E così, ci siamo tornati un’altra volta: Claudio Moffa fa la sua lezione sull’Olocausto[1], dove nega la versione ufficiale, il neo preside di Facoltà afferma di non saperne nulla (in effetti, è in carica solo dal primo di Ottobre) ed annuncia che prenderà provvedimenti[2], mentre Moffa difende la sua libertà didattica[3] e ricorda che nessuno può cacciarlo.
Per salvare la frittata – dopo la levata di scudi dell’establishment – il rettore di Teramo, Rita Tranquilli Leali, se la cava con la solita trovata burocratica: sospende il corso perché, a suo dire, “non ha crediti sufficienti”.
Di conseguenza, il corso non potrà essere riproposto[4]: peccato che fosse stata lei stessa a “battezzarlo” in pompa magna.
Nel terzo o quarto atto della commedia, intervengono anche i “colleghi” di Moffa della facoltà con un documento, nel quale attaccano Moffa ed i negazionisti con le solite argomentazioni: le tesi negazioniste non hanno dignità storica…insomma, quando la lepre è ferita, la muta si scatena…
Intanto, nel silenzio che assorda dei “Soloni” della cosiddetta controinformazione, s’odono soltanto il lamento di Moffa, le minacce di querele e poco altro. Si vede che, quando la corazzata di regime si muove, la “feroce” controinformazione si tace.
Pazienza: vedremo di mettere qualcosa in pentola per i lettori, qualcosa che non sarà una difesa d’ufficio per Moffa (con il quale siamo in disaccordo su parecchie cose), ma nemmeno una genuflessione all’establishment rampante. D’altro canto, chi veramente ci conosce, non ha mai potuto scorgere peli sulla nostra lingua.
Ad esser superficiali, parrebbe la solita querelle sulla Shoà…non sono sei milioni, non c’è stato nessun ordine di Hitler, quelle camere a gas non potevano uccidere con quel “ritmo”, eccetera, eccetera…dall’altra si dice che ci sono le prove, i negazionisti sono dei pazzi, ecc, ecc…
La vicenda, tutto sommato, puzza lontano un miglio d’intervento “dall’alto” e, sotto l’aspetto della libertà di docenza, non possiamo che stare dalla parte di Moffa: se fosse stata una lezione a livello di scuola superiore, certe affermazioni potevano essere anche cassate ma, trattandosi di un master universitario, si presume che chi vada a seguirlo abbia almeno una frazione del proprio cervello che ancora funziona.
In altre parole, valgono le tesi di Moffa e tanto valgono le critiche alle tesi di Moffa, come del resto sempre dovrebbe essere nella ricerca storica e nella storiografia a quel livello.
E, sia chiaro, lo scrive una persona che non crede alle tesi negazioniste così come oggi vengono presentate, poiché ricorda che il “fulcro” del “primo negazionismo” di Irving non fu la negazione della Shoà, bensì la negazione dell’esistenza di un espresso ordine di Hitler che avrebbe dato inizio al massacro. Il che, non significava assolutamente la negazione dell’evento.
Dunque, un dibattito negazionista sulla presenza o meno del famoso “ordine” è di pertinenza storica e riteniamo che poco interessi alla gente comune: d’altro canto, dopo decenni che si spulciano gli archivi, che abbondano i falsi, che addirittura si falsificano (da ogni parte) le fonti, l’uomo della strada potrebbe solo reagire con un’alzata di spalle.
Altra cosa è ritenere che l’evento Shoà non sia esistito oppure sia stato soltanto un modesto massacro, moltiplicato per milioni, da storici e giornalisti prezzolati: esistono prove schiaccianti che l’evento fu un’enorme tragedia, documentate non solo da testimonianze dirette, bensì da centinaia di reperti iconografici d’ogni natura. Di più: esistono anche confessioni di chi vi partecipò dalla parte dei carnefici, e non ci riferiamo ai soli condannati di Norimberga.
Quindi, affermare che la Shoà non è esistita, significa semplicemente essere dei mestatori nel torbido, oppure delle persone con scarse conoscenze storiche.
Che i confini dell’evento (numeri, luoghi, ecc) siano ancora oggi da definire è accettabile e, anzi, per alcuni “teatri minori” sarebbe auspicabile un supplemento d’indagine. Per l’Italia sorniona e “brava gente”, citiamo soltanto due nomi: Arbe (Rab) e Jasenovac.
Moffa, però, commette l’errore di tutti i negazionisti quando “intreccia” la Storia con la cronaca, la Shoà con l’attuale politica internazionale, perché se un legame storico sempre esiste nelle vicende – come potrebbe essere altrimenti? – non è assolutamente coerente affermare che la critica all’antecedente fatto storico conduca, inesorabilmente, alla mutazione od alla ri-definizione del quadro odierno.
Un rapporto di causa/effetto che non regge: anzi, nel caso della Shoà, pare quasi vero il contrario.
Ecco, sinteticamente, alcune affermazioni di Moffa[5]:
“Il tema-tabù del mondo accademico, la questione della Shoah, della difesa del suo dogma da parte della Inquisizione del III millennio, e del suo uso politico nel complesso contesto della guerra infinita del Vicino Oriente.”
“E' un’arma ideologica indispensabile, grazie alla quale una delle più formidabili potenze al mondo ha acquisito lo status di vittima. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche”.
“…la grandezza umana e politica di Ahmadinejad.”
Non entriamo nelle argomentazioni “tecniche” espresse da Moffa – supponiamo il rapporto Leuchter, Wansee, la mancanza d’atti ufficiali di Hitler, ecc – perché ciò attiene alla sua didattica ed alle sue responsabilità di docente.
Ciò che intendiamo sottolineare è che cita dei nessi che non sono così scontati. Cosa c’entra, sul piano storico, la Shoà con la tragedia palestinese? E cosa c’azzecca Ahmadinejad?
