Sarebbe un mondo meraviglioso, la terra dell’Eden, se una mattina Ariel ed Yits’aq non si fossero recati in centro, dopo la sbornia del Sabato sera…pardon…per festeggiare la fine dello Shabbat.
Dobbiamo riconoscere che nel Pianeta ci sono gravi problemi: c’è una devastante crisi economica, il futuro potrebbe riservarci nuove guerre, l’energia sarà più scarsa e cara, l’inquinamento ed il mutamento climatico potrebbero azzannarci all’improvviso…tutto sommato, però, potremmo trovare soluzioni, cercare con ostinazione di risolvere, di cambiare. Se Ariel ed Yits’aq non fossero scesi in centro, a Tel Aviv, quella Domenica mattina.
Non sappiamo se ci fosse il sole, ed un fresco vento proveniente dalla Galilea sospingesse i loro passi, oppure se le nubi giocassero a rimpiattino in cielo, scompagnate da quel vento di mare così carico d’aromi e d’umidità.
La sola cosa che sappiamo è che Ariel ed Yits’aq sono scesi in città dal loro sobborgo, magari per rivedere Sarah ed Esther – anche di questo non siamo certi – però lo hanno fatto.
Dove li ha condotti il Fato?
Gironzolando, hanno notato un negozietto d’abbigliamento: che male c’è, nel comprare una maglietta?
Ognuno di noi ha qualche maglietta ricordo – la cicloadunata di primavera o la festa della polenta – oppure quelle più serie, con il vecchio ponte di Mostar e tanti ricordi appesi ad ogni filo.
Ariel ed Yits’aq hanno appena partecipato ad un safari organizzato in terra di Gaza, e non vogliono privarsi di un ricordo, tanto per celebrare d’aver portato a casa la pelle.
Il proprietario del negozio offre, ovviamente, le migliori griffe, ma il prodotto “speciale” sono le magliette ricordo per i militari appena tornati da Gaza. Non potendo appendere alle pareti del salotto la testa imbalsamata di un bambino palestinese – con un safari “proibito” in Kenya ci potrebbe scappare anche la testa di un leone, ma a Gaza non offrono ancora quel servizio – il buon commerciate ha pensato di limitarsi all’icona.
E, per mostrare l’infallibilità dei cecchini con la stella di David, meglio sottolineare che con un sol colpo – risparmiare non è mai peccato nell’ebraismo – si riescono ad abbattere due prede. Come? Sparando ad una donna incinta: con un po’ di fortuna in aggiunta – le gravidanze gemellari non sono così frequenti – anche tre. Non vale ovviamente, prima di sparare, chiedere l’ecografia: ci si deve affidare alla “pancia” e basta, poiché un safari è un safari, ed ogni buon cacciatore deve fidare solo sulla prontezza e sull’istinto.
Potremmo fregarcene altamente di Ariel e di Yits’aq? Potremmo affermare che il nostro mondo necessità sì di profondi mutamenti, ma è ancora sano nei suoi fondamenti?
Prima che Ariel ed Yits’aq entrassero in quel negozio, potevamo avere dei dubbi: dopo, no. Per quale ragione?
Poiché entrare in quel negozio rappresenta il discrimine fra l’apologia della guerra e l’apologia della barbarie, che sono affari ben diversi – non tanto per i risultati sul campo, ahimé, poco dissimili – quanto per i segni, per i diversi imprinting che lasciano nella mente umana.
Una cosa è andare in guerra, altra invece è partecipare ad un safari con prede umane.
Non sappiamo se gli ufficiali selle SS che interravano vivi – fuori solo la testa – i bambini ebrei nei loro poligoni di tiro in alta Baviera, per provare la precisione sulla lunga distanza dei loro Männlicher, conservassero una sorta di ruolino, un carnet, come gli aviatori aggiungono in fusoliera una bandiera per ogni aereo nemico abbattuto. La Storia, a volte, è frugale nei particolari.
Vorremmo però domandare a due “Riccardi” italiani – Pacifici e Di Segni, l’uno presidente della comunità ebraica romana, l’altro rabbino-capo e valente medico – cosa pensano del mondo dopo aver visto quelle magliette.
A Pacifici – che conquistò la presidenza con la sua lista “pro Israele” – vorremmo chiedere in quale articolo del diritto israeliano sia scritto che in guerra non è solo permesso trucidare le donne incinte, bensì ne sia permessa l’apologia. Dunque, non è possibile relegare l’evento ad un “danno collaterale”: dopo Abu Ghraib e le torture, siamo giunti alle magliette della vergogna?
