08 febbraio 2019

Un po’ di Giustizia? Sarebbe ora…


E’ passata la Finanziaria, migranti ne arrivano pochissimi, le elezioni europee sono ancora lontane…non sarebbe ora di metter mano ai tanti problemi che una pletora d’incompetenti corrotti ha seminato, per decenni, nel Paese? Ci riferiamo alle varie “riforme” che furono emanate dagli stessi parlamentari che si riunirono, in seduta ufficiale, per decidere se Ruby Rubacuori fosse la nipote del Faraone.
L’attuale governo ha promesso una revisione dell’impianto della giustizia penale…certo, va bene…ma non vi pare che tutto il “pianeta” Giustizia richieda urgenti misure? Possiamo permetterci il lusso di tre stadi decisionali, quando lo scotto da pagare è la vita umana? Ossia, a volte la giustizia civile supera la vita umana? Proporrò tre casi, uno civile e due penali, poi decidete voi, esprimendo quel che pensate.

Calende greche
Nel 2000 ci fu una riforma della scuola, la riforma Berlinguer. Nella riforma, erano previsti accorpamenti di personale: c’era ancora personale scolastico delle Province e dei Comuni, che passarono nei ruoli statali. La riforma, come qualsiasi riforma scritta dai politici, non va a spiluccare su particolari che sembrano ovvi e, soprattutto, dopo se ne dimentica. Nel caso, ritennero ovvio che quel personale conservasse l’anzianità di servizio e fosse inquadrato nei ruoli statali. E’ una questione secondaria, se vogliamo, ma utile per comprendere cosa può essere la Giustizia se lasciata libera di pascolare.

Qualcuno interpretò i vari commi in modo diverso… un capoverso non chiaro una virgola che sembra affermare o negare…ibis, redibis non morietur in bello…(ricordate?) e quelle persone si videro sparire, ai fini della retribuzione, decine d’anni d’anzianità. C’erano anche altre questioni normative aperte (per il personale docente) ma non voglio complicare troppo le cose.
Dopo un paio d’anni, nei quali lasciarono la cosa nella mani dei sindacati, quei disgraziati capirono cos’era il sindacato ed iniziarono i ricorsi per via giudiziaria. Credendo che fosse facile.
Pur essendo tutto personale scolastico, furono costretti ad altrettanti procedimenti individuali, perché le norme chiarivano che il “lavoratore” si rivolgeva Giudice del Lavoro, magari in associazione con altri, ma sempre al giudice naturale, ossia per competenza territoriale. Le cose stavano e stanno così: fidatevi (la class action è un’altra cosa).

Migliaia di cause, decine d’avvocati, altrettanti magistrati, l’Avvocatura dello Stato…un costo per la collettività che non so nemmeno quantificare…i risultati? Semplice: secondo l’interpretazione del singolo giudice, il segretario  di Milano vinceva, mentre il bidello di Bergamo perdeva…e quindi ricostruzioni di carriere, altre tonnellate di carta, migliaia di ore di discussioni…poi i ricorsi in Appello, anche qui chi vince e chi perde, infine la Cassazione, che sembra dare ragione ai dipendenti, ma in modo non tanto chiaro, un cerchiobottismo sbiadito? Sì, qualcosa del genere. Rimandano le sentenze in Corte d’Appello, che devono correggere le precedenti sentenze, ma qualcuna di esse s’oppone, e dunque la Cassazione dovrà nuovamente pronunciarsi. Nel 2019. A quasi vent’anni dall’inizio del procedimento.

