(Il disegno è di Giulia Bertani, la minore delle mie figlie)
“Viaggiando si può realizzare che le differenze sono andate scomparendo: tutte le città tendono ad assomigliarsi l'una all'altra, i posti hanno mutato le loro forme e ordinamenti. Una polvere senza forma ha potuto invadere i continenti.”
Italo Calvino (1923-1985)
C’era una volta Lurisia.
Chissà come si chiamava veramente Lurisia: nessuno l’ha mai saputo.
Cappello da alpino in testa e una vecchia fisarmonica a tracolla, naso rubizzo, aquilino, Lurisia viveva praticamente sul treno Mondovì – Savona, andata e ritorno: pomeriggi, sere, notti…
Lurisia non era un viaggiatore, Lurisia era l’intrattenitore del treno “accelerato” Mondovì – Savona, il musico, il direttore degli improvvisati cori.
Le canzoni erano sempre le stesse, Lurisia pure – la stanca giacca grigio verde, forse una ex divisa – ma la voce squillava di scompartimento in scompartimento: «Non ti potrò scordaaareeee…piemontesina bellaaaa…» e la gente cantava, insieme a Lurisia, poi gli lasciava qualche spicciolo.
Primavere ed Estati, fino alla neve, era sempre su quel treno: talvolta tirava fuori una fiaschetta dal giubbotto e trincava un sorso di grappa, poi ricominciava «Ricordi quelle sereeeee…passate al Valentinoooooo…» E gli operai che tornavano dai turni alle Acciaierie del Tanaro, gli studenti che scendevano dall’Università verso i paesi della Langa, sapevano che – sicuro! – c’era Lurisia ad attenderli.
Così, chi scendeva a Lesegno lasciava il posto nel coro a qualcuno che saliva per scendere a Sale Langhe: tenori, baritoni e bassi improvvisati, mirabilmente diretti da Lurisia.
Poi, un giorno sparì: come tutti, come sempre. Però, quando si sale su quel treno ansimante, che s’aggrappa alle salite e punta i piedi nelle discese, l’anima di Lurisia è ancora là.
Mio figlio, che percorre quella tratta avanti e indietro, dal Conservatorio di Cuneo fin qui, nella Langa, ha ancora incontrato qualcuno che gli ha chiesto se conosceva Lurisia, se sapeva che fine avesse fatto.
Questo ha la tromba, quello la fisarmonica…sono della stessa razza – così ragiona la gente di Langa – e si chiedono perché questo ragazzo, invece di trascorrere il tempo a solfeggiare, non tiri fuori quella benedetta tromba e non dia la carica al treno, così da spronarlo e farlo volteggiare come un gheppio su per le curve della Langa, per fargli ritrovare il brio di un tempo, quando Savona arrivava presto, con Lurisia a scandire il tempo, sicuro nei gesti e negli accompagnamenti, cullato dal tran tran dei binari.
Poi c’era Gilera.
Era matto Gilera? Nessuno l’ha mai saputo. Eppure lavorò un’intera vita, “camallo” al porto di Savona. Eppure era sempre e solo Gilera, per tutti.
Perché Gilera – al secolo Vittorio – era entrato in quella maledetta galleria per Albissola nei giorni che la guerra moriva e le cariche poste dai tedeschi erano scoppiate: Vittorio era stato fortunato, mica come gli altri ragazzini dilaniati, ma era morto lo stesso. Era rinato come Gilera.
Appena sedicenne, già correva con una Gilera di quelle vecchie – “Otto Bulloni”, “Saturno”, “Giubileo”… – poi tutte, fino all’ultima “150” costruita dalla casa di Arcore. Anche Arcore ha generato qualcosa di buono, anche Arcore.
Lo ricordo con quella, l’ultima, mentre volteggiava come sulla cavallina in palestra: saliva coi piedi sulla sella, allargava le braccia sul traballante pavé di via Paleocapa, a Savona, e – miracolosamente – non cadeva mai.
All’apice della goduria – non riuscì mai a digerire che lo storico marchio fosse scomparso – lanciava il suo grido di guerra al mondo «E questaaaa…è una moto Gileraaaa…» Quelli che non erano di Savona e dintorni si voltavano e restavano a bocca aperta, nell’osservare quell’uomo già anziano volteggiare su una vecchia moto come un acrobata da circo. I savonesi non ci facevano caso: «U ghè Gilera» e passavano oltre.
Poi c’era Amoruso. Da Molfetta.
Tutti quelli di Molfetta navigavano. Quasi tutti quelli di Molfetta che navigavano erano timonieri. Buona parte di quelli di Molfetta che erano timonieri avevano fatto la guerra. Marina, ovviamente.
Amoruso l’aveva fatta sulle navi che trasportavano i rifornimenti in Africa, quelle che dovevano scampare alle bombe dei Liberator, alle cannonate della Forza K di Malta ed ai sommergibili ovunque. Amoruso da Molfetta, timoniere come tanti di Molfetta, era l’unico che aveva salvato la pelle dopo esser saltato per ben due volte sulle mine.
Così la guerra finisce e Amoruso continua a fare l’unica cosa che sa fare: timoniere sulle navi che fanno il cabotaggio. Solo che vede mine ovunque.
«Mina a babordo, mina a babordo, mina…mannaggia, santa la Madonna, minaaaaaa…» Di tronco, gavitello, materasso galleggiante…si trattava.
Amoruso, come timoniere, era insuperabile: “sentiva” la corrente passare, dalla pala del timone fino alla ruota, su in plancia. Accarezzava appena la ruota «Correggo due gradi a dritta…c’è corrente…»
L’ufficiale di guardia non diceva mai nulla: se Amoruso diceva di correggere due gradi a dritta, due gradi erano, all’Inferno la lossodromia e l’ortodromica, il radar, il radiofaro e tutti i marchingegni della plancia. Basta che non si metta a veder mine…
Di notte Amoruso pregava, perché non gli lasciavano accendere il faro a prua per scrutare il mare: la guerra è finita da vent’anni, Amoruso! Mine non ce ne stanno più, hai capito? Le hanno dragate, fatte saltare quelli della Marina, hai capito? Non si sente più parlare di una mina da anni!
Eh, signor comandante, non si sa mai: quelle ci stanno, ci stanno ancora…
Basta – anche il comandante aveva gettato la spugna – inutile toccare quel tasto con Amoruso: tempo perso.
Così la pensa anche Leonardo, giovanissimo terzo ufficiale uscito dall’Istituto Nautico di Camogli: famiglia di camuggìn, gente che le ha viste tutte, dall’Artico all’Antartico. Proprio lui, Leonardo, ha ancora avuto l’onore di sentir raccontare proprio dalla voce del comandante Oneto, il secondo dell’Andrea Doria, l’agonia di quel levriero del mare.
Quel giorno, a Leonardo tocca il quarto che finisce a mezzogiorno, quando il comandante salirà in plancia e si ritroveranno tutti gli ufficiali della nave, come da tradizione.
Manca ancora mezzora a mezzodì quando Amoruso sbotta: «Mina a babordo, mina a babordo, mina…mannaggia, santa la Madonna, minaaaaaa…»
Eccola, non poteva mancare la mina della settimana – pensa Leonrado, classe 1947 – erano già cinque giorni che non ne vedeva una…
«Mina a babordo, mina a babordo, mina…mannaggia, santa la Madonna, minaaaaaa…» ripete Amoroso. Leonardo esce senza fretta sull’aletta di plancia – deve farlo, è il regolamento – con calma toglie i tappi al binocolo, lo porta agli occhi, mette a fuoco…
E’ lì, vicinissima, poche braccia a babordo dalla loro rotta: nera, grande, enorme, minacciosa, assassina… – Leonardo non ne aveva mai vista una – e rimane paralizzato. Per un attimo, poi quasi “placca” il telegrafo di macchina «Ferma la macchina, timone tutto a tribordo, ferma la macchina…no, non basta, a costo di rischiare albero e cuscinetti fracassati…macchinaaaaaa, indietro tuttaaaaa, indietro tuttaaaaaa….»
Quel giorno del 1972, fra Livorno e la Meloria, Amoruso da Molfetta probabilmente incocciò nell’ultima mina della Regia Marina ancora in servizio. La nave si salvò, per poche braccia, per miracolo.
Poi c’era Ramon.
Ovvio che Ramon non era italiano. Era argentino. Da dove poteva venire Ramon, se non dal circo? E cosa poteva fare un argentino, in un circo? Cavalli.
E quando il circo chiude? Quando la TV irrompe e si gettano i nasi da clown, i tricicli, le maschere…
I pony no, quelli al macello Ramon non li vuol vedere: no, quei dolci cavallini, che tanti visi di bambini hanno fatto sorridere, non devono finire sul banco di una macelleria.
Allora Ramon trova qualche soldo, raccoglie i risparmi, fa qualche debito e li compra. Il circo ha “rotto le righe” a Savona, e Ramon non ci pensa nemmeno a cambiare città…no, lì va benissimo.
Ci sono dei bambini? C’è un parco? E allora, dov’è il problema?
Affitta per quattro soldi un magazzino sotto le arcate di un ponte ferroviario, ci porta la paglia, il legno per la mangiatoia. Corregge, finimenti, catene, acqua, fieno, coperte…poi, chissà dove, scova un vecchio calesse e lo fa diventare un tiro a quattro, mentre i pony più docili portano la sella per i bambini più avventurosi, quelli che vogliono per un attimo sentirsi cow-boy.
Così per anni, per decenni: tutti i savonesi che hanno meno di 40 anni sono saliti sui cavallini di Ramon: mille lire, sconto per i fratelli e le sorelle al seguito. Per i genitori, negli anni, saltarono fuori anche delle vecchie panche di legno, così le nonne aspettavano sedute, che fanno male i piedi ad aspettare in piedi.
Gli anni passano, ed un giorno – visto che avrei il posto per accudirlo – mi salta per la mente di comprare un cavallo: a chi chiedere consiglio? A Ramon, ovvio.
Mi squadra, m’attraversa con lo sguardo, soppesa i miei sentimenti e palpeggia la mia anima traversandomi gli occhi. Poi, parla.
«Cavallo non è facile da tenere, no, non è facile. Sempre devi tenere sott’occhio cavallo: fare giretto la mattina, ma se c’è umido…guarda pelo di cavallo: se vedi come nebbia sul pelo subito asciuga, poi coperta, subito coperta, altrimenti cavallo ha freddo, malato…»
Osservo i pony: non sono né grassi e né magri, nemmeno quelli più anziani, che oramai li porta soltanto per farli vedere e non li lascia montare. Nella piccola stalla c’è un ordine certosino: pare quasi che i fili di paglia, sul pavimento, abbiano scelto da soli il giusto intreccio, l’armonia di un tappeto persiano. Di paglia.
Allora capisco che ci sono delle cose per le quali bisogna nascere, non inventarsi d’essere. Per cortesia rimango ad ascoltarlo, ma dentro di me la decisione è presa: più di un Guzzino, non saprei accudire.
Così m’allontano: i figli sono oramai grandi e non chiedono più d’andare da Ramon, perché altrimenti gli amici li prenderebbero in giro. Ma, se potessero…
Tanti anni dopo ripasso dai giardini sul mare e non ci sono più le panche, sparita la locandina che pareva uno squarcio di pampa, nemmeno l’ombra di Ramon. Se n’è andato anche lui, insieme a Lurisia e la sua fisarmonica, Gilera e la sua moto, Amoruso, le mine, i pony…l’Italia che non c’è più. Che bella che era.
Auguri di Buone Feste a tutti e, in particolar modo, a quelli che credono negli alti principi della nostra Costituzione, nell’empatia fra esseri umani che rispetta le diversità e le scioglie nella positiva socialità e nel comunitarismo.
Articolo liberamente riproducibile nella sua integrità, ovvia la citazione della fonte.
Italo Calvino (1923-1985)
C’era una volta Lurisia.
Chissà come si chiamava veramente Lurisia: nessuno l’ha mai saputo.
Cappello da alpino in testa e una vecchia fisarmonica a tracolla, naso rubizzo, aquilino, Lurisia viveva praticamente sul treno Mondovì – Savona, andata e ritorno: pomeriggi, sere, notti…
Lurisia non era un viaggiatore, Lurisia era l’intrattenitore del treno “accelerato” Mondovì – Savona, il musico, il direttore degli improvvisati cori.
Le canzoni erano sempre le stesse, Lurisia pure – la stanca giacca grigio verde, forse una ex divisa – ma la voce squillava di scompartimento in scompartimento: «Non ti potrò scordaaareeee…piemontesina bellaaaa…» e la gente cantava, insieme a Lurisia, poi gli lasciava qualche spicciolo.
Primavere ed Estati, fino alla neve, era sempre su quel treno: talvolta tirava fuori una fiaschetta dal giubbotto e trincava un sorso di grappa, poi ricominciava «Ricordi quelle sereeeee…passate al Valentinoooooo…» E gli operai che tornavano dai turni alle Acciaierie del Tanaro, gli studenti che scendevano dall’Università verso i paesi della Langa, sapevano che – sicuro! – c’era Lurisia ad attenderli.
Così, chi scendeva a Lesegno lasciava il posto nel coro a qualcuno che saliva per scendere a Sale Langhe: tenori, baritoni e bassi improvvisati, mirabilmente diretti da Lurisia.
Poi, un giorno sparì: come tutti, come sempre. Però, quando si sale su quel treno ansimante, che s’aggrappa alle salite e punta i piedi nelle discese, l’anima di Lurisia è ancora là.
Mio figlio, che percorre quella tratta avanti e indietro, dal Conservatorio di Cuneo fin qui, nella Langa, ha ancora incontrato qualcuno che gli ha chiesto se conosceva Lurisia, se sapeva che fine avesse fatto.
Questo ha la tromba, quello la fisarmonica…sono della stessa razza – così ragiona la gente di Langa – e si chiedono perché questo ragazzo, invece di trascorrere il tempo a solfeggiare, non tiri fuori quella benedetta tromba e non dia la carica al treno, così da spronarlo e farlo volteggiare come un gheppio su per le curve della Langa, per fargli ritrovare il brio di un tempo, quando Savona arrivava presto, con Lurisia a scandire il tempo, sicuro nei gesti e negli accompagnamenti, cullato dal tran tran dei binari.
Poi c’era Gilera.
Era matto Gilera? Nessuno l’ha mai saputo. Eppure lavorò un’intera vita, “camallo” al porto di Savona. Eppure era sempre e solo Gilera, per tutti.
Perché Gilera – al secolo Vittorio – era entrato in quella maledetta galleria per Albissola nei giorni che la guerra moriva e le cariche poste dai tedeschi erano scoppiate: Vittorio era stato fortunato, mica come gli altri ragazzini dilaniati, ma era morto lo stesso. Era rinato come Gilera.
Appena sedicenne, già correva con una Gilera di quelle vecchie – “Otto Bulloni”, “Saturno”, “Giubileo”… – poi tutte, fino all’ultima “150” costruita dalla casa di Arcore. Anche Arcore ha generato qualcosa di buono, anche Arcore.
Lo ricordo con quella, l’ultima, mentre volteggiava come sulla cavallina in palestra: saliva coi piedi sulla sella, allargava le braccia sul traballante pavé di via Paleocapa, a Savona, e – miracolosamente – non cadeva mai.
All’apice della goduria – non riuscì mai a digerire che lo storico marchio fosse scomparso – lanciava il suo grido di guerra al mondo «E questaaaa…è una moto Gileraaaa…» Quelli che non erano di Savona e dintorni si voltavano e restavano a bocca aperta, nell’osservare quell’uomo già anziano volteggiare su una vecchia moto come un acrobata da circo. I savonesi non ci facevano caso: «U ghè Gilera» e passavano oltre.
Poi c’era Amoruso. Da Molfetta.
Tutti quelli di Molfetta navigavano. Quasi tutti quelli di Molfetta che navigavano erano timonieri. Buona parte di quelli di Molfetta che erano timonieri avevano fatto la guerra. Marina, ovviamente.
Amoruso l’aveva fatta sulle navi che trasportavano i rifornimenti in Africa, quelle che dovevano scampare alle bombe dei Liberator, alle cannonate della Forza K di Malta ed ai sommergibili ovunque. Amoruso da Molfetta, timoniere come tanti di Molfetta, era l’unico che aveva salvato la pelle dopo esser saltato per ben due volte sulle mine.
Così la guerra finisce e Amoruso continua a fare l’unica cosa che sa fare: timoniere sulle navi che fanno il cabotaggio. Solo che vede mine ovunque.
«Mina a babordo, mina a babordo, mina…mannaggia, santa la Madonna, minaaaaaa…» Di tronco, gavitello, materasso galleggiante…si trattava.
Amoruso, come timoniere, era insuperabile: “sentiva” la corrente passare, dalla pala del timone fino alla ruota, su in plancia. Accarezzava appena la ruota «Correggo due gradi a dritta…c’è corrente…»
L’ufficiale di guardia non diceva mai nulla: se Amoruso diceva di correggere due gradi a dritta, due gradi erano, all’Inferno la lossodromia e l’ortodromica, il radar, il radiofaro e tutti i marchingegni della plancia. Basta che non si metta a veder mine…
Di notte Amoruso pregava, perché non gli lasciavano accendere il faro a prua per scrutare il mare: la guerra è finita da vent’anni, Amoruso! Mine non ce ne stanno più, hai capito? Le hanno dragate, fatte saltare quelli della Marina, hai capito? Non si sente più parlare di una mina da anni!
Eh, signor comandante, non si sa mai: quelle ci stanno, ci stanno ancora…
Basta – anche il comandante aveva gettato la spugna – inutile toccare quel tasto con Amoruso: tempo perso.
Così la pensa anche Leonardo, giovanissimo terzo ufficiale uscito dall’Istituto Nautico di Camogli: famiglia di camuggìn, gente che le ha viste tutte, dall’Artico all’Antartico. Proprio lui, Leonardo, ha ancora avuto l’onore di sentir raccontare proprio dalla voce del comandante Oneto, il secondo dell’Andrea Doria, l’agonia di quel levriero del mare.
Quel giorno, a Leonardo tocca il quarto che finisce a mezzogiorno, quando il comandante salirà in plancia e si ritroveranno tutti gli ufficiali della nave, come da tradizione.
Manca ancora mezzora a mezzodì quando Amoruso sbotta: «Mina a babordo, mina a babordo, mina…mannaggia, santa la Madonna, minaaaaaa…»
Eccola, non poteva mancare la mina della settimana – pensa Leonrado, classe 1947 – erano già cinque giorni che non ne vedeva una…
«Mina a babordo, mina a babordo, mina…mannaggia, santa la Madonna, minaaaaaa…» ripete Amoroso. Leonardo esce senza fretta sull’aletta di plancia – deve farlo, è il regolamento – con calma toglie i tappi al binocolo, lo porta agli occhi, mette a fuoco…
E’ lì, vicinissima, poche braccia a babordo dalla loro rotta: nera, grande, enorme, minacciosa, assassina… – Leonardo non ne aveva mai vista una – e rimane paralizzato. Per un attimo, poi quasi “placca” il telegrafo di macchina «Ferma la macchina, timone tutto a tribordo, ferma la macchina…no, non basta, a costo di rischiare albero e cuscinetti fracassati…macchinaaaaaa, indietro tuttaaaaa, indietro tuttaaaaaa….»
Quel giorno del 1972, fra Livorno e la Meloria, Amoruso da Molfetta probabilmente incocciò nell’ultima mina della Regia Marina ancora in servizio. La nave si salvò, per poche braccia, per miracolo.
Poi c’era Ramon.
Ovvio che Ramon non era italiano. Era argentino. Da dove poteva venire Ramon, se non dal circo? E cosa poteva fare un argentino, in un circo? Cavalli.
E quando il circo chiude? Quando la TV irrompe e si gettano i nasi da clown, i tricicli, le maschere…
I pony no, quelli al macello Ramon non li vuol vedere: no, quei dolci cavallini, che tanti visi di bambini hanno fatto sorridere, non devono finire sul banco di una macelleria.
Allora Ramon trova qualche soldo, raccoglie i risparmi, fa qualche debito e li compra. Il circo ha “rotto le righe” a Savona, e Ramon non ci pensa nemmeno a cambiare città…no, lì va benissimo.
Ci sono dei bambini? C’è un parco? E allora, dov’è il problema?
Affitta per quattro soldi un magazzino sotto le arcate di un ponte ferroviario, ci porta la paglia, il legno per la mangiatoia. Corregge, finimenti, catene, acqua, fieno, coperte…poi, chissà dove, scova un vecchio calesse e lo fa diventare un tiro a quattro, mentre i pony più docili portano la sella per i bambini più avventurosi, quelli che vogliono per un attimo sentirsi cow-boy.
Così per anni, per decenni: tutti i savonesi che hanno meno di 40 anni sono saliti sui cavallini di Ramon: mille lire, sconto per i fratelli e le sorelle al seguito. Per i genitori, negli anni, saltarono fuori anche delle vecchie panche di legno, così le nonne aspettavano sedute, che fanno male i piedi ad aspettare in piedi.
Gli anni passano, ed un giorno – visto che avrei il posto per accudirlo – mi salta per la mente di comprare un cavallo: a chi chiedere consiglio? A Ramon, ovvio.
Mi squadra, m’attraversa con lo sguardo, soppesa i miei sentimenti e palpeggia la mia anima traversandomi gli occhi. Poi, parla.
«Cavallo non è facile da tenere, no, non è facile. Sempre devi tenere sott’occhio cavallo: fare giretto la mattina, ma se c’è umido…guarda pelo di cavallo: se vedi come nebbia sul pelo subito asciuga, poi coperta, subito coperta, altrimenti cavallo ha freddo, malato…»
Osservo i pony: non sono né grassi e né magri, nemmeno quelli più anziani, che oramai li porta soltanto per farli vedere e non li lascia montare. Nella piccola stalla c’è un ordine certosino: pare quasi che i fili di paglia, sul pavimento, abbiano scelto da soli il giusto intreccio, l’armonia di un tappeto persiano. