facciamo?
Avevo chiarito questo aspetto in un altro articolo – La guerra di Cementland[4] – ma, sinteticamente, riassumiamo per due motivi: mantenere altro il “sacro” PIL e far credere agli italiani che quelle case siano, in realtà, “ricchezza”.
In realtà, continuando a costruire cubature pari a 10 volte l’aumento della popolazione (considerando gli immigrati, perché il saldo dei soli italiani è negativo o prossimo allo zero), prima o dopo la legge della domanda e dell’offerta comincerà a far sentire la sua inesorabile tagliola. Già oggi, il puro mantenimento dei caseggiati e degli appartamenti ne consiglia la vendita: e, qualora, il fenomeno si generalizzasse? Assisteremmo, di botto, al crollo dei valori immobiliari: decenni passati ad ammassare cemento per nulla.
Concludendo, impegniamo risorse, tempo ed energie per costruire “cose” che non servono a niente mentre, per un perverso “giro” contabile che deve consentire la sopravvivenza dell’attuale classe politica, ci guardiamo bene dal programmare ed investire in settori quali l’energia, l’agricoltura di qualità ed il turismo, che potrebbero realmente migliorare le nostre vite.
Non a caso, proprio nei settori indicati, ci sono stati “ignavi immobiliari” (Scajola) – non so chi mi ha comprato casa! – poi sostituito, dopo molti mesi, da un ex dipendente Mediaset che ne sa di attività produttive quanto io conosco il cinese. L’Agricoltura è una “poltrona a rotazione”, con risultato finale sempre identico: zero, mentre al Turismo c’è una ragazza che, come palmares, può presentare la sua attività di “giornalista” (ah! ah! ah!) nei locali notturni di dubbio gusto. A coronamento del tutto, due veri “professionisti”: Bondi (mai passato per un’esperienza amministrativa di teatri, gallerie et similia) e la Gelmini, che non ha insegnato un sol giorno. Andem ben.
Su tutto, a regnare su questo panorama da incubo, le prime pagine dei giornali che si strusciano un giorno dopo l’altro sotto le lenzuola della villa di Arcore, per scoprire se Ruby Rubacuori, quando e se la dava, aveva oppure no 18 anni.
I tunisini hanno dimostrato d’essere maggiorenni: noi, più che minorenni, sembriamo minorati.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
29 commenti:
Riporto alcuni link (penso si possa fare, giusto Prof.?)riguardo il mio precedente post sul risanamento della FIAT:
http://antoniotombolini.simplicissimus.it/?s=exor
http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201012211103218311&chkAgenzie=TMFI
http://www.finanzaonline.com/forum/mercato-italiano/772507-cosi-la-famiglia-agnelli-non-perse-la-quota-di-controllo.html
http://www.voxnova.altervista.org/fiat.html
http://affaritaliani.libero.it/economia/fiat_lettera150111.html
Saluti
Già, Emilio, potevamo aspettarci qualcosa di diverso?
Ciao
Carlo
Sig. Bertani la prego di inserire i pulsanti per poter condividere i suoi articoli su facebook e altri social network. I suoi articoli meritano di essere diffusi in modo virale!
Hai ragione Greciudd: se qualcuno mi dà una dritta su come farlo...
Ciao
Carlo
Bisogna accedere in Blogger poi andare in DESIGN dopo selezionare MODIFICA nel riquadro POST SUL BLOG e mettere la spunta su MOSTRA I PULSANTI PER LA CONDIVISIONE
Grazie Greciudd, adesso ci provo.
Carlo
Un bellissimo articolo che fa riflettere. (e che ti sprofonda nel pessimismo più nero). Grazie Signor Bertani.
Oggi a RaiTre e' successo qualcosa che mi ha (almeno) sorpreso (pensavo che non lo conoscesse quell'articolo della Costuituzione)
Bersani che sillabava l'art.54 della Costituzione Italiana (.. le funzioni pubbliche devono essere esercitate con disciplina ed onore)
Uè, gente, mika e' in atto una evoluzione della specie?
