Tirannide: indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.
Vittorio Alfieri – Della Tirannide
E’ oramai evidente che la parabola di Silvio Berlusconi è terminata: potranno esserci ancora fuochi d’artificio a Settembre, roboanti affermazioni, distinguo ed embrassons-nous, chiamate alle armi e grida d’arrembaggio, ma la storia che va avanti dal 1994 – almeno, nei termini nei quali la conosciamo – finirà nell’Autunno del 2010. Poi, se le elezioni saranno indette ad Ottobre od a Marzo, se ci sarà un governo tecnico di transizione od altre “fantasie” istituzionali, sono soltanto dettagli: il dato politico è altro.
Per comprendere una funzione non basta osservarne un breve tratto: lo studio deve comprendere tutto l’intervallo, e la “funzione Berlusconi”, come uomo politico, inizia con le vittoriose elezioni del 1994.
Quelle elezioni sancirono l’inizio dell’era “post”: post-democristiani s’aggregarono e si distinsero da post-comunisti e da post-fascisti, in un caleidoscopio senza fine al punto che – se osserviamo la storia politica di molti uomini politici attuali – c’è da stupire.
Rutelli ex radicale, Cicchitto ex sinistra lombardiana del PSI, Bondi ex sindaco comunista, Capezzone (ma, questo, è solo un “giovane di studio”, non a caso nato l’8 Settembre) ex tutto, la Santanché ex Billionaire…e si potrebbe continuare.
Torniamo dunque al 1994.
La nascita di Forza Italia scompigliò le carte ad un Achille Occhetto convinto di vincere la partita facilmente, per knock-out tecnico alla prima ripresa: qualcuno ricorda la “gioiosa macchina da guerra”? Subito dopo, però, la vendetta non si fece attendere ed il Cavaliere restò in sella solo sei mesi.
La domanda che ci si deve porre, allora, è un’altra: non tanto quale sarà il futuro di Berlusconi e del suo partito, quanto come sia stato possibile che un personaggio come Silvio Berlusconi sia potuto diventare Presidente del Consiglio in barba a tutte le norme. Ricordiamo, una per tutte, la sua ineleggibilità giacché fruitore di concessioni statali[1]: suvvia, togliamoci le pelli di salame dagli occhi.
In nessun Paese al mondo s’era mai visto nulla del genere: il principale imprenditore nel mondo della comunicazione – TV, giornali, riviste, ossia pubblicità – che sale al comando di una nazione! Negli USA ed in qualunque Paese europeo, fare una simile affermazione ha il valore di una barzelletta.
Gli unici esempi, in qualche modo avvicinabili a Berlusconi, sono la Thailandia[2] (esperimento già concluso da tempo) ed il Cile[3], dove era necessario “sdoganare” gli ex sostenitori di Pinochet, ossia infilare in guanti bianchi le mani insanguinate dei discendenti del generale. Inquietante parallelismo.
Secondo la cronaca politica ufficiale del Paese, ci fu uno scontro-confronto elettorale per molti anni, fra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, concluso come ben sappiamo. Procediamo con i piedi di piombo.
Il primo governo Prodi fu affossato da un tal Bertinotti – sedicente comunista – per una questione che non aveva poi chissà quale rilevanza: l’orario settimanale massimo di lavoro a 35 ore, cosa che – parallelamente – veniva abbondantemente falcidiata proprio dalle proposte “innovative” sul lavoro “flessibile” da Tiziano Treu, con il determinante contributo dei voti “comunisti”.
Chi non ha memoria corta, ricorderà che Fausto Bertinotti – in quei giorni – sulle reti Mediaset aveva più spazio del Milan e della Juventus.
Il gran teatrino del voto dopo la caduta di Prodi, la “chiamata alle urne” del solito Berlusconi, doveva nascondere il vero obiettivo (Giuliano Ferrara, vecchia volpe, lo scrisse con largo anticipo): l’ascesa di Massimo D’Alema al trono, sicuramente gradita da Berlusconi e, soprattutto, dai poteri forti. La prima visita di D’Alema, come premier, fu alla city di Londra.
Giovanni Agnelli – “con quella bocca può dire ciò che vuole” – glielo disse apertamente a Torino, all’inaugurazione della Fiera del Libro: non c’è niente di meglio che un governo di “sinistra” per mettere “a posto” i lavoratori.
Dopo aver concluso il suo breve compito – nel quale bruciò consapevolmente ogni sua credibilità con la guerra alla Serbia – Massimo D’Alema si ritirò dalla politica attiva e prese possesso della sua nuova barca da un milione di euro. Non prima, però, d’aver lasciato il testimone a Giuliano Amato, colui che avrebbe ammesso – anni dopo – d’esser stato chiamato a scrivere il Trattato di Lisbona in modo così contorto da renderlo inaccessibile ai più. Non approvate la Costituzione europea? Beccatevi ‘sto trattato.
“Purificato” da tentazioni di sultanato dal “pizzino” di Bossi del 1994, Silvio Berlusconi si mise – siamo al 2001 – diligentemente al lavoro per distruggere il poco di socialità, solidarietà e consapevolezza che ancora esisteva nella società italiana. Ossia, quello che era sopravvissuto a vent’anni del suo rullo compressore televisivo: il suo primo intervento legislativo fu cancellare la figura del socio lavoratore nelle piccole cooperative. Come si può notare, nulla che toccasse le grandi cooperative “rosse”, mentre affossava i veri impianti cooperativi con valenza sociale.
Si noti una particolarità (per niente insignificante): le “riforme” di Berlusconi – a parte le leggi ad personam, ad personas, ad aziendam, ecc – erano tutte “a futura memoria”. La riforma della scuola della Moratti fu lasciata in eredità come una bomba ad orologeria, e si dovette assistere alle penose contorsioni di un ancor più penoso Ministro come Fioroni. La stessa cosa avvenne con la riforma previdenziale Maroni – lasciata ai posteri – che fu variata in modo ancor peggiorativo da Cesare Damiano (62/37 al posto degli originari 61/36).
In buona sostanza, Berlusconi sapeva che condurre a termine quelle “riforme” gli sarebbe costato parecchio sotto l’aspetto del consenso e le lasciò così, come mela avvelenata, a Prodi.
Le elezioni del 2006 furono invece organizzate con un profilo giuridico innovativo: la novità fu determinata dal nuovo concetto di “elezione sub condicione”.
L’anello centrale di quella strategia – poi sacrificato – fu un oscuro ex democristiano, Giuseppe Pisanu, a detta di molti uno dei migliori Ministri dell’Interno degli ultimi decenni. Ma il Ministro dell’Interno è quello che ha in mano la macchina elettorale, perbacco.
E, Beppe Pisanu, non ci sta a regalare la vittoria a Berlusconi – solo i gonzi possono credere che i sondaggi che danno una differenza d’oltre il 5% svaniscano in una notte – e “circoscrive” ad un “limite tendente a zero” il vantaggio di Prodi. Tutte ipotesi, vero? Come mai, per Beppe Pisanu, nell’attuale governo non è stato nemmeno trovato un posto da lustrascarpe? E il sardo sembra avere più di un “dente avvelenato” per Berlusconi?
A questo punto – continuiamo a parlare come gonzi – fra le tante personalità che può candidare il Masaniello Di Pietro (la nuova legge elettorale gli consente di fare ciò che vuole) c’è un tal De Gregorio: personaggio incomprensibile, indebitato, con frequentazioni a dir poco “sospette” per un partito come quello del “rivoluzionario” Di Pietro.
Comprando De Gregorio, poi qualche senatore con i favori alle attricette, infine facendo balenare a Dini e Mastella qualche “posto al sole”, il gioco è fatto.
L’atto seguente è l’inevitabile scissione di quello che fu l’Ulivo – per non fornire un’arma in più alla corazzata mediatica berlusconiana – un’operazione che non dà nessun frutto e, anzi, conduce il neonato PD ad una gazzarra senza fine.
Cooptando Fini in un’alleanza vincente per Berlusconi e perdente per il presidente di AN, nasce finalmente il “sultanato” berlusconiano, e questo è il tranello nel quale cadono tutti i dittatori: l’illusione dell’immortalità politica.
La cosa può anche funzionare in qualche vero sultanato, oppure in uno dei tanti scatoloni di sabbia petroliferi, ma non in uno dei Paesi più importanti d’Europa. Se sopravvive, è perché è tollerato.
Il potere berlusconiano, però, deve essere temperato, altrimenti Berlusconi fa paura: prima Bossi, poi Casini, da ultimo Fini, sono gli attori che salgono in scena per limitare la “deriva” del Cavaliere, che è tollerato come il male minore, in nessuna occasione completamente accettato.
Da più parti si è gridato al complotto internazionale nei suoi confronti, dalla Casa Bianca all’Europa, fino alla grande finanza internazionale od alla concorrenza in campo mediatico. Sicuramente esistono aspetti di politica internazionale, ma non ci sembrano – in queste settimane – così determinanti da causarne la caduta.
L’appoggio di Berlusconi al South Stream – il gasdotto meridionale che consegna alla Russia il controllo di gran parte del tracciato, in alternativa al Nabucco, che prevedrebbe invece un maggior controllo occidentale, tramite la Turchia – cozza contro alcune evidenze.
La prima è che la Turchia, oggi – dopo lo “strappo” con Israele – è forse l’ultimo posto al mondo dove far passare un’arteria strategica come il Nabucco: è meglio trattare con Putin o con Erdogan? Riflettiamo che una trattativa con Erdogan includerebbe l’ingresso nell’UE di Ankara, dove è saldamente al potere un partito d’ispirazione islamica.
In seconda battuta, il North Stream – il gasdotto che transita sul fondo del Baltico per approdare sulle coste tedesche, il quale esclude dal controllo del gas russo l’Ucraina, la Polonia, il Belarus e le ex repubbliche baltiche sovietiche – sarà una realtà già il prossimo anno, al massimo nel 2012. Una volta ottenuto un gasdotto che riposa nelle ferree mani del duopolio russo-tedesco, ancora conviene scatenare le diplomazie in una lotta senza quartiere per il gasdotto meridionale? Nessuno nega la sua utilità ma, se riflettiamo sulla sua importanza dal punto di vista russo, “pesa” come la possibile apertura di una nuova arteria energetica verso Pechino?
