24 febbraio 2020

Coronavirus: l’informazione negata


L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) s’interroga sulla “esplosione” di casi in Italia, principalmente casi che si stanno verificando nell’area del Lombardo-Veneto, e non sa fornire spiegazioni. Non riesce a comprenderlo perché, prendendo per buone le misure di profilassi adottate negli aeroporti, il caso italiano non dovrebbe essere molto diverso da quello francese, inglese o tedesco: un aeroporto come Malpensa, non presenta – sempre secondo le misure standard di prevenzione del rischio indicate dall’OMS – differenze rispetto ad Londra, Francoforte o Parigi.

Sempre che i cinesi, o gli italiani che s’erano recati in Cina, siano scesi in un aeroporto italiano che, ricordiamo, per i voli da/per la Cina sono soltanto Malpensa e Fiumicino.
L’Italia, oggi, si trova ad essere l’unico (per ora) Paese europeo ad aver subito vittime per l’infezione: ad oggi (Domenica 23/2 sera) le vittime accertate sono 3, mentre i casi di Coronavirus accertati sono, al momento, circa 150. Un valore altissimo per un Paese europeo.

In questo articolo non prenderò in esame le cause del contagio, ossia se siano dovute ad una mutazione naturale del virus oppure se si sia trattato della “fuga” di un virus modificato in ambienti militari, per una semplice ragione: se è una questione che ha a che vedere con i militari, non lo sapremo mai (magari fra cent’anni…) ed è quindi inutile perderci del tempo. I virus mutano naturalmente il loro DNA con una velocità iperbolica rispetto al mutare del genoma umano: dunque, imbastire complotti internazionali, in questa vicenda, non è dimostrabile né di nessun aiuto.
Il punto centrale della vicenda, da prendere attentamente in osservazione, risulta dunque la singolarità del caso italiano: domandiamoci, chi può aver infettato?
Le risposte sono semplici: un cinese venuto dalla Cina o un italiano tornato dalla Cina. Il quale, se fosse sceso (obbligatoriamente) dall’aereo a Roma o Milano, difficilmente sarebbe passato: anche qui, però, un minimo dubbio rimane, giacché il virus può anche presentarsi in modo a-sintomatico.

Terminati questi (doverosi!) preamboli, vorrei raccontarvi una storia che mi fu raccontata molti anni fa da una persona vicina alle forze di polizia triestine.
Da dove vengono i cinesi? Perché nessuno di loro è mai stato trovato su un barcone? Perché giungono e svaniscono senza lasciare traccia?
Vi riferirò cosa mi fu riferito, mentre cercavo dati per il mio libro Ladri di organi (Malatempora, Roma, 2005), dati che per il mio libro c’entravano poco e quindi, all’epoca, non detti loro grande importanza.

Il Carso si divide in Carso italiano e Carso sloveno. Mentre il Carso italiano (più a Nord) è considerato l’ultima propaggine delle Alpi Giulie, con qualche vetta di una certa importanza, il Carso sloveno non supera i 650 metri d’altezza ed è, generalmente, un altopiano di scarsa altitudine.
Fino agli anni ’90 del secolo scorso, questo confine era fortemente presidiato sia dagli italiani e sia dagli jugoslavi, poiché si trattava pur sempre di un confine fra l’Est dell’Europa e l’Ovest. Ai valichi di frontiera, da una parte c’erano gli italiani (armati, ovviamente) dall’altra i vopos jugoslavi, che mostravano senza pudore i loro Kalashnikov.
Tutte le strade del Carso – sia quelle in Italia, sia quelle in Jugoslavia – erano presidiate da pattuglie armate, giorno e notte, tutti i santi giorni dell’anno.

Con la fine della Jugoslavia ci fu un graduale alleggerimento delle precauzioni, poiché da un lato c’era la nuova Slovenia che desiderava entrare in Europa, dall’altro un’Italia che non doveva più temere i pronipoti di Tito.
La grande caserma di Muggia (Guardia di Finanza) all’epoca ospitava centinaia di finanzieri, che s’occupavano di presidiare una dozzina di valichi di frontiera più il territorio: oggi è vuota e in stato di degrado.
Ciò che mi raccontarono, a Trieste, fu che siccome il Carso triestino è un maestoso bosco, ma non presenta difficoltà ad attraversarlo (basta camminare) e da una parte e dall’altra nessuno lo presidia più, oggi si va e si viene in gran tranquillità. Oltretutto, oggi è “Europa” da una parte e dall’altra.

