“ghe dixan quellu che nu peúan dî
de zeùggia, sabbu e de lûnedi.”
“le dicono quello che non possono dire
di Giovedì, Sabato e Lunedì.”
Fabrizio de André – A dumenega – dall’album Creuza de ma – (1984).
Oggi è Domenica. E’ una Domenica di neve e di noia, nell’attesa dell’appuntamento serale con l’autostrada, i caselli, le macchinette che domandano sempre e solo soldi e, infine, l’Ospedale.
Ma è anche una Domenica nella quale sembrano intessersi i destini della terra dei Faraoni, del centro del mondo arabo sunnita: di Al-Azhar, della Fratellanza Musulmana, dei musei, delle piramidi di Gizah, fino al Luna Park per occidentali di Sharm.
Nel corso della settimana oramai trascorsa, solerti cantori di regime si sono sperticati nell’acclamare le rivolte di Tunisi e del Cairo come il “voltar pagina” del mondo arabo, del nuovo – in questo caso è d’obbligo, “Islam” – che avanza. Eppure.
Eppure, non possiamo dimenticare gli avvenimenti d’appena due anni or sono: Piombo Fuso.
Regnava George Bush II il Giovane, ancora per poco: da lì a poco, si sarebbe insediato alla Casa Bianca un nero, che in gioventù – in Indonesia – aveva ricevuto insegnamenti nelle madrasse musulmane del luogo, un tizio dal nome sinistro. Barack Hussein Obama.
Già…Obama assomiglia troppo ad Osama, ma non è questo il punto: gli altri, due nomi sono entrambi d’origine medio-orientale.
E fa paura.
Tzahal, diligentemente, prende nota del “termine ultimo” fino al quale si può impunemente ammazzare, bruciare, distruggere e annichilire la gente di Gaza e lo fa con precisione: il 18 Gennaio 2009, poco prima che Obama faccia il suo ingresso al 1600 di Pennsylvania Avenue, tutto si placa. Sul campo.
La battaglia riprende, ma questa volta il premier israeliano Benjamin Netanyahu capisce che l’opzione militare è oramai “off limits”, e si deve agire in altro modo. Ci sono, negli USA, altri personaggi più affidabili per la politica israeliana: non si tratta forse della sola Sarah Palin – la tizia che va in giro a sparare ai caribù – e nemmeno dell’oramai “bruciato” senatore Mc Cain. Altri giungeranno, altri riprenderanno in mano e faranno garrire al vento lo stendardo degli USA perennemente a fianco di Tel Aviv, senza se e senza ma.
Questo, perché di “se” e di “ma” con Israele Obama aveva lastricato la strada fra Damasco e la Galilea, il Cairo e la striscia di Gaza ma, soprattutto, la via che porta a Teheran.
Troppo accondiscendente, troppo “morbido” con il regime iraniano che ha intenzione di dotarsi (?) d’armi nucleari: veramente, per ora, sta cercando di realizzare una centrale nucleare civile, per il resto mancano come minimo altri 10 anni, forse più.
Purtroppo, non si può raccontare ai coloni che vigilano negli avamposti del West Bank che la tigre nucleare iraniana, per molti anni ancora, sarà una tigre di carta: devono rimanere convinti che i missili iraniani siano lì per ghermirli, che l’assalto sia imminente. Soprattutto, non dovranno mai far mancare al Likud il loro appoggio.
E, negli USA, che si può fare?
La “novità” Obama è troppo forte, mediaticamente, per essere contrastata con mezzi usuali: non pratica il bunga-bunga, non sporca di sperma il reggiseno delle stagiste…niente…niente…niente…persino Signorini, Frattini, Minzolini, Belpietro…dovrebbero gettare la spugna.
Mumble, mumble…l’idea nasce col contrastare “dal basso” la presidenza Obama mentre, “dall’alto”, s’inizia a fare il vuoto, “consigliando” ai collaboratori di Obama di fede ebraica di lasciarlo[1].
Sul primo fronte, quello “popolare”, ecco spuntare nuovi “fenomeni” della politica statunitense, che s’accasano subito sotto la gonna di Sarah Palin nel movimento dei “Tea Party”, come il senatore Rubio[2], il quale va subito a rendere omaggio a Yad Yashem.
La frittata è servita, ed Obama perde alla grande le elezioni di medio termine.
Questa volta…mumble, mumble…il pensatoio s’insedia alla Casa Bianca: lo “scherzetto” di Netanyahu non viene gradito, anche perchè non c’è nessun “dolcetto” nella sconfitta elettorale del Presidente.
Allora, allora…
Cominciamo dal “piccolo”: c’è un dittatore da strapazzo in Tunisia. Che dite, lo togliamo di mezzo? Tanto, per quel che conta…
Però, però…se vogliamo rendere la pariglia a Tel Aviv, bisognerebbe far loro capire che le loro ingerenze non ci sono gradite…che potrebbero trovare insediato al Cairo una persona a noi più fedele, meno legata alle stanze del Mossad e dello Shin-Bet…
Torna alla mente, allora, niente di meno che un Nobel per la Pace: è lui, Mohamed El Baradei, l’uomo che ha saputo mediare per la faccenda iraniana sotto Bush, e bene lo ha fatto.