Ora, vi chiedo di sgombrare per un attimo la mente da quello che avete letto e di porvi la domanda: si tratta di una questione di giustizia o di uno psicodramma andato a male? La gran maggioranza parte di quelle persone è andata in pensione, tanti sono già deceduti, eppure la giustizia continua, imperterrita, a sfornare sentenze che saranno appellate…rimandi in sede europea – dove si sono pronunciati in modo chiaro, dando ragione ai lavoratori, ed in modo più sfumato verso la Magistratura italiana con un: ma siete matti?!? – eppure i vari governi hanno continuato a biascicare di capitoli di bilancio, di ricorsi, sentenze passate in giudicato…
E chissà quante di queste situazioni sono tuttora in discussione nelle sedi giudiziarie! Per un incidente stradale, un muro crollato, un licenziamento, un’invalidità, un mancato pagamento, eccetera, eccetera…

Il delitto Calabresi
Il giorno dopo quel delitto – e lo ricordo bene – lessi il Corriere della Sera che chiariva “…l’omicida era presumibilmente un professionista, giacché aveva sparato nel momento nel quale il commissario infilava le chiavi nel cruscotto per avviare l’autovettura: circostanza ben conosciuta dai killer professionisti, perché in quell’attimo la concentrazione è “attratta” completamente dal gesto”.
Non sono un criminologo né un killer, perciò lascio la responsabilità di quell’articolo al giornalista.

Sapete come andò a finire: 4 a 3, ossia 7 pronunciamenti con 4 verdetti di colpevolezza e 3 assoluzioni, l’ultimo di colpevolezza: possiamo essere certi che i fatti si sono svolti proprio come la corte ha poi deciso? 4 a 3, come Italia-Germania? Non è una partita di calcio, ci sono delle vite, delle persone che si vedono la vita distrutta…possiamo tirare un sospiro di sollievo e dire: sì, è stata fatta giustizia?

Vigeva già il nuovo codice di procedura penale, nel quale non era più prevista l’assoluzione per insufficienza di prove.
Un procedimento che vide “risvegli” di “gole profonde”, addirittura sentenze generate su piani viari non più in vigore (le piantine stradali, i sensi unici, ecc)…ma così fu.
Senza farsi fuorviare da sentimenti di parte, la domanda che pongo è: l’uomo (ossia il giudice) è sempre in grado di fornire una risposta a queste vicende, “oltre ogni ragionevole dubbio” (come nel diritto anglosassone)? Senza girarci tanto attorno: siamo sempre in grado d’interpretare nel modo esattamente coerente alla realtà dei fatti, tramite le procedure processuali, un sequenza di atti?

Oh, certo: la pubblicistica ci ha mostrato che è possibile. Il commissario Maigret, Sherlock Holmes, Hercules Poirot e miss Marple ci riescono sempre…però la pena di morte, lo sappiamo per certo dalle confessioni in punto di morte dei veri assassini, è stato eseguita almeno una decina di volte su persone innocenti negli USA. Così è stato anche in Italia, con scarcerazioni molto tardive d’ergastolani innocenti.

Carlo Lucarelli, in una trasmissione televisiva di molti anni fa, presentò – in compagnia di un suo (presumo) amico commissario di Polizia – una serie di casi insoluti e, il commissario, ripercorse le indagini evidenziando gli errori commessi nelle procedure d’indagine: leggerezze, convinzioni affrettate, semplici dimenticanze.
Anche in questo caso, c’è un parallelismo con la pubblicistica: un conto è svolgere indagini “a caldo” – magari con un questore alle spalle che ha fretta e ti accende la miccia sul sederino – un altro con tutta la calma necessaria. Simenon costruiva in parallelo la vicenda, e Maigret – si può dire – era già “presente” al momento dello sparo.

Poi, se volete uno spassionato parere personale, ritengo che nei corpi di polizia italiana regni un’assoluta dabbenaggine, leggerezza, panciafichismo e menefreghismo all’ennesima potenza: di più, riflettiamo che siamo la sola nazione europea ad avere dei militari con compito di polizia giudiziaria sul territorio.

Per questa ragione, le procedure investigative andrebbero meglio studiate e precisate, ed anche la procedura penale andrebbe rivista e, soprattutto, velocizzata nei tempi, che non possono essere più accettati come quelli di Matusalemme: a dirla tutta, anche i magistrati dovrebbero essere messi di fronte a tempistiche precise, da rispettare.
E’ inutile che blaterino tanto sui femminicidi, se fra gli atti di violenza e la data d’inizio del processo passano tre anni (capitato ad una mia conoscente)!