Sloveni e croati dichiarano all’Europa d’essere un “baluardo” per le moltitudini che s’accalcano in Bosnia direzione Europa, che li bloccano nei campi profughi in territorio bosniaco…che nessuno passa…ma ditemi: dopo aver visto qualche film di Emir Kusturica vi affidereste, corpo e beni, alle loro rassicurazioni?
Recentemente, l’UE ha scoperto che le documentazioni dei piloti sloveni erano carenti, non conformi agli standard di sicurezza del volo in Europa: niente, se ne sono fatti un baffo. Soltanto quando l’UE l’ha messa giù a muso duro – minacciando di sequestrare i velivoli atterrati in Europa – hanno preso provvedimenti. La mentalità, che i triestini ben conoscono, è: “Sono venuti in Europa, ma continuano a farsi gli affari loro come sempre”. In ogni cosa: dalle tariffe autostradali a quelle telefoniche “pirata” che non rispettano i confini.

Così, mi raccontarono, i cinesi sono condotti dalle loro organizzazioni (mafiose? Non si sa nulla) fino a Pola in aereo, poiché a Pola c’è un aeroporto internazionale. Da lì, tramite furgoni, vengono portati sul confine del Carso, poi attraversano il confine a piedi, giungono in Italia dove sono prelevati da altri cinesi, con altri furgoni ma sempre della medesima organizzazione.
I furgoni non si fermano nella città giuliana, per due motivi: perché devono spiegare a quelli che hanno convinto a compiere il lungo viaggio, dalle zone contadine della profonda Cina fino all’Occidente, che (almeno) per tre anni saranno assegnati come lavoratori coatti a chi li ha richiesti. Schiavitù, per almeno tre anni: è il pagamento del “passaggio” e, spesso, basta una buona dose di botte per calmarli.
La seconda ragione è geografica: da Trieste, puoi solo andare verso Venezia. Là, fra Venezia e Padova, sempre in autostrada, avvengono le divisioni dei vari “contingenti”: chi proseguirà verso la direzione Milano e Torino, e chi invece scenderà a Prato, Roma, il Sud…
Nessuno conosce fin nei minimi particolari questo traffico, poiché i cinesi sono bravi a nasconderlo e spietati con chi si ribella: è stato anche girato un film – Io sono Li, di Andrea Segre – per spiegare cosa avviene di fronte ai nostri occhi, senza che ce ne accorgiamo. Senza che nessuno di chi sa benissimo queste cose, ce lo racconti.

Oggi, la Cina è una grande potenza economica, e nessuno ha interesse ad andare a rovistare come hanno fatto ad impadronirsi del polo tessile di Prato ma la mia spiegazione – che potrà apparire assurda – è soltanto che sono venuti per imparare. Per apprendere le tecniche moderne delle lavorazioni tessili: quanti sono? Diecimila? Ventimila? E cosa importa! Sono soltanto l’avanguardia dei 18 milioni d’operai tessili che ci sono in Cina!
I cinesi che raggiungono Genova per trattare la vendita delle turbine a gas dell’Ansaldo – le più grandi, costose ed efficienti del mondo – scendono dall’aereo al “Colombo” e probabilmente stendono loro un tappeto rosso lungo chilometri, basta che comprino. Come quelli che si recano in Germania per fare affari con l’industria del vento, che in Cina è la più estesa del pianeta, per numero e produzione.

Così sopravvivono due Cine – se vogliamo – quella che rispose al “Arricchitevi!” di Den Xiao Ping e che c’è riuscita, e quella delle moltitudini che non ci sono arrivate, ma che ci sperano, a differenza di noi italiani, che preferiamo estinguerci. Fra mezzo secolo ci saremo riusciti: non sono illazioni, sono le cifre dell’ISTAT a certificarlo. 200.000 italiani in meno ogni anno: provate a costruire la piramide demografica per i prossimi 50 anni, e vedrete dove andremo a finire.
Le due Cine, usano probabilmente due diverse vie per giungere in Italia: linee aeree o, addirittura, aerei privati i grandi manager od i ricchi turisti che passeggiano per Venezia…mentre, lì accanto, scorre un altro esodo: silente, oscuro, misterioso.