Perché, se l’Iran non è e non sarà per tanto tempo una potenza nucleare, per quanto riguarda l’eventuale blocco del Golfo Persico per le petroliere che riforniscono il Pianeta – dagli USA alla Cina, che non sappiamo cos’abbia detto al riguardo nel recente incontro a Washington con Obama – è un fatto assodato: sottomarini, motovedette, aerei e missili sono in grado di mandare a fondo migliaia di tonnellate di naviglio mercantile.
Forse non abbastanza per reggere ad un attacco in forze USA, ma abbastanza per far schizzare il prezzo del greggio a 200$ il barile e mandare a fondo l’economia mondiale.
E poi: sono forse in grado, gli USA che non riescono nemmeno a controllare l’Iraq e l’Afghanistan, d’intraprendere un’avventura “da paura” come un confronto bellico con l’Iran?
Allora, allora…El Baradei è attualmente “disoccupato”…mandiamolo al Cairo, a pretendere le dimissioni di quel bacucco di Mubarak, che prendono addirittura in giro affibbiandogli delle “nipoti” – un poco troie, eh, scusate… – per i sollazzi dei bunga-bunga italioti.
Il vegliardo pensa di salvare la ghirba nominando vicepresidente il capo dei servizi segreti egiziani – Suleiman – ma la cosa non sembra molto gradita al Segretario di Stato USA: la Clinton, afferma che si deve dare ascolto “al popolo”. Insomma…sarebbe come se, Berlusconi, nominasse suo successore Manganelli, De Gennaro o uno del genere: no, fuori tempo massimo.
E, il “popolo” – ma che caso – si ritrova unito sotto gli stendardi di El Baradei – dai movimenti di piazza ai Fratelli Musulmani – per dare il benservito a Mubarak.
Ci piacerebbe raccontare – come fanno tanti – una speranza per i popoli, dalla Tunisia all’Albania, passando per l’Egitto, ma non scorgiamo altro che gran movimenti di servizi segreti e di diplomazie “nell’ombra”.
Non si tratta, ovviamente, di una “rottura” diplomatica con Israele…giammai…è una cosa così…uno “scherzetto” per Netanyahu: anche questa volta, senza dolcetto.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.
de zeùggia, sabbu e de lûnedi.”
“le dicono quello che non possono dire
di Giovedì, Sabato e Lunedì.”
Fabrizio de André – A dumenega – dall’album Creuza de ma – (1984).
Oggi è Domenica. E’ una Domenica di neve e di noia, nell’attesa dell’appuntamento serale con l’autostrada, i caselli, le macchinette che domandano sempre e solo soldi e, infine, l’Ospedale.
Ma è anche una Domenica nella quale sembrano intessersi i destini della terra dei Faraoni, del centro del mondo arabo sunnita: di Al-Azhar, della Fratellanza Musulmana, dei musei, delle piramidi di Gizah, fino al Luna Park per occidentali di Sharm.
Nel corso della settimana oramai trascorsa, solerti cantori di regime si sono sperticati nell’acclamare le rivolte di Tunisi e del Cairo come il “voltar pagina” del mondo arabo, del nuovo – in questo caso è d’obbligo, “Islam” – che avanza. Eppure.
Eppure, non possiamo dimenticare gli avvenimenti d’appena due anni or sono: Piombo Fuso.
Regnava George Bush II il Giovane, ancora per poco: da lì a poco, si sarebbe insediato alla Casa Bianca un nero, che in gioventù – in Indonesia – aveva ricevuto insegnamenti nelle madrasse musulmane del luogo, un tizio dal nome sinistro. Barack Hussein Obama.
Già…Obama assomiglia troppo ad Osama, ma non è questo il punto: gli altri, due nomi sono entrambi d’origine medio-orientale.
E fa paura.
Tzahal, diligentemente, prende nota del “termine ultimo” fino al quale si può impunemente ammazzare, bruciare, distruggere e annichilire la gente di Gaza e lo fa con precisione: il 18 Gennaio 2009, poco prima che Obama faccia il suo ingresso al 1600 di Pennsylvania Avenue, tutto si placa. Sul campo.
La battaglia riprende, ma questa volta il premier israeliano Benjamin Netanyahu capisce che l’opzione militare è oramai “off limits”, e si deve agire in altro modo. Ci sono, negli USA, altri personaggi più affidabili per la politica israeliana: non si tratta forse della sola Sarah Palin – la tizia che va in giro a sparare ai caribù – e nemmeno dell’oramai “bruciato” senatore Mc Cain. Altri giungeranno, altri riprenderanno in mano e faranno garrire al vento lo stendardo degli USA perennemente a fianco di Tel Aviv, senza se e senza ma.
