La filmografia degli ultimi anni sembra voler giocherellare col tempo, accelerarlo per mostrare agli spettatori il futuro: come se il futuro fosse possibile identificarlo dal parallelismo bieco fra universali, impilati l’uno sull’altro come i piatti sporchi di un ristorante, e dunque utilizzare la medesima tecnica di matrice archeologica senza, però, nessun tentativo di correlazione e di coerenza.
Si sprecano le pellicole – alcune di buon gusto, altre meno – dove gli scenari quasi mai raccontano la genesi di quelle situazioni, bensì si concentrano sugli effetti: lo spettatore viene prelevato e condotto nelle polverose strade americane, dove bande di malfattori/guerriglieri/terroristi s’affrontano e s’ammazzano. Insomma, il saloon del dopo catastrofe, la catarsi decisiva, parossisticamente liberatoria: quasi il seguito, elevato a potenza, di “Un giorno d’ordinaria follia”.
Si scorge un mondo popolato da individui che riconoscono come unici legami il clan, oppure contemplano l’esistenza dal loro pulpito di cinico individualismo: su tutto, i rapporti umani sempre delegati e regolati con la forza. Dal provvisorio bilanciamento della potenza nasce una momentanea pace, subito ribaltata dal giungere di un nuovo individuo, dalla discesa in campo del nuovo clan.
Parrebbe, a prima vista, un futuribile Medio Evo: lo è soltanto per chi, dell’Evo di Mezzo, conosce soltanto (e male) alcune manifestazioni esteriori, poco approfondite nelle loro basi storiche e, soprattutto, mal presentate da una storiografia cinematografica assai carente.
Non è questa la sede per distinguere le pellicole migliori dalle peggiori, ma per tracciare un limite: i rapporti sociali non possono essere valutati, misurati e compresi soltanto dall’analisi comportamentale, dagli apparenti parallelismi delle situazioni, poiché solo l’analisi sociologica può identificare un processo sociale e collocarlo all’interno di un percorso storico.
Non è nemmeno il caso di giungere all’esegesi di testi o di film importantissimi – Carlo Maria Cipolla, Johan Huizinga, Ermanno Olmi, ecc – per giungere ad alcune, importanti precisazioni: a differenza della vulgata imperante, il Medio Evo fu un’era di straordinario progresso tecnologico che il Mondo Antico – proprio per la sua immobilità sociale – era destinato a non recepire.
I primi mulini ad acqua, ad esempio, comparvero sotto Ottaviano Augusto ed iniziarono a moltiplicarsi man mano che l’Impero Romano accelerava la sua necrosi. I mulini a vento, invece, dovettero attendere che si creasse una “classe” di “marinai di terra”, abili a manovrare le vele dei mulini quanto quelle delle navi.
Tutto l’Evo di Mezzo fu una scoperta dietro l’altra: la bardatura dei cavalli mutò radicalmente – spostando il punto di forza all’indietro, alle spalle dell’animale – consentendo così l’aumento della forza di trazione.
Anche se per gli Arabi il Medio Evo non fu tale, fu negli stessi anni che la medicina, l’astronomia, la matematica…presso i maggiori Califfati raggiunsero gran fulgore, al punto che i testi medici della Baghdad dell’anno Mille furono in uso nelle università europee fino al Settecento.
Insomma – semplificando – dalle difficoltà nacquero le virtù.
Perché “difficoltà”?
Poiché tutto l’arco medievale fu attraversato dall’incertezza politica, dovuta al continuo mutare dei rapporti di forza fra le grandi casate, ma anche fra i vassalli minori.
Il vero Medio Evo terminò con l’infrangersi dei limiti geografici e con la nascita degli Stati nazionali, ma l’assolutismo gerarchico che lo permeava continuò a perpetrare frutti ben oltre: fino a quando?
Ci perdonerà Tocqueville, ma solo la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica – dapprima con forme di suffragio molto ridotto, poi universale – sancì il definitivo abbandono del diritto del sangue, della posizione per censo. Almeno, così parrebbe essere in molti Paesi. Oggi.
Se torniamo per un attimo alle rappresentazioni cinematografiche, non scorgiamo nel mondo d’oggi l’intrico di violenza manifesta, allo stato primordiale, che le ammantano, anche se alcune aree cittadine – oggi “off limits”, soprattutto per le donne e dopo una certa ora la sera – qualcosa significano. Ma, ripetiamo, non abbastanza per definire l’abbandono alla violenza di qualche area come un cedimento a fumose, futuribili ere di violenza e di potere gestito in modo gerarchico.
Le organizzazioni mafiose usano un coacervo di regole che le fanno apparire simili – soprattutto la gerarchia che s’evolve mediante i rapporti di forza e che s’esprime con la violenza – alla struttura gerarchica del potere medievale ma, senza perderci troppo in analogie e differenze, le organizzazioni mafiose sono considerate come un cancro della società civile.
Ciò che desta, invece, preoccupazione per un’involuzione che ha tutti i connotati del sistema medievale è la politica, intesa come partecipazione alla vita pubblica e controllo delle scelte da parte della popolazione. Qui, si notano evidenti segni di una “medievalizzazione” della società.
Se ci riferiamo all’Italia, possiamo affermare che la democrazia fu compiuta soltanto con la nascita della Repubblica: se il Fascismo negò la partecipazione democratica bistrattando il Parlamento e riducendolo all’insignificanza, il Regno d’Italia “accettava” obtorto collo che i cittadini partecipassero alla vita pubblica. Il Senato era di nomina reale, mentre il suffragio non fu mai universale: le donne, nel Regno d’Italia, mai votarono.
Con la nascita della Repubblica, fu scelta una legge elettorale di tipo proporzionale senza sbarramenti: dopo un ventennio di negazione della partecipazione democratica, l’antidoto fu individuato nel concetto “una testa, un voto”, considerando che la partita sarebbe stata giocata da pochi partiti.
Anche quando i piccoli partiti di centro insidiarono il “monolite” democristiano, la legge elettorale rimase quella, salvo modesti aggiustamenti sui collegi e poco altro di significativo.
Eppure – riflettiamo sul marasma odierno – all’epoca si ridacchiava per la “governabilità mancata” e per i “governi balneari” sempre retti da Giovanni Leone. Oggi, con sistemi smaccatamente maggioritari e nomina dei parlamentari da parte dei capataz di turno, siamo finalmente “governati” (sic!)!
La “governabilità” non è dunque la semplice somma dei voti parlamentari, bensì la corrispondenza di quei nomi, volti e voti con la realtà del Paese, altrimenti si tratta soltanto di un cenacolo di faccendieri, di una società segreta, di un clan di potere.
Torniamo, per un attimo, all’ordine medievale.
La società era gerarchica, ordinata per sangue e per nascita, rigidamente strutturata, territorialmente, in unità governate da un rappresentante della nobiltà, il quale doveva rispondere del suo operato non verso il basso – chi se ne fregava del popolino – bensì verso l’alto, presso il grande vassallo, il duca, fino al sovrano.
La rigida struttura gerarchica era considerata l’unica soluzione “salvifica” per l’incertezza politica: la gerarchia “seguiva” il mutamento, spostando in blocco (o quasi) la sua influenza secondo il mutare dei gran reggenti.
Cerchiamo di “leggere” allora – in questa chiave – il mutamento della legge elettorale dal proporzionale fino al “porcellum”, passando per il “mattarellum”.
Il passaggio al sistema maggioritario fu giustificato – Mario Segni fu il promotore dell’iniziativa – con l’impossibilità, mancando le preferenze, di controllare il voto con il noto sistema delle “quaterne”.
In pratica, all’epoca, si potevano segnalare le preferenze utilizzando il cognome, il numero di lista od entrambi.
Nascevano così, in ogni seggio, migliaia di possibilità: “Rossi, Bianchi, Verdi, Neri”, “Rossi, 2, Verdi, Neri”, “1, 2, Verdi, Neri”…eccetera. Per ogni partito, si poteva controllare facilmente se la persona alla quale era stato assegnato un codice l’aveva rispettato.
Questo fu il sistema, per inciso, che consentì alla DC di prosperare, gestendo quei 7 milioni di pensioni d’invalidità che, in seguito, i notabili democristiani giustificarono con il principio “qualcosa si doveva pur dare”.
Concetto, in sé, condivisibile (se lo leggiamo come una sorta di reddito di cittadinanza), salvo che il vero reddito di cittadinanza non può e non deve essere associato ad una rendita elettorale nominale. Ovvio che, se una coalizione di governo lo applica, riesce a gestirlo a bilancio e l’elettorato è soddisfatto, il corpo elettorale si esprimerà di conseguenza, ma questa situazione non può essere paragonata ad un sistema di controllo del voto.
A margine, notiamo come Roberto Saviano abbia spiegato dettagliatamente come le organizzazioni criminali controllino il voto, partendo da una prima scheda vergine: nei giorni successivi alle elezioni del 2006 (forse le più “dubbie” della storia repubblicana) furono persino ritrovati, a Roma, pacchi di schede vergini nei cassonetti della spazzatura.
In ultima analisi, a nessuno passò per la testa che sarebbe bastato – mantenendo la preferenza – consentire d’esprimerla col solo numero di lista, rigorosamente espresso in modo crescente: ad esempio, 2,4,6,12 – oppure – 1,3,5,18.
Gli italiani sono meno fessi di quel che creda e, se fosse stato spiegato come esprimere la preferenza, le schede annullate non sarebbero state molte, anche considerando che il voto al singolo partito sarebbe rimasto valido: in questo modo, il controllo del singolo voto sarebbe stato impossibile.
Invece, si preferì abolirla del tutto.
Si potrà obiettare che le combinazioni così espresse ancora consentirebbero molte combinazioni, ma utilizzando più candidati, cosa che – nei partiti – non è molto agevole da gestire, giacché i candidati appartengono ad aree diverse interne ad ogni formazione ed in competizione all’interno dello stesso partito.
Sia come sia, si preferì – con il passaggio intermedio della legge Mattarella – abolire la possibilità, da parte dei cittadini, di scegliere i loro rappresentanti, suscitando anche qualche “mal di pancia” da parte dei costituzionalisti.
A cose fatte, osserviamo oggi cos’è diventata la consultazione elettorale.
Un “capo” – definiamolo semplicemente così – decide chi deve essere eletto e dove: ha molti mezzi per farlo, sfruttando le candidature plurime e le liste bloccate.
Ad elezioni avvenute, grazie al premio di maggioranza alla Camera, sa d’avere una maggioranza a lui fedele, che non è minimamente correlata con l’elettorato che ha votato.
Sul territorio, poi, ci sono altre persone a lui fedeli che – per ottenere la rielezione – sanno che dovranno battere cassa dal “capo” e dal suo entourage mentre, i tramiti, saranno ancora una volta gli eletti dal “capo” in Parlamento: lo dimostrano chiaramente le “querelle” della Carfagna e della Prestigiacomo – non a caso entrambe donne e quindi “minus” nella vulgata berlusconiana – entrambe scatenate dalla necessità di poter gestire maggiori risorse, elargite a livello nazionale, sui loro territori.
Per contro, un gran plenipotenziario di regime – Giulio Tremonti – conserva le risorse affinché un altro gran papavero di regime – Umberto Bossi – possa realizzare una secessione mascherata con un pateracchio chiamato “federalismo”.
E’ un perfetto copione medievale.
Il Sovrano, forte dell’autorità concessagli da Dio (l’Unto del Signore), si circonda di una corte ristretta di Duchi – Letta, Alfano, Tremonti, Verdini, Bondi – alcuni tenuti in gran conto per capacità, altri per semplice convenienza o necessità.
Già nella cerchia ristretta c’è chi s’appresta a tradire, chi tratta col nemico, chi – strabico – mostra sguardi di sottomissione mentre prepara tranelli.