Dimenticavo: negli anni 2000, il traffico stimato sul confine giuliano era stimato in “circa” 25.000 persone l’anno: nemmeno tanto, a pensarci bene. Per loro, quasi nulla.
Anni dopo, una ricercatrice del Censis m’interpellò per avere notizie più precise sul traffico: siccome la mia fonte, all’epoca, era ancora in vita (oggi, purtroppo, non lo è più) glissai e le dissi di chiamare direttamente la Questura di Trieste. Chiamò, dicendo che era il Censis a volere informazioni…niente da fare…la fecero girare da un centralino all’altro, fin quando fu “dirottata” su una linea morta: tut, tut, tut…
Richiamò un paio di volte, poi capì.

L’immigrazione cinese non deve essere toccata: ci sono alcune “rotte” che sconfinano nella diplomazia internazionale e che è meglio non percorrere…guardate cosa succede con l’Egitto e l’affaire Regeni, con l’ENI che estrae gas a tutto andare…siamo, almeno, così intelligenti da capire. Altro non si può fare: siamo un piccolo popolo della vecchia Europa in via d’estinzione. Non lamentiamoci troppo.

Il governatore del Friuli Venezia Giulia Fedriga, appena nominato, sputò fuoco e fiamme per la questione del confine giuliano: fece dichiarazioni di fuoco, riprese più volte da Salvini (all’epoca, Ministro dell’Interno!)…strumenti di rilevamento elettronico nei punti chiave del percorso, pattuglie, cani, animali e molecolari, elicotteri, aerei, satelliti…non è successo niente. Come sempre, terminata la campagna elettorale, inizia il silenzio post-elettorale.
Ci sono stato parecchie volte: non esiste un percorso “standard”, non ci sono punti “chiave”, esiste solo un’enorme area boscosa omogenea, decine e decine di chilometri con strade ben praticabili (eredità italiana e jugoslava) che anche un bambino può percorrere. Ci sono gli orsi (tipo grizzly), è vero, ma basta un fucile col silenziatore e nessuno se ne accorge.

Il virus? Perché solo in Italia?
Chi può dirlo? Quando ho visto la cartina con le contaminazioni ed i primi decessi, m’è tornata in mente la vecchia storia dell’immigrazione cinese, raccontata senza pathos di fronte ad una fresca birra Lasko, in un tranquillo bar di Capodistria, come se stessimo parlando di calcio o del tempo. Il percorso, il medesimo percorso: Padova, poi la “bassa” padana, quindi verso Milano…

Potrete anche non crederci, nessuno vi obbliga a farlo, però meditate: quante volte vi siete chiesti da dove vengono ‘sti cinesi…sui barconi non ce n’è uno…sui gommoni nemmeno…li paracaduteranno?
E il Ministero degli Esteri italiano non ha mai saputo nulla? E quello dell’Interno, anche quando c’era quello delle cannoniere? Niente, nessuno sa nulla.

Meditate, gente, meditate…

15 febbraio 2020

Le favolette desuete di Franco Prodi



Abbiamo letto, ovunque (1), propalate ai quattro venti, le storielle per incantare gli allocchi che Franco Prodi, paludato “scienziato” italiano ha strombazzato nei media, certamente aiutato da un fratello, da un altro fratello e poi…anche Nomisma non lo avrà certo trascurato. Tutto per dire che Greta Thunberg è soltanto una scolaretta un po’ svogliata che si diletta a parlare all’ONU invece che a mandare foto e barzellette su Wathsapp.
Non ho mai seguito Greta perché occupato, da almeno trent’anni, a spiegare con parole e libri che stiamo combinando qualcosa di rischioso. Non ho mai lanciato allarmi catastrofici sullo scioglimento dei ghiacciai – che pure avviene! – né sull’aumento del livello dei mari perché non mi parevano queste le dinamiche interne al discorso, salvo una sola volta, quando mi sono trovato coinvolto – con mio grande dispiacere – nel primo (almeno, credo) Ciclone che si sia abbattuto nell’alto Mar Mediterraneo.
Venti ad oltre 180 Km orari ed onde alte 10 metri, che fu catalogato come Uragano, Ciclone o Tempesta Tropicale (sono tutti sinonimi) di forza 3, il 30 Ottobre del 2018. Al quale, è stata creata un’apposita pagina su Wikipedia per spiegare il perché della differenza di quell’evento dalle tante mareggiate che hanno colpito, colpiscono e colpiranno la costa ligure.(2)