Doc
PS. i link forniti da Emilio sono esaustivi. Grazie
http://www.elcubanolibre.net
/DOSSIER_FIAT.htm
Consiglio vivamente un giro di giostra sul link di cui sopra.
Sulla questione dei terreni sui quali sorgono le proprietà immobiliari degli Agnelli bisognerebbe andare alla fonte.
Ricordo che Marco Preve ha indagato, altresì, sul caso della svendita della proprietà fondiaria della famiglia Olivetti ai grandi cementificatori-speculatori che si avviano a distruggere la Serra di Ivrea.
Qui sotto articolo e video
http://www.ariannaeditrice.it/
articolo.php?id_articolo=33871
E' chiaro che il caso Olivetti può essere tranquillamente emulato, cosa per altro già in fase di realizzazione nelle palazzine di c.so Marconi a Torino, trasformate in appartamenti di categoria A1 (4000/6000 euro a mq).
----> segue
Poi ci sono le proprietà delle finanziarie legate al gruppo FIAT, IFI e IFAL, oggi Exor.
Qui per approfondimenti
http://www.sociologia.unimib.it
/DATA/Insegnamenti/13_3353
/materiale/assetto_
istituzionale_fiat.pdf
Non mi dilungo oltre, fermo restando l'importanza dell'articolo di Carlo che dovrebbe spingerci ad investigare su più fronti.
Questi sono argomenti spinosi, certamente più importanti del Bunga Bunga del Vecchio Porco, il quale, negli anni '90, ha in effetti ingaggiato una lotta con gli Agnelli per la supremazia economico-politico in Italia, sicuramente vinta, se parliamo di numeri, persa se in quella vittoria consideriamo il triste trapasso da un' economia industriale ad una dello spettacolo: un terziario creativo, sessuo-calcistico, per intenderci.
Mentre il capitalismo energetico-petrolifero, leggi Moratti, tesseva le fila che il Carlo ha ben descritto nei suoi lavori non letti e inascoltati da certa parte politica, come lui stesso ci ha ricordato.
A parte, meriterebbe una digressione sul capitalismo bancario-religioso, IOR in primis, da vedere il film "I banchieri di Dio"
http://it.wikipedia.org/wiki
/I_banchieri_di_Dio_-_
Il_caso_Calvi
nel quale si intravvede la futura ascesa del socialismo craxiano e pluto-massonico che sfoceranno nel disastro berlusconiano.
grazie a tutti
blackskull
ma come si fa a rendere permanente l'inoltro su mail dei commenti del blog?
Salve,
io vivo a Sassari, e in questi giorni grazie al dio petrolio si e devastata l'intera costa Nord della Sardegna, da Porto Torres a Capo Testa, un intero litorale sporco di petrolio uscito da una megacisterna della E.On, nel frattempo il silenzio assordante dei media nazionali...
Le fantastiche e paradisiache spiagge della Gallura...vi lascio immaginare. fate girare questa notizia, perchè qua abbiamo la netta impressione di esser diventati un isola discarica, dalle servitù militari come il salto di Quirra (che ci regala tanti tumori) a possibile sede nucleare...adesso ci voleva anche questa marea nera!
Dateci una mano, la Sardegna sta morendo nell'indifferenza generale.
Grazie.
Daniele Canu.
@Bertani Ci è riuscito ma i suoi articoli sono stati segnalati come spam da qualcuno e non li riesco a condividere sul mio profilo facebook
@Emilio Lo deve sempre abilitare Bertani nelle impostazioni del blog
Greciudd ha detto "i suoi articoli sono stati segnalati come spam da qualcuno e non li riesco a condividere sul mio profilo facebook".
Confermo.
Comunque io ho sempre condiviso così: clicco sul titolo dell'articolo, copio e incollo su facebook la stringa dell'indirizzo.
Funziona ancora.
@G.D.CANU,
grazie della tua segnalazione alla quale aggiungerei il fallimento dell'interrogazione parlamentare di ieri sulla faccenda poco chiara della privatizzazione della Tirrenia, vista la centralità del trasporto marittimo per l'economia della Sardegna.
