“E cosa sta facendo la nostra gente in Palestina? Erano servi nelle terre della Diaspora e d'improvviso si trovano con una libertà senza limiti, e questo cambiamento ha risvegliato in loro un'inclinazione al dispotismo. Essi trattano gli arabi con ostilità e crudeltà, gli negano i diritti, li offendono senza motivo, e persino si vantano di questi atti. E nessuno fra di noi si oppone a queste tendenze ignobili e pericolose.”
Ahad Ha'am – Zionism: the Dream and the Reality – Harper and Row – New York – 1974.
In questi giorni di sgomento e rabbia, incredulità ed angoscia, stiamo osservando l’ennesimo capitolo dell’infinito tormento palestinese, che già sappiamo non sortirà effetto alcuno, né fra i palestinesi – che si ritroveranno uniti per qualche tempo, per poi ricominciare l’eterno dissidio interno – né per gli israeliani, i quali non potranno rimanere a Gaza – sarebbe come riportare il morto in casa – e s’accontenteranno di qualche anelito di vittoria: vera, presunta, addomesticata dai media, velleitaria e che provocherà altri dissidi interni.
La partita, più che sul campo di battaglia, si gioca sulla capacità di resistenza politica nel tempo il quale – già sanno entrambi i contendenti – non potrà superare le poche settimane, come tutte le guerre degli ultimi anni. Oramai, si fanno le guerre nei periodi di vacanza – il Libano durante le vacanze estive, nel 2006, idem la Georgia nel 2008 – ed oggi sotto Natale: come le “importanti” riforme della politica italiana, che arrivano sempre a Luglio.
Oramai, per bastonare le popolazioni sempre più disilluse, bisogna contare – in qualsiasi modo – sulla massima “distrazione” degli altri. Perché, nel caso della Palestina, si tratta di un vero e proprio vulnus al diritto internazionale.
La pantomima internazionale prevedeva da tempo questo attacco – perché la diplomazia israeliana non si fida della nuova amministrazione americana (staremo poi a vedere…) – ed aveva bisogno del “classico” veto all’ONU. Che, il “glorioso” Bush, non ha fatto certo mancare.
Che si tratti di una colossale presa in giro del diritto internazionale, ci vuole poco a capirlo, anche per chi non ricorda le risoluzioni dell’ONU in materia.
Gran parte della responsabilità ricade sulla dirigenza israeliana, inutile negarlo, perché non ha rispettato le risoluzioni[1] n. 242 del 1967:
· Ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente conflitto.
e n. 338 del 1973:
2 - Richiama le parti in causa affinché immediatamente dopo il cessate il fuoco inizino l’applicazione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti.
Lo status di “territori occupati” quasi non esiste nel diritto internazionale, giacché può riferirsi soltanto alle zone occupate dopo la fine delle ostilità, ossia nel lasso di tempo che intercorre fra un armistizio ed un trattato di pace. Che non può, ovviamente, durare decenni: in epoca contemporanea, le più lunghe occupazioni “temporanee” furono quelle della Saar, dal 1918 al 1935 e dal 1945 al 1957, entrambe però codificate nei trattati di pace e risolte con accordi franco-tedeschi.
Lo status giuridico dei territori palestinesi è un vero e proprio vulnus del diritto internazionale, e questo dovrebbero saperlo anche i politici italiani che blaterano sempre le stesse facezie in TV, ad ogni massacro. Sotto, c’è ben altro.
Immaginiamo cosa sarebbe successo se le truppe russe – scese in campo solo dopo l’attacco georgiano, è bene ricordarlo – avessero bombardato Tblisi – chiese, scuole ed ospedali compresi – facendo 500 morti e 3000 feriti. Immaginiamo cosa sarebbe capitato all’ONU. In Palestina, invece, è solo “difesa”.
Il progetto immaginato dagli israeliani per i “territori occupati” considera gli stessi come un facile serbatoio di manodopera a basso costo: più sono poveri, meno potremo pagarli. Così – anche se ultimamente sono state aperte le porte ad una modesta immigrazione orientale – i palestinesi sono stati e sono la forza lavoro per le mansioni di basso livello in Israele. La questione etnica, sempre rimarcata dalla destra israeliana integralista, non vede di buon occhio la presenza stabile in Israele d’altre comunità religiose: hanno dovuto accettare la presenza dei pochi “arabi israeliani”, ma l’hanno accettato obtorto collo. Figuriamoci se arrivassero schiere d’induisti, buddisti, taoisti, ecc.
Di conseguenza, la soluzione più vantaggiosa per Israele è mantenere una sorta di grande prigione a cielo aperto – della quale controllano tutti i rubinetti – nella quale le condizioni di vita sono inenarrabili e, ad ogni nuova incursione israeliana, più giovani passano nelle file di Hamas. Chi dà più retta alla corrotta ed imbelle dirigenza di Fatah? Ovvio che, presa coscienza del proprio status di prigionieri, si ribellano lanciando razzi: così non sarebbe se non si sentissero ostaggi degli israeliani. E, ad ogni nuovo attacco, Hamas si compatta all’interno e s’espande fra la popolazione. L’attacco israeliano, dunque, sortirà proprio l’effetto contrario rispetto a quanto viene comunicato dalle schiere di giornalisti “embedded”.
Viene da chiedersi, però, la ragione che spinge gli israeliani su questa strada, poiché – a fronte di qualche vantaggio economico nello sfruttamento dei palestinesi – ci sono spese militari che “corrono” da decenni, ed una situazione finanziaria che non è proprio rosea. Alcuni anni fa, le banche israeliane rifiutarono i mutui ai Comuni, poiché ritenuti inaffidabili: parola di banchieri ebrei.
La strana “convenienza” economica di mantenere per decenni uno stato di guerra permanente con tutti (o quasi) i suoi vicini è però accettata dalla maggioranza della popolazione, e questo è un dato che non possiamo passare sotto silenzio.
La percezione israeliana del mondo arabo nasce – è impossibile negarlo – dalla pretesa superiorità che nasce dalla Bibbia ebraica, ossia dal Pentateuco: tanti sono i richiami al “popolo eletto”, ed altrettanti ci credono fermamente.
Paradossalmente, pur essendo gli israeliani per la gran parte discendenti di famiglie europee, sembrano completamente stagni nei confronti dell’Illuminismo, fenomeno che riuscì a portare a termine – grazie all’importanza suprema assegnata alla Ragione illuminista – il processo iniziato nel XVI secolo con la Pace di Augusta, quel cuius regio, eius religio che – nelle intenzioni dell’epoca – doveva porre fine alle dispute religiose.
E’ stranissimo che un popolo formatosi in Europa e negli USA – e che tanto ha dato alle Scienze esatte – si mostri così refrattario nei confronti di principi universalmente accettati, quali il rispetto dell’altrui credo e cultura. I musulmani hanno mostrato e mostrano maggior propensione al rispetto, più dei cattolici, e l’Andalusia dei Mori è ancora là a testimoniarlo. Gli israeliani disprezzano gli arabi e la loro cultura – rispetto alla quale tutti abbiamo il diritto d’affermare che non accetteremmo mai per noi – ma che non possiamo più permetterci, dopo essere stati colonizzatori, di disprezzare.
I veri pasticci sono venuti dopo, ed hanno avuto come attori non i musulmani – i quali, all’epoca, erano colonizzati – ma le cancellerie europee con le promesse d’indipendenza di Lawrence (in cambio dell’appoggio contro i Turchi), smentite e tradite dal successivo trattato di Sèvres del 1920.
Nonostante le rassicurazioni di Balfour, dopo la Seconda Guerra Mondiale la Palestina si trasformò in una terra di nessuno, dove la ragione del più forte – perché più organizzato – contava su personaggi come Menachem Begin, il quale aveva la pessima abitudine di “dimenticare” bombe a mano nelle case degli arabi.
La sua “carriera” è una striscia di sangue, ed oggi parlano di “terrorismo”. Da Wikipedia:
Il 25 aprile 1946 guida personalmente un commando che attacca un garage inglese uccidendone tutto il personale addetto.