Detto in parole povere, caro prof. Prodi, non si può rammentare con paludamenti accademici che le condizioni climatiche della Terra sono cambiate e cambiano continuamente: è un’ovvietà, che anche i bambini imparano quando guardano i cartoni animati sull’Era Glaciale. Quando diventano un po’ più grandi, imparano che l’Europa è stata sotto i ghiacci per circa 40.000 anni durante la glaciazione di Wurm, terminata appena 10.000 anni fa.
Se studiano ancora di più, capiscono che queste sono soltanto le macro variazioni del clima, perché all’interno ci sono quelle più modeste, come l’epoca “calda” dei Romani, poi più fredda verso il 500 d C., nuovamente più caldo intorno all’anno 1000, poi si scese nuovamente…e, già nel 1300 circa, in Gran Bretagna non si poteva più coltivare la vite e gli inglesi decisero di difendere i loro feudi in Francia per continuare a bere vino: era nata la guerra dei Cent’anni. Poi giù, per la cosiddetta “piccola glaciazione” di metà millennio ed oggi di nuovo su: ma sono cose ovvie, che tutti sanno. Lei vuole spacciarle per il Verbo climatico planetario?

La seconda chicca che regala ai suoi lettori è il dubbio. Già, il dubbio. Siamo soltanto come un corpo di vetro che fluttua nel buio cosmico nelle vicinanze di una stella, che ci regala, quindi, la sua radiazione. Nient’altro. No, scusate, c’è dell’altro.
I cambiamenti climatici potrebbero essere determinati (secondo Prodi) da mutamenti dell’orbita (che, però, nessuno scienziato ha mai notato) e solo Jacques Laskar s’è lanciato a dire che sì, forse, ci potrebbero essere nei cambiamenti, ma se ne parlerà fra 100 milioni di anni.
Ci potrebbero essere anche cambiamenti nell’asse terrestre, ma nessuno – sono pochi decenni che abbiamo dati certi e provati – ha notato niente del genere.
Quindi, le sarei grato se potesse chiarire un po’ le sue fonti perché così, a naso, mi paiono molto “ballerine”.
Grazie a queste misteriose “fonti” però – che non vorrei fossero la fantasia sfrenata che si può notare nel suo sguardo “furbetto” – lei esclude categoricamente che l’uomo sia stato in grado di modificare il clima terrestre.
Tot fotoni arrivano, tot se ne vanno: alla salute! Cin-cin.

Concordo con lei quando esprime il suo dolore per le mille ferite d’origine chimica che inferiamo al Pianeta: ha ragione, però non è facile vivere in 7 miliardi (essendo pure un po’ stupidelli) in questo territorio finito dei cinque continenti, senza – peraltro – cercare di capire come si possa fare a meno della Chimica nell’ambiente: non abbiamo una mentalità ciclica, lo ammetta, e la prima cosa che ci viene in mente è: influenza? Antibiotico. Peste suina? Antibiotico. Malaria? Clorochina. Ecc, ecc.

Quindi, lei, passa a verificare qual è la posizione della (sua) Scienza nei confronti del problema: non le passa nemmeno per la mente che, oggi, circa il 90% degli scienziati se non è convinta, ha forti sospetti che buttare nell’atmosfera per un secolo un mare di CO2 qualche effetto può averlo. Gli altri? Non so, faccia lei: però i 16 milioni di dollari che la Exxon-Mobil destinò come “finanziamento” per “alcuni” scienziati, cos’erano?
E passiamo ai dati, che lei sciorina così, facilmente, come se fossero oro colato.

Il primo, ovviamente, è quello sull’aumento della temperatura media globale: 0,2 gradi negli ultimi due secoli. La fonte, prego?
Mi sono un po’ documentato prima di risponderle, ed ho trovato questo grafico, il quale è contenuto in un articolo de “L’Inkiesta” (3) – noto format giornalistico, con tanto di fonti – dal quale si evince che l’aumento delle temperature medie, dal 1960 ad oggi, è di circa 0,7 gradi centigradi.


 Riportando, quindi, le lancette della Storia all’inizio dell’era industriale – circa due secoli – non è una bestemmia affermare che l’aumento della temperatura media è stato di circa 1,5 gradi, come sostengono quel 90% di scienziati “creduloni” non perché sono corsi appresso a Greta, bensì soltanto perché hanno studiato il problema e sono giunti a deduzioni logiche. La fonte del grafico? La compagnia petrolifera Exxon-Mobil, che pagò un sacco di soldi poiché non fosse divulgato: per fortuna ci sono alcuni eroi come Julian Assange anche nel mondo scientifico, per rivelare ciò che si cerca d’insabbiare.