La Shoà, evento storico che si concluse con la liberazione dell’Europa dalle armate naziste e filo-naziste, terminò nel 1945. Il terrorismo israeliano, dapprima rivolto contro l’occupazione britannica della Palestina, poi contro le popolazioni autoctone (che avevano certamente più diritto di vivere in quelle terre, per semplice diritto naturale, nei confronti di chi le aveva lasciate – ma anche qui ci sarebbe da discutere – nel 70 d. C.) fu susseguente alla Shoà e non ebbe con essa nessun legame.
Il giudizio su Ahmadinejad, poi, può solo rivolgersi alla gestione della politica iraniana, a fatti prevalentemente interni. L’unica dichiarazione di Ahmadinejad, che può essere messa in relazione con la Shoà, fu quella nella quale affermò che la politica israeliana avrebbe condotto la nazione sionista alla rovina (peraltro, citando una profezia dell’ayatollah Khomeini). Ricordiamo che in Iran vive la più numerosa comunità ebraica del Medio e Vicino Oriente, la quale non ha mai avuto problemi con la Repubblica Islamica.
Moffa scorge un nesso fra la cosiddetta “religione olocaustica” e la vessazione del popolo palestinese: la prima, sarebbe la “giustificazione” per qualsiasi crimine. E lo afferma a chiare lettere:
“Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche”.
E’ un riferimento presente anche in numerosi articoli di Gilad Atzmon e d’altri scrittori e commentatori, alcuni di religione ebraica, ma non è un nesso di natura storica, bensì un’affermazione che ha soltanto radici strumentali, utile – una per tutte – per sorreggere il recente sterminio di Gaza.
La domanda è: può, la critica ad un evento storico – la Shoà – essere condotta “legandola” all’odierno? La risposta è no, perché ogni azione in tal senso scatena immediatamente quella “rendita di posizione” che Moffa sostiene esistere. E, le reazioni subito rimbalzate, lo dimostrano.
E’ un bel modo di comportarsi da masochisti: spero che Moffa non abbia parenti od amici a Gaza. Qui, è facile prenderla in quel modo, laggiù…
Diverso è il caso della ricerca storica sulla Shoà che – come ogni altro evento storico – si ha tutto il diritto d’investigare: quante furono le vittime delle guerre di religione in Europa? Centinaia di migliaia? Si può svolgere ricerca storica su quegli eventi? Certo che si può, e così dovrebbe essere per la Shoà.
Sulla quale, come ricordavamo, rimangono molti aspetti da investigare, soprattutto sulle popolazioni non ebraiche – ucraini, russi, serbi, bosniaci, prigionieri di guerra, zingari di varie etnie, altri… – che scomparvero nella grande tragedia.
A meno che si voglia dimostrare che non è avvenuto nulla, perché ci si coprirebbe di ridicolo: le cataste di morti fotografate dalle truppe liberatrici (forse, deceduti più per il tifo petecchiale che per altri motivi, ma non per questo non imputabili ai nazisti), sono un falso storico? Qualcuno è in grado di dimostrarlo? Si faccia avanti.
Birkenau, cos’era? Una località di villeggiatura?
Non è stato trovato un documento ufficiale nel quale Hitler dava il via allo sterminio?
Perché, qualcuno immagina che Hitler, una sera come un’altra, avesse chiamato i suoi sodali – Kalterbrunner, Goebbels, Jodl, Himmler… – ed avesse detto: “Oh, bene: stasera stenderemo il documento per la “soluzione finale”. Mi raccomando: che almeno una copia sia inviata alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, alla British Library ed all’Archivio Storico Sovietico. Che dite, ne mandiamo copia anche ai norvegesi ed ai danesi?”
Sarebbe qui lungo ricordare il “mutamento”, avvenuto in David Irving, prima che entrasse (a suo dire per avere fonti dirette) in contatto con cosiddetto “Cerchio Magico” degli ex collaboratori di Hitler, e non vogliamo assolutamente entrare nel merito: va bene leggere Faurisson ed Irving ma – per correttezza – sarebbe meglio occuparsi anche di Trevor Roper, Galli, Jörg Friedrich, Rosenbaum…ed altri. Sarebbe “da storici”.
Ciò che non può essere diversamente definito che stupidità, è credere che gli attacchi alla Shoà – la quale, giustamente/ingiustamente è divenuta in qualche modo una “concorrente” della Torah – provochino qualche ripensamento nella politica d’Israele. Anzi, quegli attacchi scatenano altro odio. E chi paga? I palestinesi.
In questo contesto, Moffa non può citare Ahmadinejad, poiché il presidente iraniano non ha mai posto il problema della negazione dell’Olocausto, bensì ha segnalato l’inquietante parallelismo fra la Shoà e lo sterminio dei palestinesi!
Forse, invece di dissertare sulla Shoà, sarebbe meglio chiedere ad Israele cosa ne pensa del Rapporto Goldstone su Gaza, nel quale l’accusa di genocidio non è nemmeno troppo velata. Oppure, quale sia la norma del diritto marittimo internazionale che consente d’assalire in acque internazionali navi battenti bandiere di nazioni con le quali non ci si trova in stato di guerra. O ancora: quante volte Israele ha promesso di fermare gli insediamenti nel West Bank? Dagli accordi di Oslo? E quante volte ha mentito?
Da ultimo, la miglior domanda che si dovrebbe porre al governo israeliano è perché, dopo 43 anni, ancora esista per Gaza e per la Cisgiordania lo strano appellativo di “territorio occupato”, che è contemplato – nel diritto internazionale – soltanto per i periodi che intercorrono fra gli armistizi ed i trattati di pace.
Il più lungo che ricordiamo fu l’occupazione francese del Saarland, che terminò dopo due anni, mentre per i successivi 15 anni fu amministrato dalla Società delle Nazioni. Nel 1935 tornò alla Germania.