Una volta seduto – metaforicamente – nei pressi dei due “rubinetti strategici” Est-Ovest, Putin ha ancora così bisogno di Berlusconi per fermare il Nabucco? Teme il gas dell’Azerbaijan?
Sul fronte della guerra afgana, il governo Berlusconi ha accettato tutti i diktat di Washington, mentre le minacce d’abbandonare gli affari dell’ENI in Iran – pressioni israeliane? – sono solo l’ennesima chimera per allocchi: è più probabile lo scenario di un Berlusconi che scappa alle Cayman, piuttosto che quello di uno Scaroni che sbatte la porta a Teheran. Difatti, il sottosegretario Saglia – ex AN – che ha la delega per l’energia, è rimasto fedele a Berlusconi: una “fedeltà” che, ai piani alti del grattacielo dell’ENI, non è certo senza limiti e senza contropartite. Che vanno oltre le schermaglie parlamentari.
In altre parole, le vicende internazionali sono più da osservare alla luce dei possibili “sponsor” per future alleanze e posizioni di governo, piuttosto che nell’attuale querelle fra Berlusconi e Fini. Non dimentichiamo che, in fin dei conti, questa gente dovrà venire a patti con l’elettorato italiano, che di gasdotti sa poco o nulla.
Sul piano della politica interna, il governo Berlusconi è un completo fallimento, non ci vuole tanto per dimostrarlo: il debito pubblico che avanza verso la “quota di rottura” del 120% sul PIL, la disoccupazione ufficiale a livelli massimi, quella reale ancora peggio, giacché molti manco più s’iscrivono alle liste.
Prospettive di rilancio economico pari a zero, Paese dilaniato da una insulsa querelle fra Nord e Sud, fra lavoratori dipendenti ed autonomi, spaccatura in Confindustria sui contratti di lavoro, sindacato diviso. Bei risultati.
La domanda che dobbiamo porci è: chi ha consentito per molti anni a Berlusconi di condurre l’Italia allo sfascio? Non dimentichiamo che, nei confronti di presidenti “scomodi”, c’è sempre il “pazzo” che li avvicina – ma senza statuette del Duomo di Milano – oppure gli aerei cadono. Quanti ne sono caduti, da Hammarskjöld in poi?
Se è probabilmente vero che non ci sono stati, finora, fatti esiziali per “licenziare” Berlusconi, è altrettanto vero che un’Italia supina fa comodo a tanti.
Se la Germania può vantare lusinghieri traguardi sull’energia rinnovabile, è soltanto perché l’Italia non ha mai deciso di mettere a frutto il suo enorme potenziale, soprattutto il solare termodinamico nel Sud, ma anche l’eolico off-shore.
Chissà perché, invece, le centrali termodinamiche si costruiscono in Spagna, Paese – sotto l’aspetto dei capitali investiti – sotto “tutela” germanica.
Torna così comodo raccontare frottole su fumose centrali nucleari, da costruire con la collaborazione francese (e i soldi, chi li tira fuori?), un appoggio concreto e certo perché garantito da Sarkozy. Ma, se Berlusconi sta male, Sarkò non sta certo “tanto bene”: i sondaggi, in Francia, lo danno in caduta libera.
C’è poi la “frottola libera”, ovvero il Ponte sullo Stretto e le altre facezie: ma dove li trova, l’Italia, tanti dobloni per fare tutte queste cose, se non abbiamo più un soldo a bilancio?!? L’unica cosa che s’è vista è stato un branco di rubagalline, che gioivano perché speravano di “far tangenti” su un terremoto.
La realtà, che dovremmo iniziare ad osservare – abbandonando i piagnistei e le liti da cortile di periferia ai quali siamo stati abituati – è che questo è un Paese ricchissimo, basterebbe averne coscienza.
Nonostante tutte le sciagure che ci hanno precipitato addosso, l’Italia è un Paese dove la gente sa ancora risparmiare (a differenza degli Angli, ad esempio) e lavorare: per certi versi, siamo più simili ai cinesi che agli americani.
Osserviamo cosa è successo in Puglia: era così scontato che un politico come Vendola fosse rieletto alla Regione, facendo una pernacchia non solo a Berlusconi, ma anche al suo compare D’Alema?
E non si venga a dire che nessuno ha avuto il coraggio di sfidarlo veramente, perché le ragioni sono altre.
Quando ci fu da varare il piano energetico regionale, Nichi Vendola – forse con un piglio un poco “staliniano”, bisogna ammetterlo – suddivise semplicemente i MW eolici da installare fra i comuni pugliesi, suscitando non pochi mal di pancia.
Quando, però, iniziarono ad arrivare i soldini della produzione eolica, gli amministratori s’accorsero della ricchezza che era piovuto loro in mano: l’hanno gestita bene? Non abbiamo elementi per suffragare una tesi oppure l’altra, sta di fatto che Vendola è stato rieletto contro tutto e contro tutti, e questo è un fatto, non una fanfaluca. E che la Puglia viva una realtà mooolto diversa dalla Campania o dalla Calabria, è innegabile.
Di certo, non grazie al “navigatore” D’Alema: un elettore del PD scrisse, in un commento su un quotidiano, «Se ho qualcosa da raccontare ad uno dei principali esponenti del mio partito, dove posso trovarlo, ad una regata?»
L’Italia poverella, disgraziata, incapace, è una favoletta per allocchi: è il Paese che ha le più vaste possibilità turistiche del Pianeta, praticamente senza concorrenti per il patrimonio artistico, è il Paese che ha saputo costruire di tutto nel Pianeta. Strade, dighe, ponti…portano ancora il sigillo italiano, quando le grandi imprese – private e pubbliche – erano una concorrenza temibile. L’Italia è il Paese che, ancora oggi, costruisce il 50% del tonnellaggio delle grandi navi da crociera e preoccupa, non poco, la cantieristica francese.
Quando ascoltiamo le infinite querelle sul Nord e sul Sud, ci torna alla mente la storia di un Paese unificato dal potere britannico per essere usato in versione anti-francese nel Mediterraneo, usato nella Prima Guerra Mondiale per abbattere la nascente potenza germanica, abbattuto nella Seconda perché rischiava (di là dei regimi e degli uomini) d’uscire dal novero delle Cenerentole di serie A ed assumere ruoli che i potentati degli Angli non erano disposti a concedere.
Ma, la fortunata congiunzione astrale denominata “guerra fredda”, pone nuovamente l’Italia in una posizione strategica importantissima, al centro del Mediterraneo: crocevia di mille commerci e traffici, soprattutto il nuovo impulso petrolifero. Si giunge così a tollerare che possieda addirittura una compagnia petrolifera nazionale.
Però, come tutte le congiunzioni astrali, anche la guerra fredda termina e l’Italia non ha più rilevanza strategica: le basi americane perdono importanza, partono i sommergibili nucleari dalla Maddalena, la “rendita di posizione” termina. Ed inizia l’avventura europea.
Se i meridionali sono i terroni d’Italia, non scordiamo che gli italiani sono i terroni d’Europa: se non riusciamo a sistemare la questione dei rifiuti, chi ci guadagna? La Germania. Se non produciamo sufficiente energia, da chi la importiamo? Dalla Francia.
Nell’Europa del Novecento la guerra è tassativamente proibita – si concedono i centomila morti jugoslavi solo perché non si sa come risolvere altrimenti – ma, non per questo, la competizione è bandita.
Senza la discesa in campo di Silvio Berlusconi, ci sarebbe stata probabilmente un’evoluzione in senso bipolare del quadro politico, ma fra una sinistra socialdemocratica di stampo europeo ed una destra liberale e gollista, anch’essa di stampo europeo. E invece.
Invece, arriva questo bizzarro presidente di società di calcio e di società off-shore, palazzinaro, che acquista casa truffando un’orfana grazie all’amicizia con il curatore fallimentare, il quale sarà anni dopo condannato perché comprava i giudici all’asta.
E, in questi giorni della paura, Berlusconi torna a far visita a Previti a Piazza Farnese. Che caso.
Non si sa dove abbia preso i soldi per comprare il suo impero, non si capisce chi saranno gli uomini politici che lo sorreggeranno: nell’ultima tornata, solo più nani e ballerine.
Eppure, nonostante se ne freghi persino delle sentenze europee che lo condannano per questioni relative al suo impero televisivo (Rete4), l’Europa lo tollera tranquillamente, e fa pagare agli italiani le multe che nascono soltanto dall’incredibile commistione che nasce dal suo essere padre padrone di tutto, infastidito soltanto dalla Costituzione, al punto d’anteporgli una fumosa “Costituzione materiale”. Cos’è una “Costituzione materiale”?
Il problema italiano non è dunque quello della sua debolezza, bensì quello della sua potenziale forza in molti campi: va benissimo se Rubbia fa le centrali in Spagna, basta che non le faccia in Italia.
Se l’agricoltura italiana non riesce a produrre i pomodori in Primavera, s’importano dall’Olanda, se in Italia s’abbandonano gli oliveti, s’importa olio da mezzo Mediterraneo, e così via: il Paese s’indebita? Benissimo, i certificati del debito pubblico italiano sono un altro cespite di ricchezza per gli investitori stranieri, se va male ci sono le assicurazioni sugli stessi.
L’Italia potrebbe superare tutti i Paesi europei per le presenze turistiche? Basta nominare ai dicasteri competenti gente come la Brambilla e Bondi ed il gioco è fatto. Spagna, Francia e Croazia sentitamente ringraziano.
Un tempo sapevamo far di tutto, e meglio di tanti altri? Basta mettere nel posto giusto un tizio che non sa nemmeno chi gli ha comprato casa: poi, dimessosi Scajola, sembra non esserci più nessuno in grado sedere in quel posto.