E veniamo al tormentone della “prova scientifica” che non c’è, ossia non è dimostrato che l’aumento delle temperature sia dovuto alle attività umane: il noto principio dell’epistemologia scientifica che prevede la riproducibilità dell’evento. Non posso che darle ragione, poiché una simile “prova” – trattandosi, nel contesto interessato, niente di meno che dell’intera Biosfera! – quando la prova ci fosse, l’intera umanità non si saprebbe dove andrebbe a finire.
Oddio, qualche prova c’è: è scientificamente dimostrato in laboratorio che l’aumento dei gas serra (principalmente CO2 ed altri) provoca una riflessione verso la superficie del Pianeta della radiazione infrarossa, proporzionale alla quantità di gas serra immessa.
E’ una sperimentazione facilissima, per la quale bastano due identici recipienti di vetro – alla medesima temperatura – attraversati dalla medesima radiazione fotonica, e due termometri per la rilevazione immersi in due, uguali, strati d’acqua sottostanti. In uno aria, nell’altro aria + CO2: è stato fatto ed i risultati scientifici sono incontrovertibili.
Non è proprio come dice lei: “i fotoni arrivano e se ne vanno”, i fotoni arrivano, si trasformano in radiazione infrarossa (rifrazione) e poi, invece di prendere la strada degli infiniti spazi cosmici (riflessione) in parte ritornano a terra aumentando l’energia che ristagna. La quale, a volte, si “consuma” trasformandosi in energia cinetica che mette in moto l’atmosfera sotto forma  di venti, mari e tempeste varie. Oppure ristagna, regalandoci sì Inverni quasi inesistenti, ma Estati da caldo africano.

C’è poi l’aspetto economico, per il quale molti – che credono d’essere i polli più furbi del pollaio – lanciano impietosi strali: ecco! Vogliono l’economia “verde” perché ci sono enormi interessi economici attorno! Sono finanziati dalle lobby “verdi”! Eccetera, eccetera.
In un sistema economico globale (quasi) totalmente capitalista è inevitabile che qualsiasi nuova realizzazione coinvolga le banche, le finanziarie, i fondi sovrani ed i fondi d’investimento privati. Che si costruisca un generatore a vento oppure una piattaforma petrolifera, un pannello solare od una centrale nucleare, i soldi da lì devono arrivare. Sono scelte di natura politica, che poi devono rivolgersi al sistema finanziario.

I governi, dopo Chernobyl e Fukushima, non gradiscono più il dover installare una tecnologia la quale, al minimo errore – e mi dica lei se possiamo eliminare l’errore dal calcolo delle probabilità! – consegna intere regioni al disastro, all’inabitabilità, a costi astronomici per almeno sopperire un poco al problema, già sapendo di non poterlo risolvere.
Se desidera, dia un’occhiata (4) ai terrificanti problemi che ha incontrato Areva nella costruzione della centrale nucleare di Oikiluoto in Finlandia per renderla almeno “accettabile” per l’aspetto sicurezza, dal quale si ricava che la sicurezza assoluta, in campo nucleare, non esiste.
La fusione nucleare? Per ora non c’è nulla di serio, a parte i ritardi che la Francia accampa anno dopo anno per la prima sperimentazione: sono vent’anni che il balletto va avanti.

La realtà, invece, qual è?
La Gran Bretagna ha recentemente stanziato 41 miliardi di sterline per installare nuovi “campi” di generatori eolici nei mari che la circondano:  41 miliardi, mica bazzecole, battendo la Germania che ha fermato il suo investimento a 23 miliardi di euro.
La Gran Bretagna – non so se lei è a conoscenza di questa vicenda – già in anni lontani fu incaricata dai consessi internazionali d’interessarsi alla Corrente del Golfo. Responsabile è l’università di Southampton, che svolge periodiche rilevazioni usando un sommergibile della Royal Navy.
Le rilevazioni iniziarono intorno al 1970, quando gli inglesi individuarono 12 enormi “camini” d’approfondimento delle acque “esauste” della Corrente, ossia dove le acque scendevano verso il fondo e tornavano verso il Golfo del Messico: una sorta di circolazione “a termosifone”. Oggi, ne hanno ritrovati solo due ed a latitudini più basse, perché le acque calde e salate della Corrente incontrano prima le acque dolci di scioglimento dei ghiacci polari (più leggere) e scivolano sotto.
Insomma, la Corrente del Golfo ha perso consistenza, ed anche il fenomeno meteorologico definito “Anticiclone delle Azzorre” (dipendente dalla Corrente) è sostanzialmente diminuito: un tempo, d’Estate, in Europa s’espandeva l’anticiclone delle Azzorre. Oggi è molto ridotto e nel Mediterraneo s’espande l’anticiclone Africano, più torrido e meno temperato.
E la Gran Bretagna – che caso! – finanzia con ben 41 miliardi di sterline un piano epocale di generatori a vento!

