28 ottobre 2008

La guerra prossima ventura

Ogni satira è cieca verso le forze che si liberano nello sfacelo.”
Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Minima Moralia, (1951)

Ho appena terminato di leggere l’ultimo articolo di Giulietto Chiesa, “Fine corsa” – interessante, un’analisi spietata – e mi sto chiedendo se non ci sia ancora troppa pietas, troppo ottimismo. Se anche la ragione sia impotente nel volgere inquieto di un disastro.
Intendiamoci: gli argomenti esposti da Chiesa sono da meditare con attenzione; solo, mi chiedo, se avremo ancora il tempo per farlo.

Dalle parole di Chiesa emergono due fratture, evidenti: la prima, quella fra economia reale ed economia virtuale, monetaristica, borsistica…o come desideriamo chiamarla e la seconda, ovvero l’oramai completa incoerenza fra il percorso dell’uomo e quello della natura.
Quest’ultima divergenza è facilmente avvertibile: gli aspetti più evidenti li possiamo trovare nell’esasperazione disordinata e criminale del consumo di risorse. Dappertutto, dai metalli all’energia, dalle derrate alimentari al patrimonio vegetale e marittimo, stiamo schiantando le oramai smunte potenzialità naturali. Sono anni che in tanti mettiamo in guardia contro questi rischi ma, si sa, il destino riservato alle Cassandre non è mai stato benigno, salvo ricordare – ancora una volta – che Cassandra aveva ragione.

Se approfondiamo un poco il problema, ossia se ne sondiamo gli aspetti metodologici, epistemologici – e finalmente osassimo pronunciare la parola “olistica”, rivolta ad una scienza che dovrebbe ammettere i suoi limiti e si guarda bene dal farlo – dovremmo accettare la nostra completa ignoranza nel non aver compreso la fondamentale essenzialità della natura, il suo volgere da miliardi di anni in complessi cicli, mentre la Storia umana si protende verso un cammino lineare. Qui, veramente, c’è da riflettere che siamo probabilmente già fottuti.
L’altra frattura – quel rimbalzare schizoide dei listini azionari, sembra d’essere sulle montagne russe – è forse meno importante, però entrerà in simbiosi con la grande bestemmia sopra citata, e ne vedremo presto i frutti avvelenati.

Da un lato l’ignoranza mai ammessa, la protervia di voler incedere, nunc et semper, su una via segnata da un destino amaro: come si può ragionevolmente credere che, senza concedere alla natura il tempo della rigenerazione – del completamento dei suoi cicli – si possa sopravvivere? Siamo, oramai, un indesiderato virus.
Dall’altra un truffaldino mestar nel torbido per truccare le carte: creare ricchezza fittizia e spacciarla per vera. Ho già affrontato l’argomento in un altro articolo, “Il crepuscolo degli Dei”, e sarebbe inutile ripetersi.
I due aspetti interdipendenti – il primo di largo respiro, il secondo solo miseria umana di menti offuscate – stanno per creare una miscela esplosiva, come lo stesso Chiesa sospetta.

Proprio oggi, Greenpeace pubblica il suo Energy Outlook e sostiene che nel 2015 le cose dovrebbero cambiare: le fonti rinnovabili inizierebbero a diventare “di peso” nel panorama planetario e ci consentirebbero di scapolare le secche della penuria energetica e del mutamento climatico.
Sagge parole, ma quel 2015 – se interpolato con il panorama economico – mi sembra terribilmente distante, come se ad un ebreo scacciato dall’Andalusia, per opera di Isabella, fossero andati a proporre, come speranza, l’indipendenza delle Fiandre.
Qui, microcosmo e macrocosmo s’intrecciano e, nell’immediato, è il microcosmo ad imporsi: inutile raccontarci frottole. Miserrimo minimo, la tentazione italiana di non ottemperare più agli accordi presi in sede europea sul clima, a causa della crisi economia. Della serie: ho il mal di testa, del cancro che mi sta corrodendo m’occuperò domani.
Questa, però, è e sarà la realtà, perché non si può lavorare per anni al solo scopo di creare ricchezza fittizia, e dunque cercare di salvare dal baratro la malata economia statunitense, per poi ritirarsi in buon ordine e dire “c’eravamo sbagliati, scusate”.
No, signori miei, Greenpeace non troverà tempo, noi non avremo tempo, nessuno avrà più tempo prima dell’eclissi.

Questa fantomatica ricchezza creata dal nulla, chiederà pegno e già l’ha ottenuto: servizievoli, le oligarchie mondiali hanno chinato il capo ed hanno sottoscritto demoniaci patti per sostenere le volontà dei tanti Faustus, di coloro che hanno scambiato l’anima di Gaia per ottenere infinite e labili cornucopie.
Così, oggi già sappiamo che l’unica via che ci sarà concessa sarà quella dell’acquiescenza ai paradigmi dell’economico, del tecnicismo economico, e non ci sarà simposio né dialettica.
La via indicata è segnata ad ogni passo da una diversa pietra miliare: oggi ci proteggeranno i future, domani si disserterà sugli spread, dopodomani ci salveranno i tassi. All’ultima scena, però, saranno i lupi a dire la loro.
I lupi sono animali discreti e terribili, soprattutto quando s’uniscono in branchi.
Oggi, ancora vagano, annusando l’aria che odora d’Inverno per capire quando giungerà l’ora d’addolcirla col sangue: no, nessuno ne avrà sentore. Tutto, sarà addolcito da una “pace terrificante”, come il poeta/profeta De André annunciò: il Quarto Reich non farà sconti.