Il 22 luglio 1946 è alla testa del gruppo di terroristi che fa esplodere l'Hotel King David di Gerusalemme, provocando la morte di 97 persone, in gran parte ammalati, feriti, medici e infermiere (l'hotel era adibito a ospedale militare).
Il 1 marzo 1947 uccide due ufficiali britannici in un circolo militare inglese.
Il 18 aprile uccide un passante con una bomba, in un'azione intimidatoria terrorista. Due giorni dopo lancia un'altra bomba contro un ospedale della Croce Rossa Internazionale di Gerusalemme.
Il 12 luglio 1947, con alcuni compagni, rapisce due sottufficiali britannici appena ventenni, Mervyn Paice e Clifford Martin: li tortura a lungo e li impicca poi con fil di ferro. Ai due cadaveri lega una bomba che ferisce i soccorritori sopraggiunti. (tecnica usata anche dai finlandesi con i prigionieri russi N. d. A.).
Tre mesi dopo dirige una rapina ad una succursale della Barclay's Bank e, nel fuggire col bottino, uccide quattro agenti di servizio.
Nel febbraio 1948 dirige un gruppo di terroristi in un attacco contro un ospedale britannico di Gerusalemme: risultato, tre militari feriti vengono assassinati nei loro letti.
Il 10 aprile 1948, il più odioso e più noto dei crimini delle lotte in Palestina: Begin mette a punto e dirige personalmente l'azione di rappresaglia contro il villaggio arabo di Deir Yassin, con l'uccisione a sangue freddo di tutti i suoi abitanti, compresi i vecchi, gli infermi e i bambini in fasce (il numero delle vittime varia, dal un minimo di oltre un centinaio di persone a un massimo di 254).
Costui è stato il fondatore del Likud, il partito di Sharon e Netanyahu. I primi ad usare l’arma del terrorismo furono proprio gli israeliani, che poi pensarono bene di promuovere Primo Ministro un simile pendaglio da forca.
Tutto sembra nascere da quel vasto fenomeno criminale europeo – perché non vi parteciparono solo tedeschi, bensì polacchi, ucraini, francesi, italiani, croati… – che fu la pietra angolare che segnò Israele: la Shoà. C’era da aspettarselo: a quel tempo, era normale che così fosse.
La perfidia assai strana è che coloro i quali, per anni, condussero le tradotte al macello non pagarono lo scotto: perché, ad esempio, la Germania non fu obbligata a cedere una parte del suo territorio per lo stato ebraico?
No: in pieno stile coloniale, l’assassinio di milioni d’ebrei (e non solo, è bene ricordarlo) fu pagato dai palestinesi, che c’entravano come i cavoli a merenda. E non stiamo a raccontare storie di Gran Muftì “nazisti” poiché, per contrappasso, potremmo ricordare chi – finanziariamente, per due guerre mondiali – sorresse lo sforzo bellico britannico.
Terminata la guerra, sarebbe stato meglio onorare chi morì nei lager e rendere così giustizia a tutti i perseguitati del tempo: cercando “un altro Egitto”, direbbe de Gregori.
Il movimento dei kibbutzim ci provò, e suscitò scandalo – in quegli anni – l’educazione collettiva dei giovani, la minor importanza della famiglia, ma questa è un’altra storia, che sarebbe bello raccontare se i kibbutz, oggi, non fossero diventati degli avamposti di Tzahal.
Ciò che avvenne in Israele, soprattutto dopo la guerra di Yom Kippur, fu la montante importanza di una nuova destra, che nulla aveva a che fare con la tradizione conservatrice.
La Shoà, da evento storico – patito sulla propria pelle, ma pur sempre evento storico – fu trasformato in fatto quasi religioso: nacque la retorica della Shoà, che ebbe in Yad Yashem il suo tempio, il nuovo tempio di Salomone.
Intere generazioni d’israeliani sono state cresciute in questa retorica, e l’avvento dei media planetari ha espanso ai quattro venti l’assioma che – un popolo così provato – avesse diritto ad un eterno risarcimento, a scapito di chiunque.
Il tentativo di Rabin – condurre Israele su una strada europea, perché anche in Europa avremmo rivalse e “crediti” a bizzeffe da esigere, la storia europea è un solo, terribile groviglio di massacri e ritorsioni – fallì perché andò a cozzare contro un muro, quello creato da anni di retorica: l’ebreo è sicuro solo in Israele, fuori dai suoi confini sono sempre all’erta le forze del male, pronte a distruggerlo. Salvo, poi, constatare che gli ebrei americani ed italiani se la passano molto meglio di quelli israeliani; a microfono spento, vi diranno: “fossi matto ad andare laggiù, col rischio di saltare per aria o di precipitare in una guerra l’anno”.
Le questioni geopolitiche contano, non lo nascondiamo, ma questi sono i sentimenti che la popolazione israeliana avverte: semplicemente, perché da anni viene bombardata su opposti fronti. Da una lato, quello biblico – con tutte le citazioni di fosche profezie, sul popolo eletto, ecc – e dall’altro per il ricordo della Shoà, la quale esige d’essere sempre all’erta, pronti a rispondere a qualsiasi attacco, costi quel che costi.
In definitiva, Israele non ha mai superato il trauma della Shoà, anche se quelli che si salvarono sono oramai quasi tutti andati per età: sono le generazioni successive che l’hanno trasformata nel cespite per qualsiasi avventura militare.
Lo Stato Maggiore di Tel Aviv sa benissimo che non potrà occupare Gaza (e dopo? quanti attentati?), e nemmeno sperare d’appiattire ai suoi voleri la popolazione palestinese, dopo tanti massacri e un così diffuso dolore. Una seconda Shoà.
“Finché c’è guerra c’è speranza” – titolo di un film di Sordi – sembra calcare alla perfezione per una dirigenza politica che ha saputo creare da una tragedia un mostro, la ripetizione eterna del ricordo. Guai a noi, se dovessimo serbare memoria e rancore per le guerre di religione o per le bombe incendiarie degli anglo-americani. Non ne usciremmo più: la Jugoslavia ne sa qualcosa.
La guerra in Jugoslavia fu generata da complessi avvenimenti che riguardarono soprattutto la divisione del debito estero fra le repubbliche federate, ma la gran parte delle genti – gli jugoslavi stessi – poco trassero, per odiarsi, dalle decisioni del Fondo Monetario Internazionale.
Ciò che alimentò la fornace fu il ricordo, l’imprinting lasciato/lanciato nelle generazioni, come ha magistralmente spiegato – più con il sogno felliniano che con le parole – Kusturica in Underground. Fantasmi del passato ripresero forma sorgendo da abissi che si pensavano dimenticati: le due divisioni delle Waffen SS islamiche, Handsar e Kama, tornarono a vivere intorno a Sarajevo, come la Skandenberg albanese, divenuta UCK. E poi cetnici nazionalisti della destra di Belgrado, partizan che combattevano per l’eterna causa serba, ustascia che sparavano nel nome della purezza etnico/religiosa croata.
Un coacervo di miasmi senza più reale valenza – nel senso del tempo che le espresse, la Seconda Guerra Mondiale, con le sue ideologie, i suoi nazionalismi ed i calcoli politico/strategici degli stati maggiori – nutrì per anni le gelide notti sui monti della Bosnia, sorresse fino all’ultimo respiro le battaglie in strada, fornì abbondanti giustificazioni per i massacri d’innocenti.
C’è una soluzione, al perverso e raccapricciante alimentare il ricordo per meri scopi di bottega?
Impossibile, se non mutano le premesse.
L’alternativa?
Israele fu per molti anni alleato del Sudafrica dell’apartheid, e la “teoria” dei “territori occupati” sa tanto di “Bantustan”: se non basta, rimangono a testimoniarlo le molte collaborazioni in campo militare, anche quando l’embargo internazionale contro Pretoria non le avrebbe consentite (i missili Gabriel, ad esempio, che armarono le motovedette d’entrambi i Paesi).
Il Sudafrica ha saputo uscire dal suo cul de sac con gran coraggio e lungimiranza: oggi non è certo tranquillo come un cantone svizzero, ma non fa parlare di sé – per massacri – almeno una volta l’anno.