C’è poi il tormentone dello scioglimento dei ghiacci Artici ed Antartici.
Nessuno ha mai detto che il Mar Glaciale Artico si scioglierà totalmente, giacché se questa – finalmente! – fosse la“prova scientifica” caparbiamente ricercata, a New York abiterebbero solo più dal secondo piano in su e Central Park sarebbe un grazioso laghetto dove incrocerebbero i vaporetti al posto degli autobus.
La realtà è, invece, che le regioni periferiche della calotta artica stanno degenerando e si sciolgono sempre per più tempo, mentre si ricostituiscono, in Inverno, con spessori sempre più sottili.
D’altro canto, perché Putin ha ordinato la costruzione di ben 21 nuovi rompighiaccio a propulsione nucleare – con quello che costano! Noti che la US Navy ha solo 12 porterei nucleari! – per navigare nel Mar Artico?
A meno di pensare che Putin sia un idiota, non c’è altra spiegazione che il Mar Artico – sul quale la Russia ha numerosi porti commerciali – è libero da ghiacci, nella parte periferica, per quasi otto mesi l’anno e, per i restanti quattro, i rompighiaccio guideranno le navi fino agli oceani.
Perché questa soluzione? Poiché il trasporto marittimo è il meno costoso e perché il Mar Artico consente di raggiungere moltissimi, importanti porti in Europa, Asia e in America mediante rotte parecchio più brevi rispetto ad una rotta a latitudini più basse.

Insomma, prof. Prodi, forse un briciolo d’umiltà non guasterebbe, sciolga un cucchiaino di dubbi nel suo sapere scientifico così certo e cristallizzato: ha sentito parlare del cardinal Bellarmino? Eh, finisce un po’ per assomigliargli…
Greta non c’entra niente, è soltanto una testimonial arrivata a caso o creata…ma è il problema che sottende il dato importante: ci sono migliaia di giovani, anche italiani, che lavorano – ben pagati – nei nuovi campi della ricerca energetica. Non capisco perché, un semplice cambiamento nel sistema d’approvvigionamento energetico, debba scandalizzare fino a questi punti!
Arrivò la ferrovia? I cavalli tornarono nelle stalle e furono sostituiti da allevamenti bovini…quale fu il problema?

Oggi, i generatori a vento hanno raggiunto una potenza unitaria di quasi 10 Megawatt, il suo collega Carlo Rubbia ha inventato un sistema eccezionale per la captazione solare…di cosa dobbiamo preoccuparci?
D’altro canto, il ministro del Petrolio saudita, molti anni fa, fu profetico quando disse: “L’Età della Pietra non terminò di certo per l’esaurimento delle pietre, e così l’Età del Petrolio potrebbe terminare prima dell’esaurimento del Petrolio.”
Se ne faccia una ragione: su, coraggio.

05 febbraio 2020

Un Paese schifoso

Macchi-Castoldi MC 72 (1935)

La noia della politica italiana è giunta al parossismo: Oliviero Toscani che, con un sotterfugio, invita alcune “Sardine” a visitare un centro culturale e di comunicazione che il “grande artista” presiede a Fabrica (Tv). Le Sardine, giacché sono geneticamente imparentate con i Tonni, ci vanno. All’improvviso, salta fuori da un angolo (del ring) un pugile suonato – tale Luciano Benetton – che ha qualche piccolo guaio con il Governo e la Giustizia…per la questione di un ponte crollato e di una società (Atlantia) la quale, senza più la “benevolenza” di governi amici, rischia di finire a bagno. Il giochetto è semplice: siccome il “centro culturale” è finanziato da Benetton, li invitiamo, poi li fotografiamo e spandiamo urbi et orbi l’immagine della bella scampagnata con le Sardine, così le sputtaniamo per bene.