E, per favore, non giri attorno al problema come una pianta di zucca – sostenendo “che i negazionisti hanno detto o che gli iraniani hanno fatto” – ma risponda alla domanda, perché una pianta di zucca gira sempre e solo in tondo, attorno ad un letamaio.
Da Di Segni, invece – visto che Israele è uno Stato confessionale – vorremmo sapere dove, nella Torah, sia prescritto di trucidare qualsiasi nemico, donne incinte comprese. E vogliamo aggiungere alla ricerca, affinché non rimangano dubbi, anche i due Talmud e, già che ci siamo, incorporiamo anche la letteratura religiosa cosiddetta “minore”. Di Segni saprà perfettamente a cosa ci riferiamo.
Anche al rabbino, domandiamo d’essere preciso e di non lasciarsi prendere la mano da vecchie e nuove polemiche con i cristiani ed i musulmani: chiediamo solo, da acclarato studioso delle Scritture, di conoscere il versetto dove sia prescritto l’assassinio delle donne incinte e la sua apologia.
Per essere precisi, ci risparmi le tante citazioni sulla potenza del “Dio degli Eserciti”, perché quelle già le conosciamo: le donne incinte, e basta.
Al Presidente della Camera Gianfranco Fini – che a suo tempo appoggiò la “crociata” contro Saddam Hussein – vorremmo chiedere, nella sua veste di “grande amico” d’Israele, a quale pena condannerebbe chi uccide volontariamente le donne incinte. C’è un cappio ancora caldo a Baghdad.
Infine, all’onorevole Fassino – fondatore dell’associazione “sinistra per Israele” – vorremmo domandare quanto, a suo giudizio, sia “sinistro” veder circolare esseri umani con quelle magliette indosso.
Si potrà affermare che la notizia non è nuova, ed è già passata su Internet – cogliamo dunque l’occasione per ringraziare chi lo ha fatto – ma, a nostro avviso, è stata “triturata” nel frullatore dei media troppo velocemente.
Torniamo dunque a riproporre la riflessione sulle due apologie, guerra/barbarie poiché, se la prima è disdicevole, la seconda è criminale: fulmineo veleno per le menti.
Perché, signori miei, non si tratta solo di ciò che avviene in Israele, bensì di ciò che passa sui media dell’intero Pianeta: avremmo desiderato almeno un afflato di condanna, e invece il silenzio delle istituzioni assorda.
A forza d’aggiungere vergogne e mistificazioni, c’è da chiedersi se questo Pianeta sia ancora un posto degno d’essere calpestato con piedi gentili, un luogo ove portar rispetto per gli antenati che c’hanno preceduto, oppure se certe macchie non insozzino definitivamente ogni orizzonte, rendendolo improponibile, e dunque solo da distruggere.
Di certo, sappiamo che due Sturmschützen circolano per Tel Aviv, dopo aver scambiato una stella gialla con le mostrine, nere, delle SS. E, questo, non potrà mai più essere – a dispetto dei nostri sforzi – il migliore dei mondi possibile: anche per noi che siamo lontani dai parchi-safari palestinesi, per tutti.
Dobbiamo riconoscere che nel Pianeta ci sono gravi problemi: c’è una devastante crisi economica, il futuro potrebbe riservarci nuove guerre, l’energia sarà più scarsa e cara, l’inquinamento ed il mutamento climatico potrebbero azzannarci all’improvviso…tutto sommato, però, potremmo trovare soluzioni, cercare con ostinazione di risolvere, di cambiare. Se Ariel ed Yits’aq non fossero scesi in centro, a Tel Aviv, quella Domenica mattina.
Non sappiamo se ci fosse il sole, ed un fresco vento proveniente dalla Galilea sospingesse i loro passi, oppure se le nubi giocassero a rimpiattino in cielo, scompagnate da quel vento di mare così carico d’aromi e d’umidità.
La sola cosa che sappiamo è che Ariel ed Yits’aq sono scesi in città dal loro sobborgo, magari per rivedere Sarah ed Esther – anche di questo non siamo certi – però lo hanno fatto.
Dove li ha condotti il Fato?
Gironzolando, hanno notato un negozietto d’abbigliamento: che male c’è, nel comprare una maglietta?
Ognuno di noi ha qualche maglietta ricordo – la cicloadunata di primavera o la festa della polenta – oppure quelle più serie, con il vecchio ponte di Mostar e tanti ricordi appesi ad ogni filo.