Quella sudafricana è stata un’esperienza creata dal dialogo e dalla reciproca fiducia: riconoscimento che avvenne sia dalla parte dei neri sia da quella boera. Non dimentichiamolo.
Eppure, fu un azzardo che pagò, eccome.
Sull’altro piatto della bilancia, i bianchi sudafricani compresero che la dinamica demografica non li favoriva: non fu soltanto spirito filantropico, ma anche pragmatismo. Che, in ogni modo, funzionò, e potrebbe funzionare anche in Palestina – perché le dinamiche demografiche sono le stesse – se venisse meno l’assurdo principio di uno Stato basato su un’identità etnica e religiosa (peraltro, molto difficile da identificare).
Ci chiediamo se, tramontata ogni ipotesi d’avere due stati che vivono in pace separati, non sia da prendere in considerazione l’ipotesi più semplice, che qualsiasi Stato veramente democratico e moderno dovrebbe sostenere.
Quella di un solo Stato, con pari diritti per tutti e democrazia parlamentare: il sistema meno imperfetto che conosciamo, con tutti i suoi difetti. Una modesta ma concreta base di partenza.
Che ci sarebbe di strano? Non dovrebbe essere la comune prassi di uno Stato che si professa democratico? Non sarebbe una buona occasione anche per i palestinesi, accusati d’essere “refrattari” alla democrazia? Cosa spiazzerebbe di più le leadership integraliste (d’entrambe le parti), bombe e razzi o una proposta che sa di sfida per la democrazia?
L’ipotesi è meno assurda di quel che si pensi, se si riflette sulla alternative.
Israele non potrà mai vincere contro i suoi vicini: sono troppi, e la demografia li avvantaggia. Oramai, i flussi migratori verso Israele sono cessati da tempo.
Può solo perdere o “pareggiare” – mi si passi il paragone calcistico – ma questo “pareggio” è la tragedia alla quale assistiamo, che oggi avvelena di dolore e di rabbia i palestinesi e domani, ad operazione conclusa, ci dirà quante famiglie israeliane piangeranno un loro figlio.
Il sogno della “Grande Israele” è tramontato con il ritiro dal Libano e la mezza sconfitta del 2006: perché continuare in questa assurda tragedia?
Nessun morto nella Shoà ne trarrà vantaggio, e nessun israeliano potrà mai sperare di giungere ad un così completo dominio da scapolare le sue paure ancestrali. Nessun popolo eletto, nessun popolo massacrato.
Ahad Ha'am – Zionism: the Dream and the Reality – Harper and Row – New York – 1974.
In questi giorni di sgomento e rabbia, incredulità ed angoscia, stiamo osservando l’ennesimo capitolo dell’infinito tormento palestinese, che già sappiamo non sortirà effetto alcuno, né fra i palestinesi – che si ritroveranno uniti per qualche tempo, per poi ricominciare l’eterno dissidio interno – né per gli israeliani, i quali non potranno rimanere a Gaza – sarebbe come riportare il morto in casa – e s’accontenteranno di qualche anelito di vittoria: vera, presunta, addomesticata dai media, velleitaria e che provocherà altri dissidi interni.
La partita, più che sul campo di battaglia, si gioca sulla capacità di resistenza politica nel tempo il quale – già sanno entrambi i contendenti – non potrà superare le poche settimane, come tutte le guerre degli ultimi anni. Oramai, si fanno le guerre nei periodi di vacanza – il Libano durante le vacanze estive, nel 2006, idem la Georgia nel 2008 – ed oggi sotto Natale: come le “importanti” riforme della politica italiana, che arrivano sempre a Luglio.
Oramai, per bastonare le popolazioni sempre più disilluse, bisogna contare – in qualsiasi modo – sulla massima “distrazione” degli altri. Perché, nel caso della Palestina, si tratta di un vero e proprio vulnus al diritto internazionale.
La pantomima internazionale prevedeva da tempo questo attacco – perché la diplomazia israeliana non si fida della nuova amministrazione americana (staremo poi a vedere…) – ed aveva bisogno del “classico” veto all’ONU. Che, il “glorioso” Bush, non ha fatto certo mancare.
Che si tratti di una colossale presa in giro del diritto internazionale, ci vuole poco a capirlo, anche per chi non ricorda le risoluzioni dell’ONU in materia.
Gran parte della responsabilità ricade sulla dirigenza israeliana, inutile negarlo, perché non ha rispettato le risoluzioni[1] n. 242 del 1967:
· Ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente conflitto.
e n. 338 del 1973:
2 - Richiama le parti in causa affinché immediatamente dopo il cessate il fuoco inizino l’applicazione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti.
Lo status di “territori occupati” quasi non esiste nel diritto internazionale, giacché può riferirsi soltanto alle zone occupate dopo la fine delle ostilità, ossia nel lasso di tempo che intercorre fra un armistizio ed un trattato di pace. Che non può, ovviamente, durare decenni: in epoca contemporanea, le più lunghe occupazioni “temporanee” furono quelle della Saar, dal 1918 al 1935 e dal 1945 al 1957, entrambe però codificate nei trattati di pace e risolte con accordi franco-tedeschi.
Lo status giuridico dei territori palestinesi è un vero e proprio vulnus del diritto internazionale, e questo dovrebbero saperlo anche i politici italiani che blaterano sempre le stesse facezie in TV, ad ogni massacro. Sotto, c’è ben altro.
Immaginiamo cosa sarebbe successo se le truppe russe – scese in campo solo dopo l’attacco georgiano, è bene ricordarlo – avessero bombardato Tblisi – chiese, scuole ed ospedali compresi – facendo 500 morti e 3000 feriti. Immaginiamo cosa sarebbe capitato all’ONU. In Palestina, invece, è solo “difesa”.
Il progetto immaginato dagli israeliani per i “territori occupati” considera gli stessi come un facile serbatoio di manodopera a basso costo: più sono poveri, meno potremo pagarli. Così – anche se ultimamente sono state aperte le porte ad una modesta immigrazione orientale – i palestinesi sono stati e sono la forza lavoro per le mansioni di basso livello in Israele. La questione etnica, sempre rimarcata dalla destra israeliana integralista, non vede di buon occhio la presenza stabile in Israele d’altre comunità religiose: hanno dovuto accettare la presenza dei pochi “arabi israeliani”, ma l’hanno accettato obtorto collo. Figuriamoci se arrivassero schiere d’induisti, buddisti, taoisti, ecc.
Di conseguenza, la soluzione più vantaggiosa per Israele è mantenere una sorta di grande prigione a cielo aperto – della quale controllano tutti i rubinetti – nella quale le condizioni di vita sono inenarrabili e, ad ogni nuova incursione israeliana, più giovani passano nelle file di Hamas. Chi dà più retta alla corrotta ed imbelle dirigenza di Fatah? Ovvio che, presa coscienza del proprio status di prigionieri, si ribellano lanciando razzi: così non sarebbe se non si sentissero ostaggi degli israeliani. E, ad ogni nuovo attacco, Hamas si compatta all’interno e s’espande fra la popolazione. L’attacco israeliano, dunque, sortirà proprio l’effetto contrario rispetto a quanto viene comunicato dalle schiere di giornalisti “embedded”.
Viene da chiedersi, però, la ragione che spinge gli israeliani su questa strada, poiché – a fronte di qualche vantaggio economico nello sfruttamento dei palestinesi – ci sono spese militari che “corrono” da decenni, ed una situazione finanziaria che non è proprio rosea. Alcuni anni fa, le banche israeliane rifiutarono i mutui ai Comuni, poiché ritenuti inaffidabili: parola di banchieri ebrei.
La strana “convenienza” economica di mantenere per decenni uno stato di guerra permanente con tutti (o quasi) i suoi vicini è però accettata dalla maggioranza della popolazione, e questo è un dato che non possiamo passare sotto silenzio.
La percezione israeliana del mondo arabo nasce – è impossibile negarlo – dalla pretesa superiorità che nasce dalla Bibbia ebraica, ossia dal Pentateuco: tanti sono i richiami al “popolo eletto”, ed altrettanti ci credono fermamente.