I nobili di secondo grado, i Conti, siedono in Parlamento o nelle particole di governo non ritenute essenziali, mentre emissari di fiducia, figure nell’ombra, siedono nei gangli più importanti del sistema di potere: energia, banche, pubblica amministrazione, esercito, forze di polizia.
La nobiltà di terzo grado, Marchesi e Baroni, come da tradizione occupa il territorio e lo controlla: l’autorità discende loro dal legame con il gradino superiore della nobiltà: talvolta, occupano due scranni di diverso livello contemporaneamente, Sindaco di Metropolis e Deputato eletto. Conte d’Alessandria e Marchese del Monferrato.
Manca un attributo essenziale, rispetto al vero Medio Evo: la figura pregnante ed omnipervasiva della religione. Poco male: la nuova religione sulla quale fondare un plafond di valori condivisi, e in grado di penetrare ovunque, è lo schermo televisivo, mediante il quale le sexy infermiere vagano, dagli studi di Italia1 allo scantinato del bunga-bunga.
Qualcuno – seriamente – pone il problema di buttare nel cesso le leggi elettorali maggioritarie e tornare al proporzionale? No, tutti cercano disperatamente – roboanti affermazioni a parte – di mantenere lo status quo, perché oltre questo sistema c’è il nulla.
Le elezioni del 2008 hanno consegnato una maggioranza stabile alla Camera ed al Senato, ma già si sa che il fenomeno sarà irripetibile[1]: il Senato – creato da Calderoli in quel modo per detronizzare Prodi – non potrà più avere una maggioranza, a meno di non trattare con Fini e Casini.
Questo è il dilemma che si consuma nelle stanze di Palazzo Chigi, nelle Presidenze delle Camere, fino ai soffitti affrescati del Quirinale. La domanda è una sola: e dopo?
Cosa si potrà inventare, quando un premio di maggioranza sancirà (chiunque sia) la vittoria alla Camera ad uno schieramento, il quale metterà probabilmente insieme i voti di un quarto degli italiani, mentre il Senato sarà ingovernabile, e solo Fini e Casini saranno gli arbitri della situazione?
Potrebbe essere “la” soluzione, ma qualora l’inossidabile Cavaliere avesse la maggioranza alla Camera, il blocco sarebbe totale, perché giammai accetterebbe una maggioranza di governo che non sia da lui stesso guidata.
Peggio ancora se alla Camera dovesse prevalere il centro-sinistra (alcuni sondaggi mostrano una sostanziale parità fra il PdL-Lega ed il centro-sinistra dal PD a Vendola), poiché si dovrebbe configurare un’alleanza innaturale, fra Vendola e Fini.
Perché ci hanno condotti in un simile budello? Cos’era cambiato?
Sostanzialmente, due cose.
Per prima cosa l’Europa, dopo cinque secoli, ha perso il primato della produzione industriale: tutti sanno che, nell’arco di qualche decennio, la Cina ed i Paesi del BRIC avranno in mano le “chiavi” del futuro tecnologico ed economico del Pianeta.
Una situazione di crisi e di difficoltà, un mutamento epocale, qualcosa d’assimilabile alla spaventosa crisi del Mondo Antico che fu dovuta a cause interne, non alla calata dei barbari, altrimenti la domanda sarebbe d’obbligo: perché, prima, i barbari non scendevano?
Ciò sta conducendo l’Europa a concentrarsi (unione, spesso azzardata e troppo veloce) e ad arroccarsi su posizioni isolazioniste: anche la partecipazione alle nuove guerre neocoloniali è in crisi, e la sconfitta è lampante.
In un Paese come l’Italia – tributario d’energia per l’80% e con un’economia basata sulla trasformazione e sulle esportazioni – il problema mette probabilmente in crisi il sistema più che in altri Paesi: da qui, la tentazione “neomedievale”.
La seconda è invece interna all’Unione Europea.
Rammentiamo quella che fu definita la grande “svista” di Giulio Andreotti, quando affermò di non credere che la riunificazione tedesca sarebbe mai stata possibile[2]?
Eppure, Andreotti non è proprio l’ultimo arrivato in politica estera: perché non voleva crederci? Solo timore per il sempre temuto pangermanesimo?
A nostro avviso, Andreotti vide nella riunificazione tedesca un elemento di polarizzazione troppo smaccato dell’Europa: pochi anni dopo si creò “l’asse” Parigi-Berlino e tutta la gestione dell’Unione Europea fu nelle mani delle due nazioni, lasciando marginali spazi ad altri. Si pensi al “forzoso” allargamento verso Est, che porta vantaggi quasi soltanto all’economia tedesca, e briciole e problemi agli altri.
Addirittura, il sotterraneo conflitto fra la BCE e la Commissione Europea (Francoforte vorrebbe avere un controllo “tecnico” sull’economia) sembra quasi un parallelismo fra il secolare conflitto fra l’Imperatore ed il Papato: questi conflitti, esulano completamente da qualsiasi controllo democratico, giacché avvengono fra enti nominati da cerchie oligarchiche.
Si prospetta, nuovamente, una riedizione del Sacro Romano Impero, con una elemento centrale – la Germania – che controlla economicamente una serie di Paesi tradizionalmente a lei vicina: il resto dell’UE è sotto scacco e non può far altro che accettare, via via, tutti i diktat di Berlino.
Regge l’alleanza con Parigi, ma la Francia ha altre possibilità?
La situazione è questa.
Ora, di fronte alle novità di portata storica che avanzano, quale può essere l’atteggiamento delle classi politiche? Soltanto due: l’elaborazione del “lutto” oppure l’arroccamento e la rimozione.
La classe politica italiana non è stata in grado e non è capace d’elaborare il “lutto” conseguente alla perdita dei primati industriali: ciò significherebbe, anzitutto, puntare sui settori che ancora possono creare ricchezza.
Energia, turismo, agricoltura di qualità, ricerca.