Il Meridione d’Italia potrebbe rinascere con un’agricoltura di qualità, sfruttando il clima favorevole (la Sicilia è alla latitudine del Libano!)? Il posto di Ministro dell’Agricoltura è un sedile a rotazione: serve per metterci gli ex Presidenti di Regione che non hanno trovato una sedia.
Insomma, che l’Italia vada male economicamente è un buon affare per molti, basta che sia sempre un malato cronico e mai terminale.
L’esperimento Berlusconi, per le diplomazie europee, è quindi riuscito, ma solo in parte: l’ago della bilancia è giunto troppo pericolosamente verso il rosso. Che fare?
Qui – fatto assai strano e con pochi precedenti, un’intervista ad un giornale! – s’inserisce il Presidente della Repubblica, il quale lascia trasparire la sua contrarietà ad una tornata elettorale a breve termine: dopo Berlusconi, ecco avanzare il post-berlusconismo.
Dopo tanti anni di martellamento – dalle televisioni alle istituzioni – il Paese è completamente bloccato: tutti contro tutti. Piccoli imprenditori contro grandi imprenditori, dipendenti pubblici contro dipendenti privati, lavoratori autonomi contro Guardia di Finanza, Nord contro Sud…
L’esperimento berlusconiano è riuscito nell’anestetizzare ogni pulsione civile: l’italiano medio, oggi, non crede soltanto più che essere un semplice cittadino di un Paese normale – ossia una persona con diritti e doveri codificati – in Italia sia impossibile. Peggio: crede che sia ingiusto, un’inutile anticaglia da togliersi in fretta di torno.
I diritti si acquisiscono con l’astuzia, la forza o la genuflessione, i doveri si evitano con gli stessi mezzi: che bisogno c’è di codificarli? Questo è il risultato “positivo” del berlusconismo.
La faccia “negativa” della medaglia è che una società così strutturata non sta in piedi, perché la moltiplicazione esponenziale dei conflitti genera un complessivo disinteresse per quello che è chiamato “il bene comune”.
Ora, se il bene comune rompe le scatole agli oligarchi, ben venga il berlusconismo ma, quando il fragoroso crollo delle istituzioni mette a repentaglio la tenuta dell’aspetto anche soltanto formale della Repubblica – quando si giunge, nella lotta politica, a spulciare il Catasto ed i mobilifici per inchiodare l’avversario si è proprio alla frutta… – inizia a serpeggiare il timore che la Nazione precipiti in un gorgo senza fine, al fondo del quale ci potrebbero essere sorprese non gradite. Come, sull’esempio argentino, una sorta di consolidamento del debito o simili, disperate risposte.
Questo no, non va proprio bene: bisogna riportare le lancette della disperazione italiana un pochino indietro – non troppo, per carità! – quel tanto che basta.
Per farlo, serve riprendere in mano la situazione e mettere l’Italia sotto tutela: le “conquiste” del berlusconismo dovranno essere mantenute – con tutta la fatica che ci sono costate… – ma temperate. E’ necessario riportare un po’ di sicurezza nelle case degli italiani, farli stare un pochino meglio: potranno così credere di riuscire a pagare quel debito galattico, e continueranno a pagarne gli interessi.
Che bella scelta, fra il matto ed i castigamatti.
Di fronte a future elezioni, quindi, sarà sbagliato schierarsi fra Berlusconi ed anti-berlusconiani, bensì fra sostenitori del berlusconismo sotto varie forme – mentalità repressiva, liberismo in economia, dileggiamento delle istituzioni, ecc – e veri cambiamenti.
Non ci possiamo certo aspettare che offrano su un piatto d’argento una politica di decrescita, sull’energia rinnovabile e sulla moneta, ma alcuni punti fermi è ora di metterli.
La Costituzione afferma, all’art. 53, che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”; la tassazione deve essere quindi progressiva: se si vuole uscire dal berlusconismo, bisognerà dichiarare a chiare lettere che ci dovranno essere sgravi fiscali per i redditi minori, l’invariabilità per quelli medi ed un aumento delle aliquote per i redditi superiori. Inoltre, basterebbe un semplice articolo mutuato dalla Repubblica “socialista” statunitense: chi non paga le tasse, oltre una certa soglia, va in carcere.
Bisognerà chiarire cosa si vuol fare dell’abitudine di rimandare le scelte in campo economico: è troppo facile non affrontare i veri problemi ed aumentare ogni anno l’età pensionabile, oppure fare prelievi dal fondo TFR. Bersani: pensaci due volte – se vuoi che qualcuno ti voti – prima di candidare Tremonti come premier.
Questo è un punto molto importante: se ci si “abbandona” al credere che basti aumentare l’età pensionabile per risolvere i problemi di bilancio, si giungerà alla pensione ad 80 anni ed i problemi rimarranno irrisolti.
Il vero nodo non è la quantità di lavoro, bensì la qualità del lavoro, ossia quanta ricchezza effettivamente viene prodotta: possiamo tenere un tizio seduto sopra una sedia anche per 50 anni e con uno stipendio da fame ma, se quel lavoro non serviva a niente, avrà prodotto di più – nell’intera vita – una persona che ha passato un solo pomeriggio a riparare una staccionata.
L’accettazione di Tremonti da parte del PD – sia pure per un governo di transizione o roba del genere – sottende un errore strategico o la mala fede: non a caso, proprio qui s’evidenzia la dicotomia con Vendola.
Giulio Tremonti non è un economista, bensì un tributarista prestato all’Economia che ha trattato, date le sue origini professionali, soltanto con una visione di bilancio. In questo, erano giuste le critiche di Brunetta salvo poi, nella prassi, dimostrarsi anch’egli un mero esecutore dei dettami liberisti: strano ossimoro il veneziano, un guascone senz’anima.
Gli strumenti utilizzati da Tremonti – dal suo punto di vista “economici” – sono sempre stati meri artifizi di bilancio e null’altro. Le cartolarizzazioni – ossia l’iscrizione a bilancio di somme ancora da esigere, che si presume saranno ricavate da vendite immobiliari – sono strumenti vecchi, che risalgono al “commercio” delle patenti di nobiltà. A Versailles ed a Londra se ne faceva largo uso: il discorso, qui, sarebbe lungo e coinvolgerebbe il destino delle terre comuni (in qualche modo, “cartolarizzate”), e gli stridenti equilibri francesi ed inglesi pre-rivoluzionari[4].
L’operato di Tremonti, nella sua visione puramente di bilancio, è fallimentare poiché ha un inquietante parallelismo proprio con il declino della nobiltà. In sintesi, il Ministro ha sempre privilegiato i “tagli” senza mai porsi il problema degli effetti che avrebbero generato: se si “risparmiano” denari – solo un esempio – abolendo gli sgravi fiscali per il risparmio energetico, dopo non ci si può lamentare se le imprese e l’occupazione in quel settore languono.
L’unica certezza di Tremonti sono le grandi “controllate” di Stato – ENI ed ENEL – ed è pronto a sacrificare tutto nei loro confronti, poiché sa che potrà – in barba agli azionisti – fare prelievi sui loro bilanci. Ricordiamo la “tassa sul tubo”.
Poi, ci sono le continue pressioni per vendere patrimoni dello Stato, fra i quali ci sono “pezzi” sui quali sarebbe meglio compiere una riflessione prima di vendere: ah già, se a “sfruttarli” turisticamente ci sono la Brambilla e Bondi…
In definitiva, Tremonti non propone nulla che possa in qualche modo incrementare la ricchezza degli italiani: sembra quasi un ministro del Re Sole. Quando sopravvengono delle difficoltà, si licenzia parte della servitù (i famosi “tagli”) e si vende l’argenteria (cartolarizzazioni): e questa sarebbe gestione dell’Economia?
Se Tremonti – a detta di Bossi (ma ci vuole poco…) – è veramente un esperto di Storia, dovrebbe conoscere da solo quale fu il destino della nobiltà: un brodino di foglie di rapa, gustato al freddo, in palazzi deserti. Con gran dignità e riccamente agghindati: oh, certo.
Sull’altro versante, il berlusconismo ha trascinato per anni la frottola che il lavoro pubblico non serve a niente: altra pietosa balla. La piccola impresa che cerca un elettricista in grado di risolvere i problemi, mette un annuncio e lo trova: tutto qui?
Per l’impresa è veramente tutto qui, ma cosa c’è dietro a quel tecnico bravo ed efficiente?
Quel lavoratore, vent’anni prima, era un moccioso che se la faceva addosso: per molti anni qualcuno s’è occupato di lui, gli ha insegnato a leggere ed a scrivere, poi le basi del sapere scientifico, infine la Fisica, l’Elettrotecnica e l’Elettronica. Senza dimenticare la capacità di scrivere un curriculum in modo decente e tanto altro.
Mi piacciono le persone che sparano a zero sul lavoro pubblico: mi piace incontrarli al Pronto Soccorso, quando il figlioletto ha 40 di febbre e non sanno più che pesci pigliare. In quei momenti, guarda a caso, il medico di guardia – dipendente pubblico – non sembra poi così inutile.
C’è poi da demolire la “costituzione materiale”, della quale i berluscones si vantano: stupisce ascoltare simili affermazioni da parte del Ministro degli Esteri Frattini, persona che un minimo di cultura parrebbe averla.
Una Costituzione redige i principi generali della convivenza comune e quelli del funzionamento dello Stato: se si ritiene che sia inadeguata ai tempi, la Costituzione stessa (a detta di molti costituzionalisti, quella italiana è fra le migliori al mondo) contiene tutti gli elementi e le prassi necessarie per modificarla.
L’unica incongruenza, a fronte dell’incapacità di cambiare la Costituzione (da come scrivono le leggi i berluscones, cosa potrebbero partorire? Vengono i brividi: prendetevi una “vista” della cosiddetta “riforma Gelmini”…), è sostenere che esista un’altra Costituzione, cosiddetta “materiale”. Ma cosa vuol dire?!? Tutti possiamo averne una? Sono tutte uguali o sono personalizzabili?