Paradossalmente, pur essendo gli israeliani per la gran parte discendenti di famiglie europee, sembrano completamente stagni nei confronti dell’Illuminismo, fenomeno che riuscì a portare a termine – grazie all’importanza suprema assegnata alla Ragione illuminista – il processo iniziato nel XVI secolo con la Pace di Augusta, quel cuius regio, eius religio che – nelle intenzioni dell’epoca – doveva porre fine alle dispute religiose.
E’ stranissimo che un popolo formatosi in Europa e negli USA – e che tanto ha dato alle Scienze esatte – si mostri così refrattario nei confronti di principi universalmente accettati, quali il rispetto dell’altrui credo e cultura. I musulmani hanno mostrato e mostrano maggior propensione al rispetto, più dei cattolici, e l’Andalusia dei Mori è ancora là a testimoniarlo. Gli israeliani disprezzano gli arabi e la loro cultura – rispetto alla quale tutti abbiamo il diritto d’affermare che non accetteremmo mai per noi – ma che non possiamo più permetterci, dopo essere stati colonizzatori, di disprezzare.
I veri pasticci sono venuti dopo, ed hanno avuto come attori non i musulmani – i quali, all’epoca, erano colonizzati – ma le cancellerie europee con le promesse d’indipendenza di Lawrence (in cambio dell’appoggio contro i Turchi), smentite e tradite dal successivo trattato di Sèvres del 1920.
Nonostante le rassicurazioni di Balfour, dopo la Seconda Guerra Mondiale la Palestina si trasformò in una terra di nessuno, dove la ragione del più forte – perché più organizzato – contava su personaggi come Menachem Begin, il quale aveva la pessima abitudine di “dimenticare” bombe a mano nelle case degli arabi.
La sua “carriera” è una striscia di sangue, ed oggi parlano di “terrorismo”. Da Wikipedia:
Il 25 aprile 1946 guida personalmente un commando che attacca un garage inglese uccidendone tutto il personale addetto.
Il 22 luglio 1946 è alla testa del gruppo di terroristi che fa esplodere l'Hotel King David di Gerusalemme, provocando la morte di 97 persone, in gran parte ammalati, feriti, medici e infermiere (l'hotel era adibito a ospedale militare).
Il 1 marzo 1947 uccide due ufficiali britannici in un circolo militare inglese.
Il 18 aprile uccide un passante con una bomba, in un'azione intimidatoria terrorista. Due giorni dopo lancia un'altra bomba contro un ospedale della Croce Rossa Internazionale di Gerusalemme.
Il 12 luglio 1947, con alcuni compagni, rapisce due sottufficiali britannici appena ventenni, Mervyn Paice e Clifford Martin: li tortura a lungo e li impicca poi con fil di ferro. Ai due cadaveri lega una bomba che ferisce i soccorritori sopraggiunti. (tecnica usata anche dai finlandesi con i prigionieri russi N. d. A.).
Tre mesi dopo dirige una rapina ad una succursale della Barclay's Bank e, nel fuggire col bottino, uccide quattro agenti di servizio.
Nel febbraio 1948 dirige un gruppo di terroristi in un attacco contro un ospedale britannico di Gerusalemme: risultato, tre militari feriti vengono assassinati nei loro letti.
Il 10 aprile 1948, il più odioso e più noto dei crimini delle lotte in Palestina: Begin mette a punto e dirige personalmente l'azione di rappresaglia contro il villaggio arabo di Deir Yassin, con l'uccisione a sangue freddo di tutti i suoi abitanti, compresi i vecchi, gli infermi e i bambini in fasce (il numero delle vittime varia, dal un minimo di oltre un centinaio di persone a un massimo di 254).
Costui è stato il fondatore del Likud, il partito di Sharon e Netanyahu. I primi ad usare l’arma del terrorismo furono proprio gli israeliani, che poi pensarono bene di promuovere Primo Ministro un simile pendaglio da forca.
Tutto sembra nascere da quel vasto fenomeno criminale europeo – perché non vi parteciparono solo tedeschi, bensì polacchi, ucraini, francesi, italiani, croati… – che fu la pietra angolare che segnò Israele: la Shoà. C’era da aspettarselo: a quel tempo, era normale che così fosse.
La perfidia assai strana è che coloro i quali, per anni, condussero le tradotte al macello non pagarono lo scotto: perché, ad esempio, la Germania non fu obbligata a cedere una parte del suo territorio per lo stato ebraico?
No: in pieno stile coloniale, l’assassinio di milioni d’ebrei (e non solo, è bene ricordarlo) fu pagato dai palestinesi, che c’entravano come i cavoli a merenda. E non stiamo a raccontare storie di Gran Muftì “nazisti” poiché, per contrappasso, potremmo ricordare chi – finanziariamente, per due guerre mondiali – sorresse lo sforzo bellico britannico.
Terminata la guerra, sarebbe stato meglio onorare chi morì nei lager e rendere così giustizia a tutti i perseguitati del tempo: cercando “un altro Egitto”, direbbe de Gregori.
Il movimento dei kibbutzim ci provò, e suscitò scandalo – in quegli anni – l’educazione collettiva dei giovani, la minor importanza della famiglia, ma questa è un’altra storia, che sarebbe bello raccontare se i kibbutz, oggi, non fossero diventati degli avamposti di Tzahal.
Ciò che avvenne in Israele, soprattutto dopo la guerra di Yom Kippur, fu la montante importanza di una nuova destra, che nulla aveva a che fare con la tradizione conservatrice.
La Shoà, da evento storico – patito sulla propria pelle, ma pur sempre evento storico – fu trasformato in fatto quasi religioso: nacque la retorica della Shoà, che ebbe in Yad Yashem il suo tempio, il nuovo tempio di Salomone.
Intere generazioni d’israeliani sono state cresciute in questa retorica, e l’avvento dei media planetari ha espanso ai quattro venti l’assioma che – un popolo così provato – avesse diritto ad un eterno risarcimento, a scapito di chiunque.
Il tentativo di Rabin – condurre Israele su una strada europea, perché anche in Europa avremmo rivalse e “crediti” a bizzeffe da esigere, la storia europea è un solo, terribile groviglio di massacri e ritorsioni – fallì perché andò a cozzare contro un muro, quello creato da anni di retorica: l’ebreo è sicuro solo in Israele, fuori dai suoi confini sono sempre all’erta le forze del male, pronte a distruggerlo. Salvo, poi, constatare che gli ebrei americani ed italiani se la passano molto meglio di quelli israeliani; a microfono spento, vi diranno: “fossi matto ad andare laggiù, col rischio di saltare per aria o di precipitare in una guerra l’anno”.
Le questioni geopolitiche contano, non lo nascondiamo, ma questi sono i sentimenti che la popolazione israeliana avverte: semplicemente, perché da anni viene bombardata su opposti fronti. Da una lato, quello biblico – con tutte le citazioni di fosche profezie, sul popolo eletto, ecc – e dall’altro per il ricordo della Shoà, la quale esige d’essere sempre all’erta, pronti a rispondere a qualsiasi attacco, costi quel che costi.
In definitiva, Israele non ha mai superato il trauma della Shoà, anche se quelli che si salvarono sono oramai quasi tutti andati per età: sono le generazioni successive che l’hanno trasformata nel cespite per qualsiasi avventura militare.
Lo Stato Maggiore di Tel Aviv sa benissimo che non potrà occupare Gaza (e dopo? quanti attentati?), e nemmeno sperare d’appiattire ai suoi voleri la popolazione palestinese, dopo tanti massacri e un così diffuso dolore. Una seconda Shoà.
“Finché c’è guerra c’è speranza” – titolo di un film di Sordi – sembra calcare alla perfezione per una dirigenza politica che ha saputo creare da una tragedia un mostro, la ripetizione eterna del ricordo. Guai a noi, se dovessimo serbare memoria e rancore per le guerre di religione o per le bombe incendiarie degli anglo-americani. Non ne usciremmo più: la Jugoslavia ne sa qualcosa.