Ariel ed Yits’aq hanno appena partecipato ad un safari organizzato in terra di Gaza, e non vogliono privarsi di un ricordo, tanto per celebrare d’aver portato a casa la pelle.
Il proprietario del negozio offre, ovviamente, le migliori griffe, ma il prodotto “speciale” sono le magliette ricordo per i militari appena tornati da Gaza. Non potendo appendere alle pareti del salotto la testa imbalsamata di un bambino palestinese – con un safari “proibito” in Kenya ci potrebbe scappare anche la testa di un leone, ma a Gaza non offrono ancora quel servizio – il buon commerciate ha pensato di limitarsi all’icona.
E, per mostrare l’infallibilità dei cecchini con la stella di David, meglio sottolineare che con un sol colpo – risparmiare non è mai peccato nell’ebraismo – si riescono ad abbattere due prede. Come? Sparando ad una donna incinta: con un po’ di fortuna in aggiunta – le gravidanze gemellari non sono così frequenti – anche tre. Non vale ovviamente, prima di sparare, chiedere l’ecografia: ci si deve affidare alla “pancia” e basta, poiché un safari è un safari, ed ogni buon cacciatore deve fidare solo sulla prontezza e sull’istinto.
Potremmo fregarcene altamente di Ariel e di Yits’aq? Potremmo affermare che il nostro mondo necessità sì di profondi mutamenti, ma è ancora sano nei suoi fondamenti?
Prima che Ariel ed Yits’aq entrassero in quel negozio, potevamo avere dei dubbi: dopo, no. Per quale ragione?
Poiché entrare in quel negozio rappresenta il discrimine fra l’apologia della guerra e l’apologia della barbarie, che sono affari ben diversi – non tanto per i risultati sul campo, ahimé, poco dissimili – quanto per i segni, per i diversi imprinting che lasciano nella mente umana.
Una cosa è andare in guerra, altra invece è partecipare ad un safari con prede umane.
Non sappiamo se gli ufficiali selle SS che interravano vivi – fuori solo la testa – i bambini ebrei nei loro poligoni di tiro in alta Baviera, per provare la precisione sulla lunga distanza dei loro Männlicher, conservassero una sorta di ruolino, un carnet, come gli aviatori aggiungono in fusoliera una bandiera per ogni aereo nemico abbattuto. La Storia, a volte, è frugale nei particolari.
Vorremmo però domandare a due “Riccardi” italiani – Pacifici e Di Segni, l’uno presidente della comunità ebraica romana, l’altro rabbino-capo e valente medico – cosa pensano del mondo dopo aver visto quelle magliette.
A Pacifici – che conquistò la presidenza con la sua lista “pro Israele” – vorremmo chiedere in quale articolo del diritto israeliano sia scritto che in guerra non è solo permesso trucidare le donne incinte, bensì ne sia permessa l’apologia. Dunque, non è possibile relegare l’evento ad un “danno collaterale”: dopo Abu Ghraib e le torture, siamo giunti alle magliette della vergogna?
E, per favore, non giri attorno al problema come una pianta di zucca – sostenendo “che i negazionisti hanno detto o che gli iraniani hanno fatto” – ma risponda alla domanda, perché una pianta di zucca gira sempre e solo in tondo, attorno ad un letamaio.
Da Di Segni, invece – visto che Israele è uno Stato confessionale – vorremmo sapere dove, nella Torah, sia prescritto di trucidare qualsiasi nemico, donne incinte comprese. E vogliamo aggiungere alla ricerca, affinché non rimangano dubbi, anche i due Talmud e, già che ci siamo, incorporiamo anche la letteratura religiosa cosiddetta “minore”. Di Segni saprà perfettamente a cosa ci riferiamo.
Anche al rabbino, domandiamo d’essere preciso e di non lasciarsi prendere la mano da vecchie e nuove polemiche con i cristiani ed i musulmani: chiediamo solo, da acclarato studioso delle Scritture, di conoscere il versetto dove sia prescritto l’assassinio delle donne incinte e la sua apologia.
Per essere precisi, ci risparmi le tante citazioni sulla potenza del “Dio degli Eserciti”, perché quelle già le conosciamo: le donne incinte, e basta.
Al Presidente della Camera Gianfranco Fini – che a suo tempo appoggiò la “crociata” contro Saddam Hussein – vorremmo chiedere, nella sua veste di “grande amico” d’Israele, a quale pena condannerebbe chi uccide volontariamente le donne incinte. C’è un cappio ancora caldo a Baghdad.