L’altro psicodramma va in onda a Roma, caput cloacarum, dove il Senato si ribella all’imposizione del non-vitalizio e lo ripristina – complice la dama di corte Casellati – mentre, ovunque, si levano urla di disperazione per la scomparsa di Santa Prescrizione, Nostra Signora di Venduti, Corrotti, Mammasantissima ed amici dei Mammasantissima. Dimenticando una cosa: seppur Bonafede abbia compiuto un lavoro più approfondito e serio, in fin dei conti bastava abrogare alcune leggi ad personam di Berlusconi, in primis la famosissima “Ex Cirielli”, giacché era tanto fetida che il suo estensore non volle essere ricordato nei secoli per quella porcata. E così fu presentata da anonimi: una porcata anonima.

Siccome queste due vicende sono il trallallero che concentra l’attenzione ed il dibattito della nazione italiota, voglio presentarvi due fatti storici che diedero effetti ben più gravi di queste facezie, e passarono indenni senza un rammento, un dubbio, una riflessione. Al termine, faremo insieme qualche riflessione.

L’aereo che giunse, volò, batté ogni record e sparì

Negli anni ’30 del Novecento, più che la Formula 1 (che non esisteva) il mondo dei motori era centrato sulla Coppa Schneider, che era il vero evento che faceva girare le rotative, di qua e di là del mare.
Era una competizione fra idrovolanti, i quali gareggiavano in velocità su circuiti ben definiti: gli attori, in pratica erano solo due, la Supermarine inglese e la Macchi italiana. Con l’ausilio, rispettivamente, per gli aspetti motoristici della Rolls-Royce e della FIAT.
Fu vinta – dopo tre prove – dagli inglesi ma, gli italiani, si presero la rivincita del record di velocità per idrovolanti con motore a pistoni che è tuttora imbattuto: 711 Km/h.

Non stiamo a raccontarvi tutte le vicende, i ritardi, le scommesse…perché potrete trovarli sul Web dove vorrete. L’unico dato era che due nazioni s’erano sfidate, una aveva vinto (ma solo per un intoppo nella preparazione italiana) in circuito ma perso il record di velocità assoluto.
Ciò che conta, fu ciò che rimase di tanto ardire, ossia le macchine che vennero costruite perché, nel 1935, chi aveva fra le mani un “gioiellino” come l’idrovolante da corsa, poteva ben sperare di tirarci fuori qualcosa di veramente eccezionale per gli aerei da caccia.
I dati, stringi stringi, erano questi:

Inglesi
Supermarine S.6B, potenza motore 2350 hp, velocità 665,8 km/h
Italiani
Macchi-Castoldi M.C.72, potenza 3100 hp, velocità 711 km/h.

La prova finale (ossia perché vinsero gli inglesi) fu dovuta ad un ritardo nella preparazione del velivolo italiano il quale non riuscì a partecipare: comunque, si aggiudicò successivamente il primato di velocità.

Facciamo un breve salto indietro, per osservare cosa producevano le rispettive case aeronautiche per i velivoli da caccia dell’epoca:

Inglesi
Gloster Gladiator, potenza 830 hp, velocità 407 km/h.
Hawker Hurricane, potenza 1185 hp, velocità 547 km/h.

Italiani
Fiat CR-42, potenza 840 hp, velocità 430 km/h.
Fiat G-50, potenza 840 hp, velocità 470 km/h.

Grosso modo, non c’erano grandi differenze e molto dipendeva dal disegno aeronautico dei velivoli, per i quali avevamo ottimi progettisti aeronautici. L’industria italiana, però – e non c’è spiegazione, dato che aveva prodotto un vero “mostro” con l’idrovolante Macchi-Castoldi M.C. 72 – continuava a costruire solo motori radiali, adatti per i lenti bombardieri, ma decisamente superati dai motori in linea (più stretti, e quindi più adatti ai profili aerodinamici) che oramai equipaggiavano i caccia come, ad esempio, il noto Messerschmitt BF-109 tedesco.

La novità, comparve già nel 1939 e durò (con successive modifiche) fino al 1945: si chiamava Supermarine Spitfire.
Questi erano i dati:

Supermarine Spitfire, potenza 1660 hp, velocità 656 km/h.

Come si può notare, una differenza abissale rispetto ai caccia precedenti: quasi 200 km orari in più! Come avevano fatto gli inglesi?
Avevano, semplicemente, preso il motore dell’idrovolante da competizione che aveva vinto la Coppa Schneider, lo avevano rifinito ed irrobustito per i nuovi compiti ed ecco la novità, che costò la vita a migliaia di piloti, marinai, fanti e civili italiani, in cinque anni di guerra.