Per attuare queste politiche, bisognerebbe – alla base – riportare il prelievo fiscale su schemi di maggiore equità: semplicemente, adeguando le aliquote IRPEF e gli sgravi fiscali al nuovo scenario. Non è possibile pensare ad un qualsivoglia futuro, se il 10% degli italiani possiede il 45% della ricchezza nazionale.
Eppure, gran reggenti, gran commis e chierici di regime – dall’inossidabile Cavaliere a Confindustria, passando per Marchionne o per Casini – si muovono costantemente nella vecchia ottica, quando l’Italia era un Paese che produceva ed esportava.
Le differenze che appaiono, fra questi pessimi attori, non sono di merito (ossia sulle politiche da attuare per ottenere un diverso risultato), bensì di prassi: come mantenere l’esistente cambiando semplicemente gli attributi.
In questo quadro, si collocano vicende come quella della FIAT oppure la querelle nucleare: mantenere il quadro esistente, arroccando sempre di più il potere in un’aristocrazia economica. Al più, si scatenano modeste battaglie fra un gruppo e l’altro, fra un gestore e l’altro del sistema di potere.
A differenza del Mondo Antico, però, oggi esistono mezzi d’analisi più accurati, vi sono maggiori potenzialità tecnologiche e produttive, più cultura diffusa: perciò, l’arroccamento nelle nuove fortezze del potere è strumentale, non inevitabile.
Qualcosa si sta muovendo nel Mondo Arabo: pletore di nuovi diseredati, che non chiedono soltanto la soluzione dell’antico dilemma – l’equilibrio fra l’Islam e la modernità – bensì domandano, a suon di violenza, d’essere considerati attori dei processi economici e culturali, non servi della gleba del Sud del mondo: Andalù, non c’è più.
Anche perché, al Nord del Sud – oramai – la situazione non sembra essere molto diversa: c’è ancora ricchezza, ci sono maggiori possibilità…ma per quanto?
La straordinaria velocità dell’informazione, potrebbe condurre il Neofeudalesimo alla crisi ancor prima che s’assesti, che riesca ad esprimersi nella società in modo compiuto: è l’unica speranza che ancora rimane per un processo evolutivo, per non cadere nella mummificazione del potere ingessato e calcificato delle oligarchie gerarchiche.
Se la scomparsa dei limiti geografici fu determinante per il crollo del mondo medievale, un’altra scoperta comparve negli stessi decenni: la stampa.
La moltiplicazione della cultura stampata, la sua più rapida diffusione, fu determinante per strappare i privilegi della conoscenza agli oligopoli dell’epoca: ricordiamo che, dopo la sottomissione al Papato e l’abiura delle sue scoperte, Galileo inviò ad Amsterdam – “De Zeven Provincien”, le Province Libere – le sue opere affinché fossero diffuse.
Oggi, il mondo di Internet mette in contatto il bloggher tunisino con il suo omologo belga, danese, neozelandese…ci sono ancora barriere linguistiche, ma grazie al lavoro dei molti traduttori volontari gli ostacoli si frangono.
Di là delle miserie umane dell’oligarchia italiota, questa è la nostra unica, vera speranza.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza fini di lucro.
Si sprecano le pellicole – alcune di buon gusto, altre meno – dove gli scenari quasi mai raccontano la genesi di quelle situazioni, bensì si concentrano sugli effetti: lo spettatore viene prelevato e condotto nelle polverose strade americane, dove bande di malfattori/guerriglieri/terroristi s’affrontano e s’ammazzano. Insomma, il saloon del dopo catastrofe, la catarsi decisiva, parossisticamente liberatoria: quasi il seguito, elevato a potenza, di “Un giorno d’ordinaria follia”.
Si scorge un mondo popolato da individui che riconoscono come unici legami il clan, oppure contemplano l’esistenza dal loro pulpito di cinico individualismo: su tutto, i rapporti umani sempre delegati e regolati con la forza. Dal provvisorio bilanciamento della potenza nasce una momentanea pace, subito ribaltata dal giungere di un nuovo individuo, dalla discesa in campo del nuovo clan.
Parrebbe, a prima vista, un futuribile Medio Evo: lo è soltanto per chi, dell’Evo di Mezzo, conosce soltanto (e male) alcune manifestazioni esteriori, poco approfondite nelle loro basi storiche e, soprattutto, mal presentate da una storiografia cinematografica assai carente.
Non è questa la sede per distinguere le pellicole migliori dalle peggiori, ma per tracciare un limite: i rapporti sociali non possono essere valutati, misurati e compresi soltanto dall’analisi comportamentale, dagli apparenti parallelismi delle situazioni, poiché solo l’analisi sociologica può identificare un processo sociale e collocarlo all’interno di un percorso storico.
Non è nemmeno il caso di giungere all’esegesi di testi o di film importantissimi – Carlo Maria Cipolla, Johan Huizinga, Ermanno Olmi, ecc – per giungere ad alcune, importanti precisazioni: a differenza della vulgata imperante, il Medio Evo fu un’era di straordinario progresso tecnologico che il Mondo Antico – proprio per la sua immobilità sociale – era destinato a non recepire.
I primi mulini ad acqua, ad esempio, comparvero sotto Ottaviano Augusto ed iniziarono a moltiplicarsi man mano che l’Impero Romano accelerava la sua necrosi. I mulini a vento, invece, dovettero attendere che si creasse una “classe” di “marinai di terra”, abili a manovrare le vele dei mulini quanto quelle delle navi.
Tutto l’Evo di Mezzo fu una scoperta dietro l’altra: la bardatura dei cavalli mutò radicalmente – spostando il punto di forza all’indietro, alle spalle dell’animale – consentendo così l’aumento della forza di trazione.
Anche se per gli Arabi il Medio Evo non fu tale, fu negli stessi anni che la medicina, l’astronomia, la matematica…presso i maggiori Califfati raggiunsero gran fulgore, al punto che i testi medici della Baghdad dell’anno Mille furono in uso nelle università europee fino al Settecento.
Insomma – semplificando – dalle difficoltà nacquero le virtù.