Questo, perché di “se” e di “ma” con Israele Obama aveva lastricato la strada fra Damasco e la Galilea, il Cairo e la striscia di Gaza ma, soprattutto, la via che porta a Teheran.
Troppo accondiscendente, troppo “morbido” con il regime iraniano che ha intenzione di dotarsi (?) d’armi nucleari: veramente, per ora, sta cercando di realizzare una centrale nucleare civile, per il resto mancano come minimo altri 10 anni, forse più.
Purtroppo, non si può raccontare ai coloni che vigilano negli avamposti del West Bank che la tigre nucleare iraniana, per molti anni ancora, sarà una tigre di carta: devono rimanere convinti che i missili iraniani siano lì per ghermirli, che l’assalto sia imminente. Soprattutto, non dovranno mai far mancare al Likud il loro appoggio.
E, negli USA, che si può fare?
La “novità” Obama è troppo forte, mediaticamente, per essere contrastata con mezzi usuali: non pratica il bunga-bunga, non sporca di sperma il reggiseno delle stagiste…niente…niente…niente…persino Signorini, Frattini, Minzolini, Belpietro…dovrebbero gettare la spugna.
Mumble, mumble…l’idea nasce col contrastare “dal basso” la presidenza Obama mentre, “dall’alto”, s’inizia a fare il vuoto, “consigliando” ai collaboratori di Obama di fede ebraica di lasciarlo[1].
Sul primo fronte, quello “popolare”, ecco spuntare nuovi “fenomeni” della politica statunitense, che s’accasano subito sotto la gonna di Sarah Palin nel movimento dei “Tea Party”, come il senatore Rubio[2], il quale va subito a rendere omaggio a Yad Yashem.
La frittata è servita, ed Obama perde alla grande le elezioni di medio termine.
Questa volta…mumble, mumble…il pensatoio s’insedia alla Casa Bianca: lo “scherzetto” di Netanyahu non viene gradito, anche perchè non c’è nessun “dolcetto” nella sconfitta elettorale del Presidente.
Allora, allora…
Cominciamo dal “piccolo”: c’è un dittatore da strapazzo in Tunisia. Che dite, lo togliamo di mezzo? Tanto, per quel che conta…
Però, però…se vogliamo rendere la pariglia a Tel Aviv, bisognerebbe far loro capire che le loro ingerenze non ci sono gradite…che potrebbero trovare insediato al Cairo una persona a noi più fedele, meno legata alle stanze del Mossad e dello Shin-Bet…
Torna alla mente, allora, niente di meno che un Nobel per la Pace: è lui, Mohamed El Baradei, l’uomo che ha saputo mediare per la faccenda iraniana sotto Bush, e bene lo ha fatto.
Perché, se l’Iran non è e non sarà per tanto tempo una potenza nucleare, per quanto riguarda l’eventuale blocco del Golfo Persico per le petroliere che riforniscono il Pianeta – dagli USA alla Cina, che non sappiamo cos’abbia detto al riguardo nel recente incontro a Washington con Obama – è un fatto assodato: sottomarini, motovedette, aerei e missili sono in grado di mandare a fondo migliaia di tonnellate di naviglio mercantile.
Forse non abbastanza per reggere ad un attacco in forze USA, ma abbastanza per far schizzare il prezzo del greggio a 200$ il barile e mandare a fondo l’economia mondiale.
E poi: sono forse in grado, gli USA che non riescono nemmeno a controllare l’Iraq e l’Afghanistan, d’intraprendere un’avventura “da paura” come un confronto bellico con l’Iran?
Allora, allora…El Baradei è attualmente “disoccupato”…mandiamolo al Cairo, a pretendere le dimissioni di quel bacucco di Mubarak, che prendono addirittura in giro affibbiandogli delle “nipoti” – un poco troie, eh, scusate… – per i sollazzi dei bunga-bunga italioti.
Il vegliardo pensa di salvare la ghirba nominando vicepresidente il capo dei servizi segreti egiziani – Suleiman – ma la cosa non sembra molto gradita al Segretario di Stato USA: la Clinton, afferma che si deve dare ascolto “al popolo”. Insomma…sarebbe come se, Berlusconi, nominasse suo successore Manganelli, De Gennaro o uno del genere: no, fuori tempo massimo.
E, il “popolo” – ma che caso – si ritrova unito sotto gli stendardi di El Baradei – dai movimenti di piazza ai Fratelli Musulmani – per dare il benservito a Mubarak.
Ci piacerebbe raccontare – come fanno tanti – una speranza per i popoli, dalla Tunisia all’Albania, passando per l’Egitto, ma non scorgiamo altro che gran movimenti di servizi segreti e di diplomazie “nell’ombra”.
Non si tratta, ovviamente, di una “rottura” diplomatica con Israele…giammai…è una cosa così…uno “scherzetto” per Netanyahu: anche questa volta, senza dolcetto.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.