Ci potremo divertire con le previsioni, questo ci sarà concesso, ma nessuno riuscirà a predire quando il branco scenderà dalla collina: ci siamo svegliati dall’inganno di Piazza Fontana un anno dopo, da quello dell’11 Settembre anni dopo. Non avremo il tempo, non ci lasceranno il tempo per capire: potremo, al massimo, elucubrare.
Già qualcuno azzarda previsioni sui futuri blocchi: USA – Cina – Giappone, saldate dall’abisso del debito, contro il resto del Mondo? Russia ed Europa avvinghiate per la simbiosi energetica? Può essere, ma mancano altri attori: l’India rimarrà a guardare? E l’America Latina? L’inganno mondiale esigerà una catarsi planetaria.

Le armi atomiche ci salveranno! Nessuno oserà premere il bottone!
Non ci sarà bisogno d’armi atomiche, batteriologiche e chimiche perché l’obiettivo è altra cosa: è validare, con la grande distruzione bellica, le false cornucopie spacciate dai banchieri. La sola rigenerazione possibile per far ripartire la “locomotiva” economica, questa bestia immonda che si nutre di sangue per generare capitali.

Una distruzione di breve termine – come quella conseguente alla guerra nucleare/chimica/batteriologica – non darebbe il tempo, il “fiato”, per far ripartire le presse dei cannoni. Nell’economia globalizzata, inoltre, poco senso avrebbe la conquista territoriale: l’Iraq insegna.
D’altro canto, l’arma assoluta fu creata già durante la Prima Guerra Mondiale, ma nessuno osò un bombardamento a gas su Londra o su Berlino. Provarono lo Sturmfeuer su una Dresda già piagata, e le atomiche sul Giappone sconfitto, non prima.
Prima, tutta la ricchezza artificialmente generata dai prestigiatori di Wall Street dovrà sostanziarsi, perché non accetteranno che i listini azionari “veleggino” sui valori di dieci anni fa. Abbiamo lavorato per niente?

Perciò, mi piacerebbe sognare riedizioni keynesiane – ma, l’indebitamento, era di questa grandezza? Cosa rimane di Keynes senza il deficit spending? – mentre, la gelida realtà che una guerra sia il mezzo più semplice per risolvere il problema, m’appare come la tragica sequenzialità degli eventi.
Gli USA si salveranno? Neanche per idea. Il capitalismo globalizzato sì, passerà di mano come avvenne dopo la Seconda Guerra Mondiale – da Londra a Washington – ed ora, dal “Nuovo Mediterraneo”, l’Oceano Pacifico, trasmigrerà a Pechino. L’importante è salvare la borsa, non la vita.
Spero, ardentemente, che qualcuno trovi argomenti così pregnanti da farmi cambiare idea. Non è una domanda retorica: lo spero per davvero.

20 ottobre 2008

Questionario per l’auto-valutazione

In questi giorni, ferve la protesta contro la politica del Governo per la scuola e, tantissimi siti e blog, hanno preso di mira il Ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. Alcuni spropositati hanno persino coniato alcuni “santini”, raffigurando la malcapitata nelle vesti di una nuova beata, “Beata Ignoranza”.
Siccome non ce la sentiamo d’appoggiare queste posizioni estreme – ma in democrazia è sempre auspicabile trasparenza e pubblicità delle opinioni – invitiamo il Ministro alla riscossa, proponendole di dimostrare – urbi et orbis – che non è affatto poco competente come altri sostengono.
Perciò, il nostro invito è quello di scuotersi: suvvia, Gelmini, ci faccia vedere chi è!
All’uopo, abbiamo preparato un apposito questionario, cosicché la Suprema Guida dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca potrà dimostrare quel che vale, e far precipitare all’Inferno quegli indecorosi santini, in un apposito rogo da erigere a Campo dé Fiori.

Ecco il questionario:

1) L’istruzione italiana è ancora figlia della riforma “Gentile”, datata 1923: il candidato ritiene, dopo attenta riflessione sulle mutate condizioni socioeconomiche e strutturali della società italiana, che questo modello andrebbe soltanto rivisto oppure cancellato, per riformare da capo il sistema d’istruzione?

a) La riforma “Gentile” abbisogna solo d’essere rivista.
b) La riforma “Gentile” è oramai obsoleta è si deve ripartire da capo, con un nuovo modello.
c) Non sa/Non risponde.

2) Nel dibattito sulle finalità dell’istruzione, si tende oggi a premiare un modello che certifichi le specifiche competenze acquisite, a scapito della più generale conoscenza che implica maggior interdipendenza ed inter-disciplinarietà nell’apprendimento. Quale modello, il candidato ritiene più consono alle attuali esigenze?

a) La certificazione per competenze acquisite.
b) La conoscenza interdipendente.
c) Non sa/Non risponde.

3) Il D.M. n. 139, conseguente agli accordi internazionali facenti capo alla cosiddetta “Strategia di Lisbona”, comprende un allegato – definito “tecnico” – nel quale sono contenuti gli “Assi culturali” sui quali dovrà poggiare la futura scuola europea. Il candidato, quale parere esprime in merito?

a) Si dovranno, in prospettiva, rendere omogenei i percorsi.
b) Ogni Paese, pur nel rispetto di minimi vincoli, dovrà pianificare la scuola secondo le sue esigenze.
c) Non sa/Non risponde.

4) Precedenti tentativi di riforma, affidavano l’Istruzione Professionale alle Regioni. Si considerano le specificità degli ambiti regionali, per quanto attiene all’istruzione, così importanti – sempre che il candidato ne ravvisi l’esistenza – da essere prevalenti rispetto alle principio di preminenza dello Stato? Il candidato scelga fra le opzioni proposte:

a) La specificità degli ambiti locali deve essere preminente.
b) Non esistono motivazioni così importanti per affidare il segmento professionale alle Regioni.
c) Non sa/Non risponde.

5) Nel dibattito sulla pedagogia, le principali scuole si dividono sulle metodologie, fra chi propone di considerare principalmente l’essere come interdipendente con l’ambiente (prospettiva fenomenologica), oppure di centrare più l’attenzione sugli aspetti biografici dell’individuo (prospettiva personalista), astraendolo, sostanzialmente, dal suo habitat. Da quale, delle due posizioni, il candidato si sente più attratto?

a) Prospettiva fenomenologica.
b) Prospettiva personalista.
c) Non sa/Non risponde.