Perché “difficoltà”?
Poiché tutto l’arco medievale fu attraversato dall’incertezza politica, dovuta al continuo mutare dei rapporti di forza fra le grandi casate, ma anche fra i vassalli minori.
Il vero Medio Evo terminò con l’infrangersi dei limiti geografici e con la nascita degli Stati nazionali, ma l’assolutismo gerarchico che lo permeava continuò a perpetrare frutti ben oltre: fino a quando?
Ci perdonerà Tocqueville, ma solo la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica – dapprima con forme di suffragio molto ridotto, poi universale – sancì il definitivo abbandono del diritto del sangue, della posizione per censo. Almeno, così parrebbe essere in molti Paesi. Oggi.
Se torniamo per un attimo alle rappresentazioni cinematografiche, non scorgiamo nel mondo d’oggi l’intrico di violenza manifesta, allo stato primordiale, che le ammantano, anche se alcune aree cittadine – oggi “off limits”, soprattutto per le donne e dopo una certa ora la sera – qualcosa significano. Ma, ripetiamo, non abbastanza per definire l’abbandono alla violenza di qualche area come un cedimento a fumose, futuribili ere di violenza e di potere gestito in modo gerarchico.
Le organizzazioni mafiose usano un coacervo di regole che le fanno apparire simili – soprattutto la gerarchia che s’evolve mediante i rapporti di forza e che s’esprime con la violenza – alla struttura gerarchica del potere medievale ma, senza perderci troppo in analogie e differenze, le organizzazioni mafiose sono considerate come un cancro della società civile.
Ciò che desta, invece, preoccupazione per un’involuzione che ha tutti i connotati del sistema medievale è la politica, intesa come partecipazione alla vita pubblica e controllo delle scelte da parte della popolazione. Qui, si notano evidenti segni di una “medievalizzazione” della società.
Se ci riferiamo all’Italia, possiamo affermare che la democrazia fu compiuta soltanto con la nascita della Repubblica: se il Fascismo negò la partecipazione democratica bistrattando il Parlamento e riducendolo all’insignificanza, il Regno d’Italia “accettava” obtorto collo che i cittadini partecipassero alla vita pubblica. Il Senato era di nomina reale, mentre il suffragio non fu mai universale: le donne, nel Regno d’Italia, mai votarono.
Con la nascita della Repubblica, fu scelta una legge elettorale di tipo proporzionale senza sbarramenti: dopo un ventennio di negazione della partecipazione democratica, l’antidoto fu individuato nel concetto “una testa, un voto”, considerando che la partita sarebbe stata giocata da pochi partiti.
Anche quando i piccoli partiti di centro insidiarono il “monolite” democristiano, la legge elettorale rimase quella, salvo modesti aggiustamenti sui collegi e poco altro di significativo.
Eppure – riflettiamo sul marasma odierno – all’epoca si ridacchiava per la “governabilità mancata” e per i “governi balneari” sempre retti da Giovanni Leone. Oggi, con sistemi smaccatamente maggioritari e nomina dei parlamentari da parte dei capataz di turno, siamo finalmente “governati” (sic!)!
La “governabilità” non è dunque la semplice somma dei voti parlamentari, bensì la corrispondenza di quei nomi, volti e voti con la realtà del Paese, altrimenti si tratta soltanto di un cenacolo di faccendieri, di una società segreta, di un clan di potere.
Torniamo, per un attimo, all’ordine medievale.
La società era gerarchica, ordinata per sangue e per nascita, rigidamente strutturata, territorialmente, in unità governate da un rappresentante della nobiltà, il quale doveva rispondere del suo operato non verso il basso – chi se ne fregava del popolino – bensì verso l’alto, presso il grande vassallo, il duca, fino al sovrano.
La rigida struttura gerarchica era considerata l’unica soluzione “salvifica” per l’incertezza politica: la gerarchia “seguiva” il mutamento, spostando in blocco (o quasi) la sua influenza secondo il mutare dei gran reggenti.
Cerchiamo di “leggere” allora – in questa chiave – il mutamento della legge elettorale dal proporzionale fino al “porcellum”, passando per il “mattarellum”.
Il passaggio al sistema maggioritario fu giustificato – Mario Segni fu il promotore dell’iniziativa – con l’impossibilità, mancando le preferenze, di controllare il voto con il noto sistema delle “quaterne”.
In pratica, all’epoca, si potevano segnalare le preferenze utilizzando il cognome, il numero di lista od entrambi.
Nascevano così, in ogni seggio, migliaia di possibilità: “Rossi, Bianchi, Verdi, Neri”, “Rossi, 2, Verdi, Neri”, “1, 2, Verdi, Neri”…eccetera. Per ogni partito, si poteva controllare facilmente se la persona alla quale era stato assegnato un codice l’aveva rispettato.
Questo fu il sistema, per inciso, che consentì alla DC di prosperare, gestendo quei 7 milioni di pensioni d’invalidità che, in seguito, i notabili democristiani giustificarono con il principio “qualcosa si doveva pur dare”.
Concetto, in sé, condivisibile (se lo leggiamo come una sorta di reddito di cittadinanza), salvo che il vero reddito di cittadinanza non può e non deve essere associato ad una rendita elettorale nominale. Ovvio che, se una coalizione di governo lo applica, riesce a gestirlo a bilancio e l’elettorato è soddisfatto, il corpo elettorale si esprimerà di conseguenza, ma questa situazione non può essere paragonata ad un sistema di controllo del voto.
A margine, notiamo come Roberto Saviano abbia spiegato dettagliatamente come le organizzazioni criminali controllino il voto, partendo da una prima scheda vergine: nei giorni successivi alle elezioni del 2006 (forse le più “dubbie” della storia repubblicana) furono persino ritrovati, a Roma, pacchi di schede vergini nei cassonetti della spazzatura.
In ultima analisi, a nessuno passò per la testa che sarebbe bastato – mantenendo la preferenza – consentire d’esprimerla col solo numero di lista, rigorosamente espresso in modo crescente: ad esempio, 2,4,6,12 – oppure – 1,3,5,18.