La guerra in Jugoslavia fu generata da complessi avvenimenti che riguardarono soprattutto la divisione del debito estero fra le repubbliche federate, ma la gran parte delle genti – gli jugoslavi stessi – poco trassero, per odiarsi, dalle decisioni del Fondo Monetario Internazionale.
Ciò che alimentò la fornace fu il ricordo, l’imprinting lasciato/lanciato nelle generazioni, come ha magistralmente spiegato – più con il sogno felliniano che con le parole – Kusturica in Underground. Fantasmi del passato ripresero forma sorgendo da abissi che si pensavano dimenticati: le due divisioni delle Waffen SS islamiche, Handsar e Kama, tornarono a vivere intorno a Sarajevo, come la Skandenberg albanese, divenuta UCK. E poi cetnici nazionalisti della destra di Belgrado, partizan che combattevano per l’eterna causa serba, ustascia che sparavano nel nome della purezza etnico/religiosa croata.
Un coacervo di miasmi senza più reale valenza – nel senso del tempo che le espresse, la Seconda Guerra Mondiale, con le sue ideologie, i suoi nazionalismi ed i calcoli politico/strategici degli stati maggiori – nutrì per anni le gelide notti sui monti della Bosnia, sorresse fino all’ultimo respiro le battaglie in strada, fornì abbondanti giustificazioni per i massacri d’innocenti.
C’è una soluzione, al perverso e raccapricciante alimentare il ricordo per meri scopi di bottega?
Impossibile, se non mutano le premesse.
L’alternativa?
Israele fu per molti anni alleato del Sudafrica dell’apartheid, e la “teoria” dei “territori occupati” sa tanto di “Bantustan”: se non basta, rimangono a testimoniarlo le molte collaborazioni in campo militare, anche quando l’embargo internazionale contro Pretoria non le avrebbe consentite (i missili Gabriel, ad esempio, che armarono le motovedette d’entrambi i Paesi).
Il Sudafrica ha saputo uscire dal suo cul de sac con gran coraggio e lungimiranza: oggi non è certo tranquillo come un cantone svizzero, ma non fa parlare di sé – per massacri – almeno una volta l’anno.
Quella sudafricana è stata un’esperienza creata dal dialogo e dalla reciproca fiducia: riconoscimento che avvenne sia dalla parte dei neri sia da quella boera. Non dimentichiamolo.
Eppure, fu un azzardo che pagò, eccome.
Sull’altro piatto della bilancia, i bianchi sudafricani compresero che la dinamica demografica non li favoriva: non fu soltanto spirito filantropico, ma anche pragmatismo. Che, in ogni modo, funzionò, e potrebbe funzionare anche in Palestina – perché le dinamiche demografiche sono le stesse – se venisse meno l’assurdo principio di uno Stato basato su un’identità etnica e religiosa (peraltro, molto difficile da identificare).
Ci chiediamo se, tramontata ogni ipotesi d’avere due stati che vivono in pace separati, non sia da prendere in considerazione l’ipotesi più semplice, che qualsiasi Stato veramente democratico e moderno dovrebbe sostenere.
Quella di un solo Stato, con pari diritti per tutti e democrazia parlamentare: il sistema meno imperfetto che conosciamo, con tutti i suoi difetti. Una modesta ma concreta base di partenza.
Che ci sarebbe di strano? Non dovrebbe essere la comune prassi di uno Stato che si professa democratico? Non sarebbe una buona occasione anche per i palestinesi, accusati d’essere “refrattari” alla democrazia? Cosa spiazzerebbe di più le leadership integraliste (d’entrambe le parti), bombe e razzi o una proposta che sa di sfida per la democrazia?
L’ipotesi è meno assurda di quel che si pensi, se si riflette sulla alternative.
Israele non potrà mai vincere contro i suoi vicini: sono troppi, e la demografia li avvantaggia. Oramai, i flussi migratori verso Israele sono cessati da tempo.
Può solo perdere o “pareggiare” – mi si passi il paragone calcistico – ma questo “pareggio” è la tragedia alla quale assistiamo, che oggi avvelena di dolore e di rabbia i palestinesi e domani, ad operazione conclusa, ci dirà quante famiglie israeliane piangeranno un loro figlio.
Il sogno della “Grande Israele” è tramontato con il ritiro dal Libano e la mezza sconfitta del 2006: perché continuare in questa assurda tragedia?
Nessun morto nella Shoà ne trarrà vantaggio, e nessun israeliano potrà mai sperare di giungere ad un così completo dominio da scapolare le sue paure ancestrali. Nessun popolo eletto, nessun popolo massacrato.
[1] Il testo completo delle risoluzioni è reperibile in “Libano 2006: il peggiore dei deja vu”, dello stesso autore, facilmente reperibile sul Web.
23 commenti:
Ben Vengano persone come te che denuncino questi fatti.
E' vero che l'informazione usa la tecnica del pensare contrario senza che il popolo la conosca, ma questo non giustifica nessuno.
Sono triste molto triste perchè i veri colpevoli sono quelli che mi stanno vicino (amici colleghi per non dire familiari) quelli la cui ignoranza gli impedisce di vedere la verità.
Ebbene sono questi che consentiranno il ritorno dl filo spinato.
Caro Amico ciò mi fa paura
Caro Carlo,
Molto bello questo post. Tra l'altro mi piace molto l'idea di fondo. Ma guardando a casa nostra, ad esempio, io non posso parlare di queste cose con mia madre la quale è convinta di essere stata,in una vita precedente, un'ebreo morto in campo di concentramento...Inoltre quando parlo di queste cose, i miei familiari mi chiamano '11 settembre', detto in tono canzonatorio perché ho il coraggio e la curiosità di informarmi in modo indipendente. Ad ogni buon conto, il discorso l'ho scritto per far comprendere che anche a persone di elevata cultura (mia madre) è difficile far capire l'altra faccia della medaglia, e questo, insieme alle notizie che arrivano dalla Palestina, mi rattrista molto.
Un caro saluto.
René.
Bel posto,molto ben scritto ed equilibrato.La soluzione in stile sudafricano sarebbe l´unica ragionevole,ma gli interessi finanziari dell´industria bellica la ostacoleranno finché potranno.
Caro Carlo, con tutto il dovuto rispetto per le vittime dell’Olocausto e per le sofferenze patite dagli ebrei in generale, il fine di Israele - far piazza pulita dei palestinesi (con le “buone” o con le cattive) – coerentemente coi dettami del primo congresso sionista del 1897 (prima dell’Olocausto nazista) e coi dettami biblici in generale è abbastanza scontato: in questo almeno gli israeliani sono diretti e non vanno tanto per il sottile.
Quello che mi piacerebbe che tu potessi trattare, in un post futuro, è il ruolo di noi occidentali in generale e di noi italiani in particolare in quella che lo studioso Norman Finkelstein (ebreo americano con genitori entrambi internati nei lager nazisti, unici sopravvisuti delle rispettive famiglie) chiama “industria dell’Olocausto”, intesa come rappresentazione ideologica dell’Olocausto nazista.
A parte gli sproloqui a senso unico (filoisraeliano) sugli avvenimenti attuali nella striscia di Gaza, messi in atto dalla propaganda di regime (carta stampata, trasmissioni televisive, polituncoli – progressisti o meno – e compagnia bella) mi colpì già molti anni fa il fatto che il percorso di “ripulitura” dei post-fascisti passasse inevitabilmente per un pellegrinaggio alla City londinese seguito (o preceduto) da un pellegrinaggio in Israele.
Un saluto
Alfredo
Cari amici, vi ringrazio come sempre per i vostri contributi. Speriamo che servano a qualcosa, almeno a "soffiare nel vento".
Sulla questione che pone Alfredo concordo sul fatto che c'erano dei progetti, al tempo di Hetzl e della codifica dell'ebraico moderno, ma erano progetti abbastanza fumosi. Ciò che concesse la successiva occupazione della Palestina fu l'intervento dei Rotshild a fianco della finanza britannica, che condusse agli accordi del 1920. Con la fine della II GM, quegli accordi trovarono spazio per essere attuati, soprattutto perché l'Europa fu scossa dalla Shoà.