6) Il rapidissimo mutare del mondo della comunicazione fornisce sempre maggiori strumenti di conoscenza, su più livelli, che comprendono oramai l’intero scibile umano. Tutto ciò, comporta però l’affidabilità delle fonti ed un diritto/dovere di critica da parte del legislatore (nell’ambito dell’istruzione). Nell’ottica di fornire strumenti didattici (principalmente, i libri di testo) in forma elettronica, il candidato ritiene che sia necessaria preventivamente la fornitura di una “rosa” di testi da proporre – che comprenda, ovviamente, posizioni dissimili fra loro – oppure optare per una completa libertà di scelta da parte dei docenti, degli allievi e delle famiglie?

a) E’ necessario individuare una “rosa” di testi.
b) Lasciare completa libertà di scelta.
c) Non sa/Non risponde.

7) Nella prospettiva di trasformare le università italiane in altrettante fondazioni, il rischio è di circoscrivere gli ambiti di ricerca ai soli proposti dai finanziatori: il che, condurrebbe ad una restrizione dello scibile oggetto d’analisi e di studio. Nell’assenza di strutture pubbliche di ricerca, un secondo rischio sarebbe quello di veder partire per l’estero i migliori ricercatori, ancor più di quanto avviene oggi. All’interno di questa scelta, ritiene il candidato che le future fondazioni debbano essere bilanciate con altrettanti investimenti pubblici nella ricerca?

a) No, non servono strutture pubbliche, bastano le fondazioni.
b) Sì, è necessario bilanciare il processo fra pubblico e privato.
c) Non sa/Non risponde.

8) In Europa, si tende oggi a fissare il limite minimo d’istruzione all’età di 18 anni, giacché si sostiene che una maggior scolarità renderà, in futuro, migliori cittadini, più informati e responsabili. In alcuni casi, si ritiene sufficiente una formazione esterna all’ambito scolastico, per la quale è necessario (trattandosi di formazione e non di apprendistato) un controllo della formazione fornita, degli strumenti, dei metodi, ecc. Secondo il candidato, il percorso formativo deve essere compiuto all’interno dell’istituzione scolastica, oppure possono essere ritenuti validi anche percorsi esterni?

a) Solo all’interno dell’istituzione scolastica.
b) No, anche altri percorsi.
c) Non sa/Non risponde.

9) Nel caso fosse individuata in classi separate la formazione linguistica degli allievi extracomunitari, sarebbe necessario intervenire per evitare la formazione di “sottogruppi” etnici i quali, fra loro, continuerebbero a comunicare nella lingua d’origine. Quali, fra le soluzioni esposte, il candidato ritiene la più opportuna, sempre che ritenga necessario separarli dagli allievi italiani?

a) Formare classi per singoli gruppi etnici, bacchettando sulle dita chi parla nella lingua d’origine.
b) Formare classi di extracomunitari “misti”, bacchettando sulle dita chi parla nella lingua d’origine.
c) Non sa/Non risponde.

10) Nell’ambito della legislazione scolastica, sempre più spesso i decreti sono controfirmati dai Ministri dell’Economia e della Funzione Pubblica. Ritiene, il candidato, che sarebbe necessario stabilire un principio di reciprocità (ovvero che il Ministro dell’Istruzione controfirmi i decreti economici, ecc) oppure che si stabilisca definitivamente un principio gerarchico, per il quale il Ministro dell’Istruzione ha solo il potere di controfirmare ciò che altri hanno decretato?

a) Va tutto bene così.
b) No, vorrei controfirmare, ma non mi lasciano!
c) Non sa/Non risponde.

Legenda per l’auto-valutazione: 1 punto per ogni risposta di categoria a) e b) e nessuno, ovviamente, per quelle di categoria c).

Si consiglia il candidato di non rispondere frettolosamente, giacché le risposte fornite saranno più ampiamente sondate nell’esame orale, che si terrà – in data da stabilirsi – nel piazzale antistante il Ministero della Pubblica Istruzione. Sarebbe meglio una sala od un auditorium, ma temiamo che Brunetta e Tremonti non le metteranno i soldini nel borsellino: sicché, decida lei se affrontare – finalmente – le tante critiche pubblicamente (Viale Trastevere), oppure rompere con una martellata il suo salvadanaio.
La invitiamo, infine, a fornirci l’indirizzo dei suoi genitori poiché – qualora non raggiungesse i 6/10 nella prova scritta – sarebbe nostro dovere comunicarlo sia all’interessata (anche se maggiorenne), sia alla famiglia, affinché lei possa partecipare ai corsi estivi di recupero (altrimenti, potrebbe ciurlare nel manico, raccontando ai suoi che ha incontrato esaminatori “comunisti”, ecc).
Se non potrà partecipare per “inderogabili impegni”, non accettiamo giustificazioni: potrà, sempre, farsi fare una legge ad personam dal Ministro della Giustizia ad interim Ghedini, che è uno specialista.

Le inviamo i nostri migliori auguri; pensi alle altre “ministre”: la Prestigiacomo che sentenzia sull’ambiente, la Carfagna sulla prostituzione, la Brambilla sul turismo…e anche i “maschietti”, Bondi che fa cultura…si faccia valere, perbacco, non è mica tanto peggio degli altri Ministri!