Gli italiani sono meno fessi di quel che creda e, se fosse stato spiegato come esprimere la preferenza, le schede annullate non sarebbero state molte, anche considerando che il voto al singolo partito sarebbe rimasto valido: in questo modo, il controllo del singolo voto sarebbe stato impossibile.
Invece, si preferì abolirla del tutto.
Si potrà obiettare che le combinazioni così espresse ancora consentirebbero molte combinazioni, ma utilizzando più candidati, cosa che – nei partiti – non è molto agevole da gestire, giacché i candidati appartengono ad aree diverse interne ad ogni formazione ed in competizione all’interno dello stesso partito.
Sia come sia, si preferì – con il passaggio intermedio della legge Mattarella – abolire la possibilità, da parte dei cittadini, di scegliere i loro rappresentanti, suscitando anche qualche “mal di pancia” da parte dei costituzionalisti.
A cose fatte, osserviamo oggi cos’è diventata la consultazione elettorale.
Un “capo” – definiamolo semplicemente così – decide chi deve essere eletto e dove: ha molti mezzi per farlo, sfruttando le candidature plurime e le liste bloccate.
Ad elezioni avvenute, grazie al premio di maggioranza alla Camera, sa d’avere una maggioranza a lui fedele, che non è minimamente correlata con l’elettorato che ha votato.
Sul territorio, poi, ci sono altre persone a lui fedeli che – per ottenere la rielezione – sanno che dovranno battere cassa dal “capo” e dal suo entourage mentre, i tramiti, saranno ancora una volta gli eletti dal “capo” in Parlamento: lo dimostrano chiaramente le “querelle” della Carfagna e della Prestigiacomo – non a caso entrambe donne e quindi “minus” nella vulgata berlusconiana – entrambe scatenate dalla necessità di poter gestire maggiori risorse, elargite a livello nazionale, sui loro territori.
Per contro, un gran plenipotenziario di regime – Giulio Tremonti – conserva le risorse affinché un altro gran papavero di regime – Umberto Bossi – possa realizzare una secessione mascherata con un pateracchio chiamato “federalismo”.
E’ un perfetto copione medievale.
Il Sovrano, forte dell’autorità concessagli da Dio (l’Unto del Signore), si circonda di una corte ristretta di Duchi – Letta, Alfano, Tremonti, Verdini, Bondi – alcuni tenuti in gran conto per capacità, altri per semplice convenienza o necessità.
Già nella cerchia ristretta c’è chi s’appresta a tradire, chi tratta col nemico, chi – strabico – mostra sguardi di sottomissione mentre prepara tranelli.
I nobili di secondo grado, i Conti, siedono in Parlamento o nelle particole di governo non ritenute essenziali, mentre emissari di fiducia, figure nell’ombra, siedono nei gangli più importanti del sistema di potere: energia, banche, pubblica amministrazione, esercito, forze di polizia.
La nobiltà di terzo grado, Marchesi e Baroni, come da tradizione occupa il territorio e lo controlla: l’autorità discende loro dal legame con il gradino superiore della nobiltà: talvolta, occupano due scranni di diverso livello contemporaneamente, Sindaco di Metropolis e Deputato eletto. Conte d’Alessandria e Marchese del Monferrato.
Manca un attributo essenziale, rispetto al vero Medio Evo: la figura pregnante ed omnipervasiva della religione. Poco male: la nuova religione sulla quale fondare un plafond di valori condivisi, e in grado di penetrare ovunque, è lo schermo televisivo, mediante il quale le sexy infermiere vagano, dagli studi di Italia1 allo scantinato del bunga-bunga.
Qualcuno – seriamente – pone il problema di buttare nel cesso le leggi elettorali maggioritarie e tornare al proporzionale? No, tutti cercano disperatamente – roboanti affermazioni a parte – di mantenere lo status quo, perché oltre questo sistema c’è il nulla.
Le elezioni del 2008 hanno consegnato una maggioranza stabile alla Camera ed al Senato, ma già si sa che il fenomeno sarà irripetibile[1]: il Senato – creato da Calderoli in quel modo per detronizzare Prodi – non potrà più avere una maggioranza, a meno di non trattare con Fini e Casini.
Questo è il dilemma che si consuma nelle stanze di Palazzo Chigi, nelle Presidenze delle Camere, fino ai soffitti affrescati del Quirinale. La domanda è una sola: e dopo?
Cosa si potrà inventare, quando un premio di maggioranza sancirà (chiunque sia) la vittoria alla Camera ad uno schieramento, il quale metterà probabilmente insieme i voti di un quarto degli italiani, mentre il Senato sarà ingovernabile, e solo Fini e Casini saranno gli arbitri della situazione?
Potrebbe essere “la” soluzione, ma qualora l’inossidabile Cavaliere avesse la maggioranza alla Camera, il blocco sarebbe totale, perché giammai accetterebbe una maggioranza di governo che non sia da lui stesso guidata.
Peggio ancora se alla Camera dovesse prevalere il centro-sinistra (alcuni sondaggi mostrano una sostanziale parità fra il PdL-Lega ed il centro-sinistra dal PD a Vendola), poiché si dovrebbe configurare un’alleanza innaturale, fra Vendola e Fini.
Perché ci hanno condotti in un simile budello? Cos’era cambiato?
Sostanzialmente, due cose.
Per prima cosa l’Europa, dopo cinque secoli, ha perso il primato della produzione industriale: tutti sanno che, nell’arco di qualche decennio, la Cina ed i Paesi del BRIC avranno in mano le “chiavi” del futuro tecnologico ed economico del Pianeta.
Una situazione di crisi e di difficoltà, un mutamento epocale, qualcosa d’assimilabile alla spaventosa crisi del Mondo Antico che fu dovuta a cause interne, non alla calata dei barbari, altrimenti la domanda sarebbe d’obbligo: perché, prima, i barbari non scendevano?