Forse, rileggere la risoluzione dell’ONU n. 242 del 1967 (“Ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati nel recente conflitto”[6]) potrebbe esser d’aiuto?
Ma l’ultima, più importante domanda da porre al governo di Tel Aviv – che sostiene d’essere “la sola democrazia del Medio Oriente” – è perché non si comporti come tutte le democrazie del Pianeta. Due popoli in due stati non va bene? E’ chiaro che le cose non possono andare avanti in questo modo: siamo oramai giunti alla segregazione ed allo sterminio.
Allora, facciamo meglio: due popoli in un solo stato, con uguali diritti e doveri e medesimo trattamento da parte delle autorità. Così pare che si faccia nelle democrazie: senza distinzioni di “sesso, razza e religione”.
Ah: servirebbe forse una Costituzione? Già: sarebbe ora, finalmente, di scriverla. Dal 1948, ancora non s’è trovato il tempo? Nell’unico “paese democratico” del Vicino Oriente? Che stranezza.
E lasciamo in pace quei poveri morti, invece di suggerirne altri per un velleitario senso di vendetta: chi ha orecchie per intendere – Moffa compreso – intenda.
Per salvare la frittata – dopo la levata di scudi dell’establishment – il rettore di Teramo, Rita Tranquilli Leali, se la cava con la solita trovata burocratica: sospende il corso perché, a suo dire, “non ha crediti sufficienti”.
Di conseguenza, il corso non potrà essere riproposto[4]: peccato che fosse stata lei stessa a “battezzarlo” in pompa magna.
Nel terzo o quarto atto della commedia, intervengono anche i “colleghi” di Moffa della facoltà con un documento, nel quale attaccano Moffa ed i negazionisti con le solite argomentazioni: le tesi negazioniste non hanno dignità storica…insomma, quando la lepre è ferita, la muta si scatena…
Intanto, nel silenzio che assorda dei “Soloni” della cosiddetta controinformazione, s’odono soltanto il lamento di Moffa, le minacce di querele e poco altro. Si vede che, quando la corazzata di regime si muove, la “feroce” controinformazione si tace.
Pazienza: vedremo di mettere qualcosa in pentola per i lettori, qualcosa che non sarà una difesa d’ufficio per Moffa (con il quale siamo in disaccordo su parecchie cose), ma nemmeno una genuflessione all’establishment rampante. D’altro canto, chi veramente ci conosce, non ha mai potuto scorgere peli sulla nostra lingua.
Ad esser superficiali, parrebbe la solita querelle sulla Shoà…non sono sei milioni, non c’è stato nessun ordine di Hitler, quelle camere a gas non potevano uccidere con quel “ritmo”, eccetera, eccetera…dall’altra si dice che ci sono le prove, i negazionisti sono dei pazzi, ecc, ecc…
La vicenda, tutto sommato, puzza lontano un miglio d’intervento “dall’alto” e, sotto l’aspetto della libertà di docenza, non possiamo che stare dalla parte di Moffa: se fosse stata una lezione a livello di scuola superiore, certe affermazioni potevano essere anche cassate ma, trattandosi di un master universitario, si presume che chi vada a seguirlo abbia almeno una frazione del proprio cervello che ancora funziona.
In altre parole, valgono le tesi di Moffa e tanto valgono le critiche alle tesi di Moffa, come del resto sempre dovrebbe essere nella ricerca storica e nella storiografia a quel livello.
E, sia chiaro, lo scrive una persona che non crede alle tesi negazioniste così come oggi vengono presentate, poiché ricorda che il “fulcro” del “primo negazionismo” di Irving non fu la negazione della Shoà, bensì la negazione dell’esistenza di un espresso ordine di Hitler che avrebbe dato inizio al massacro. Il che, non significava assolutamente la negazione dell’evento.
Dunque, un dibattito negazionista sulla presenza o meno del famoso “ordine” è di pertinenza storica e riteniamo che poco interessi alla gente comune: d’altro canto, dopo decenni che si spulciano gli archivi, che abbondano i falsi, che addirittura si falsificano (da ogni parte) le fonti, l’uomo della strada potrebbe solo reagire con un’alzata di spalle.
Altra cosa è ritenere che l’evento Shoà non sia esistito oppure sia stato soltanto un modesto massacro, moltiplicato per milioni, da storici e giornalisti prezzolati: esistono prove schiaccianti che l’evento fu un’enorme tragedia, documentate non solo da testimonianze dirette, bensì da centinaia di reperti iconografici d’ogni natura. Di più: esistono anche confessioni di chi vi partecipò dalla parte dei carnefici, e non ci riferiamo ai soli condannati di Norimberga.
Quindi, affermare che la Shoà non è esistita, significa semplicemente essere dei mestatori nel torbido, oppure delle persone con scarse conoscenze storiche.
Che i confini dell’evento (numeri, luoghi, ecc) siano ancora oggi da definire è accettabile e, anzi, per alcuni “teatri minori” sarebbe auspicabile un supplemento d’indagine. Per l’Italia sorniona e “brava gente”, citiamo soltanto due nomi: Arbe (Rab) e Jasenovac.
Moffa, però, commette l’errore di tutti i negazionisti quando “intreccia” la Storia con la cronaca, la Shoà con l’attuale politica internazionale, perché se un legame storico sempre esiste nelle vicende – come potrebbe essere altrimenti? – non è assolutamente coerente affermare che la critica all’antecedente fatto storico conduca, inesorabilmente, alla mutazione od alla ri-definizione del quadro odierno.
Un rapporto di causa/effetto che non regge: anzi, nel caso della Shoà, pare quasi vero il contrario.
Ecco, sinteticamente, alcune affermazioni di Moffa[5]:
“Il tema-tabù del mondo accademico, la questione della Shoah, della difesa del suo dogma da parte della Inquisizione del III millennio, e del suo uso politico nel complesso contesto della guerra infinita del Vicino Oriente.”