14 ottobre 2008

Le peregrinazioni di San Toro

Sinceramente, non pensavo che si potesse giungere così in basso: mi riferisco alla puntata di “Anno zero” del 10 Ottobre del 2008, Venerdì scorso. Ne parliamo non tanto per lanciare strali contro l’informazione di sistema – ce ne mancherebbe, lo sappiamo da tempo – ma per analizzare meglio i rapporti fra il media in declino, la TV, e quello in ascesa, il Web.
Ricordiamo, a margine, che la raccolta pubblicitaria nel 2007 ha subito un’inversione di tendenza[1], ossia è diminuita sui media tradizionali (TV, giornali, ecc) ed è aumentata – ancora a livelli bassi, per l’esiguo costo della pubblicità sul Web, che fa “poco PIL” – per Internet. Questa nota, per capire che qualcosa “eppur si muove”, anche se si tende notoriamente a negarlo.
Perché è aumentata?
Da un lato – saremmo stolti a non riconoscerlo – per gli iperbolici costi della pubblicità tradizionale, a fronte dei risultati, ma non possiamo nascondere che, se Internet viene (modestamente, in valori assoluti) premiato per la raccolta pubblicitaria, è perché il mondo del Web comincia a proporre una modalità di circolazione dell’informazione – e dunque della cultura, del consenso e del dissenso, ecc – che inizia a far breccia.

Questa situazione è per lo più indotta da una enorme mole di lavoro volontario che tanti scrittori dedicano al Web – privilegiando, spesso, la circolazione dell’informazione gratuita ai contratti editoriali – perché, in fin dei conti, reputano questa loro attività quasi come un dovere sociale.
Non neghiamo che gli scrittori del Web (siti o blog, poco importa) non ne ricevano delle ricadute individuali, ma riflettiamo che – senza il loro apporto – il Web italiano si ridurrebbe a delle semplici traduzioni da siti esteri – che sono certamente importanti – le quali, però, finiscono per fornire un’informazione poco adatta ad essere interiorizzata (non “compresa”, attenzione!) da un pubblico latino.
Conosciamo anche le ragioni della grande espansione dell’informazione di radice anglosassone: una delle più estese pratiche per evitare gli incrementi di tassazione – in quei paesi – è la donazione alle fondazioni. In altre parole, chi supera certi livelli di reddito, può decidere di devolvere una parte dei suoi guadagni ad una fondazione – dove lavorano, ben protetti – scrittori e giornalisti.

Domandiamoci, date le premesse: possiamo attenderci da queste persone indipendenza di giudizio ed una limpida etica professionale? In alcuni casi sì, in altri…in ogni modo, ciò comporta l’inevitabile innalzamento delle capacità critiche del lettore, perché quelle analisi giungono da un mondo assai diverso dal nostro. E, i traduttori, sono anch’essi in gran parte dei volontari che compiono un lavoro encomiabile.
L’informazione di sistema, invece, propone “pacchetti” informativi già preformati (i cosiddetti “format”, appunto) nei quali la certezza dei dati e la correttezza delle analisi viene fornita dai titoli di chi è invitato a partecipare alle “kermesse” televisive.
Anche qui, però, possiamo rilevare un vulnus: quanti di questi “esperti” affidano parte delle loro fortune in campo accademico al successo che ricavano da queste “partecipazioni”? Ed è ovvio che non desiderino essere intralciati da concorrenti, ancor più se non santificati dal crisma dell’informazione di sistema.

La vicenda di questa puntata di “Anno zero” assume maggiore importanza per l’argomento trattato – la crisi finanziaria internazionale – la quale rischia seriamente d’incidere, in futuro, non su marginali spostamenti di reddito, bensì di far precipitare sulle nostre spalle (ossia sull’economia reale, sui redditi, sul lavoro, sul welfare…) i frutti delle alchimie finanziarie di un sistema marcio fino al midollo.
Era quindi importante – a nostro avviso – fornire la più ampia informazione sull’argomento – a “vasto spettro” – poiché è oramai chiaro a tutti che le istituzioni internazionali preposte stanno balbettando sull’argomento, ed anche i tanto conclamati “piani di salvataggio” non sembrano cancellare il dubbio che stiamo utilizzando strumenti spuntati per una crisi che va oltre le emergenze dei listini di Borsa.

Se la politica annaspa, e l’informazione fatica a reggere oramai il confronto con il Web, non mi stupì la comunicazione – che ricevetti dalla mailing listi di Arianna Editrice – che Eugenio Benettazzo sarebbe stato fra gli ospiti della puntata.
Finalmente, mi dissi! Vuoi vedere che, a fronte oramai della loro conclamata incapacità a spiegare agli italiani cosa sta succedendo, invitano uno che è in grado di farlo?
Potevano essere Benettazzo o Saba, oppure Della Luna o altri ancora: poco importa – mi dissi – perché la cosa importante è che parli qualcuno che – finalmente! – adoperi un nuovo linguaggio, che dipinga un quadro partendo da presupposti radicalmente diversi.
Ovviamente – come gli utenti del Web ben sanno – non avevo certo bisogno d’ascoltare Eugenio ad “Anno zero”, poiché basta cercarlo su Youtube per trovare tutto ciò che si desidera. L’importante, per me, era lo “sdoganamento” di Benettazzo, il riconoscere (almeno!) che esistono altre forme e nuovi modi per spiegare alla gente come sia possibile che, a forza di “creatività” in economia, si giunga a creare un apocalisse.
Sicché, inforcai gli occhiali e mi sedetti di fronte al video, che frequento oramai di rado.

Il primo stupore (la trasmissione era già iniziata) fu constatare che il “parterre” era occupato dai soliti “analisti” dell’informazione ufficiale: ogni tanto un collegamento esterno con altrettanti “esperti”. Dov’era Eugenio?
Passano i minuti, le interruzioni pubblicitarie, e tutto tace.
Finalmente, verso il termine della trasmissione – introdotto dalla “new entry” Margherita Granbassi – viene presentato un “analista e saggista” che “opera su Internet e fa conferenze”: poco è mancato che lo definissero un povero orfanello. Io non l’ho udito, ma non mi è parso che sia stato nemmeno presentato con il suo nome, né esso è comparso in sovrimpressione.
Date le premesse, a questo punto Benettazzo doveva spiegare il “mondo” in circa un minuto: ci ha provato, poveraccio, ma era impossibile farlo in così breve tempo. Il commento di Santoro – caustico e di sufficienza – è stato: “Ci ha fatto il riassunto della trasmissione”.
Vogliamo sottolineare che stessa sorte era precedentemente toccata ad una giovane economista (o studentessa d’economia) islamica, la quale avrebbe dovuto spiegare i fondamenti della finanza islamica. La ragazza – niente veli, buona pronuncia italiana, evidente competenza sull’argomento, ecc – ha tentato di farlo ma, a quel punto, sono intervenuti più volte i soliti tromboni del parterre per dire qui, ricordare là…ma, era chiedere troppo lasciare che spiegasse? Dopo, ciascuno avrebbe potuto fare i rilievi ed i commenti che desiderava.