Ciò sta conducendo l’Europa a concentrarsi (unione, spesso azzardata e troppo veloce) e ad arroccarsi su posizioni isolazioniste: anche la partecipazione alle nuove guerre neocoloniali è in crisi, e la sconfitta è lampante.
In un Paese come l’Italia – tributario d’energia per l’80% e con un’economia basata sulla trasformazione e sulle esportazioni – il problema mette probabilmente in crisi il sistema più che in altri Paesi: da qui, la tentazione “neomedievale”.
La seconda è invece interna all’Unione Europea.
Rammentiamo quella che fu definita la grande “svista” di Giulio Andreotti, quando affermò di non credere che la riunificazione tedesca sarebbe mai stata possibile[2]?
Eppure, Andreotti non è proprio l’ultimo arrivato in politica estera: perché non voleva crederci? Solo timore per il sempre temuto pangermanesimo?
A nostro avviso, Andreotti vide nella riunificazione tedesca un elemento di polarizzazione troppo smaccato dell’Europa: pochi anni dopo si creò “l’asse” Parigi-Berlino e tutta la gestione dell’Unione Europea fu nelle mani delle due nazioni, lasciando marginali spazi ad altri. Si pensi al “forzoso” allargamento verso Est, che porta vantaggi quasi soltanto all’economia tedesca, e briciole e problemi agli altri.
Addirittura, il sotterraneo conflitto fra la BCE e la Commissione Europea (Francoforte vorrebbe avere un controllo “tecnico” sull’economia) sembra quasi un parallelismo fra il secolare conflitto fra l’Imperatore ed il Papato: questi conflitti, esulano completamente da qualsiasi controllo democratico, giacché avvengono fra enti nominati da cerchie oligarchiche.
Si prospetta, nuovamente, una riedizione del Sacro Romano Impero, con una elemento centrale – la Germania – che controlla economicamente una serie di Paesi tradizionalmente a lei vicina: il resto dell’UE è sotto scacco e non può far altro che accettare, via via, tutti i diktat di Berlino.
Regge l’alleanza con Parigi, ma la Francia ha altre possibilità?
La situazione è questa.
Ora, di fronte alle novità di portata storica che avanzano, quale può essere l’atteggiamento delle classi politiche? Soltanto due: l’elaborazione del “lutto” oppure l’arroccamento e la rimozione.
La classe politica italiana non è stata in grado e non è capace d’elaborare il “lutto” conseguente alla perdita dei primati industriali: ciò significherebbe, anzitutto, puntare sui settori che ancora possono creare ricchezza.
Energia, turismo, agricoltura di qualità, ricerca.
Per attuare queste politiche, bisognerebbe – alla base – riportare il prelievo fiscale su schemi di maggiore equità: semplicemente, adeguando le aliquote IRPEF e gli sgravi fiscali al nuovo scenario. Non è possibile pensare ad un qualsivoglia futuro, se il 10% degli italiani possiede il 45% della ricchezza nazionale.
Eppure, gran reggenti, gran commis e chierici di regime – dall’inossidabile Cavaliere a Confindustria, passando per Marchionne o per Casini – si muovono costantemente nella vecchia ottica, quando l’Italia era un Paese che produceva ed esportava.
Le differenze che appaiono, fra questi pessimi attori, non sono di merito (ossia sulle politiche da attuare per ottenere un diverso risultato), bensì di prassi: come mantenere l’esistente cambiando semplicemente gli attributi.
In questo quadro, si collocano vicende come quella della FIAT oppure la querelle nucleare: mantenere il quadro esistente, arroccando sempre di più il potere in un’aristocrazia economica. Al più, si scatenano modeste battaglie fra un gruppo e l’altro, fra un gestore e l’altro del sistema di potere.
A differenza del Mondo Antico, però, oggi esistono mezzi d’analisi più accurati, vi sono maggiori potenzialità tecnologiche e produttive, più cultura diffusa: perciò, l’arroccamento nelle nuove fortezze del potere è strumentale, non inevitabile.
Qualcosa si sta muovendo nel Mondo Arabo: pletore di nuovi diseredati, che non chiedono soltanto la soluzione dell’antico dilemma – l’equilibrio fra l’Islam e la modernità – bensì domandano, a suon di violenza, d’essere considerati attori dei processi economici e culturali, non servi della gleba del Sud del mondo: Andalù, non c’è più.
Anche perché, al Nord del Sud – oramai – la situazione non sembra essere molto diversa: c’è ancora ricchezza, ci sono maggiori possibilità…ma per quanto?
La straordinaria velocità dell’informazione, potrebbe condurre il Neofeudalesimo alla crisi ancor prima che s’assesti, che riesca ad esprimersi nella società in modo compiuto: è l’unica speranza che ancora rimane per un processo evolutivo, per non cadere nella mummificazione del potere ingessato e calcificato delle oligarchie gerarchiche.
Se la scomparsa dei limiti geografici fu determinante per il crollo del mondo medievale, un’altra scoperta comparve negli stessi decenni: la stampa.
La moltiplicazione della cultura stampata, la sua più rapida diffusione, fu determinante per strappare i privilegi della conoscenza agli oligopoli dell’epoca: ricordiamo che, dopo la sottomissione al Papato e l’abiura delle sue scoperte, Galileo inviò ad Amsterdam – “De Zeven Provincien”, le Province Libere – le sue opere affinché fossero diffuse.
Oggi, il mondo di Internet mette in contatto il bloggher tunisino con il suo omologo belga, danese, neozelandese…ci sono ancora barriere linguistiche, ma grazie al lavoro dei molti traduttori volontari gli ostacoli si frangono.
Di là delle miserie umane dell’oligarchia italiota, questa è la nostra unica, vera speranza.
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9 commenti:
Ultime dall`Egitto. Mubarak assediato si gioca l´ultima carta: "Sono lo zio di Ruby!"
Povera Ruby, dopo Papi ora è nella merda anche lo “zio”. Un vero Family Day!