Infine, all’onorevole Fassino – fondatore dell’associazione “sinistra per Israele” – vorremmo domandare quanto, a suo giudizio, sia “sinistro” veder circolare esseri umani con quelle magliette indosso.
Si potrà affermare che la notizia non è nuova, ed è già passata su Internet – cogliamo dunque l’occasione per ringraziare chi lo ha fatto – ma, a nostro avviso, è stata “triturata” nel frullatore dei media troppo velocemente.
Torniamo dunque a riproporre la riflessione sulle due apologie, guerra/barbarie poiché, se la prima è disdicevole, la seconda è criminale: fulmineo veleno per le menti.
Perché, signori miei, non si tratta solo di ciò che avviene in Israele, bensì di ciò che passa sui media dell’intero Pianeta: avremmo desiderato almeno un afflato di condanna, e invece il silenzio delle istituzioni assorda.
A forza d’aggiungere vergogne e mistificazioni, c’è da chiedersi se questo Pianeta sia ancora un posto degno d’essere calpestato con piedi gentili, un luogo ove portar rispetto per gli antenati che c’hanno preceduto, oppure se certe macchie non insozzino definitivamente ogni orizzonte, rendendolo improponibile, e dunque solo da distruggere.
Di certo, sappiamo che due Sturmschützen circolano per Tel Aviv, dopo aver scambiato una stella gialla con le mostrine, nere, delle SS. E, questo, non potrà mai più essere – a dispetto dei nostri sforzi – il migliore dei mondi possibile: anche per noi che siamo lontani dai parchi-safari palestinesi, per tutti.
7 commenti:
SS non sta per Sturm Staffeln ma per Schutz Staffeln, che significa "staffette di difesa". Anche loro non erano concepite altrimenti che a scopo difensivo. Diritto all'autodifesa e alla sopravvivenza di Israele da una parte, "spazio vitale" tedesco dall'altra... ma in fondo la paranoia difensiva israeliana è molto diversa da quella degli USA?
Ma io, Luca, ho semplicemente creato un neologismo, che in tedesco è facilissimo fare!
Anzi, è difficile - con la struttura della lingua tedesca, simile al sanscrito per la composizione delle parole - essere certi che qualcuno non l'abbia già creato!
Letteralmente, sarebbe "la milizia della tempesta": credo che, per quello ch'è avvenuto a Gaza, ci stia.
Hai ragione nel dire che gli imperialismi ed i colonialismi si connotano d'identiche basi, ma l'apologia dei propri delitti - così, in modo sfacciato - è un ulteriore limite oltrepassato. Vale come le foto di Abu Ghraib. O no?
Ciao
Carlo
Carlo: l'apologia del massacro è normale presso gli eserciti serve a palcare le coscienze dei soldati. Serve a sentirsi nel giusto continuando a massacrare reificando il nemico e a rinviare le malatie mentali che derivano da quest'attività.
E' la civiltà borghese che fa sforzi inumani per rendere accettabili queste cose come "eventi limitati" a pochi casi e pertanto meritevoli, a livello mediatico, di "giustificato silenzio".
Il superamento della barbarie è solo la grande ipocrisia post illuministica.
un abbraccio
ciao
cloro
Ciao Cloro,
a 20 anni mi recai in pellegrinaggio nella Maurienne, per osservare con i miei occhi il paesaggio che toccò Jean Jacques.
Forse, ne rimasi contaminato, ma non me ne dolgo troppo.
Ricambio con gioia l'abbraccio
Carlo
Cheers Cloro,
in poche righe hai sgretolato secoli di perbenismo (guerrafondaio) borghese.
Chi evita di guardare alla guerra per quello che è non fa altro che ripetere le stesse stupidaggini on & on, sempre per pura autodifesa, ovviamente, e ci mancherebbe altro!
Eccoci dunque servito il nostro mondo a compartimenti stagni, con la solita routine della mano destra che non sa (e non vuole sapere) cosa fa la sinistra.
Penso che per uscire da questo circolo vizioso occorra far emergere una coscienza/consapevolezza individuale, che purtroppo (e per fortuna) sfugge al diretto controllo dell'uomo.
Ciao a tutti
S.
E' molto triste,
tu chiedi al rabbino di scovare riferimenti nella "Legge".
In realtà proprio il tradimento più grande dell'uomo nei confronti di Dio, è nell'uso sempre strumentale e spesso assassino (come in questo caso) del "grembo".