Cercando d’andare un po’ più a fondo nella questione, potremo suddividere le nostre impressioni in due estese categorie: chi ha da tempo messo una pietra sopra all’informazione di sistema – e ritiene che la cosa non lo riguardi più – e chi la segue, anche saltuariamente.
Nel primo caso, ci troveremo di fronte a persone che, per lo più, si affidano al Web ed utilizzano perciò un media di tipo bi-direzionale, senz’altro più flessibile, ampio ed esaustivo della TV. Queste persone giudicheranno irrilevante ciò che è accaduto, ma sottovalutano che – se loro riescono a “nutrirsi” con fonti più esaurienti – per tanti così non è. Gli altri, siccome ogni media dovrebbe fornire il più ampio spettro d’informazione, vengono semplicemente scippati di un loro diritto, quello d’essere informati con una vasta gamma d’espressioni.
Ovviamente, il frutto di questa pratica saranno opinioni create avendo a disposizione poco materiale e, spesso, inquinato da pareri spacciati per dogmi: vorrei sapere, a fronte della copiosa informazione che c’è sul Web, quanti sanno che la moneta non ha più relazione con l’oro. Se potessimo fare una rilevazione, sarebbe sicuramente una sorpresa: per questa ragione il problema tocca anche quelli che dell’informazione di sistema fanno a meno. Quando si va “alla conta” – oppure per la semplice formazione d’opinioni – lo scenario è completamente falsato.

Il pericolo è grave soprattutto per i “format” che si definiscono “alternativi” di “opposizione” di “libera informazione” e via discorrendo: non si può certo applicare il paragone ai teatrini di Bruno Vespa, laddove il “format” – spiccatamente nazional-popolare – è costruito apposta per accalappiare coloro i quali credono nei miracoli di San Silvio e di San Romano, ma anche per escludere a priori tutti gli altri.
Ho voluto fare una prova su me stesso, per verificare la mia “tenuta” a “Porta a porta”: i risultati sono stati deludenti, 7 minuti una sera, ben 11 un’altra (c’era però una tizia con un bel paio di cosce al vento, il che falsa la rilevazione), mentre non riesco a sopportare la vista di Mannheimer, come per le scene troppo violente di sangue ed orrore. Dovrebbero vietarlo ai minori.
Tutto sommato, speravo di riuscire a far di meglio: fidavo sulla mia antica predisposizione per l’immersione in apnea, ma con “Porta a porta” nemmeno il grande Maiorca ce la potrebbe fare.

Invece, il “format” modello Santoro è più pericoloso, perché accattiva con una sorta di presentazione “in jeans”, mentre – gratta gratta – salta fuori la medesima impostazione. Cambierà il colore delle sedie, la simpatia dei giornalisti (ed anche la bravura, pensiamo a Jacona) ma se non ci lasciano ascoltare cos’è la finanza islamica o perché Benettazzo aveva previsto con largo anticipo quel che sta accadendo, di tutto quel carrozzone non sappiamo che farcene.
Viene allora da chiedersi quale sia il gioco di Santoro.
Il “personaggio” Santoro fa parte di un sistema politico incentrato su un unico assioma “Berlusconi sì, Berlusconi no”. Non ce la sentiamo nemmeno di concedere un “Berlusconi forse”: insomma, il solito giochetto del berlusconismo/anti-berlusconismo. Fu premiato – a fronte di uno squallido intervento di censura da parte di Berlusconi, una sorta di diktat in pieno stile staliniano, quando fu estromesso dalla RAI – con un posto da parlamentare europeo, non dimentichiamolo. Si tratta quindi, pur riconoscendo le sue ottime qualità professionali, di un giornalista organico al sistema.

Vorrei ricordare che fui fra i primi a denunciare questo limite nella partecipazione di bravi giornalisti – Travaglio ne è un esempio, nessuno lo mette in dubbio – ai programmi televisivi. Hanno forse il pregio di farli conoscere al grande pubblico ma, se questa “presentazione” avviene con tanti crismi, c’è da insospettirsi.
Lo denunciai ad una delle prime puntate di “Anno zero”: come si può ridurre la vicenda afgana con una semplice “Letterina al mullah Omar”?
Comprendiamo che la satira possa aprire qualche breccia, che la parola tagliente ma calata con garbo possa valicare le inevitabili censure del video ma, in fin dei conti, qual è il discrimine?
Che si riesca, mediante la satira od altro, a non concedere nessuna ritrattazione, anche marginale, rispetto alle argomentazioni che si desiderano esporre. Possono oggi, gli italiani, sentirsi soddisfatti di simili spiegazioni?
Perché – liberi o prigionieri siano il mullah Omar o Ayman al Zavahiri, morto o vivo Saddam, altrettanto Osama bin Laden – la “guerra infinita” in Oriente continua a mietere vittime ed a non mostrare nessuna soluzione?