L'eliminazione indiscriminata di oltre il 30% delle tratte e l'innalzamento delle tariffe di tutte le compagnie concorrenti, ormai in regime di oligopolio, vanno esattamente nella direzione contraria ai benefici che la privatizzazione doveva apportare al vitale servizio.
Continua la solita solfa della privatizzazione dei profitti e della corrispettiva socializzazione dei debiti.
Non se la passano meglio i pastori, ai quali non rimane che darsi fuoco per attirare l'attenzione dei media, troppo interessati ai festini di Arcore e alle quote latte dei Verdi Allevatori Padani: qualcuno direbbe che sempre di porci e vacche si tratterebbe, in realtà si tratta semplicemente e brutalmente dell'Italia.
Ha ragione Carlo, stiamo ricevendo lezioni gratuite di coscienza popolare dai Tunisini: il problema è che non siamo in grado di assimilarle, perchè le lectio di Bunga Bunga sono più facili e piacevoli d'apprendere.
continuiamo a lottare e spostiamo le nostre forze e la nostra attenzione sulla rivista: i tempi sono più che maturi.
blackskull
Per caso mi è capitato di vedere questo:
http://www.greenpeace.it/stopnucleare/
E' uno dei temi che sono "subliminalmente" fatti passare in sordina, diffondendo messaggi (vedi l'osceno spot del forum nucleare) che creano strati di consapevolezza artificiale nelle persone, almeno quelle meno allenate alla critica.
Per G.D. Canu: la Sardegna è sempre stata trattata come una terra di serie B, inutile negarlo.
Oggi, è ancor peggio perché l'elezione di Cappellacci ha significato la saldatura fra il PdL e la fazione "cementista" del PD.
Soru aveva posto, non a caso, il piano paesaggistico come fulcro del suo programma e fu tradito proprio dalla parte "centrista" (!) del PD.
La salvezza della Sardegna non può essere disgiunta da quella dell'Italia intera, ma con altra gente che la governi. Gente che oggi non c'è: esiste solo sul Web ed in qualche associazione.
Cosa dovrebbero dire i calabresi, presi in giro per le navi-monnezza fantasma? Un relitto della 1° GM ha silenziato tutto?
Purtroppo, anche fra di noi - qui sul Web - c'è gente mascherata che lavora per il re di Prussia. Io lo so, ma non posso provarlo.
Per la diffusione, è vero che qualcuno ha indicato come spam i miei articoli, ma non ho tempo e voglia d'andarmi a perdere nei meandri di FB.
Come ha detto iri, se volete diffondere i miei articoli basta usare il vecchio sistema del breve testo seguito dal link, come faccio io (quando mi ricordo) sul mio account FB.
Scusate, ma sono in altre faccende (familiari) affaccendato.
Ciao a grazie a tutti
Carlo
La domanda è quanto ne abbiamo i coglioni pieni?
Probabilmente non abbastanza.
Il fatto che Berlusconi stia li a fare il bello e cattivo tempo ormai da anni con tutta la sua bella banda di scagnozzi e mignotte vuol dire un paio di cose.
O gli italiani ormai sono anestetizzati e lobotomizzati irreversibilmente da anni di "informazione" Berlusconiana con l'eterno placet dell'Ulivo-PDS-PD oppure pensano che il Cavaliere Oscuro non sia cosi pericoloso per il proprio orticello.
L'immagine che mi viene in mente è quella di un paese che dorme beato e ormai non sente piu ne la sveglia ne qualsiasi altro tipo di rumore molesto che puo disturbarlo dal suo sonno profondo e sogna, sogna soldi e figa.
In questi casi l'unica cosa che puo fare in modo di svegliarsi dal sonno profondo indotto da anni di buon sonnifero Mediaset-Mondadori è una bella scossa di terremoto di quelli che fanno crollare i tetti delle case,di quelli che all'improvviso di ritrovi con il tetto di casa tua a pezzi che ti cade addosso.
O rimani schiacciato sotto le macerie o ti svegli e trovi in qualche maniera la via di fuga.
Qualche giorno fa in un paese "noto" per la sua storia di democrazia e battaglie sociali c'e stata una bella scossetta.
I Tunisini c'e l'hanno fatta, gli itagliani e gli Italiani ancora no.