“E' un’arma ideologica indispensabile, grazie alla quale una delle più formidabili potenze al mondo ha acquisito lo status di vittima. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche”.
“…la grandezza umana e politica di Ahmadinejad.”
Non entriamo nelle argomentazioni “tecniche” espresse da Moffa – supponiamo il rapporto Leuchter, Wansee, la mancanza d’atti ufficiali di Hitler, ecc – perché ciò attiene alla sua didattica ed alle sue responsabilità di docente.
Ciò che intendiamo sottolineare è che cita dei nessi che non sono così scontati. Cosa c’entra, sul piano storico, la Shoà con la tragedia palestinese? E cosa c’azzecca Ahmadinejad?
La Shoà, evento storico che si concluse con la liberazione dell’Europa dalle armate naziste e filo-naziste, terminò nel 1945. Il terrorismo israeliano, dapprima rivolto contro l’occupazione britannica della Palestina, poi contro le popolazioni autoctone (che avevano certamente più diritto di vivere in quelle terre, per semplice diritto naturale, nei confronti di chi le aveva lasciate – ma anche qui ci sarebbe da discutere – nel 70 d. C.) fu susseguente alla Shoà e non ebbe con essa nessun legame.
Il giudizio su Ahmadinejad, poi, può solo rivolgersi alla gestione della politica iraniana, a fatti prevalentemente interni. L’unica dichiarazione di Ahmadinejad, che può essere messa in relazione con la Shoà, fu quella nella quale affermò che la politica israeliana avrebbe condotto la nazione sionista alla rovina (peraltro, citando una profezia dell’ayatollah Khomeini). Ricordiamo che in Iran vive la più numerosa comunità ebraica del Medio e Vicino Oriente, la quale non ha mai avuto problemi con la Repubblica Islamica.
Moffa scorge un nesso fra la cosiddetta “religione olocaustica” e la vessazione del popolo palestinese: la prima, sarebbe la “giustificazione” per qualsiasi crimine. E lo afferma a chiare lettere:
“Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche”.
E’ un riferimento presente anche in numerosi articoli di Gilad Atzmon e d’altri scrittori e commentatori, alcuni di religione ebraica, ma non è un nesso di natura storica, bensì un’affermazione che ha soltanto radici strumentali, utile – una per tutte – per sorreggere il recente sterminio di Gaza.
La domanda è: può, la critica ad un evento storico – la Shoà – essere condotta “legandola” all’odierno? La risposta è no, perché ogni azione in tal senso scatena immediatamente quella “rendita di posizione” che Moffa sostiene esistere. E, le reazioni subito rimbalzate, lo dimostrano.
E’ un bel modo di comportarsi da masochisti: spero che Moffa non abbia parenti od amici a Gaza. Qui, è facile prenderla in quel modo, laggiù…
Diverso è il caso della ricerca storica sulla Shoà che – come ogni altro evento storico – si ha tutto il diritto d’investigare: quante furono le vittime delle guerre di religione in Europa? Centinaia di migliaia? Si può svolgere ricerca storica su quegli eventi? Certo che si può, e così dovrebbe essere per la Shoà.
Sulla quale, come ricordavamo, rimangono molti aspetti da investigare, soprattutto sulle popolazioni non ebraiche – ucraini, russi, serbi, bosniaci, prigionieri di guerra, zingari di varie etnie, altri… – che scomparvero nella grande tragedia.
A meno che si voglia dimostrare che non è avvenuto nulla, perché ci si coprirebbe di ridicolo: le cataste di morti fotografate dalle truppe liberatrici (forse, deceduti più per il tifo petecchiale che per altri motivi, ma non per questo non imputabili ai nazisti), sono un falso storico? Qualcuno è in grado di dimostrarlo? Si faccia avanti.
Birkenau, cos’era? Una località di villeggiatura?
Non è stato trovato un documento ufficiale nel quale Hitler dava il via allo sterminio?
Perché, qualcuno immagina che Hitler, una sera come un’altra, avesse chiamato i suoi sodali – Kalterbrunner, Goebbels, Jodl, Himmler… – ed avesse detto: “Oh, bene: stasera stenderemo il documento per la “soluzione finale”. Mi raccomando: che almeno una copia sia inviata alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, alla British Library ed all’Archivio Storico Sovietico. Che dite, ne mandiamo copia anche ai norvegesi ed ai danesi?”
Sarebbe qui lungo ricordare il “mutamento”, avvenuto in David Irving, prima che entrasse (a suo dire per avere fonti dirette) in contatto con cosiddetto “Cerchio Magico” degli ex collaboratori di Hitler, e non vogliamo assolutamente entrare nel merito: va bene leggere Faurisson ed Irving ma – per correttezza – sarebbe meglio occuparsi anche di Trevor Roper, Galli, Jörg Friedrich, Rosenbaum…ed altri. Sarebbe “da storici”.
Ciò che non può essere diversamente definito che stupidità, è credere che gli attacchi alla Shoà – la quale, giustamente/ingiustamente è divenuta in qualche modo una “concorrente” della Torah – provochino qualche ripensamento nella politica d’Israele. Anzi, quegli attacchi scatenano altro odio. E chi paga? I palestinesi.
In questo contesto, Moffa non può citare Ahmadinejad, poiché il presidente iraniano non ha mai posto il problema della negazione dell’Olocausto, bensì ha segnalato l’inquietante parallelismo fra la Shoà e lo sterminio dei palestinesi!
Forse, invece di dissertare sulla Shoà, sarebbe meglio chiedere ad Israele cosa ne pensa del Rapporto Goldstone su Gaza, nel quale l’accusa di genocidio non è nemmeno troppo velata. Oppure, quale sia la norma del diritto marittimo internazionale che consente d’assalire in acque internazionali navi battenti bandiere di nazioni con le quali non ci si trova in stato di guerra. O ancora: quante volte Israele ha promesso di fermare gli insediamenti nel West Bank? Dagli accordi di Oslo? E quante volte ha mentito?