Sarà, forse, perché le motivazioni di quella guerra sono di natura geopolitica, e coinvolgono dunque le strategie delle grandi potenze e poco o nulla quelle di questi minuscoli attori?
E se, a fronte di questa constatazione – della quale tutti dovrebbero riconoscere l’evidenza – si usa la satira non per mostrare le vere ragioni di quelle guerre, bensì si opera una “reductio ad minimum” – trattando questi scenari come se fossero l’avanspettacolo del “Bagaglino”, che finisce per fuorviare completamente la natura stessa del messaggio – si compie il proprio dovere d’informare?
Qualcuno ribatte: le capacità di comprensione e d’elaborazione del vasto pubblico non giungono a queste “vette”. Premesso che non ci credo, possiamo rispondere: continuiamo, allora, a raccontare favole e metafore?
Ancora ricordo la “fulgida” spiegazione di un giornalista italiano per la guerra in Iraq del 1991: l’Iraq aveva scippato il Kuwait come uno zingarello ruba una mela da un banco del mercato. Non è forse giusto farsela restituire?
Osserviamo, oggi, il credere a queste veloci “semplificazioni” dove ci ha condotti: la metafora è utile, ma – suvvia – chi scrive dovrebbe conoscerne i limiti. Ovviamente, chi scrive con onestà intellettuale.

Il “format” televisivo, quindi, ha una duplice funzione: carpire dal Web un mare d’informazione a costo zero (lo fanno, lo fanno…) per poi riappropriarsi del primato “massacrando” in diretta gli antagonisti. Chi ricorda la trasmissione (se ben ricordo, Matrix) nella quale furono invitati Blondet e Chiesa per parlare dei “misteri” dell11 Settembre, rammenterà bene quale fu il “canovaccio” della serata.
Mentre sul Web il dibattito andava avanti oramai da mesi – e, qui, ci sarebbe da approfondire anche la diversa scansione temporale dei due media – i due “malcapitati” furono precipitati in uno studio televisivo come due gladiatori al Colosseo.
Bastarono due “scartini” della politica italiana per rendere all’ascoltatore un semplice messaggio: osservate quanto siamo democratici…invitiamo anche questi due sognatori irresponsabili e li ascoltiamo, siamo noi stessi a proporveli! Come siamo magnanimi! E li facciamo a pezzi senza che nemmeno ve ne rendiate conto.

Identica sorte sarebbe capitata al sottoscritto, se avesse accettato di partecipare in diretta ad una trasmissione del canale satellitare RAI sul traffico d’organi: essendo stato il primo scrittore italiano che ha trattato l’argomento in un libro, giunsero a me con una semplice ricerca su Google.
A quel punto, in studio, era pronto lo Stato Maggiore della Sanità italiana per farmi a pezzi! Accettai soltanto di fare un breve intervento in audio, poi li lasciai ai loro soliloqui.
Non conta quanto tu sia bravo, corretto nella verifica delle fonti, attento alle “bufale”: per l’informazione di sistema, esiste il solo parametro della fedeltà al sistema stesso.

Perciò…lasciate ogni speranza voi ch’entrate…verrebbe da dire perché, a fronte di qualche rara buona pagina di giornalismo, il resto è soltanto un teatrino che entra nelle nostre case per sostenere il sistema.
Fatto più grave, quando si è nel bel mezzo di una crisi finanziaria che mette in discussione le stesse basi dell’economia – di questa economia, dell’unica che ci presentano come scienza economia esistente – ridurla ad un mero teatrino del déjà vu, triturando citazioni e sentenze per riempire il tempo, senza concedere ad altri la possibilità di spiegare e d’esplorare nuovi scenari.
Di certo – cambiano i tempi e le modalità espressive – la RAI pare aver trovato, per il futuro, un buon rimpiazzo per Bruno Vespa: come sono lontani i tempi di Samarcanda, quando la gente poteva ancora parlare in televisione!
Con buona pace di chi ancora prega San Toro.

[1] Dati Nielsen comunicati dall’ANSA il 28 aprile 2007.

08 ottobre 2008

Tre meditazioni sulla Morte, e un Epilogo

Prima meditazione
Il funerale è alle 15. Arrivo con un po’ di ritardo: il carro funebre è vuoto, la bara è già al centro della navata e la chiesa è piena, con tanta gente in piedi ed altrettanta fuori, che parla del più e del meno.
Qualcuno, fuori, ride e scherza.
Prendo posto al fondo, cercando uno spazietto ancora vuoto e lo trovo appoggiandomi ad una colonna.
Nella penombra, inizio ad osservare la carrellata dei presenti: pochi visi noti, una marea di sconosciuti. E’ così quando vai ad un funerale per la sola amicizia con un parente; il tuo mondo si specchia nei visi conosciuti e puoi incasellarli nel tempo e nello spazio: luoghi, situazioni, anni.
Scorre, intanto, il nastro di quei volti per te grigi, che non rappresentano nulla. Come tu sei grigio per loro.
Il prete sta parlando, sta esortando i presenti alla fede nella vita eterna, nella quale anche l’estinto avrà un posto, come tutti l’avremo. Di certo. Credeteci, sembra affermare.
Poi, ricorda che verrà per tutti la resurrezione della carne, ed usciremo tutti dalle tombe un giorno lontano: sepolcri nel frattempo scomparsi – non ha nessuna importanza – corpi disgregati che giacciono sotto le fondamenta di un ipermercato. Vi prego, sembra affermare, ve lo dico io che lo so.
Da zero a dieci, tutti votano nella loro mente le parole del prete: osservo qualche 7, un po’ di 6, poi si scende. Qui, in fondo, nessuno alza la paletta.
I 7 ed i 6 rispondono alla liturgia, biascicano qualche risposta incomprensibile: quelle in Latino erano altrettanto oscure, ma erano almeno belle, musicali, evocative. Evocative di che? Niente, nulla da dichiarare – rispondono centinaia di visi cerei, all’officiante in divisa della Finanza – non ho preghiere né richieste da fare, nemmeno di contrabbando.
L’iconografia è desueta: un mondo, povero d’immagini, si scontra con lo strapotere dei mille network, della comunicazione planetaria. Nonostante un “fu” Papa gran comunicatore, la partita è persa senza nemmeno dare il calcio d’inizio a centrocampo. Figuriamoci con un teologo tedesco: chi, ancora, si chiede cosa fosse l’Illuminazione per Agostino?
L’Oberst-Kommandant di St. Peter Platz si rivolge agli italiani e al mondo: “niente preservativo, ricordate, castità”. Ma non ci “seguono” – lamenta – anche le palette con 7 e 6 glissano, si voltano dall’altra parte, perché nessuno ha il coraggio di dire ai propri figli: «Vai, sii fedele alla dottrina: se ti prendi l’AIDS, ci sarà sempre il Buon Pastore a confortarti».
Così trascina la sua stanca vita – fra una polemica per l’uso del preservativo e l’ennesima rassicurazione di non interessarsi alla politica italiana – una religione morente, al tramonto del suo tempo. Crediamo bene che sia contro l’eutanasia: sarebbe la prima candidata.
L’unico istante nel quale la liturgia sembra ravvivarsi, è quando l’officiante chiede di scambiarsi un segno di pace. A quel punto, anche le palette abbassate tendono una mano, sorridono timidamente, fanno almeno un cenno: quasi per voler rassicurare d’esser ancora presenti gli uni per gli altri. Per, poco dopo, dimenticarlo appena saliranno in auto.