Forse loro non avevano niente da perdere noi ancora qualcosina.
Aspettiamo.
Porgo una domanda a tutti i frequentatori attivi o passivi del blog:
cosa c'è che non va in questo modo di fare statistica da parte dell'ISTAT?
La nuova serie delle rilevazioni ISTAT, avviata nel 2004, ha modificato alcune delle principali definizioni in uso.
Si riportano qui di seguito le definizioni delle principali variabili
Occupati: persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento:
− hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura;
− hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente;
− sono assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia).
I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione.
Gli indipendenti assenti dal lavoro, ad eccezione dei coadiuvanti familiari, sono considerati occupati se, durante il periodo di assenza, mantengono l'attività.
Poi sulla base delle risposte avanzate propongo di riscrivere le regole che si dovrebbero utilizzare per definire occupazione.
Qui di seguito, invece, troverete la cartina dell'Italia delle ore di CIG aggiornata a Novembre 2010.
http://www.cgil.it/Archivio/
SettoriProduttivi/OSSERVATORIO
/AndamentiMensiliCIG/
Rapporto_CIG_Novembre_2010.pdf
grazie a tutti
blackskull
Non credo, Mozart, che moltissimi italiani non abbiano le scatole abbastanza rotte da questo andazzo.
I dati che indica Black raccontano una vera e propria Caporetto dell'industria italiana.
Il problema è che non sanno che fare.
Forse hanno ancora qualcosa da perdere rispetto agli albanesi od ai tunisini, ma l'Italia ha una tradizione sindacale e politica che, nei decenni passati, seppe mostrare dignità e lotta per i diritti.
Cos'è cambiato?
Senz'altro "l'addestramento" mediatico, ma è sul fronte di chi doveva organizzare l'opposizione che si contano le grandi disfatte.
Come scriveva un militante del PD: "Se devo parlare col presidente del mio partito, dove lo posso trovare? Ad una regata?"
Triste ma è così.
Grazie a tutti
Carlo
Per Mozart
Vorrei che si tenesse in debito conto anche il fattore demografico.
L'età del 65% dei Tunisini va da 0 a 26 anni.
Il 65% degli Italiani va da 45 a 90 anni.
E non mi risulta che le spinte rivoluzionarie partano dai pensionati.
Detto ciò, la Storia potrebbe essere riscritta, anche se il grafico demografico italiano ha una pericolosa forma ad anfora rovesciata.
http://it.wikipedia.org/wiki
/Demografia_d'Italia
buonanotte
blackskull
Certo Black, la demografia è essenziale per capire: è la stessa paura che non consente di risolvere il problema palestinese con un solo Stato.
Figli per donna delle arabe, circa 4, delle donne israeliane poco di più di 2: lì è la differenza che, nel tempo, sancisce chi vince e chi perde.
Un altro dato interessante è che, da noi, la nuova, piccola imprenditoria vede una presenza massiccia degli immigrati.
La Lega s'illude di poter piegare la demografia con l'ideologia.
Ciao
Carlo
Interessante la scoperta di Blackskull a proposito delle definizioni dell'ISTAT. L'ennesima conferma del detto sui tre gradi delle menzogne: bugie, bugie spudorate, statistiche (lies, damned lies, and statistics).
Insomma supponiamo che il signor Rossi sia senza lavoro.
Se questa settimana il signor Rossi ha lavato l'auto al vicino che gli ha dato la mancia e al telefono lo confessa all'ISTAT, allora va ad aumentare il tasso di occupazione;
se questa settimana il signor Rossi ha chiesto al vicino "vuoi che ti lavi la macchina?" e quello gli ha detto di no, allora va ad aumentare il tasso di attività;
se questa settimana il signor Rossi è passato a salutare il cognato che fa il barbiere e l'ha aiutato a spostare gli scatoloni, allora va ad aumentare il tasso di occupazione.
Per l'ISTAT, si intende.
Sono penosi, iri, soltanto più penosi.
Ciao
Carlo
Blackskull
il grafico demografico italiano ha la forma di un'anfora rovesciata.
Invece quello della presenza degli stranieri forma una bella pagodina!
:-D
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