Il resto è storia che conosciamo.
Grazie a tutti
Carlo Bertani
Interessante il post, e anche le repliche. Resta da notare che la striscia di Gaza corrisponde all'antica Filistea, dove secondo l'Antico Testamento Davide uccise il gigante Golia (come non manca di precisare in un articolo pubblicato su Effedieffe.Com e su Infopal Domenico Savino).
E questo certamente contribuisce a spiegare perché la dirigenza israeliana ci tenga tanto ad averla. Infatti alla manodopera a basso costo non gli tiri l'uranio impoverito, perché ti serve che sia in buona salute (per l'uranio impoverito la fonte è ancora Infopal e un'intervista all'Apcom di padre Musallam, unico prete cattolico latino residente a Gaza).
Luca
Conosco l'importanza delle scritture per il popolo israeliano, ma credo che 500 morti cambino poco per i flussi di manodopera. L'importanza, come per qualsiasi strategia coloniale, è assicurare l'assoggettamento delle vittime.
Ciao
Carlo Bertani
Ma 500 sono (anzi, erano perché ora sono già 600) i morti direttamente a seguito dell'offensiva attuale, laddove con l'uranio impoverito i morti negli anni a venire sono da moltiplicare, e anche gli invalidi e i bambini che nascono con malformazioni gravi, a quanto mi risulta, specie se, come riporta il Times, Israele sta bombardando Gaza anche con fosforo bianco. Gli invalidi e i malformati sono difficilmente utilizzabili come manodopera, fosse anche a basso costo. Non ci tengo ad avere l'ultima parola, anzi, spero vivamente di essermi sbagliato sull'argomento, ma qui ho l'impressione che ci sia in pentola un cibo molto più avvelenato. Mi vengono in mente quei coloni nordamericani che, a quanto mi risulta, vendevano ai pellerossa coperte infette da bacilli di malattie mortali, o contro cui comunque i poveri indiani non erano immunizzati, o che spacciavano superalcolici ai pellerossa per farli diventare alcoolisti.
Ciao
Luca
Il fosforo non lascia eredità, nel senso che bruci insieme a lui, fino ale ossa. Sull'Uranio impoverito può essere vero quanto affermi - LUca - anche se credo che tutta la faccenda serva soprattutto a cancellare il ricordo della sconfitta del 2006 a scopi interni. E, a riaffermare il primato d'Israele sui Paesi circostanti. Certo, nel tempo le radiazioni faranno danni...ma Israele è molto vicino, ed il vento non conosce confini!
Ciao
Carlo B
Popolo Eletto:
(premetto di avere solo una modestissima conoscenza della Bibbia)
praticamente in tutti i casi in cui si parla (nella Bibbia) di popolo eletto non è mai per dire 'superiore', piuttosto è spesso usato come 'di maggior responsabilità'. E' un popolo Eletto nel dovere della preghiera, del ringraziamento nel rispetto della Legge e dell'Alleanza.
Basterebbe vedere le pene inflitte dal 'loro' Dio tutte le volte che non hanno rispettato il loro "patto di responsabilità" (esilio, carestie, pestilenze...ecc).
Forse questa cosa del popolo Eletto è un pelo 'traviata' da qualcuno che -come gli antichi farisei- vuole piuttosto dominare invece di amministrare.
Questo non solo fra gli ebrei ma anche fra i cattolici (a rovescio,
cercando di far pensare gli ebrei come nemici perché si considerano superiori anche nella religione) per non parlare degli Arabi (che però mi sembrano abbocchino meno...).
Vado a memoria ma mi sembra che S.Paolo, un paio di volte, citi nelle sue "lettere" la cosa dicendo più o meno esplicitamente che solo quando il popolo Eletto riprenderà la via responsabile ci potrà essere la Pace (ovvero la fine dei tempi...che per me ha sempre significato l'Inizio della Pace).
salutoni.
In tema, per chi è vicino alle inutili sofferenze del popolo palestinese e per chi può fare qualche cosa a riguardo, consiglierei di guardare (e far vedere) il documentario "Izkor. Slaves of memory" di Eyal Sivan, prodotto dalla casa cinematografica "Momento!" di Parigi.
Molto adatto per il 27 gennaio.
Rispettabile signore Bertani
Ho letto il suo testo "L’incapacità di vivere dimenticando i fili spinati" e vorrei pensare insieme a voi .
Deve scusarmi qualche sbaglio con la grammatica italiana . Sono Brasiliano e sto in Italia per lavoro
Amo la vostra lingua e per questo la rispetto molto .
Si o no all' esistenza di Israele ?
Questa é la questione . Io dico di " si"
Hamas rompe la tregua con Israele , a rigore mai integralmente rispettata , e quelli che ora gridano per la fine della reazione della vittima , e la vittima é
Israele, hanno fatto un silenzio mortale . Ipocriti , censurano adesso quello che considerano una reazione smisurata degli Israeliti , ma non suggeriscono nessuna uscita dall' impasse che non sia il conformismo della vittima . È inutile domandassi come reagirebbe la Francia , per esempio , se il suo territorio fosse mira di centinaia di razzi . É dovere di tutti i governi difendere il suo territorio e la sua gente .
Ma , curiosamente , si vuoi cassare a Israele il diritto a reagire . Perché ? Quello che grida nella critica agli Israeliti é la voce tenebrosa di un silenzio: questa gente é contro l'esistenza dello stato di Israele e credono che la pace avverrebbe solo con l'estinzione di questo stato . Ma manca a questi il coraggio di dire chiaramente le sue pretese . In questo senso , una icona del fascismo islamico come Ahmadinejad, presidente del Iran , é più onesto . Lui non nasconde le sue pretese . Hamas nemmeno : la fine di Israele é il secondo punto del sua programma di governo , senza il quale il gruppo terrorista non giudica compiuto adeguatamente il primo: la difesa della fede islamica .
Gran parte della gente considera che la creazione di Israele sia stata una violenza , e vogliono che questo stato viva chiedendo scusa di esistere e mai reagisca . Sarebbe un specie di suicidio . Israele farebbe per conto proprio quello che innumerevoli nazioni islamiche hanno provato senza riuscire nel 1956 , 1967 e nel 1973 : eliminare il paese dalla mappa . Fa male all' orgoglio dei nemici di quel paese la constatazione che questo ha acquisito il diritto di esistere con la diplomazia e nel campo di battaglia . Un altro particolare riguarda la relazione con il nazismo . Perché gli Ebrei hanno conosciuto l'orrore , sono proibiti moralmente di comportarsi da potenti . Devono essere eternamente vittime . Al popolo Ebreo tocca suscitare odio o pena , mai timore . Francesi , Tedeschi , Cinesi hanno commesso le loro ingiustizie e violenze, e tutti questi popoli sono riusciti a essere molto crudele in determinate occasioni e circostanze . Ma dagli Ebrei si aspetta la passività e la mansuetudine poco importando se sono presi come usurpatori o vittime . L'anti-semitismo ancora
pulsa , questa é una verità senza sofismi . I critici di Israele non riuscendo a immaginare una soluzione per qualche milione di Ebrei che non sia il mare , e questa volta senza Mosé per aprirlo , mascherano l'odio a Israele con una serie di retoriche pacifiste , antimilitariste , reazione proporzionale , diritto a resistenza , eccetera ...
Sempre che si accusa Israele di genocidio, si pretende evocare la memoria del Olocausto . Si mette in piedi una farsa gigantesca :
-Massimizza la tragedia palestinese
-Minimizza la tragedia passata giudaica
-Esclude il fatto che Hamas é un aggressore e Israele un paese aggredito
- Si paragona gli Ebrei ai nazisti che volevano sterminarli diminuendo la colpa dei carnefici
-Si crea una domanda mostruosa : non sarebbe questo popolo vittima dell' olocausto, meritori di questo destino , considerando che è incapace di imparare dalla storia ?