Seconda meditazione
Oggi è un altro giorno: viene sempre un nuovo giorno, e i pensieri s’azzerano per ripartire da capo. Non potremmo sopportare un continuum mentale, senza pause, che dura per l’intera vita.
Oggi, si va a trovare un’amica che non sta tanto bene: è tanto che non c’incontriamo, da quando ci s’immergeva insieme nelle acque blu di Liguria, nei “buoni” posti che gli indigeni sanno ancora preservare dall’assalto degli Achei che calano da Nord ogni Domenica.
Sull’Appennino ligure regna una pace bucolica, mentre il sole gioca a nascondino fra le querce ed i faggi: addirittura, ci dobbiamo arrestare per lasciar passare una cinghialessa con i suoi piccoli. L’ultimo è in ritardo: aspettiamo pazienti che scenda dal bosco ed attraversi la strada, quasi urlando «Mamma, aspettami!». Non sono certo di tradurre a perfezione il cinghialese, ma posso assicurare al lettore, almeno, il senso approssimativo della frase.
La sorpresa che ci attende, però, è d’altra natura.
Sì, “non sta tanto bene” e vive sola, in una casa abbarbicata a mezza costa su un monte, come sanno essere impervi e grifagni solo i monti di Liguria.
L’astro, ora, tocca il mezzodì solare e lei c’attende in giardino. La prima cosa che noto, accanto alla sdraio, è la stampella.
Quando si alza – cioè, tenta di alzarsi – chiede dove sia finita l’altra stampella: finalmente, quel corpo sinuoso che osservavo danzare fra le onde, si solleva. Curvo, affaticato, dolente.
Ci trasciniamo in cucina – lei per la fatica, noi per lo sconforto – ed ascoltiamo il lungo racconto: le diagnosi, il peregrinare fra un ospedale e l’altro, poi la speranza – in Germania – ed ora la cura.
Si pranza: anche il pranzo, come il sonno, è un conforto che gli Dei regalano agli umani per consentire loro una cesura.
Dopo pranzo, mi chiede se so fare le iniezioni. Sì, ho imparato da mia madre.
E facciamo questa iniezione: no, sono quattro perché, anche se si tratta di una cura naturale, il nemico è il cancro, e quelle medicine sono una sorta di chemioterapia naturale.
Per carità, nulla di paragonabile alle sofferenze della “chemio” tradizionale, ma soffro nel vederla prona, incapace di muoversi per una buona mezzora, sudata, dolorante.
Allora esco in giardino a fumarmi una sigaretta. E’ l’imbrunire: l’aria stanca del dì di festa, carica d’umidità, scende dai boschi dove la cinghialessa ed i suoi piccini cercavano ghiande e castagne, nel caldo mezzodì della loro vita selvatica.
Lo schiocco di una fucilata rammenta che è giorno di caccia: odo trambusto in lontananza, rumori attutiti dal dialogare del vento. Poi, su tutto, ravviso chiaramente qualcosa che ben conosco.
Non c’è stata la seconda fucilata, ma l’urlo di morte del cinghiale – quel grugnito acido e disperato, lanciato all’inutilità del cielo plumbeo – indica con precisione l’istante nel quale il coltello gli ha reciso la gola. Perché il sangue deve lasciare il corpo, altrimenti la carne non frollerebbe bene: ebrei o goim, per il cinghiale non cambia. Sempre cibo cacer deve diventare.
Intanto s’è fatto buio, e ricordo che è Domenica: gli autotreni carichi di vitelli saranno già dentro al recinto del macello comunale, e non so se una fucilata sia più o meno pietosa. Nemmeno l’esser vegetariani ci salverebbe, poiché quei cinghiali che si moltiplicano divorerebbero fino all’ultima patata.
Rientro in casa. Ora, l'amica è seduta al tavolo della cucina: è avvolta da una coperta, ma il viso è sofferente e trema. Non sono certo io a chiederlo, ma è lei stessa a presagire la domanda celata nella mia espressione, forzatamente neutra; confessa che ci ha già meditato: se tutto dovesse andare male, ha già pensato alla soluzione. Definitiva.
Per non dare fastidio a nessuno, non creare problemi e, infine, per concedere ancora un brandello di dignità a se stessa. Non trovo niente da rispondere: un cenno con il capo basta, per non mettere inutilmente in dubbio il suo onore.