Siamo seri: in uno Stato che sia per lo meno decente, chi afferma queste sciocchezze dovrebbe essere immediatamente iscritto nel ruolo degli indagati per attentato alla Costituzione, un reato mica da ridere.
Forse, Frattini preferirebbe vivere in un Paese senza Costituzione come Israele? Si accomodi.
Della stessa serie la posizione sui contratti di lavoro: sono stabiliti e sottoscritti dalle parti ed hanno valore giuridico. Lo Stato (terzo, anche nel caso dei dipendenti pubblici, difatti è l’ARAN a trattare) non ha il diritto di cancellarli strada facendo, e questo vale per i dipendenti pubblici e per i dipendenti privati, Pomigliano docet.
Anche in questo caso, riflettiamo: forse che la FIAT – in una programmazione di medio e lungo periodo – ha qualcosa da guadagnare da quell’accordo? Potrà forse sistemare il bilancio per un anno, forse due, e dopo?
La FIAT manca di progetti innovativi, è rimasta indietro nella ricerca in campo automobilistico di decenni e non ha studi o prototipi per auto elettriche funzionanti: celle a combustibile ed Idrogeno sono illustri sconosciuti in Corso Marconi.
La FIAT tira a campare in questo modo perché dei governi scellerati le concedono tutto e, dopo aver ottenuto lo “stralcio” di qualsiasi contratto (e, magari, aver acchiappato qualche soldo), al primo mutare del “vento” tecnologico sarà in mutande. A quel tempo, nessuno ricorderà gli errori del passato e bisognerà accollare alla collettività tutti i suoi errori. Come sempre è avvenuto.
Come si può notare, il problema non è più Berlusconi, bensì il berlusconismo che è entrato – come un cancro – nelle case degli italiani, dapprima portato dalle sue televisioni, poi da lui stesso e dai suoi sodali.
L’andazzo, era perfettamente tollerato e gradito dalle diplomazie europee: finché sono così gonzi da non capire le possibilità che hanno, c’è più fieno per noi.
L’uomo Silvio Berlusconi sta per finire nel passato: al punto cui è giunta la crisi politica del suo regime, non servirà nemmeno spingerlo con un dito. Basterà il primo refolo di vento e Bossi, che è “animale politico” più di lui, già l’ha capito.
Il vero problema sarà riconoscere chi veramente propone un’inversione rispetto al passato – anche se le proposte che farà non saranno le nostre al 100% – da chi, blaterando soltanto delle litanie senza senso, si proporrà per continuare la sua opera, appena un poco diluita nelle forme.
Quel 40% d’italiani, che non si sono recati alle urne alle ultime elezioni, sono avvertiti: alle prossime elezioni, avranno nelle mani il potere di scegliere una nuova classe dirigente se apparirà, oppure di proseguire – se lo riterranno opportuno – nell’astensione.
Non è una scelta facile: da un lato, il voto “al buio” è uno sport che ci ha annoiati. Sull’altro versante, bisogna riflettere che in qualche modo bisognerà uscire da questi perversi gorghi.
Avremo il tempo di seguire con calma l’evoluzione della situazione e di confrontarci, ma tutto dipenderà dallo “spessore” politico e dalla credibilità di chi se la sentirà di proporsi: altrimenti, non varrà che il vecchio adagio di Tomasi di Lampedusa, “mutare tutto per non cambiare nulla”.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Vittorio Alfieri – Della Tirannide
E’ oramai evidente che la parabola di Silvio Berlusconi è terminata: potranno esserci ancora fuochi d’artificio a Settembre, roboanti affermazioni, distinguo ed embrassons-nous, chiamate alle armi e grida d’arrembaggio, ma la storia che va avanti dal 1994 – almeno, nei termini nei quali la conosciamo – finirà nell’Autunno del 2010. Poi, se le elezioni saranno indette ad Ottobre od a Marzo, se ci sarà un governo tecnico di transizione od altre “fantasie” istituzionali, sono soltanto dettagli: il dato politico è altro.
Per comprendere una funzione non basta osservarne un breve tratto: lo studio deve comprendere tutto l’intervallo, e la “funzione Berlusconi”, come uomo politico, inizia con le vittoriose elezioni del 1994.
Quelle elezioni sancirono l’inizio dell’era “post”: post-democristiani s’aggregarono e si distinsero da post-comunisti e da post-fascisti, in un caleidoscopio senza fine al punto che – se osserviamo la storia politica di molti uomini politici attuali – c’è da stupire.
Rutelli ex radicale, Cicchitto ex sinistra lombardiana del PSI, Bondi ex sindaco comunista, Capezzone (ma, questo, è solo un “giovane di studio”, non a caso nato l’8 Settembre) ex tutto, la Santanché ex Billionaire…e si potrebbe continuare.
Torniamo dunque al 1994.
La nascita di Forza Italia scompigliò le carte ad un Achille Occhetto convinto di vincere la partita facilmente, per knock-out tecnico alla prima ripresa: qualcuno ricorda la “gioiosa macchina da guerra”? Subito dopo, però, la vendetta non si fece attendere ed il Cavaliere restò in sella solo sei mesi.
La domanda che ci si deve porre, allora, è un’altra: non tanto quale sarà il futuro di Berlusconi e del suo partito, quanto come sia stato possibile che un personaggio come Silvio Berlusconi sia potuto diventare Presidente del Consiglio in barba a tutte le norme. Ricordiamo, una per tutte, la sua ineleggibilità giacché fruitore di concessioni statali[1]: suvvia, togliamoci le pelli di salame dagli occhi.
In nessun Paese al mondo s’era mai visto nulla del genere: il principale imprenditore nel mondo della comunicazione – TV, giornali, riviste, ossia pubblicità – che sale al comando di una nazione! Negli USA ed in qualunque Paese europeo, fare una simile affermazione ha il valore di una barzelletta.
Gli unici esempi, in qualche modo avvicinabili a Berlusconi, sono la Thailandia[2] (esperimento già concluso da tempo) ed il Cile[3], dove era necessario “sdoganare” gli ex sostenitori di Pinochet, ossia infilare in guanti bianchi le mani insanguinate dei discendenti del generale. Inquietante parallelismo.
Secondo la cronaca politica ufficiale del Paese, ci fu uno scontro-confronto elettorale per molti anni, fra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, concluso come ben sappiamo. Procediamo con i piedi di piombo.
Il primo governo Prodi fu affossato da un tal Bertinotti – sedicente comunista – per una questione che non aveva poi chissà quale rilevanza: l’orario settimanale massimo di lavoro a 35 ore, cosa che – parallelamente – veniva abbondantemente falcidiata proprio dalle proposte “innovative” sul lavoro “flessibile” da Tiziano Treu, con il determinante contributo dei voti “comunisti”.
Chi non ha memoria corta, ricorderà che Fausto Bertinotti – in quei giorni – sulle reti Mediaset aveva più spazio del Milan e della Juventus.
Il gran teatrino del voto dopo la caduta di Prodi, la “chiamata alle urne” del solito Berlusconi, doveva nascondere il vero obiettivo (Giuliano Ferrara, vecchia volpe, lo scrisse con largo anticipo): l’ascesa di Massimo D’Alema al trono, sicuramente gradita da Berlusconi e, soprattutto, dai poteri forti. La prima visita di D’Alema, come premier, fu alla city di Londra.
Giovanni Agnelli – “con quella bocca può dire ciò che vuole” – glielo disse apertamente a Torino, all’inaugurazione della Fiera del Libro: non c’è niente di meglio che un governo di “sinistra” per mettere “a posto” i lavoratori.
Dopo aver concluso il suo breve compito – nel quale bruciò consapevolmente ogni sua credibilità con la guerra alla Serbia – Massimo D’Alema si ritirò dalla politica attiva e prese possesso della sua nuova barca da un milione di euro. Non prima, però, d’aver lasciato il testimone a Giuliano Amato, colui che avrebbe ammesso – anni dopo – d’esser stato chiamato a scrivere il Trattato di Lisbona in modo così contorto da renderlo inaccessibile ai più. Non approvate la Costituzione europea? Beccatevi ‘sto trattato.
“Purificato” da tentazioni di sultanato dal “pizzino” di Bossi del 1994, Silvio Berlusconi si mise – siamo al 2001 – diligentemente al lavoro per distruggere il poco di socialità, solidarietà e consapevolezza che ancora esisteva nella società italiana. Ossia, quello che era sopravvissuto a vent’anni del suo rullo compressore televisivo: il suo primo intervento legislativo fu cancellare la figura del socio lavoratore nelle piccole cooperative. Come si può notare, nulla che toccasse le grandi cooperative “rosse”, mentre affossava i veri impianti cooperativi con valenza sociale.
Si noti una particolarità (per niente insignificante): le “riforme” di Berlusconi – a parte le leggi ad personam, ad personas, ad aziendam, ecc – erano tutte “a futura memoria”. La riforma della scuola della Moratti fu lasciata in eredità come una bomba ad orologeria, e si dovette assistere alle penose contorsioni di un ancor più penoso Ministro come Fioroni. La stessa cosa avvenne con la riforma previdenziale Maroni – lasciata ai posteri – che fu variata in modo ancor peggiorativo da Cesare Damiano (62/37 al posto degli originari 61/36).
In buona sostanza, Berlusconi sapeva che condurre a termine quelle “riforme” gli sarebbe costato parecchio sotto l’aspetto del consenso e le lasciò così, come mela avvelenata, a Prodi.
Le elezioni del 2006 furono invece organizzate con un profilo giuridico innovativo: la novità fu determinata dal nuovo concetto di “elezione sub condicione”.
L’anello centrale di quella strategia – poi sacrificato – fu un oscuro ex democristiano, Giuseppe Pisanu, a detta di molti uno dei migliori Ministri dell’Interno degli ultimi decenni. Ma il Ministro dell’Interno è quello che ha in mano la macchina elettorale, perbacco.