Dio ci ha detto che la Donna è un essere speciale, Dio (qualcuno dice sia Madre e non Padre) ha sempre avuto un occhio particolare sia per la Donna che per la sua intima essenza, il suo Grembo.
Invece spesso le religioni hanno usato la Donna come mezzo per diffondersi:
-i musulmani non permettono alle loro donne di sposare un non musulmano, questo per la pratica questione che è dal grembo che nascono gli uomini, così nascono già musulmani;
-gli ebrei, più o meno, idem, con l'aggiunta che la linea ebraica passa proprio per il grembo, cioè è ebreo chi nasce da un grembo ebreo anche se di padre non ebreo,
se ci pesante è una vera raffinatezza 'teo'-logica (ma di 'teo' c'è ben poco è un freddo calcolo).
Ecco dov'è il calcolo terrificante intrinsecamente espresso con la maglietta. Ecco dove l'intepretazione 'empia' della religione tradisce non solo la Fede ma anche la società umana.
Nelle Lodi di questa mattina c'è un salmo che ha questo bellisimo (almeno per me) passo:
"Nel cuore dell'empio parla il peccato,davanti ai suoi occhi non c'è timor di Dio. Poiché egli si illude con se stesso nel ricercare la sua colpa e detestarla." (Salmo 35)
A me è sempre sembrato molto significativo, stigmatizza anche quello che ha scritto Cloro
(della quale ammiro la sintesi).
C'è un altro passo del Vangelo che vorrei citarvi e che è -sempre per il mio pensiero- molto calzante con l'argomento donna, grembo, umanità ecc
Lettera agli Efesini:
"Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, ... Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa ... Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito ..."
Se si legge bene questo passo, scritto in un periodo storico e sociale nel quale la donna contava poco e se vedova o senza marito, niente, è rivoluzionario.
La donna deve sentirsi "sottomessa"
(sono importanti le virgolette perché generazioni di preti e maschilisti ci hanno 'marciato') all'uomo solo se l'uomo la ama come Cristo la Chiesa!
Vi rendete conto cosa dice (dico 'Vi' ma parlo principalmente per me, prima di conoscere questo brano ero di tendenza maschilista...purtroppo, posso solo dire che ero anche molto giovane)?
Vorrei vedere quell'uomo che dà la vita, che ama, che loda che tratta la propria donna come la propria carne, anzi di più, come Crito la Chiesa! Questa non è sottomissione della donna verso l'uomo, è in realtà una 'condanna' per l'uomo che non "cura e nutre" la propria donna (e per estensione di tutte le donne) come sé stesso.
Per quei tempi era un messaggio dirompente (ecco forse perché sono tante le 'mistificazioni' ovvero le intepretazioni 'personalizzate') ed oggi?
Quel "sottomesso" significa, in realtà, "farsi amare", ma non da un uomo qualunque, solo da quello che la voglia amare come e più di sé stesso.
Per fare una parafrasi personale e quasi 'blasfema' direi:
"donna, nella tua naturale (o proveninete da Dio) grandiosità, lasciati amare, adorare, da quest'uomo che dimostra di vivere solo per te, perché solo così, lui, potrà essere innalzato da te e potrete divenire una cosa sola"
(Efesini "...si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola... ")
Noi uomini nemmeno ci proviamo ad amare le nostre donne come Cristo la Chiesa, basterebbe almeno l'intenzione...preferiamo, in alternativa, disegnare magliette, che ci facciano credere di essere, noi maschi, i più forti...
Io ho imparato di più sull'uomo, osservando crescere le mie due figlie femmine (il maschietto ha solo 4 anni per adesso è un sorriso 'disturbatore') che in tutti i libri che ho letto in gioventù.
ciao
RA
Vi ringrazio per le vostre riflessioni: m'avete fatto tornare alla mente che ho un libro "aperto" sulla guerra, e mi sta venendo voglia di "chiuderlo".
La guerra sembra un argomento semplice da trattare ma, se riflettiamo su quanto espresso da Cloro, diventa materia veramente ostica.
Mi limiterò a trattarla narrando storie avvenute, persone che ho conosciuto che m'hanno parlato delle loro esperienze oppure gli "angoli nascosti" della storia.
Altrimenti, si rischia veramente d'essere apologeti della guerra "cavalleresca" oppure della falsa pace.
Bella avventura questi pochi commenti, a dimostrare che la ricchezza non è nella quantità.
Grazie a tutti
Carlo
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