Non è facile commentare questo lungo articolo, ricco di argomentazioni e con tanta carne al fuoco: dal cinema alla democrazia, dal medioevo alla contemporaneità (o come dicono i vicini di Carlo “querelle des Anciens et des Modernes”) e dalla legge elettorale al Web e la velocità dell’informazione. Con questo articolo torna il Bertani del 2009/2010 .. anche se non supera, stilisticamente, il livello dell’articolo scritto tra l’epifania ed il carnevale dell’anno scorso: “Siti del Web o posti dell’anima”.
Dal punto di vista contenutistico, le analisi sono più che ottime e le condivido tutte. Preferisco, perciò, replicare quel che Carlo ha scritto nell’ultimo post del precedente articolo riguardo la “terza via” palestinese: “[Questo] - il sostanziale immobilismo e il mantenimento dello status quo - possa ancora continuare, giacché la demografia agisce comunque”. È vero: la demografia rimane un problema anche nella terza via, ma non agisce. Come?
La questione palestinese viene comunemente ed erroneamente paragonata all’apartheid sudafricano. Quest’idea è stata rafforzata soprattutto dopo l’uscita del libro dell’ex presidente statunitense Jimmy Carter “Palestine: Peace Not Apartheid” (2006). Ma è un paragone fuorviante: se prendiamo il caso del Sudafrica con l’apartheid, troviamo che il Paese aveva bisogno della sua popolazione in quanto forza lavoro. Avrebbe fatto volentieri a meno di loro, ma era costretto a includerli in qualche modo nella vita del Paese. Israele, invece, non è affatto costretto a coinvolgere i palestinesi nella vita del Paese e continuerà, perpetuando questa terza via, a rendere loro la vita impossibile, frammentando i loro territori, distruggendo le loro case, togliendo loro l’acqua, il gas ecc, per indurli ad allontanarsi dal Paese, risolvendo così la questione demografica.
A riprova di ciò, si può tornare addirittura al 1967 ed alla dichiarazione di Moshe Dyan, capo delle Forze di Difesa Israeliane, quando consigliò ai suoi colleghi di dire ai palestinesi: “Qui [nei Territori Occupati] non c’è niente per voi. Vivrete come i cani qui. Chi vuole andare, vada! Vedremo come andrà a finire”.
Dal 1967 non è cambiato l’intento dello Stato Ebraico nei confronti di chi abita da millenni a Gerusalemme, Gerico, Ramallah, Betlemme ecc. Si possono contare solo insediamenti israeliani, muri e morti in più.
Mahmoud
- Mi è piaciuto il titolo del giornalista Robert Fisk, uscito oggi con l’Independent: “Il giorno del giudizio egiziano”. Sono usciti in decine di migliaia in tutto il Paese. Pare che sia giunta l’ora della resa dei conti tra popolo e classe dirigente che sembrava apparentemente più solida di quella faraonica.
Caro mozart, come battute te la cavi molto bene. Se sai anche disegnare potresti fare concorrenza a Vauro.
Non so - Mahmoud - come Israele cerchi di risolvere il problema occupazionale interno: da sempre, i palestinesi sono stati forza lavoro in Israele.
Fu tentata un'immissione di thailandesi, ma non mi sembra che funzionò a dovere.
D'altro canto, Sion è oramai soltanto finanza % Tzahal.
L'Egitto, invece, riserverà delle sorprese: non dimentico mai che la Fratellanza Musulmana nacque nei pressi del Nilo, ad Ismailia se non erro.
La Fratellanza Musulmana è quella che, su basi teoriche, presenta la migliore risposta al dilemma Islam/modernità. Nacque proprio su quel dilemma.
Perciò, focalizziamoci sul Nilo ed aspettiamo.
Su di me...che dire...col periodo che mi trovo a passare, scrivo sì, ma l'ispirazione...la mente vaga fra campi di sterpaglie, dimenticate dal sole e piegate dal gelo.
Ciao a tutti
Carlo
D'accordo con Mahmoud sulla diversa e non paragonabile qualità con "Heimat"; d'accordo con Carlo sui palestinesi come merce lavoro a buon mercato fin dal 1967.
Il discorso di Moshe e' di quelli che tendono a rafforzare la volontà di rimanere e non viceversa, e israele ha sempre sfruttato questo orgoglio palestinese per fare...affari.
Oggi, venerdi, giornata della preghiera sta diventando una giornata per la liberazione..
Buon Cammino a chi vuole raggiungerla.
Doc
Ottima analisi.
Il cinema ebreo-californiano non può certo esprimere la mondialità. Riesce, a torto, a ricondurre la società a una rappresentazione post-apocalittica e manichea di uno scontro tra gog e magog.
Quest'ultimo non è altro che una contrapposizione socio-urbana di preriferie abbandonate al crimine o ai serial-killer (spesso personaggi disturbati da sociopatie più o meno indotte da relazioni umane psicolabili e disoccupazione repentina e insolubile) e un centro dominato da hi-tech e finanza creativa, abitato dai gius-buono-belli inseriti nel cosmo dell'integrazione totale e supina alla mono-dimensione: gli skyline delle metropoli in ascesa.
Domandiamoci anche il motivo per cui nessun attore occidentale interviene militarmente nelle rivoluzioni in atto in Nord Africa e nel Medioriente.
Venerdì Wall-Street ha fibrillato, vuole abbandonare gli asset "più rischiosi": possibile che la contromossa degli imperial-capitalisti sarà una ritorsione puramente commerciale?
Imporranno un embargo tacito ai "Cattivi".
w la libertà
blackskull
Un invito al cinema a proposito di colonizzatori e colonizzati, invasori e invasi, carnefici e vittime per gli scopi più nobili...RAZZIA... RAZZIA... RAZZIA...sottointeso... sfruttamento disumano.
"Dove sognano le formiche verdi"
by
Werner Herzog
(1984)
http://www.megavideo.com/
?v=YL0IN76G
buona visione
blackskull
Herzog è uno dei miei preferiti...
Carlo
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