Da ultimo, la miglior domanda che si dovrebbe porre al governo israeliano è perché, dopo 43 anni, ancora esista per Gaza e per la Cisgiordania lo strano appellativo di “territorio occupato”, che è contemplato – nel diritto internazionale – soltanto per i periodi che intercorrono fra gli armistizi ed i trattati di pace.
Il più lungo che ricordiamo fu l’occupazione francese del Saarland, che terminò dopo due anni, mentre per i successivi 15 anni fu amministrato dalla Società delle Nazioni. Nel 1935 tornò alla Germania.
Forse, rileggere la risoluzione dell’ONU n. 242 del 1967 (“Ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati nel recente conflitto”[6]) potrebbe esser d’aiuto?
Ma l’ultima, più importante domanda da porre al governo di Tel Aviv – che sostiene d’essere “la sola democrazia del Medio Oriente” – è perché non si comporti come tutte le democrazie del Pianeta. Due popoli in due stati non va bene? E’ chiaro che le cose non possono andare avanti in questo modo: siamo oramai giunti alla segregazione ed allo sterminio.
Allora, facciamo meglio: due popoli in un solo stato, con uguali diritti e doveri e medesimo trattamento da parte delle autorità. Così pare che si faccia nelle democrazie: senza distinzioni di “sesso, razza e religione”.
Ah: servirebbe forse una Costituzione? Già: sarebbe ora, finalmente, di scriverla. Dal 1948, ancora non s’è trovato il tempo? Nell’unico “paese democratico” del Vicino Oriente? Che stranezza.
E lasciamo in pace quei poveri morti, invece di suggerirne altri per un velleitario senso di vendetta: chi ha orecchie per intendere – Moffa compreso – intenda.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
[1] Vedi: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/06/news/lezioni_di_negazionismo_falsit_ad_aushwitz-7784921/?ref=HREC1-2
[2] Vedi: http://ilcentro.gelocal.it/teramo/cronaca/2010/10/07/news/universita-di-teramo-bufera-sul-prof-negazionista-il-preside-prenderemo-provvedimenti-su-moffa-2482233
[3] Vedi: http://ilcentro.gelocal.it/chieti/cronaca/2010/10/07/news/universita-teramo-bufera-per-il-prof-negazionista-moffa-nessuno-puo-entrare-nel-merito-delle-lezioni-2482530?ref=HREC1-2
[4] Vedi: http://ilcentro.gelocal.it/chieti/cronaca/2010/10/08/news/teramo-l-universita-riesce-a-bloccare-moffa-stop-al-master-crediti-formativi-non-sufficienti-2488126?ref=HREC1-7
[5] Purtroppo, la mia ADSL “a petrolio” non m’ha consentito d’osservare i video che sono stati pubblicati, ma solo di leggere i testi.
[6] Il testo è quello francese: gli israeliani sostengono che in quello inglese era invece riportato “da territori occupati”. Secondo i loro brillanti esegeti, quella forma indeterminativa (che spesso viene usata, ossia l’elisione dell’articolo) consentiva loro di continuare ad occuparli indefinitamente. Fregandosene, ovviamente, “dell’esegesi” del resto della risoluzione e della successiva 338.
Ciao Carlo. Io la vedo un po' grama per i palestinesi. Se la vivono, se va bene, da vittime della Vittima per antonomasia(cit. non ricordo). Fosforo bianco, uranio impoverito, meno male che non han l'atomica ehm. In ogni caso la tragedia dell'Olocausto non può permettere l'impunità, tanto meno a danno di innocenti. Noi, col Banana, ci lamentiamo del brodo grasso ma verrà il tempo delle vacche magre, anzi fini. Potevo risparmiarmela,'notte.
RispondiElimina“Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche”.
RispondiEliminaChe tradotto in partenopeo, si dice
"Chiagni e fotti".
Rende bene, rende sempre! Vedi Papi
Silvio, ci ha fatto la sua fortuna
(e la nostra disgrazia).
Sarei anch'io d'accordo su "Uno
stato per due popoli", ma il problema è che Israele ha costituito uno stato etnico, e gli
altri popoli li emargina e li espelle, quando non li ammazza.
Gli arabi d'Israele, alle ultime
elezioni sono stati privati del diritto di voto, ed i Falashà,
ebrei etiopi rifugiati in Israele,
sono trattati come gli extracomunitari da noi, ed hanno anche subito esperimenti medici
sulla loro pelle, li usano come cavie.
Smettiamo di pensare che un paese sia democratico solo perché ogni tanto si vota alle elezioni!
Quanto alla soppressione del corso
del professor Moffa, ma vi siete accorti che in questo paese la
democrazia è sospesa, e la Costituzione è diventata lo zimbello dei governanti, buona solo
a sciacquarsi la bocca quando serve? Penso anche allo striscione
con scritto "Viva Milingo" rimosso
a Palermo durante la visita papale.
Ah, giusto, per il vaticAno è meglio Pinochet che Milingo!
La mia non è una posizione nuova: già la espressi in altri articoli, e non è una postura cerchiobottista, ma la "vecchia" posizione che fu della sinistra italiana.
RispondiEliminaSemplificando: se Israele ha creato nel tempo quel legame fra Shoà ed il suo imperialismo - per fini strumentali - perché seguirli su quella strada? Perché alimentarla?
Parliamo di problemi concreti ed attuali.
Ciao a tutti
Carlo
La dichiarazione dei diritti dell'uomo e' posteriore di quasi 1 anno all'assunzione della Costituzione elaborata dalla Assemblea Costituente Italiana, andata in vigore il primo gennaio del 1948.