E, Beppe Pisanu, non ci sta a regalare la vittoria a Berlusconi – solo i gonzi possono credere che i sondaggi che danno una differenza d’oltre il 5% svaniscano in una notte – e “circoscrive” ad un “limite tendente a zero” il vantaggio di Prodi. Tutte ipotesi, vero? Come mai, per Beppe Pisanu, nell’attuale governo non è stato nemmeno trovato un posto da lustrascarpe? E il sardo sembra avere più di un “dente avvelenato” per Berlusconi?
A questo punto – continuiamo a parlare come gonzi – fra le tante personalità che può candidare il Masaniello Di Pietro (la nuova legge elettorale gli consente di fare ciò che vuole) c’è un tal De Gregorio: personaggio incomprensibile, indebitato, con frequentazioni a dir poco “sospette” per un partito come quello del “rivoluzionario” Di Pietro.
Comprando De Gregorio, poi qualche senatore con i favori alle attricette, infine facendo balenare a Dini e Mastella qualche “posto al sole”, il gioco è fatto.
L’atto seguente è l’inevitabile scissione di quello che fu l’Ulivo – per non fornire un’arma in più alla corazzata mediatica berlusconiana – un’operazione che non dà nessun frutto e, anzi, conduce il neonato PD ad una gazzarra senza fine.
Cooptando Fini in un’alleanza vincente per Berlusconi e perdente per il presidente di AN, nasce finalmente il “sultanato” berlusconiano, e questo è il tranello nel quale cadono tutti i dittatori: l’illusione dell’immortalità politica.
La cosa può anche funzionare in qualche vero sultanato, oppure in uno dei tanti scatoloni di sabbia petroliferi, ma non in uno dei Paesi più importanti d’Europa. Se sopravvive, è perché è tollerato.
Il potere berlusconiano, però, deve essere temperato, altrimenti Berlusconi fa paura: prima Bossi, poi Casini, da ultimo Fini, sono gli attori che salgono in scena per limitare la “deriva” del Cavaliere, che è tollerato come il male minore, in nessuna occasione completamente accettato.
Da più parti si è gridato al complotto internazionale nei suoi confronti, dalla Casa Bianca all’Europa, fino alla grande finanza internazionale od alla concorrenza in campo mediatico. Sicuramente esistono aspetti di politica internazionale, ma non ci sembrano – in queste settimane – così determinanti da causarne la caduta.
L’appoggio di Berlusconi al South Stream – il gasdotto meridionale che consegna alla Russia il controllo di gran parte del tracciato, in alternativa al Nabucco, che prevedrebbe invece un maggior controllo occidentale, tramite la Turchia – cozza contro alcune evidenze.
La prima è che la Turchia, oggi – dopo lo “strappo” con Israele – è forse l’ultimo posto al mondo dove far passare un’arteria strategica come il Nabucco: è meglio trattare con Putin o con Erdogan? Riflettiamo che una trattativa con Erdogan includerebbe l’ingresso nell’UE di Ankara, dove è saldamente al potere un partito d’ispirazione islamica.
In seconda battuta, il North Stream – il gasdotto che transita sul fondo del Baltico per approdare sulle coste tedesche, il quale esclude dal controllo del gas russo l’Ucraina, la Polonia, il Belarus e le ex repubbliche baltiche sovietiche – sarà una realtà già il prossimo anno, al massimo nel 2012. Una volta ottenuto un gasdotto che riposa nelle ferree mani del duopolio russo-tedesco, ancora conviene scatenare le diplomazie in una lotta senza quartiere per il gasdotto meridionale? Nessuno nega la sua utilità ma, se riflettiamo sulla sua importanza dal punto di vista russo, “pesa” come la possibile apertura di una nuova arteria energetica verso Pechino?
Una volta seduto – metaforicamente – nei pressi dei due “rubinetti strategici” Est-Ovest, Putin ha ancora così bisogno di Berlusconi per fermare il Nabucco? Teme il gas dell’Azerbaijan?
Sul fronte della guerra afgana, il governo Berlusconi ha accettato tutti i diktat di Washington, mentre le minacce d’abbandonare gli affari dell’ENI in Iran – pressioni israeliane? – sono solo l’ennesima chimera per allocchi: è più probabile lo scenario di un Berlusconi che scappa alle Cayman, piuttosto che quello di uno Scaroni che sbatte la porta a Teheran. Difatti, il sottosegretario Saglia – ex AN – che ha la delega per l’energia, è rimasto fedele a Berlusconi: una “fedeltà” che, ai piani alti del grattacielo dell’ENI, non è certo senza limiti e senza contropartite. Che vanno oltre le schermaglie parlamentari.
In altre parole, le vicende internazionali sono più da osservare alla luce dei possibili “sponsor” per future alleanze e posizioni di governo, piuttosto che nell’attuale querelle fra Berlusconi e Fini. Non dimentichiamo che, in fin dei conti, questa gente dovrà venire a patti con l’elettorato italiano, che di gasdotti sa poco o nulla.
Sul piano della politica interna, il governo Berlusconi è un completo fallimento, non ci vuole tanto per dimostrarlo: il debito pubblico che avanza verso la “quota di rottura” del 120% sul PIL, la disoccupazione ufficiale a livelli massimi, quella reale ancora peggio, giacché molti manco più s’iscrivono alle liste.
Prospettive di rilancio economico pari a zero, Paese dilaniato da una insulsa querelle fra Nord e Sud, fra lavoratori dipendenti ed autonomi, spaccatura in Confindustria sui contratti di lavoro, sindacato diviso. Bei risultati.
La domanda che dobbiamo porci è: chi ha consentito per molti anni a Berlusconi di condurre l’Italia allo sfascio? Non dimentichiamo che, nei confronti di presidenti “scomodi”, c’è sempre il “pazzo” che li avvicina – ma senza statuette del Duomo di Milano – oppure gli aerei cadono. Quanti ne sono caduti, da Hammarskjöld in poi?
Se è probabilmente vero che non ci sono stati, finora, fatti esiziali per “licenziare” Berlusconi, è altrettanto vero che un’Italia supina fa comodo a tanti.
Se la Germania può vantare lusinghieri traguardi sull’energia rinnovabile, è soltanto perché l’Italia non ha mai deciso di mettere a frutto il suo enorme potenziale, soprattutto il solare termodinamico nel Sud, ma anche l’eolico off-shore.
Chissà perché, invece, le centrali termodinamiche si costruiscono in Spagna, Paese – sotto l’aspetto dei capitali investiti – sotto “tutela” germanica.
Torna così comodo raccontare frottole su fumose centrali nucleari, da costruire con la collaborazione francese (e i soldi, chi li tira fuori?), un appoggio concreto e certo perché garantito da Sarkozy. Ma, se Berlusconi sta male, Sarkò non sta certo “tanto bene”: i sondaggi, in Francia, lo danno in caduta libera.
C’è poi la “frottola libera”, ovvero il Ponte sullo Stretto e le altre facezie: ma dove li trova, l’Italia, tanti dobloni per fare tutte queste cose, se non abbiamo più un soldo a bilancio?!? L’unica cosa che s’è vista è stato un branco di rubagalline, che gioivano perché speravano di “far tangenti” su un terremoto.
La realtà, che dovremmo iniziare ad osservare – abbandonando i piagnistei e le liti da cortile di periferia ai quali siamo stati abituati – è che questo è un Paese ricchissimo, basterebbe averne coscienza.
Nonostante tutte le sciagure che ci hanno precipitato addosso, l’Italia è un Paese dove la gente sa ancora risparmiare (a differenza degli Angli, ad esempio) e lavorare: per certi versi, siamo più simili ai cinesi che agli americani.
Osserviamo cosa è successo in Puglia: era così scontato che un politico come Vendola fosse rieletto alla Regione, facendo una pernacchia non solo a Berlusconi, ma anche al suo compare D’Alema?
E non si venga a dire che nessuno ha avuto il coraggio di sfidarlo veramente, perché le ragioni sono altre.
Quando ci fu da varare il piano energetico regionale, Nichi Vendola – forse con un piglio un poco “staliniano”, bisogna ammetterlo – suddivise semplicemente i MW eolici da installare fra i comuni pugliesi, suscitando non pochi mal di pancia.
Quando, però, iniziarono ad arrivare i soldini della produzione eolica, gli amministratori s’accorsero della ricchezza che era piovuto loro in mano: l’hanno gestita bene? Non abbiamo elementi per suffragare una tesi oppure l’altra, sta di fatto che Vendola è stato rieletto contro tutto e contro tutti, e questo è un fatto, non una fanfaluca. E che la Puglia viva una realtà mooolto diversa dalla Campania o dalla Calabria, è innegabile.
Di certo, non grazie al “navigatore” D’Alema: un elettore del PD scrisse, in un commento su un quotidiano, «Se ho qualcosa da raccontare ad uno dei principali esponenti del mio partito, dove posso trovarlo, ad una regata?»
L’Italia poverella, disgraziata, incapace, è una favoletta per allocchi: è il Paese che ha le più vaste possibilità turistiche del Pianeta, praticamente senza concorrenti per il patrimonio artistico, è il Paese che ha saputo costruire di tutto nel Pianeta. Strade, dighe, ponti…portano ancora il sigillo italiano, quando le grandi imprese – private e pubbliche – erano una concorrenza temibile. L’Italia è il Paese che, ancora oggi, costruisce il 50% del tonnellaggio delle grandi navi da crociera e preoccupa, non poco, la cantieristica francese.
Quando ascoltiamo le infinite querelle sul Nord e sul Sud, ci torna alla mente la storia di un Paese unificato dal potere britannico per essere usato in versione anti-francese nel Mediterraneo, usato nella Prima Guerra Mondiale per abbattere la nascente potenza germanica, abbattuto nella Seconda perché rischiava (di là dei regimi e degli uomini) d’uscire dal novero delle Cenerentole di serie A ed assumere ruoli che i potentati degli Angli non erano disposti a concedere.