Marco Vannini
L’omicidio di questo ragazzo, anche se è profondamente diverso, m’ha ricordato il caso Cucchi. Perché?
Poiché negli atti c’è la medesima volontà di non voler guardare una realtà distorta, incongruente, e tuttavia lapalissiana.
Nessuno – ancora oggi, dopo il pronunciamento della Corte d’Appello – ha mai affrontato il vero problema di questo caso: chi sparò? Perché furono trovate dalla Polizia Scientifica più tracce di polvere da sparo combusta sul figlio di Antonio Ciontoli, Federico? Il quale ha negato persino (nella ridda di dichiarazioni “ad momentum” della famiglia Ciontoli) d’essere stato in bagno al momento dello sparo. Sparo? Ci fu uno sparo? Lo sentirono tutti, nel palazzo, ma per la famiglia Ciontoli era caduto solo qualcosa, forse un pettine…perché non chiamare il 118 subito e salvare il ragazzo? Se si vuole ammazzare una persona nella vasca da bagno, si spara alla spalla? Quei giudici hanno sentenziato sul nulla, inutile girarci attorno.

Lasciamo le mille contraddizioni di questo caso, per concentrarci sulla sentenza d’Appello: i giudici non hanno sbagliato, hanno semplicemente accertato che non c’era dolo eventuale, di nessun tipo, perché non hanno trovato un movente serio per il quale si uccide una persona. Non avendolo trovato, hanno concluso che s’è trattato di una fatalità, uno scherzo finito male…chissà che cosa…ma che Ciontoli (quale?) non aveva assolutamente voluto uccidere Vannini.
Omicidio colposo commesso da un incensurato: fatevi i conti, e la condanna è quella, compresa l’omissione di soccorso.
Ripeto: se andiamo a cercare le contraddizioni, in questo caso, non ne troviamo solo una, il caso Vannini è la fiera delle contraddizioni, dei falsi, delle confessioni fasulle e quant’altro. Al punto che – ci scommetto mezza corona inglese – la Cassazione farà rifare il processo da capo, se non altro perché, così, prendono tempo. E sperano che la gente dimentichi.

C’è poi la (presunta) appartenenza di Ciontoli ai servizi segreti: qualcuno dice che lo era, altri raccontano che faceva solo le pulizie. In un modo o nell’altro, se viene loro comodo dirti che faceva le pulizie, ti faranno vedere anche lo straccio e lo scopettone.

La questione, però è un’altra: abbiamo assistito ad un’iperbole di casi nei quali, a sparare, è sempre un “tutore” dell’ordine. Poi, ci sono coloro che sparano perché hanno un permesso per detenere un’arma (quasi) da guerra con la scusa del tiro sportivo. E ci sono, poi, quelli che hanno un’arma non dichiarata e la tengono nascosta.

Questi ultimi, quando sparano, si prendono pure il possesso d’arma abusivo, che se è da guerra giunge a 9 anni di reclusione. E quelli che l’hanno regolarmente denunciata?
Qui, Houston, abbiamo un problema.

Chi possiede un’arma con regolare licenza, deve dimostrare d’avere dimestichezza con le armi ed una situazione psichica equilibrata. Cosa, che, nel tempo, può cambiare: Houston, abbiamo un secondo problema. Non avessi visto con i miei occhi un istruttore di tiro a segno del poligono, portato via in fretta e furia dai Carabinieri mentre tentava di “interloquire” con la ex moglie di fronte alla scuola del figlio: subito dopo un bel ricovero in psichiatria ed una perquisizione con un camioncino di armi sequestrate. Meno male che era un istruttore, chissà gli “allievi”!

In qualche modo, chi usa in modo dissennato un’arma che gli è stata concessa “sulla fiducia” in uso, tradisce un impegno preso con la collettività. Chi, invece, veste una divisa ne tradisce due: il primo per il dissennato uso dell’arma – che può essere anche la semplice leggerezza o sbadataggine – e il secondo verso la collettività che l’ha istruito, addestrato ed ha avuto fiducia in lui.