Poco importa se quelli che parlano di genocidio hanno o no conoscenza di queste implicazioni . Il male che esce dalla bocca dei cinici non diventa virtù perché é nella bocca degli ingenui .
Nel giugno del 2007 , questo stesso Hamas ha fatto la guerra contro il Fatah nella striscia di Gaza . Ha vinto . Ha scelto di non fare prigionieri . Quelli che si arrendevano erano giustiziati con spari in testa . Tante volte , donne e figli delle vittime erano chiamati a presenziare la scena . "Per Hamas questa era la seconda liberazione della striscia di Gaza . La prima é stata il ritiro dei coloni di Israele nel settembre 2005 ", dice Sami Abu Zuhiri , un membro del Hamas .
Islam Shahawan, porta voce del gruppo terrorista : " Non avrà spazio per il dialogo con il Fatah, solamente spade e armi ". Dal 2006, quasi 700 palestinesi sono stati assassinati dai rivali ..... palestinesi .
Mi fermo qui , per adesso , perché credo essere troppo per un commentario . Ma mi piacerebbe discutere più dettagliatamente il suo testo
in un altra opportunità . É un argomento che mi interessa molto e credo noi uomini abbiamo sempre da imparare quando siamo in disaccordo
con le idee di un altro .
Scusandomi sempre per qualche sbaglio con la grammatica
vi auguro pace
Silvio d'Amico
Grazie a tutti per i vostri commenti: ritengo che la questione del "popolo eletto" sia assai simile a quella dell'"Uomo Superiore" dell'I Ching, che non è un Superuomo, bensì chi va oltre il dominio delle passioni.
Gentile sig. D'Amico,
La invito a leggere integralmente i testi delle risoluzioni ONU n. 242 e 338, allora capirà perché la questione medio orientale non trova soluzione.
Se Israele non rispetta le risoluzioni ONU, perché per altri (l'Iraq, ad esempio) devono sempre essere fatte rispettare a suon di bombe? Non le sembrano due pesi e due misure?
Cosa ne dice del bombardamento effettuato nel 1981 sulla centrale nucleare (civile) irachena? Era un atto di "disponibilità"?
Israele non si rende conto d'andare incontro ad un destino amaro, e s'incolpa chi cerca di mettere in guardia contro questo pericolo d'essere "filo arabo". Io non sono "filo" nessuno, mi limito a riconoscere che Israele non potrà mai vincere contro i suoi vicini arabi. Sarebbe meglio una trattativa seria, che Tel Aviv non ha mai seriamente preso in considerazione.
Saluti
Carlo Bertani
Ciao Carlo, salve D'amico,
per la questione I-Ching al momento 'conosco' solo quelli legati alla macrobiotica (ho letto diversi libri a proposito capendoci -da autodidatta- ben poco) che mi dicono leggermente diversi dalla teoria degli I-Ching "classici".
La macrobiotica Pianesiana mi piace e cerco di praticarla sopratutto perché cerca di insegnare al mondo una nuova (ma vecchia) agricoltura che garantisca non solo il ritorno alle leggi naturali ed ai prodotti 'selvatici' ma anche il nutrimento per tutti... (e non mi sembrano cosette).
io ero stato più -terreno- con la questione dell'Eletto ma avrei potuto citare il Vangelo quando Gesù dice ai suoi discepoli (che stavano tramando per stabilire chi di loro fosse il più Grande) che i "primi" sono quelli che si mettono al servizio (in modo totale) delgi altri, godendo delle loro gioie e consolandoli nel loro dolore. I primi sono quelli nell'Amore...forse in questo gli eletti di Dio e degli I-Ching sono simili.
Volevo dire al sig. D'Amico che ho avuto la fortuna -anni fa- di parlare con Mons. Sambi che era allora il nunzio Apostolico in Israele e Palestina. Era ancora vivo Arafat e Sambi fece una piccola "conferenza" fra amici raccontando -un po' fra le righe- come andavano le cose laggiù.
Ovvio che il suo punto di vista fosse non solo privilegiato ma anche 'filtrato' dalla nota 'delicatezza' della Santa Sede negli affari internazionali...
Nondimeno qualche battuta gli "scappò" e se non fu certo 'dolce' con Arafat (lo definì senza mezzi termini 'doppiogiochista' ed avendolo incontrato più volte ci disse anche che aveva le prove di
quello che diceva) sicuramente fu durissimo con Israele quando disse quello che Carlo ha detto più volte
e cioè che:
Israele non ha mai rispettato le risoluzioni Onu e lo ha fatto sempre malignamente (queste, ovviamente, non furono le sue esatte parole...intendetemi vi prego!).
Secondo Sambi proprio la soluzione dello stato unico proposta dal pazzerello Carlo poteva essere una via di uscita perché avrebbe costretto le due parti a smettere di fare il doppio gioco.
(del quale mi è sembrato intuire -ma forse sbaglio- che il Mons. pensasse che anche Israele fosse maestro).
Caro D'Amico io non voglio contare i morti e fare confronti tabellari.
Non voglio nemmeno pensare -come molti fanno- che la palestina sia un braciere sempre acceso per alimentare il terrore internazionale e quindi un certo 'potere' sulle masse...
Vorrei semplicemente puntualizzare che Israele ha un esercito armato con armi modernissime -forse le più moderne ed efficienti- ha un servizio segreto fra i più 'infiltrati' (sembra sia più infiltrato delle varie mafie!) e ne ha dato anche prova negli anni passati...
Persone ammalate o donne incinte sono morte per la 'burocrazia' dei check point. Nella 'striscia' di Gaza vivono un milione e mezzo di persone in condizioni subumane...
Con tutto questo e con la scientifica 'dissoluzione' delle risoluzioni onu perpetrate da Israele non mi sembra, caro D'amico, che si possa parlare di legittima difesa.
Il paragone con la Francia non mi sembra calzi, attualmente la Francia non ha muri divisori, non 'racchiude' milioni di civili in condizioni miserrime, non occupa militarmente territori non suoi, non rifiuta le risoluzioni onu,
non rifiuta l'esistenza di uno stato. Forse è anche per questo che sulla Francia non piovono razzi
sparati -forse (e sottolineo forse)- per "legittima difesa"....
ci pensi
suo
R.A.
Cari Bertani e Roberto
Il mio commento questionava le implicazione morale dei ragionamenti .
Non ho mai pensato di essere "filo qualcosa " . Volevo solamente risaltare
un metodo di organizzare e datti per un giudizio puramente individuale .
É la logica , o la mancanza di questa , nelle critiche a Israele che questiono .
Per voi , le risoluzione ONU hanno un valore considerevole .
Per me non . Mentre l'ONU crea decine di risoluzione di condanna a Israele,
l'unica democrazia nel Medio Oriente , nel Sudan la stessa ONU solamente
richiede a gli insorgenti sanguinari che rispettino la neutralità dei agenti umanitari , quando migliaia di persone sono barbaramente assassinate tutti i mesi , sia per la sua etnia , sia per la sua fede , in un conflitto che a ucciso 200 mila persone e fatto migliaia de profughe .
Io difendo la esistenza dei due stati nella regione . Il palestinese e Israele .
Credo che dovrebbero creare una spezie di federazione , considerando la
stretta relazione economica esistente fra Ebrei e Palestinesi nella regione .
Per questo é fondamentale una relazione minima di fiducia , cosa che il terrorismo impedisce evidentemente . Credo che un stato Palestinese é possibile solamente con la devoluzione dei territori occupati , ma anche Israele lo sa . Nel 2000, Ehud Barak, all' epoca primo ministro e ora ministro della difesa , ha proposto tornare ai palestinesi più di 90 % delle terre occupate . Mai si era arrivato così lontano . Iasser Arafat ha rifiutato . Avessi fatto l'accordo , magari gli altri 10% fossero adesso negoziati . Una relazione di sfiducia e belligeranza che viene da più di 60 ani non cambierà dalla note al giorno . E non cambierà fin che il programma di governo del Hamas rimane quel che é .
Per finire . Nel mio commento la Francia era una allegoria di un stato ipoteticamente aggredito . Potete cambiare per qualunque altro stato .