Ma, la fortunata congiunzione astrale denominata “guerra fredda”, pone nuovamente l’Italia in una posizione strategica importantissima, al centro del Mediterraneo: crocevia di mille commerci e traffici, soprattutto il nuovo impulso petrolifero. Si giunge così a tollerare che possieda addirittura una compagnia petrolifera nazionale.
Però, come tutte le congiunzioni astrali, anche la guerra fredda termina e l’Italia non ha più rilevanza strategica: le basi americane perdono importanza, partono i sommergibili nucleari dalla Maddalena, la “rendita di posizione” termina. Ed inizia l’avventura europea.
Se i meridionali sono i terroni d’Italia, non scordiamo che gli italiani sono i terroni d’Europa: se non riusciamo a sistemare la questione dei rifiuti, chi ci guadagna? La Germania. Se non produciamo sufficiente energia, da chi la importiamo? Dalla Francia.
Nell’Europa del Novecento la guerra è tassativamente proibita – si concedono i centomila morti jugoslavi solo perché non si sa come risolvere altrimenti – ma, non per questo, la competizione è bandita.
Senza la discesa in campo di Silvio Berlusconi, ci sarebbe stata probabilmente un’evoluzione in senso bipolare del quadro politico, ma fra una sinistra socialdemocratica di stampo europeo ed una destra liberale e gollista, anch’essa di stampo europeo. E invece.
Invece, arriva questo bizzarro presidente di società di calcio e di società off-shore, palazzinaro, che acquista casa truffando un’orfana grazie all’amicizia con il curatore fallimentare, il quale sarà anni dopo condannato perché comprava i giudici all’asta.
E, in questi giorni della paura, Berlusconi torna a far visita a Previti a Piazza Farnese. Che caso.
Non si sa dove abbia preso i soldi per comprare il suo impero, non si capisce chi saranno gli uomini politici che lo sorreggeranno: nell’ultima tornata, solo più nani e ballerine.
Eppure, nonostante se ne freghi persino delle sentenze europee che lo condannano per questioni relative al suo impero televisivo (Rete4), l’Europa lo tollera tranquillamente, e fa pagare agli italiani le multe che nascono soltanto dall’incredibile commistione che nasce dal suo essere padre padrone di tutto, infastidito soltanto dalla Costituzione, al punto d’anteporgli una fumosa “Costituzione materiale”. Cos’è una “Costituzione materiale”?
Il problema italiano non è dunque quello della sua debolezza, bensì quello della sua potenziale forza in molti campi: va benissimo se Rubbia fa le centrali in Spagna, basta che non le faccia in Italia.
Se l’agricoltura italiana non riesce a produrre i pomodori in Primavera, s’importano dall’Olanda, se in Italia s’abbandonano gli oliveti, s’importa olio da mezzo Mediterraneo, e così via: il Paese s’indebita? Benissimo, i certificati del debito pubblico italiano sono un altro cespite di ricchezza per gli investitori stranieri, se va male ci sono le assicurazioni sugli stessi.
L’Italia potrebbe superare tutti i Paesi europei per le presenze turistiche? Basta nominare ai dicasteri competenti gente come la Brambilla e Bondi ed il gioco è fatto. Spagna, Francia e Croazia sentitamente ringraziano.
Un tempo sapevamo far di tutto, e meglio di tanti altri? Basta mettere nel posto giusto un tizio che non sa nemmeno chi gli ha comprato casa: poi, dimessosi Scajola, sembra non esserci più nessuno in grado sedere in quel posto.
Il Meridione d’Italia potrebbe rinascere con un’agricoltura di qualità, sfruttando il clima favorevole (la Sicilia è alla latitudine del Libano!)? Il posto di Ministro dell’Agricoltura è un sedile a rotazione: serve per metterci gli ex Presidenti di Regione che non hanno trovato una sedia.
Insomma, che l’Italia vada male economicamente è un buon affare per molti, basta che sia sempre un malato cronico e mai terminale.
L’esperimento Berlusconi, per le diplomazie europee, è quindi riuscito, ma solo in parte: l’ago della bilancia è giunto troppo pericolosamente verso il rosso. Che fare?
Qui – fatto assai strano e con pochi precedenti, un’intervista ad un giornale! – s’inserisce il Presidente della Repubblica, il quale lascia trasparire la sua contrarietà ad una tornata elettorale a breve termine: dopo Berlusconi, ecco avanzare il post-berlusconismo.
Dopo tanti anni di martellamento – dalle televisioni alle istituzioni – il Paese è completamente bloccato: tutti contro tutti. Piccoli imprenditori contro grandi imprenditori, dipendenti pubblici contro dipendenti privati, lavoratori autonomi contro Guardia di Finanza, Nord contro Sud…
L’esperimento berlusconiano è riuscito nell’anestetizzare ogni pulsione civile: l’italiano medio, oggi, non crede soltanto più che essere un semplice cittadino di un Paese normale – ossia una persona con diritti e doveri codificati – in Italia sia impossibile. Peggio: crede che sia ingiusto, un’inutile anticaglia da togliersi in fretta di torno.
I diritti si acquisiscono con l’astuzia, la forza o la genuflessione, i doveri si evitano con gli stessi mezzi: che bisogno c’è di codificarli? Questo è il risultato “positivo” del berlusconismo.
La faccia “negativa” della medaglia è che una società così strutturata non sta in piedi, perché la moltiplicazione esponenziale dei conflitti genera un complessivo disinteresse per quello che è chiamato “il bene comune”.
Ora, se il bene comune rompe le scatole agli oligarchi, ben venga il berlusconismo ma, quando il fragoroso crollo delle istituzioni mette a repentaglio la tenuta dell’aspetto anche soltanto formale della Repubblica – quando si giunge, nella lotta politica, a spulciare il Catasto ed i mobilifici per inchiodare l’avversario si è proprio alla frutta… – inizia a serpeggiare il timore che la Nazione precipiti in un gorgo senza fine, al fondo del quale ci potrebbero essere sorprese non gradite. Come, sull’esempio argentino, una sorta di consolidamento del debito o simili, disperate risposte.
Questo no, non va proprio bene: bisogna riportare le lancette della disperazione italiana un pochino indietro – non troppo, per carità! – quel tanto che basta.
Per farlo, serve riprendere in mano la situazione e mettere l’Italia sotto tutela: le “conquiste” del berlusconismo dovranno essere mantenute – con tutta la fatica che ci sono costate… – ma temperate. E’ necessario riportare un po’ di sicurezza nelle case degli italiani, farli stare un pochino meglio: potranno così credere di riuscire a pagare quel debito galattico, e continueranno a pagarne gli interessi.
Che bella scelta, fra il matto ed i castigamatti.
Di fronte a future elezioni, quindi, sarà sbagliato schierarsi fra Berlusconi ed anti-berlusconiani, bensì fra sostenitori del berlusconismo sotto varie forme – mentalità repressiva, liberismo in economia, dileggiamento delle istituzioni, ecc – e veri cambiamenti.
Non ci possiamo certo aspettare che offrano su un piatto d’argento una politica di decrescita, sull’energia rinnovabile e sulla moneta, ma alcuni punti fermi è ora di metterli.
La Costituzione afferma, all’art. 53, che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”; la tassazione deve essere quindi progressiva: se si vuole uscire dal berlusconismo, bisognerà dichiarare a chiare lettere che ci dovranno essere sgravi fiscali per i redditi minori, l’invariabilità per quelli medi ed un aumento delle aliquote per i redditi superiori. Inoltre, basterebbe un semplice articolo mutuato dalla Repubblica “socialista” statunitense: chi non paga le tasse, oltre una certa soglia, va in carcere.
Bisognerà chiarire cosa si vuol fare dell’abitudine di rimandare le scelte in campo economico: è troppo facile non affrontare i veri problemi ed aumentare ogni anno l’età pensionabile, oppure fare prelievi dal fondo TFR. Bersani: pensaci due volte – se vuoi che qualcuno ti voti – prima di candidare Tremonti come premier.
Questo è un punto molto importante: se ci si “abbandona” al credere che basti aumentare l’età pensionabile per risolvere i problemi di bilancio, si giungerà alla pensione ad 80 anni ed i problemi rimarranno irrisolti.
Il vero nodo non è la quantità di lavoro, bensì la qualità del lavoro, ossia quanta ricchezza effettivamente viene prodotta: possiamo tenere un tizio seduto sopra una sedia anche per 50 anni e con uno stipendio da fame ma, se quel lavoro non serviva a niente, avrà prodotto di più – nell’intera vita – una persona che ha passato un solo pomeriggio a riparare una staccionata.
L’accettazione di Tremonti da parte del PD – sia pure per un governo di transizione o roba del genere – sottende un errore strategico o la mala fede: non a caso, proprio qui s’evidenzia la dicotomia con Vendola.
Giulio Tremonti non è un economista, bensì un tributarista prestato all’Economia che ha trattato, date le sue origini professionali, soltanto con una visione di bilancio. In questo, erano giuste le critiche di Brunetta salvo poi, nella prassi, dimostrarsi anch’egli un mero esecutore dei dettami liberisti: strano ossimoro il veneziano, un guascone senz’anima.
Gli strumenti utilizzati da Tremonti – dal suo punto di vista “economici” – sono sempre stati meri artifizi di bilancio e null’altro. Le cartolarizzazioni – ossia l’iscrizione a bilancio di somme ancora da esigere, che si presume saranno ricavate da vendite immobiliari – sono strumenti vecchi, che risalgono al “commercio” delle patenti di nobiltà. A Versailles ed a Londra se ne faceva largo uso: il discorso, qui, sarebbe lungo e coinvolgerebbe il destino delle terre comuni (in qualche modo, “cartolarizzate”), e gli stridenti equilibri francesi ed inglesi pre-rivoluzionari[4].