Perciò – caro ministro Bonafede – in sede di riforma della legge penale, non vedrei male se fossero aggiunti un paio di commi nei reati di sangue commessi con armi da fuoco.

Xy) Nel caso che il soggetto abbia usato un’arma regolarmente denunciata per delinquere, la pena è aumentata di 1/3.
Xybis) Nel caso che il soggetto, il quale abbia usato l’arma per delinquere sia un militare, un appartenente ai corpi di Polizia (tutti) o una guardia giurata, la pena è aumentata di 2/3.

Vediamo quanti giocano ancora a fare il G-man nel bagno di casa farfugliando fra una pistola e un’altra?

Piccola o Grande Giustizia?
Forse sono vecchio, e non capisco più la logica di certe riforme.
La Giustizia è “intasata” da milioni di procedimenti minori, per i quali si procede fino alla Cassazione come se fossero tutti delitti come la strage di Piazza Fontana.
La figura del pretore è stata abolita per far posto al Giudice di Pace, che – nonostante il titolo aggraziato – non sembra che riesca a pacificare molto.
Osservate di cosa si occupava il vecchio pretore, giudice (parzialmente) monocratico fino al 1989:
-Cause civili (diritto civile) di valore limitato (via via aumentato nel tempo sino a 50.000.000 di lire, che oggi corrisponderebbero a poco più di 25.000 euro)
-Processo del lavoro (diritto civile) per qualsiasi importo;
-Procedimenti per convalida di licenza o sfratto (diritto civile);
-Azioni possessorie (diritto civile);
-Provvedimenti d'urgenza (diritto civile);
-Tutela ambientale (diritto penale);
-Tutela della salute (diritto penale);
-Reati puniti con la pena della reclusione sino a tre anni, oppure con le pene della multa, dell'arresto o della contravvenzione
-Infortuni sul lavoro;
-Infortuni stradali.

Il giudice monocratico dava origine a dei problemi: se sbagliava?
Sull’altro versante, toglieva alla Magistratura la miriade di piccoli procedimenti (gli incidenti stradali, ad esempio) che, purtroppo, sono ancora tanti, più le mille liti di condominio che finiscono con una denuncia. Gli italiani sono veramente perversi in questo frangente: anni fa, un giudice fu “eversore” quando – trovandosi a giudicare un furto di tre trappole per topi – s’offerse di chiudere la faccenda pagando, di tasca propria, il danno: tremila lire, 1,5 euro.

Una revisione del concetto del Pretore – magari togliendogli la possibilità di comminare pene corporali – ed ammodernando il concetto, con un giudice monocratico di grado superiore per dirimere i ricorsi, potrebbe funzionare.
La Magistratura potrebbe così funzionare più celermente, e non si può – come oggi avviene – archiviare tantissimi eventi non considerandoli “degni” d’avere giustizia, perché così avviene. Il primo filtro lo fanno i Carabinieri, sconsigliando la denuncia – andrà per le lunghe, non otterrà niente, il magistrato archivierà, è solo una perdita di tempo, ecc – ed il secondo lo opera il magistrato stesso, archiviando in serie migliaia di ricorsi.
Magari erano cose di poco conto, ma da una cosa di poco conto trascurata nascono altre questioni, di ben altra gravità: se il tizio che si vede rubare serialmente le trappole per topi, non avendo riscontro, s’incazza e prende a bastonate il ladro? E se questo, per vendetta, tira fuori la doppietta? Si va fino in Cassazione.

Sorprende il numero di reati, molti di sangue, contro le donne nei casi di divorzio et similia: moltissimi vengono archiviate per la pochezza degli indizi. Le forze di polizia non hanno quasi peso, e soprattutto è la Magistratura a non consentirlo, pena l’imputazione di “lesa maestà”. Così le situazioni degenerano, senza che nessuno se ne interessi.