Per curiosità, l’idrovolante Macchi-Castoldi M.C.72 fu ritrovato in un hangar della Macchi a Venegono (Va) dagli americani, che lo osservarono stupiti. Oggi, è esposto al Museo Aeronautico di Vigna di Valle.

C’è una spiegazione?
Per quanto si cerchi, non c’è una spiegazione logica. Forse sarebbe costato di più? Può essere, ma che senso ebbe produrre il biplano CR-42 fino al 1944 per far morire, inutilmente, migliaia di piloti ed ottenere poco o niente in termini di difesa aerea? I colpevoli? Dovremmo chiederlo ai grandi “volatori futuristi” come Mussolini, agli intrepidi trasvolatori come Balbo fin giù, ai generali dell’Aeronautica i quali, oggi, già sanno di comprare un aereo, l’F-35, che non vale una cicca rispetto al Su-57 russo, eppure tacciono, spendono cifre iperboliche per un aereo che non serve nello scenario italiano e mediterraneo, soprattutto osservando cosa producono gli altri.

Il Nobel adulato, onorato, poi gettato nel cesso dei senatori a vita

E’ il 12 Maggio del 2007 quando l’allora ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, dichiara urbi et orbi che il suo ministero ha chiamato come consulente il prof. Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica, per creare le basi di un nuovo sistema d’approvvigionamento energetico per l’Italia.
Il prof. Rubbia ritiene che l futuro degli impianti solari non riposi soltanto nel fotovoltaico o negli impianti di riscaldamento dell’acqua a basse temperature, bensì che si possano riscaldare speciali fluidi, che circolano in appositi circuiti pressurizzati, nel “fuoco” di speciali specchi parabolici, e quindi raccolti in caldaie dove cedono le calorie catturate (sono in grado di riscaldarsi oltre i 500 gradi centigradi) ad una comune turbina ad acqua per produrre energia elettrica: è nato il sistema solare termodinamico.

Carlo Rubbia si lancia in previsioni ottimistiche: dichiara che un quadrilatero con il lato di 40 Km, in pratica 1.600 Km quadrati di centrale (o centrali), sono in grado di risolvere tutti i problemi energetici italiani. Se lo dice lui…
In effetti, Rubbia ci crede: sa che a Priolo Gargallo, in Sicilia, c’è già una centrale sperimentale di soli 5 MW di potenza massima, affidata all’Enel, la quale sorge accanto ad impianti petrolchimici dell’ENI. Si tratta di farla funzionare come centrale pilota, per poi passare ad impianti di maggior taglia: 5 MW sono poca cosa, un solo generatore a vento, tanto per citare un paragone.

Qualcuno, fra i gruppi industriali italiani si fidò: il gruppo Angelantoni, che iniziò a produrre a Massa Martana, in Umbria, i tubi per contenere la miscela e la miscela di sali stessa, fino a creare un modesto impianto dimostrativo di piccola potenza.
Oggi, il gruppo Angelantoni lavora soltanto per l’estero: sta attualmente lavorando per l’installazione di una centrale da 55 MW in Cina, ma nel mondo sono già molte le realizzazioni conseguenti alle idee di Rubbia.
Ad esempio, in Spagna ci sono le tre centrali Andasol, che complessivamente hanno una potenza di 150 MW, mentre in Marocco ne è stata costruita una, addirittura, da 580 MW (quanto una centrale nucleare) a Noor Quarzarate, in pieno deserto.
Le centrali termodinamiche nascono come funghi, dal deserto saudita alla Cina, dall’Australia ad Israele.
E in Italia?

Carlo Rubbia è stato nominato, nel 2013, senatore a vita. La centrale Archimede di Priolo Gargallo funziona parzialmente a gas metano, mentre i gruppi industriali si lamentano: non è possibile dover aspettare sei anni per avere un’autorizzazione! Ma quale investitore aspetta sei anni per sapere se potrà costruire una centrale solare! Niente da fare: dobbiamo girare il rubinetto del metano, anche per far funzionare il climatizzatore se il sole è troppo caldo.

Fine delle nostre storielle: sapete dirmi perché tenemmo un gioiello aeronautico per tutta la guerra nascosto in un hangar? Perché la nazione che ha inventato il solare termodinamico non ha nemmeno una centrale degna di questo nome?

Un Paese schifoso? Sono stato ancor troppo buono e corretto…un “di m…” ci stava meglio…