L’operato di Tremonti, nella sua visione puramente di bilancio, è fallimentare poiché ha un inquietante parallelismo proprio con il declino della nobiltà. In sintesi, il Ministro ha sempre privilegiato i “tagli” senza mai porsi il problema degli effetti che avrebbero generato: se si “risparmiano” denari – solo un esempio – abolendo gli sgravi fiscali per il risparmio energetico, dopo non ci si può lamentare se le imprese e l’occupazione in quel settore languono.
L’unica certezza di Tremonti sono le grandi “controllate” di Stato – ENI ed ENEL – ed è pronto a sacrificare tutto nei loro confronti, poiché sa che potrà – in barba agli azionisti – fare prelievi sui loro bilanci. Ricordiamo la “tassa sul tubo”.
Poi, ci sono le continue pressioni per vendere patrimoni dello Stato, fra i quali ci sono “pezzi” sui quali sarebbe meglio compiere una riflessione prima di vendere: ah già, se a “sfruttarli” turisticamente ci sono la Brambilla e Bondi…
In definitiva, Tremonti non propone nulla che possa in qualche modo incrementare la ricchezza degli italiani: sembra quasi un ministro del Re Sole. Quando sopravvengono delle difficoltà, si licenzia parte della servitù (i famosi “tagli”) e si vende l’argenteria (cartolarizzazioni): e questa sarebbe gestione dell’Economia?
Se Tremonti – a detta di Bossi (ma ci vuole poco…) – è veramente un esperto di Storia, dovrebbe conoscere da solo quale fu il destino della nobiltà: un brodino di foglie di rapa, gustato al freddo, in palazzi deserti. Con gran dignità e riccamente agghindati: oh, certo.
Sull’altro versante, il berlusconismo ha trascinato per anni la frottola che il lavoro pubblico non serve a niente: altra pietosa balla. La piccola impresa che cerca un elettricista in grado di risolvere i problemi, mette un annuncio e lo trova: tutto qui?
Per l’impresa è veramente tutto qui, ma cosa c’è dietro a quel tecnico bravo ed efficiente?
Quel lavoratore, vent’anni prima, era un moccioso che se la faceva addosso: per molti anni qualcuno s’è occupato di lui, gli ha insegnato a leggere ed a scrivere, poi le basi del sapere scientifico, infine la Fisica, l’Elettrotecnica e l’Elettronica. Senza dimenticare la capacità di scrivere un curriculum in modo decente e tanto altro.
Mi piacciono le persone che sparano a zero sul lavoro pubblico: mi piace incontrarli al Pronto Soccorso, quando il figlioletto ha 40 di febbre e non sanno più che pesci pigliare. In quei momenti, guarda a caso, il medico di guardia – dipendente pubblico – non sembra poi così inutile.
C’è poi da demolire la “costituzione materiale”, della quale i berluscones si vantano: stupisce ascoltare simili affermazioni da parte del Ministro degli Esteri Frattini, persona che un minimo di cultura parrebbe averla.
Una Costituzione redige i principi generali della convivenza comune e quelli del funzionamento dello Stato: se si ritiene che sia inadeguata ai tempi, la Costituzione stessa (a detta di molti costituzionalisti, quella italiana è fra le migliori al mondo) contiene tutti gli elementi e le prassi necessarie per modificarla.
L’unica incongruenza, a fronte dell’incapacità di cambiare la Costituzione (da come scrivono le leggi i berluscones, cosa potrebbero partorire? Vengono i brividi: prendetevi una “vista” della cosiddetta “riforma Gelmini”…), è sostenere che esista un’altra Costituzione, cosiddetta “materiale”. Ma cosa vuol dire?!? Tutti possiamo averne una? Sono tutte uguali o sono personalizzabili?
Siamo seri: in uno Stato che sia per lo meno decente, chi afferma queste sciocchezze dovrebbe essere immediatamente iscritto nel ruolo degli indagati per attentato alla Costituzione, un reato mica da ridere.
Forse, Frattini preferirebbe vivere in un Paese senza Costituzione come Israele? Si accomodi.
Della stessa serie la posizione sui contratti di lavoro: sono stabiliti e sottoscritti dalle parti ed hanno valore giuridico. Lo Stato (terzo, anche nel caso dei dipendenti pubblici, difatti è l’ARAN a trattare) non ha il diritto di cancellarli strada facendo, e questo vale per i dipendenti pubblici e per i dipendenti privati, Pomigliano docet.
Anche in questo caso, riflettiamo: forse che la FIAT – in una programmazione di medio e lungo periodo – ha qualcosa da guadagnare da quell’accordo? Potrà forse sistemare il bilancio per un anno, forse due, e dopo?
La FIAT manca di progetti innovativi, è rimasta indietro nella ricerca in campo automobilistico di decenni e non ha studi o prototipi per auto elettriche funzionanti: celle a combustibile ed Idrogeno sono illustri sconosciuti in Corso Marconi.
La FIAT tira a campare in questo modo perché dei governi scellerati le concedono tutto e, dopo aver ottenuto lo “stralcio” di qualsiasi contratto (e, magari, aver acchiappato qualche soldo), al primo mutare del “vento” tecnologico sarà in mutande. A quel tempo, nessuno ricorderà gli errori del passato e bisognerà accollare alla collettività tutti i suoi errori. Come sempre è avvenuto.
Come si può notare, il problema non è più Berlusconi, bensì il berlusconismo che è entrato – come un cancro – nelle case degli italiani, dapprima portato dalle sue televisioni, poi da lui stesso e dai suoi sodali.
L’andazzo, era perfettamente tollerato e gradito dalle diplomazie europee: finché sono così gonzi da non capire le possibilità che hanno, c’è più fieno per noi.
L’uomo Silvio Berlusconi sta per finire nel passato: al punto cui è giunta la crisi politica del suo regime, non servirà nemmeno spingerlo con un dito. Basterà il primo refolo di vento e Bossi, che è “animale politico” più di lui, già l’ha capito.
Il vero problema sarà riconoscere chi veramente propone un’inversione rispetto al passato – anche se le proposte che farà non saranno le nostre al 100% – da chi, blaterando soltanto delle litanie senza senso, si proporrà per continuare la sua opera, appena un poco diluita nelle forme.
Quel 40% d’italiani, che non si sono recati alle urne alle ultime elezioni, sono avvertiti: alle prossime elezioni, avranno nelle mani il potere di scegliere una nuova classe dirigente se apparirà, oppure di proseguire – se lo riterranno opportuno – nell’astensione.
Non è una scelta facile: da un lato, il voto “al buio” è uno sport che ci ha annoiati. Sull’altro versante, bisogna riflettere che in qualche modo bisognerà uscire da questi perversi gorghi.
Avremo il tempo di seguire con calma l’evoluzione della situazione e di confrontarci, ma tutto dipenderà dallo “spessore” politico e dalla credibilità di chi se la sentirà di proporsi: altrimenti, non varrà che il vecchio adagio di Tomasi di Lampedusa, “mutare tutto per non cambiare nulla”.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
12 commenti:
Ben tornato Carlo,il tuo articolo mi rincuora, ma io temo ancora che il duo Berlusconi Bossi riesca a vincere a trascinarci alla rovina. Vedi le ultime esternazioni di Bossi contro Fini accusandolo di volere i soldi del nord al sud. Vorrei solo far notar che nelle prossime immissioni in ruolo nella scuola la regione con più immessi in ruolo è la Lombardia. Questo dato da solo ci a un indizio della vera realtà e quali regioni prendono di più da Roma,si a per dire "ladrona".
Ciao Carlo ancor ben tonato con uno dei soliti tuoi penetranti articoli.
Grazie Orazio, anche se sai che le nostre posizioni sul futuro di Berlusconi divergono: un'altra scommessa? -))
Spero che avrai il buon gusto d'ammettere che nella prima non era prevista la "duomata": probabilmente, le cose sarebbero maturate prima.
Riparto oggi e fini a Mercoledì non sarò on line. Se posso permettermi, cerchiamo di sviscerare le possibili posizioni rispetto ad un probabile scontro elettorale.
Che fare? Anch'io non ho le idee chiare. Certo, Vendola sarebbe una novità...ma?
Ciao a tutti
Carlo
Sulla duomata, vera o pilotata, forse hai ragione. Un'altra scommessa sono pronto a farla, per me, a colpi di dossier e persecuzione mediatica i finiani torneranno all'ovile chiedendo perdono e pregando di non essere arrotati mediaticamente. Penso che il duo Berlusconi-Bossi terra il potere in pugno per almeno tutta la legislatura. Ci stai?
Bisognerebbe approfondire, al di la della retorica anti-meridionalista quanto poco va al sud e quanto di più va al nord.
Un tuo articolo sarebbe una fonte di maggior conoscenza e serenità di giudizio.
Ciao Carlo
provo a dire la mia. 1° parte
@“Come si può notare, il problema non è più Berlusconi, bensì il berlusconismo che è entrato – come un cancro – nelle case degli italiani, dapprima portato dalle sue televisioni, poi da lui stesso e dai suoi sodali.”
Mai affermazione fu più vera. Secondo me il berlusconismo nasce prima, nasce quando l’italiano comincia a ripudiare la propria storia, le proprie tradizioni per emulare lo stile di vita americano (in sala matricina) e qui il mitico Albertone ne ha dato un saggio.
Inoltre c’è da dire che il Berlusconi è la rappresentazione reale dell’italiano medio. L’italiano che sia di sx, di centro o di dx ha in berlusconi il proprio alter ego, vedi in piccolo tutte le furberie per evadere le tasse, soldi facili, cercare l’impunità, fino al luogo comune del famoso detto “italiani latin lover”.
Non vorrei essere frainteso, chi è di dx (ormai solo liberale) vede un uomo che dal nulla ha costruito un impero, non importa con quali mezzi (sono secondari), e quindi è degno di ammirazione.
Chi è di sx vede, invece, quello che più cerca di ripudiare nei propri costumi attuali.
Cito un art. che ben rappresenta il pensiero italiano.