Forse, la figura del giudice-califfo del diritto islamico non è così campata in aria, basta – ovviamente – cambiare il corpus giuridico di riferimento. Eppure, a mio avviso, una figura intermedia fra la “grande” Magistratura ed i piccoli reati andrebbe riconsiderata, altrimenti si crea una palude di non-giustizia dalla quale, per forza di cose, nascono poi i reati gravi.

Ci sono molte forme di questo diritto “minore”, in Europa – in Svizzera, ad esempio – ed in Gran Bretagna, dove sono addirittura dei giudici onorari (semplici avvocati) a dirimere gli incidenti stradali senza vittime. Rivedere la figura del Giudice di Pace? Può essere, ma qualcosa bisogna pur fare.

Armi? E quali?
Vuoi sparare? Oh, bene. Vuoi un’arma da guerra? Ok: basta rimuovere il funzionamento automatico (cioè la raffica) e ti diamo tutto quello che desideri, anche un Kalashnikov, anche il fucile che usarono quelli della Uno Bianca. Tutto in vendita: basta garantire “sanità mentale”, ovvia competenza sulle armi, e sono tuoi!
Forse, bisognerebbe darsi una calmata, ma gli “sparatori” sono voti, e dunque…

Bisogna altresì riconoscere – e, questo, Michael Moore mi pare che l’abbia abbondantemente dimostrato nel suo “Bowling to Columbine” – che l’uso improprio delle armi per uccidere non dipende tanto dalla facilità del premere il grilletto, quanto sulle condizioni sociali, psichiche ed ambientali della persona che ha l’arma in mano. Nel film, si dimostrava che a Chicago c’erano non so quanti morti sparati il giorno, mentre sull’altra sponda del lago Michigan (canadese) avveniva un fatto di sangue ogni tot anni. Una voragine di differenza. Ma erano le condizioni sociali ad essere una seconda voragine di differenza.

Detto questo, qualche provvedimento bisogna pur prenderlo. Anche qui, mi rivolgo al tempo che fu.
Nelle case di un secolo fa, era quasi normale avere, appesa al muro, una doppietta da caccia: era un fatto normale, e nessuno se ne meravigliava. Quando l’UE decise d’uniformare le leggi comunitarie in fatto di armi, trovò molte resistenze nell’area francofona – Francia e Belgio, soprattutto – perché l’abitudine ad avere l’arma da caccia in casa era quasi una tradizione. Oggi, hanno anch’essi una bella legge europea che gli ha lasciato solo il fucile ad elastici.

Si accoppia, spesso, il concetto di “arma” con quello di “difesa”, mentre nella realtà le armi che vengono concesse in uso con l’apposita licenza, sono armi da “offesa”. Ossia, si concede qualcosa che renda possibile uccidere qualsiasi aggressore si faccia avanti: la sfida deve finire con un morto, comunque vada. Sfida all’OK Corral oppure niente.
E così, le armi corte sono tutte in calibro 7,65 oppure 9 (non Parabellum): armi fatte per uccidere. Insomma, nel confronto fra il ladro e la vittima uno dei due deve morire, non ci sono alternative.
Con l’aggravante che, se la vittima spara ed uccide colpendo il ladro alla schiena, la Magistratura può incolparlo di eccesso di legittima difesa: a pensarci bene, non è poi tanto campato in aria. Mi sta sull’anima il mio vicino, lo invito in casa mia per discutere, poi…

Il problema è allora quello di fermare l’aggressore possibilmente senza ucciderlo: ferirlo? Meglio due feriti che un morto, recita il proverbio. Già, ma le armi uccidono. Non tutte.
Senza andare a cercare armi futuristiche, nel nostro passato troviamo un’arma che è perfetta per la difesa, con scarsissime possibilità (vedremo dopo) di uccidere. Un’arma che era comune fino a qualche decennio or sono, e che oggi è praticamente sparita.