Saluti a tutti , e sempre auguri di pace
Silvio
Carissimo Silvio, no problems,
era ovvio anche per me che la Francia era presa a caso.
Le risoluzioni Onu non hanno valore nemmeno per me. Ma lo debbono avere per gli Israeliani ed i Palestinesi
tanto più che i "famosi" confini furono accettati (sulla carta) proprio dal nascente Israele.
Ti prego di non fare troppo "l'Italiano" nel dire che le risoluzioni non le rispettano nemmeno da altre parti ecc...
Cominciamo a rispettarne qualcuna
dai...
ciao, Buon Anno e
tanti care cose a te ed a tutti
RA
Caro Carlo e cari amici, complimenti per il post e soprattutto per i commenti dai quali si possono trarre utili nozioni e confrontare nuovi punti di vista.Comunque le ragioni del conflitto sembrano chiare e quando Carlo ci ricorda che quel fazzoletto di terra poteva essere concesso giustamente dalla Germania perdente sembra essere quanto di più sacrosanto poteva essere fatto.Conosco poco le ragioni storiche fra i due popoli precedenti l' assegnazione dello stato ad Israele e queste andrebbero sicuramente studiate (come dice Barnard e come ci mostri tu Carlo) per capire meglio il conflitto. Oggi analizzare questo conflitto in modo imparziale, per chi come me cerca nel limite del possibile di informarsi e segue gli eventi dai schermi e dai media è assai difficile, quando si colpiscono i bambini in modo cosi atroce si dimentica ogni ragione .Gli Ebrei sono stati vittima del più grande eccidio della storia, ma ora è impossibile non pensare che stiano facendo la stessa cosa.Le risoluzioni non sono state rispettate, l' America tace e l' Europa eccede in diplomazia.Sinceramente non riesco a vederli riuniti in uno stesso parlamento, spero solo che prima o poi il buon senso prevalga e che la gente, noi tutti capiamo che questo non è un problema che riguarda solo loro ma che ci coinvolge a tutti noi e che potremmo anche noi contribuire a farlo terminare sensibilizzando tutti ad una maggiore attenzione sull' argomento non spegnendo mai i riflettori su essi fino al raggiungimento di una pace definitiva.Un caro saluto a tutti.
Ringrazio tutti per i commenti, che ci consentono un dibattito e che portano interventi con novità interessanti, come l'intervista di mons. Sambi, che ritengo interessantissima.
Lancio una sfida a D'Amico: trovare una mappa, documento od altro - ufficiale frl Governo israeliano - che mostri i confini dei territori palestinesi, qual 97% stronmazzato da Barak, a suo tempo, ad Arafat. Una prova del nove per la saccenza israeliana.
Saluti a tutti
Carlo Bertani
Sig Bertani
Non son riuscito a trovare in un dizionario cosa significa "stronmazzato".
Quando argomento , parlo dei fatti che sono di dominio pubblico . Non più di questo . Non ho lo "status quo" alto abbastanza per i documenti officiali di Israele.
Non riesco nemmeno con la burocrazia Italiana ... figuriamoci con quella .
comunque : http://www.palestinefacts.org/pf_1991to_now_campdavid_2000.php
Qui si possono trovare anche delle mappe .
L'odio a Israele sparso in varie pensieri nel occidente é causato dal quello che chiamo "lotta contro l'impero ". Non é una coincidenza che così sia nell'esatto momento in cui si visualizza quello che, per convenzione , si a voluto chiamare de "declino Americano ". Israele é visto come una specie di enclave del EUA nel Oriente Medio . Gli intellettuali cadono in amore per variati settarismi islamici presi come forza antimperialiste , di resistenza . Io ero ancora adolescente(18 anni)
quando c'é stata la rivoluzione nel Iran , 1979, e mi domandavo perché tanti pensatori si incantavano con Khomeini che era la negazione dei presupposti che doveva orientare un governante . Ma non .... "lotta contro l'impero " giustificava tutto. Quello che era cattivo per gli EUA poteva solamente essere buono per il resto del mondo . Quando arrivato al potere , il primo atto di Khomeini é stato fucilare quelli di sinistra che lo aiutarono nella rivoluzione .
É l'odio al "impero" che porta i detti progressisti del mondo a censurare Israele .
Vorrei dire al sig. Roberto che magari io riuscissi a fare L'Italiano .
Non avete idea di quanto ammiro la vostra terra e la vostra cultura .
Avete quasi il 70 % del patrimonio culturale del mondo . Invidiabile
Con questo post mi ritiro dalla discussione , perché come vi ho detto , sono di passaggio per l'Italia e il mio lavoro mi porta via . Quando avrò la opportunità e il tempo mi connetto con vostro sito per qualche discussione sana
Vi ringrazio
Saluti a tutti
Silvio D'Amico
Caro Carlo lasciami lanciare una provocazione:
Avete visto la puntata di giovedi di annozero? Le immagini trasmesse nella trasmissione sono state mandate in video solo da Santoro dalle tv arabe e dal Web.IL litigio con l' Annunziata oramai è cronaca per i tg di regime.Ora mi piacerebbe sapere da te come fa una persona a credere che Santoro sia parte del sistema e che ciò sia tutta una messa in scena e che anche lui sia li per compiacere qualcosa o qualcuno.Credo che le immagini abbiano un potere fortissimo, come vedi a me colpiscono molto e altresi le parole è per questo che seguo te e le voci del web, ciò che non riesco a capire è perchè debbano andare in contrasto quando apparentemente dicono la stessa cosa. Un saluto a tutti.
Preciso di non aver visto la trasmissione, ma Santoro usa le immagini anche per audience: è il discorso generale ad essere carente.
Oggi si critica Travaglio per le sue "aperture" alla politica israeliana. Io, lo dissi alla prima trasmissione che non era un buon metodo: non si può ridurre l'Afghanistan alla "letterina" del mullah Omar. Fui coperto d'insulti. Adesso vengono fuori i Barnard a scoprire gli altarini, ma non andremo avanti di un passo con questo incedere.
Ciao
Carlo
Per capire bene il problema Israelo/Palestinese si fa una grande confusione se non si considerano tutti gli stati confinanti ed il ruolo che hanno avuto nel conflitto. Mi spiega Bertani perchè nessun stato arabo come la Siria e l'Egitto per esempio ha mai deciso di accogliere i numerosi profughi lasciandoli in condizioni disumane in quelle terre?
Perchè se le condizioni non sono delle migliori bisogna incolpare sempre Israele? L'emabrgo dell'ultimo hanno non era certo fatto per far diventare la striscia di GAZA ancora più povera e per il suo ragionamento sulla manodopera a basso costo, era semplicemente un primo forte avviso ad HAMAS per far terminare DI LANCIARE RAZZI SULLE PROPRIE CITTA'. Dll'emabrgo si è dovuto passare alla forza.
Si parla di rottura della tregua da parte dell'esercito d'Israele che ha uccison alcuni militanti al confino. Come si può paragonare il lancio di centinaia di missili dell'ultimo anno verso le città del sud d'Israele con una azione militare al confino? L'azione di un giorno con un anno di sirene, panico città e civili che non possono vivere una vita normale.
Lei ha ragione quando parla di futuro demografico in quell'area che porterà sempre a più arabi ed è per questo che Israele non cede pena l'eliminazione tanto decantata da molti Stati come x esempio l'IRAN o tanto desiderata dalla stessa HAMAS come specificato nella sua costituzione e vista con piacere da gran parte del mondo arabo.
Israele ha solo interessi a vivere in pace e' perfettamente a conoscenza che ogni azione di guerra crea ulteriore odio ma che deve fare per non essere schiacciata?
Non pensa che quella gente vive in quelle condizioni di povertà grazie a tutta l'area mediorientale che ha tutto l'interesse nell'avere dei vicini d'Israele incazzati e pronti a tutto? Il problema è storico e dopo le guerre perse dal mondo arabo contro ISRAELE ritengo ci sia tutto l'interesse da parte del mondo arabo confinante a mantenere questa situazione precaria tenendo sulla corda ISRAELE con il desiderio di vederla distrutta.
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