(http://www.wolfstep.cc/2010/05/limpunita-del-piccolo-reato-comune-non.html)
”Il vero problema di questo paese e' che dietro la parola giustizia si nasconde semplicemente la parola "morale". E che dietro alla parola "onesta'" si nasconde , nella stragrande maggioranza dei casi, l'impunita' della quale nel nostro paese gode chiunque, ovvero tutti, nella vita quotidiana si macchi di qualche piccolo reato, che regolarmente, o solo in casi rarissimi, viene punito.”
@La domanda che ci si deve porre, allora, è un’altra: non tanto quale sarà il futuro di Berlusconi e del suo partito, quanto come sia stato possibile che un personaggio come Silvio Berlusconi sia potuto diventare Presidente del Consiglio in barba a tutte le norme. Ricordiamo, una per tutte, la sua ineleggibilità giacché fruitore di concessioni statali[1]: suvvia, togliamoci le pelli di salame dagli occhi.
Berlusconi non è la causa, bensì la conseguenza della colonizzazione culturale che abbiamo subito e accettato troppo velocemente.
provo a dire la mia. 2° parte
Per quanto concerne la questione ENI, per Berlusconi è forse l’unica carta di peso che può giocarsi a livello internazionale, e le sue famose amicizie(?) internazionali ne sono una conseguenza. E in questo contesto dovrebbero essere valutati i vari attacchi mediatici sulla società. Ma solo un pazzo mollerebbe l’unica possibilità di mettere parola su questioni così grandi e certamente non un megalomane…
@ Non dimentichiamo che, nei confronti di presidenti “scomodi”, c’è sempre il “pazzo” che li avvicina – ma senza statuette del Duomo di Milano – oppure gli aerei cadono. Quanti ne sono caduti, da Hammarskjöld in poi?
L’italia continua ad avere un ruolo strategicamente rilevante e i presidenti scomodi vengono rimossi con altri mezzi(in italia). I vincoli con l’area anglo-americana e con l’europa sono troppo stretti per permettere una situazione potenzialmente pericolosa. Credo che per i Grandi Iteressi Internazionali sia più plausibile il detto cinese di aspettare sulla riva del fiume il cadavere del proprio nemico, anche perché nell’attuale situazione politica non esiste nessuna alternativa che punti a rompere tali legami.
FIAT
Quello che è successo ultimamente con la fiat è stato studiato “a tavolino” con il governo. Anzi azzardo dicendo che il governo ha organizzato il tutto e ha trovato in fiat una porta aperta. È stato l’apripista alla cinesizzazione dei lavoratori italiani, e comunque per i pseudo-sindacati era comunque una battaglia persa in partenza (una trappola), che non ha fatto altro che aggravare la disaffezione dei lavoratori per tali istituzioni.
Concordo che bisogna “seguire con calma l’evoluzione della situazione e di confrontarci”, poiché il vero cambiamento è possibile soltanto quando ognuno di noi sarà consapevole che tale cambiamento è auspicabile, magari facendo un passo indietro e rispolverare la solidarietà che una volta era alla base della nostra società.
Saluti
Gaetano
Purtroppo la Costituzione viene presa a cazzotti da qualche decennio, anche dagli “antenati” di quelli che oggi dicono di difenderla a spada tratta. La morte di Cossiga tra l’altro dice che in Italia non è si è mai voluto fare i conti con la “notte della Repubblica”. Tanti guai di adesso nascono da lì. A cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 entrò in vigore una Costituzione materiale adeguata alle leggi dell’emergenza che mandò in soffitta quella formale. Furono varate leggi in base alle quali le persone venivano giudicate non per quello che avevano fatto ma per quanto pensavano di ciò che altri avevano fatto. Nacque così la repubblica penale che provocò terribili ferite allo stato di diritto prima nella cosiddetta lotta al terrorimo, poi con l’antimafia e il manipulitismo. La morte della politica iniziò allora e non può stupire che il protagonista della vicenda italiana sia da 17 anni l’uomo che è l’emblema dell’antipolitica.
Ottimo esempio, Carlo, di come sia indispensabile affrontare la "storia" per cercare di prevedere il "futuro" con una visione ottimistica ed operativa.
Guai a leggere solo il presente.
Mi compiaccio a pensare che questo atteggiamento nasca dal tuo pensiero (ovviamente) e dal confronto con i tanti che ti seguono e commentano con passione.
Colgo la nascita di una speranza o, almeno, di una opportunità che ci sta davanti...
La solita illusione?
Ben tornato Carlo
FabrizioD
E dopo il post-berlusconismo?
Il post-neoliberismo.
grazie Carlo per la tua analisi.
B.S.
Credo, cari amici, che ciò che sta succedendo non sia soltanto un cambio di governo per mantenere l'esistente. Se fosse possibile, lo farebbero senz'altro.
Il problema si è spostato sul piano sociologico, con una società - quella italiana - che si distanzia oramai di parecchio dal resto d'Europa. Mettere il naso fuori, ogni tanto, serve per comprendere quanto oramai siamo precipitati in una sorta di terzo mondo virtuale. La democratura di Matejevic ben s'adatta per comprendere il livello di frammentazione della società italiana, senza più nessuna "rete di sicurezza" che la salvaguardi.
Per questa ragione sono molto curioso d'osservare quale coniglio tireranno fuori dal cappello, se ancora ne hanno uno.
Mozart cita fatti sui quali avrei voluto scrivere - tempo tiranno! - ossia quanto le leggi "d'emergenza" varate nel periodo BR intaccarono le basi del diritto.
Personalmente, subii due perquisizioni a causa di persone che - siccome avevano già cantato tutto il cantabile - fecero il mio nome (che non c'entravo niente).
L'abitudine al "perdono" in cambio della delazione fu la premessa per una concezione del diritto che all'estero è sconosciuta.
Tutti hanno fatto i conti con i propri crimini di guerra, meno l'Italia. La presunzione d'innocenza è un cardine degli ordinamenti, meno che in Italia: viene citata solo per i politici.
Voglio citarvi un aspetto forse poco conosciuto.
In Italia, per andare per mare, c'è una complessa normativa di patenti, permessi e lunghezza dell'imbarcazione. In Francia, vai dove vuoi.
In Italia, nei primi giorni delle vacanze, la Guardia Costiera ha ricevuto 160 chiamate da persone che avevano semplicemente il motore in panne, al punto da sbottare: controllate il filtro del gasolio prima d'uscire!
In Francia, se devono venirti a soccorrere perché hai il filtro intasato, dopo devi spiegare. E sono proprio c...amarissimi.
Questo è il vero liberalismo, non questa pagliacciata perdonistica e colpevolista che ci spacciano.
Ciao a tutti
Carlo
Carlo una riflessione che faccio con te. dati sul PIL parlano chiaro l'Europa, Germania in testa è in ripresa, anche rispetto gli USA, (ma questo è un punto che affronterò in seguito), l'Italia sta la palo, malgrado le supponenti affermazioni del ministro commercialista Tremonti. Mi chiedo qual paese si terrebbe questo governo bugiardo e incapace? Invece gli italiani sono felici e continuano nei sondaggi a sostenere il nano e il commercialista, che chiamano un grande economista. Non credi che questo sia il successo del lavaggio del cervello fatto quotidianamente agli italiani dalle tv berlusconane? e che quindi non vi è speranza di cambiamento? Lo so per te il nano e agli sgoccioli, ma a me sembra un ipnotizzatore che fa sentire caldo ad uno spettatore, mentre il pubblico l'Europa e il mondo si sbellicano dalle risate. Un esempio banale, alla camera ardente di Cossiga non cera quasi nessuno, solo il palazzo con il suo codazzo, tanto che hanno chiuso un'ora prima de previsto, ma le TV berlusconiane hanno detto che vi era una folla di cittadini comuni. Sono queste le cose che mi rendono pessimista sul futuro d'Italia. Sarà un sultanato della famiglia berlusconi con diritto ereditario di sangue.
Orazio, è difficile definire nel dettaglio gli esiti di questa crisi politica. Il dato che emerge è che la "corazzata" berlusconiana fa acqua da tutte le parti.
Se solo il 60% degli aventi diritto vota, per avere i voti devi accontentare almeno il 31% dei votanti, ossia circa 12 milioni d'italiani.
In tempi di vacche magre, è dura. Continuo a credereche il default del governo dipenda da due fattori: il federalismo in agguato e la legge finanziaria, che ha toccato anche il loro elettorato.
Staremo a vedere, ma ti do un consiglio: i sondaggi si guardano (e si confrontano) quando s'è certi che ci saranno elezioni. Prima, sono solo lotta politica.
Ciao
Carlo
Buongiorno Signor Bertani,
a lei ed a tutti i lettori/commentatori. La seguo veramente da pochi giorni e volevo ringraziarla , oltre che complimentarmi con lei, per la pubblicazione del suo ultimo post sul suo blog.
Di fondo, alberga in me un grande pessimismo sulla situazione italiana. Ad esempio l'affossamento della scuola ( ho insegnato per alcuni anni), che io considero il pilastro fondamentale della societa', la dice lunga sulla chiara volonta' di chi ci governa ( destra o sinistra che sia)di far crescere la maggior parte delle persone con riferimenti "culturali" quali Grandi frateli vari o pacchi vari, e concentrare poi la conoscenza e la cultura nelle mani dei pochi che frequenteranno le scuole private. Vedo poi il grande sfruttamento del lavoro. Vedo laureati trentenni costretti a lavorare nel call center per poche centinaia di euro al mese, praticamente senza futuro e senza progetti, sostenuti per fortuna dalle famiglie di origine che riescono, vendendo ad esempio la seconda casa acquistata con tanta fatica, a "coprire" il disastro in cui ci troviamo. Ecco, finche' sara' considerato "normale" vivere in un paese dove un laureato, anziche' fare il ricercatore, debba stare in un call center, allora non ne usciremo, perche' cio' sta ad indicare che la rassegnazione ha ormai preso il sopravvento.
Ancora un saluto ed a presto
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