Si tratta del fucile Flobert, dal nome del suo inventore, Nicolas Flobert. Si tratta di un fucile da caccia “in miniatura”, ossia con canna da 9 mm liscia (invece di 12) ed un munizionamento poco potente, in grado di fornire una scarica di pallini (o una palla) nel raggio di 15-20 metri. Veniva usato per il tiro “delle signore” o per sparare al tiro a segno in ambienti chiusi.
Era il fucile da caccia per i ragazzi – da non confondere con l’aria compressa – e veniva usato per sparare ai tordi, ai passeri…anche perché più in là non arrivava: poca distanza, pochi pallini, bersagli piccoli…
Usando il solo munizionamento a pallini, uccidere una persona è praticamente impossibile: solo per gli occhi è veramente pericoloso, ma negli occhi anche un proiettile delle carabine ad aria compressa (quelle consentite) è fatale, anche un sasso lanciato con una fionda, una freccia…e poi…se proprio qualcuno entra di notte in casa vostra, mi pare che qualche rischio se lo deva prendere.

Sotto l’aspetto della difesa, invece, quest’arma fornisce quello che serve: una rosa di pallini che penetrano la pelle, ma non vanno oltre. E’ poco di più di una scarica a sale, ma di quelle che fanno un male cane e fanno subito passare la voglia di giocare al Far West.
Limitando le cartucce ai soli pallini da caccia, magari con funzionamento semiautomatico ed un caricatore a 5 colpi, com’era per i “sovrapposti” da caccia, quest’arma sarebbe utilissima per la difesa personale e potrebbe essere concessa in libera vendita. Con quell’arma e quel munizionamento, si creerebbe un deterrente per i “ladri della grondaia”, gli scassinatori di villette, ecc, che saprebbero di dover affrontare sicuramente una persona armata. Dite voi: così vanno sicuramente con una 357 Magnum. Perché, non ci vanno lo stesso? Tenete presente che il vecchio Flobert, con la sua scarica di pallini da caccia, nei 10-15 metri è micidiale. L’unico a bestemmiare, dopo, sarebbe il chirurgo, con tutti quei pallini da togliere…

Vi potrà sembrare una filippica sterile: però, l’alternativa?
- Lasciare le persone completamente indifese;
- Dotarle di armi potenti e pericolose, soprattutto per se stessi e per i loro familiari.

Insomma, ci sono molti capitoli da rivedere nel sistema giudiziario italiano, ed il più importante non sono forse le armi, ma la rapidità della giustizia: ne uccide più il tempo che la spada! Vero Bonafede?

2 commenti:

Augusto ha detto...

Carlo, parto dal fondo.
Mi piace l'idea del Flobert ad uso casareccio; certo, anche per quello, proporrei un ridotto questionario/corso/esame.
Lasciando le pistole "vere", con tutti gli esami, corsi e conferme annuali, a chi ne ha veramente necessitá per lavoro.

Per la magistratura, invece...large programme. Lo diceva de Gaulle?
Da dove iniziamo? Forse, qualcosina si potrebbe fare da subito:

Ri-visitazione del giudice di pace, come proponi - Separazione delle carriere - Aggiornamento telematico e assunzione funzionari - Precise tempistiche e valutazione risultati, come proponi - Carriera in base ai risultati raggiunti (la vedo duretta) - Proibizione degli organismi para-sindacali/para-politici nella magistratura (la vedo impossibile).

Pensi che se, oggi, un parlamento iniziasse a discutere solo questi piccoli punti non verrebbe sommerso da inchieste varie?
Oppure, riesumiamo la immunitá parlamentare totale?
Nota a margine: forse i Costituenti non erano poi cosí rincoglioniti.
Ciao.

Carlo Bertani ha detto...

Si tratta, per la Magistratura, di un delicato equilibrio. Se è vero che sul fronte del giudizio la politica non deve aver parola, sulla formazione delle leggi è la Magistratura a non averla. Perciò, avanti con proposte che non limitino, ma velocizzino l'operato dei giudici. Non vedo altra soluzione.
Ciao
Carlo