RispondiEliminaOra chi conosce l'art. 21 che al primo capoverso recita:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Accettare la Nostra Costituzione implica accettare anche l'art.19 contenuto nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'ONU.
Questo però non significa accettare supinamente manipolazioni, mistificazioni ed anche revisioni storiche - sempre legittime- anche quando e' evidente una non contestualizzazione degli eventi di cui si parla.
O, peggio, servirsi di tale diritto in strutture pubbliche per piegare la revisione storica a fini particolari che spesso non hanno niente a che fare con la Storia.
Infine, se Israele non ha ancora una Costituzione vorrà pur dire qualcosa sulle sue finalità di politica esterna: non basta mica la manipolazione linguistica (trasformazione del nemico in terrorista) nè la mistificazione politica (chi critica israele e' un negazionista della Shoa o un istigatore, un fomentatore di terrore...)
Almeno per chi - e sono in netta diminuizionione- si ostina ad usare il proprio cervello e si ostina ad esercitare l'opzione del dubbio.
Doc
P.S. Leuchter fu poi condannato da un tribunale degli US ma risulta vero che non fosse laureato?
Resistere, resistere, resistere.
RispondiElimina(Ragazzi! Mi sono distratto un attimo e sono rimasto indietrissimo....ora vorrei riproporre la questione della acrescita, e perciò chiedo scusa per il mio lungo fuori-tema. Sono certo, Carlo che mi perdonerai per questo)
L'ormai imprescindibile necessità di educare le nuove generazioni alla acrescita.
Pillole di acrescita per i nostri ragazzi.
Nel recente dibattito sorto nel blog riguardo alla decre....ooops! acrescita , sono state espresse molte idee interessanti. Ma, nonostante ci sia nei frequentatori di questa “agorà” una presa di coscienza piena e lucida sulla problematiche legate alla acrescita, mi è parso che vi sia anche l'idea che comunque l'attuale situazione non consente di andare oltre il semplice esercizio personale.
Credo che questa sfiducia derivi anche dal fatto che ci troviamo, mi si passi il termine, “inmelmati” nella situazione italiana, i cui aspetti negativi, spesso argomento di questo blog, decisamente molto gravi e di difficile soluzione, rappresentano un enorme handicap con il quale dobbiamo fare i conti nel momento in cui cerchiamo di immaginare come poter iniziare a rendere concreti, anche nel nostro paese, i concetti legati alla acrescita: nell'oggi del nostro paese la cosa ci appare impossibile.
E qui sorge una questione che secondo me è di vitale importanza riuscire a comprendere. Molte delle idee e dei suggerimenti relativi alla attuazione pratica della acrescita che ho letto in questi giorni nei tuoi post Carlo e nei vari relativi commenti, sono in realtà fatti reali e concreti in svariati paesi europei (e non solo).
Ad esempio, in Germania e Svezia sono sorti interi nuovi quartieri dove non è necessario possedere l'auto [1] per poter svolgere le attività di tutti i giorni. Anzi, possedere un'auto diventa solo un impaccio ed un costo inutile.
In Austria [2] riciclano ogni anno circa 15 milioni di tonnellate di olio di frittura alimentare trasformandolo in biocarburante. Oppure, sempre in Austria [3], nella cittadina di Gussing hanno installato una centrale a gas da 2 MWatt per la produzione dell'energia elettrica: il gas viene prodotto dalla combustione degli alberi (i boschi di tutta la regione intorno a Gussing hanno una potenzialità energetica di 20-25 Mwatt, e per questo stanno progettando altre due centrali ed altre cittadine limitrofe si stanno interessando alla cosa), ed in più, praticamente tutte le case di Gussinge vengono ora teleriscaldate mediante il recupero del calore prodotto dalla centrale.
In Francia [4] nel 2008 vengono stanziati a livello centrale circa 45 miliardi di euro per il sostegno alle famiglie (a cui aggiungere i sostegni regionali e quelli comunali, oltre ad una rete capillare di asili e nidi) con il risultato che le coppie francesi possono fare in tutta tranquillità almeno due figli (ma molto spesso anche tre o quattro); e sempre in Francia lavorano circa l'84% delle donne.
In Norvegia [5], grazie alla introduzione delle quote rosa, sono riusciti a raggiungere in meno di dieci anni una sostanziale parità tra uomini e donne.
[1] (vedi la puntata di Report del 09-05-2010: “L'auto permettendo”
http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E1087784,00.html)
[2] (vedi la puntata di Report del 22-11-2009: “Goodnews - Dalla padella al serbatoio”
http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E1087126,00.html)
[3] (vedi la puntata di Presa Diretta del 07/03/2010: “Sole Vento Alberi” - intorno all'ora e sette minuti di trasmissione si inizia a parlare di Gussing.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-e9c0c5ec-688a-4f53-aefa-97c2b268b4c3.html?p=0)
[4] (vedi la puntata di Report del 13-04-2008: “Goodnews – La Repubblica dei bambini”
http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E1077909,00.html)
[5] (vedi la puntata di Presa Diretta del 26/09/2010: “Senza donne”
http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-97cbc237-7305-4d48-90de-5bcab4ef39f4.html)
(segue →)
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RispondiEliminaCerto, anche in Italia ci sono varie iniziative, ma sono a macchia di leopardo, per lo più lasciate alla volontà dei singoli, i quali portano avanti questi progetti tra mille difficoltà, ostracismi, ed assurdi paletti legislativi; in più, sono molto poco pubblicizzate: se ne parla troppo poco e pochissimi ne sono a conoscenza.
Ora, tornando al nocciolo della mia perplessità, in questi paesi, diciamo così, virtuosi (cioè che applicano alcune delle idee che crediamo fondamentali per realizzare l'acrescita), il fabbisogno energetico aumenta, i consumi sono in crescita, e il PIL, trionfalmente, aumenta.