Terza meditazione
Il terzo giorno è il capitalismo a morire. Cioè, non è ancora morto: si tratta soltanto di un triplice infarto, nulla di definitivo. I medici al capezzale del malato somministrano medicamenti antichi: nascondere la viltà dei patrizi, per calarne gli inevitabili danni sulle spalle della plebe. Niente di nuovo sotto il sole.
Alessandro salì a Delfi per consultare la Pizia: poi, confortato, giunse fino all’Indo. Una favola – per la maggior parte di noi – una leggenda sfiorita nei margini del mito.
Solida realtà, invece, credere che la spirale dei consumi a credito potesse crescere senza fine, solo per comprovare nella prassi quotidiana un pensiero di rimozione collettiva della vita e dei suoi limiti, della morte e del suo sancire una fine ad ogni cosa.
Così, assistiamo ad un pessimo teatrino dei Pupi, nemmeno lontanamente paragonabile al potente vento della tragedia: con fare di commedianti, salgono sul proscenio, calcano l’agorà televisiva personaggi che promettono salvifiche pozioni, rassicuranti alcove, caldi e perpetui focolari per riscaldare, senza tremore alcuno, le dubbiose membra.
E c’è del vero, in quel vorticar di suoni nell’aria!
Il Senato sarà salvato – se non altro, perché a scrivere le leggi sono soltanto Cesare ed i suoi senatori – e dunque il mondo potrà proseguire nel suo eterno corso: al più, sarà necessario inviare qualche centuria di Pretoriani sulle vie consolari. Che già hanno preso posto, con la scusa di qualche errabondo brigante.
La ruina sarà scapolata facendo credere che quelle false monete d’argilla, create dal nulla per decenni, finiranno come ogni vaso rotto al Mons Testaceus, la collina dei cocci al Testaccio. Ma, in questo modo, i senatori non sarebbero garantiti!
Allora, si provvederà a consegnare vere monete auree a tutti coloro che consegneranno i falsi simulacri d’argilla. Chi mai, possiede in tal copia si tante monete?
Se ne farà carico l’Erario: parola di Cesare.
La consegna di tanto oro da parte dell’Erario, significherà che non ci saranno più monete per acquistare vino e granaglie per la plebe. Sarà la morte, dopo l’infarto, che verrà ingentilita con preziosi vaticini i quali – nel loro criptico linguaggio – sapranno calmierare con ambigui presagi che tutto non va proprio a catafascio. Solo “quasi”.
Giungeranno a ricordare la solidità di La Palisse: un uomo, un quarto d’ora prima di morire, è ancora vivo.
Le cassandre saranno giustiziate o comprate con pochi sesterzi: ancora una volta, dimenticando che la vera Cassandra aveva ragione. Al termine, dopo che l’oro sarà trasportato nelle ville patrizie, sarà data “mano libera” alla Guardia Pretoria.
Così muoiono gli imperi: nel sangue versato in una sola, grande battaglia oppure centellinando l’amaro calice della sconfitta per lustri e decenni, in un’agonia dolorosa, che deturpa e succhia – come vampiro – le estreme forze.

Epilogo
Una civiltà muore quando smarrisce la frontiera, il limite della Morte come confine ciclico nel volgere degli eventi: lo perde nelle vuote cerimonie funebri, nelle rassicurazioni dei prestigiatori farmaceutici, nella follia dei broker saccenti. Tanto sapienti, da lasciare il loro mondo con una scatola di cartone in mano.
Ratzinger ha ragione quando ricorda che il denaro non è tutto: dovrebbe però spiegare perché, sin dai tempi dei Conventuali e degli Spirituali, la Chiesa Cattolica non abbia quasi pensato ad altro. Oppure dobbiamo ricordare il commercio delle Indulgenze? E le “attività” dello IOR? Da quale pulpito viene la predica.
L’affermazione, quindi, non gli può appartenere – pur verissima – poiché contraddetta in termini dalle opere.
Eppure, in questi giorni di timori e pessimi presagi, è l’unica (o fra le poche) sentenze che meritano attenzione.
Potremo cercare rimedi, per la disgrazia che verrà da quello che oggi è soltanto l’agitarsi di numeri sui monitor: perché, quando si passerà dalla Morte virtuale a quelle reali, il dolore sarà tangibile, sostanziato.
Non conosciamo i termini e gli aggettivi che lo dipingeranno: disoccupazione di massa, welfare da Quarto Mondo, forse una grande guerra per riportare a zero il denominatore e far ripartire una novella, perfida equazione.
Non li conoscono nemmeno i prestigiatori dell’economia i quali, nel bel mezzo di un evento del quale non riusciamo nemmeno a percepire la portata, si permettono l’azzardo – vera ignoranza e presunzione! – di comunicare a quanto ammonterà il deficit USA nel 2013! Ma, quando la finiranno di prenderci per i fondelli? L’Oracolo di Delfi era più serio ed attento!
Il denaro non sarà più “tutto” quando “altro” prenderà il suo posto: ciò che manca oramai da secoli, nella civiltà mercantile, è “l’altro”. Per questa ragione sotterriamo in fretta la Morte: poiché ci richiamerebbe al limite del nostro essere, a qualche domanda più seria e (forse) realmente confortante.
Così, nel vuoto pneumatico di qualsiasi valore pregnante e condiviso – gradualmente, ma inesorabilmente abbattuto dalla necessità espansiva del capitale – la civiltà mercantile muore quando perde l’ultima ancora rimasta: il denaro.
Si ha un bel dire che è necessaria una nuova teoria del valore, che ci vuol un rinnovato socialismo, che dovremo riscoprire i nostri legami comunitari: senza la ricerca interiore di ciò che siamo – l’antico peregrinare della mente alla ricerca del vero, di là delle religioni da ipermercato e da hard discount – l’ansia ci renderà nuovamente schiavi di questo o quel arruffapopoli, sia esso uomo, Dio, semidio o vil denaro.
Gli antichi fidavano su una cosmogonia che rifletteva, su più alti livelli, le pulsioni e i dubbi dell’animo umano. L’uomo medievale, pur vivendo nel terrore di una religione imposta più con la forza che con la conoscenza, credeva o si sforzava di credere in un compendio di certezze. Noi, siamo oramai viandanti nel deserto: sotto il denaro, nulla.