Alla faccia della acrescita!
E qui viene alla luce un paradosso, con il quale dobbiamo confrontarci seriamente se vogliamo veramente portare a compimento l'acrescita: l'aumentata efficienza energetica porta inevitabilmente le società umane ad utilizzare questa nuova disponibilità di energia. Più l'energia è disponibile ed è facilmente fruibile e più ne utilizzerò; e più ne utilizzerò, più ne richiederò ulteriore nuova produzione.
Tutto ciò è l'esatto contrario della acrescita.
Sapete come hanno fatto in Norvegia [5] a mettere tutti d'accordo sulla necessità dell'inserimento delle quote rosa, non solo in politica, ma in tutti gli ambiti lavorativi, compresi quelli finanziari? Hanno dimostrato che ne avrebbe tratto beneficio l'economia reale, perché l'avere più donne nel mercato del lavoro avrebbe portato una sicura crescita economica e dunque sarebbe aumento anche il PIL. Sigh! Sigh! Acrescita questa sconosciuta. Sob! Sob!
Allora, per venire fuori da questo paradosso del crescere bisogna cambiare modello economico e sociale a tutti i costi. Deve essere un modello che disincentivi effettivamente ed in ogni modo tutto ciò che porta ad aumentare i consumi.
Bisogna cambiare il modello produttivo, non riconvertire le fabbriche.
Che fare se chiudono gli impianti per la produzione di auto?
Per chi vuole perseguire l'acrescita, il ragionamento: “se l'industria dell'auto non tira più, per mantenere gli stessi livelli produttivi ed occupazionali, riconvertiamola alla produzione di microgeneratori (che non sono altro che motori di auto messi nelle cantine delle abitazioni per produrre energia elettrica e termica), nel frattempo facciamo delle leggi che costringano i consumatori a dover cambiare auto ogni sei mesi per problemi di inquinamento” non è quello corretto da fare.
Il ragionamento corretto “dell'acrescista provetto” sarebbe il seguente: se l'industria dell'auto non tira più, questa è l'occasione buona smetterla di produrre una quantità di auto che nessuno vuole più, e mettiamoci a ripensare una nuovo tipo di automobile che abbia un sistema propulsivo non inquinante, che sia costruita con materiali riciclati e riciclabili, che siano fatte con componenti standardizzati facilmente riparabili o sostituibili (in questo caso il pezzo rotto dovrà essere ripreso dal produttore in modo che lo ripari/rigeneri, e poi lo reinserisca nel circolo produttivo). Queste auto dovranno essere messe in produzione ex-novo solo su esplicita richiesta e prenotazione da parte del cittadino che ne abbia necessità.
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RispondiEliminaMa, si direbbe, se il modello economico vincente resta sempre e comunque quello dell'aumento del profitto a tutti i costi, è praticamente impossibile convincere un industriale a fare le scelte su descritte, anche perché, dal punto di vista economico/finanziario è inserito in un contesto che ti costringe inesorabilmente a prendere le decisioni che tutti conosciamo.
E allora, dato che un sistema economico sociale come quello nel quale siamo inserite non cambia ex-abrupto, si arriva alla conclusione già nota a tutti noi: bisogna agire a livello politico, perché è solo a questo livello che si può sperare di mutare il modello; deve intervenire lo Stato (o meglio, gli Stati) con proposte adeguate.
E siccome qualcuno prima di me ha giustamente sottolineato che “lo Stato siamo noi”, queste idee sulla acrescita siamo noi che dobbiamo portarle avanti, diffonderle, farle conoscere fin quando non diventino programma politico.
Ci vuole tempo. Forse un paio di generazioni. Chi tutti i giorni insegna nelle scuole ha, da questo punto di vista, una posizione di vantaggio, poiché ha l'occasione reale di poter educare all'acrescita le donne e gli uomini del domani, nel momento in cui sono potenzialmente più ricettive.
Carlo, credo che tu già in qualche modo lo faccia, bisogna puntare sulle nuove generazioni per cercare di cambiare la prospettiva del futuro, e fornire ai nostri ragazzi pillole di acrescita che li aiutino a formare gli anticorpi necessari per difendersi dal consumismo.
Ed anche tu Orazio, metti un poco da parte la “tua magnifica ossessione per il berlusconismo”, e prova fare tuoi i concetti legati alla acrescita e poi lancia dei messaggi di acrescita tra i tuoi allievi. E' la cosa migliore e più efficace che può fare un insegnante per promuovere concretamente l'acrescita.
Saluti,
Alex
Acrescere, acrescere, acrescere
Vedo - doc - che entrambi abbiamo colto il segno/nesso che esiste fra la libertà di ricerca - sempre sacra - e la licenza di ricerca per altri fini.
RispondiEliminaIo credo che, se veramente vogliamo dare una mano ai palestinesi, dobbiamo smetterla di cacciarci da soli nella trappola israeliana.
Va bene tutto sulla Shoà: ma, allora, proprio voi che avete provato sulla vostra pelle quel crimine, perché lo riproponete ad altri?
Non vorrete mica sostenere che gli arabi sono nazisti, vero?
Leuchter, per quel che ne so, è laureato in Filosofia (ma sai che le lauree americane sono un po' diverse...) e non so con quale titolo abbia redatto quel rapporto. Lavorava per l'amministrazione carceraria (mi pare) ma di più non so. Avevo notato delle ingenuità tecniche nel rapporto, e mi chiedevo come non se ne fosse accorto.
Alex, Alex...ti avevo lasciato uscire e sei stato fuori tutta l'ora...volevo metterti un "meno" sul registro ma, quando ho letto i tuoi commenti, l'ho cancellato -))
Certo, in fin dei conti è solo mediante l'approccio politico che si potranno ottenere dei risultati, e di tempo ne passerà.
In ogni modo, il passaggio alle rinnovabili è già un passo avanti, perché nessuna politica di decrescita può essere attuata con quelle non rinnovabili.
Certo, la disponibilità non frena il consumo ma, anche qui, sarebbe possibile intervenire con una chiara politica dei prezzi.
Ci sono già oggi gli "scaglioni" per l'energia elettrica, ma mantengono fraudolentemente la disinformazione sul reale costo dell'energia e sulla "scaletta" (altrimenti, la gente potrebbe farsi due conti.
Quanto c'è voluto per arrivare almeno alle fasce orarie? Mah...
Ciao a tutti
Carlo
Salve! Seguo da un po' di tempo questo interessantissimo blog e mi sembra di ricordare che dopo la descrescita fosse previsto un articolo sulla legge Brunetta. Mi sto sbagliando? Il tema sarà oggetto di un futuro articolo o è stato abbandonato?
RispondiEliminaGrazie per le analisi sempre lucide e approfondite e per lo stile delizioso con cui vengono proposte.
Quando i greci inventarono la democrazia, pensando che un popolo dovesse eleggere il suo rappresentante, Dio si era spinto oltre: aveva eletto un popolo intero che lo rappresentasse.
RispondiEliminabuona notte
B.S.
L’ultimo articolo di Carlo sulla questione mediorientale era intitolato “Tutto può succedere. O nulla”. Sembra che, come ebbi modo di prevedere e lo scrissi in un commento, la seconda parte del titolo abbia avuto il sopravvento. Anzi, pare che l’occidente abbia proprio lasciato il concetto di “questione palestinese” al proprio destino. Perché? Sarà perché la dimensione geopolitica ha voluto spostare il caso “Medio Oriente” da “Israele/Paledtina” verso un’altra dicotomia conflittuale tra il progetto sionista, sostenuto da USA, Europa ed i Paesi “moderati” da una parte, ed Iran con gli alleati (Hezbollah, Hamas, Siria, Venezuela) dall’altra.
RispondiEliminaNon è tanto difficile dedurre che tale spostamento (politico-mediatico-culturale) ha reso più facile il compito delle “politiche” occidentali di convincere i loro cittadini a prendere in considerazione l’importanza di abbracciare la “questione israeliana” con i suoi principali aspetti: filo-sionismo da una parte, ed un dottrinale filo-ebraismo dall’altra. Ne evince un assoluto sostegno europeo a Tel Aviv (sarebbe più giusto dire Gerusalamme Ovest) che non ha pari nella Storia delle alleanze internazionali. Eccovi alcuni esemepi recentissimi:
- La settimana scorsa è stato espulso il conduttore televisivo Rick Sanchez (è un giornalista molto in gamba) dalla CNN per una battuta “antisemita”. Egli aveva attaccato il comico di origine ebraica, Jon Stewart di Comedy Central, dicendo che i media americani sono controllati dagli ebrei.
Domanda: La CNN lo avrebbe espulso se egli avesse attaccato un afroamericano, un arabo o persino un europeo?
- Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in Parlamento, dichiara di sentirsi “israeliano” dopo un’uscita “antisemtia” di un esponente PDL.
Domanda: se il senatore anti-finiano Ciarrapico avesse offeso gli americani oppure i francesi (per non dire arabi, negri o cinesi), sarebbe stata possibile una reazione simile da parte del Presidente del Consiglio in Parlamento?
- Due giorni fa, si sono incontrati a Roma politici di destra e di sinistra per una maratona oratoria in difesa dello stato ebraico, durante la quale tutti (tra cui Frattini, Fassino, Carfagna, Aznar, ecc.) affermavano l’europeità del Paese mediorientale.
Domanda: dal governo Nitti in poi, si sono mai trovati in accordo ed in perfetta sintonia politici di dx e di sx su una questione di fondamentale importanza come quella del medioriente? Ma nemmeno l’alleanza trans-atlantica ebbe avuto tale fortuana!
Una volta riusciti a dare risposte a queste domanda, dovremo “tornare” a parlare di “questione palestinese”. Si tratta di un semplice fatto e sembra che Eli l’abbia capito benissimo: è una questione di diritti. Ma è possibile che nel “mondo tecnologico” in cui viviamo non si sa nulla sui palestinesi?! Che questi soprav “vivono” senza acqua, senza autostrade ...senza un Paese?
Un’altra cosa, invece, la sappiamo tutti:
Ahmadinajad è un negazionista che vuole eliminare lo stato di Israele, bruciando gli ebrei e lapidando una “povera” Saknieh ...
Da Amman è tutto, Mahmoud.
Per Iri:
RispondiEliminaL'articolo sul decreto Brunetta era stata un'idea di Orazio: aspetto che mi mandi l'articolo, oppure una traccia per scriverlo, dei dati...
Insomma, da solo non ce la faccio a a far tutto. La cosa migliore sarebbe che Orazio mi mandasse tutto belle e fatto, ma anche altre opzioni sono valide. Collaborazione, "quattro mani", come vuole...
L'unica mia richiesta è che, su questo blog, ci si firma - se si scrivono articoli - con nome e cognome.
Mi viena da pensare, Black, a qualcosa che lessi sul Cristianesimo: una religione orientale, basata sulla filosofia greca e con una liturgia latina.
Curioso, vero?
Mi farebbe piacere sapere da Mahmoud cosa ne pensa del problema "ricerca" sulla Shoà.
Ovvio che non si può censurare la ricerca storica ma, se Israele sfrutta ogni tipo di ricerca per gridare al negazionismo, non sarebbe meglio "sospendere" gli "aneliti" di ricerca per chiedere a Tel Aviv conto delle mille discrepanze della sua esistenza? Delle sue contraddizioni fra quanto pubblicizza e su quanto, invece, è?
Non sarebbe più saggio?
Grazie a tutti
Carlo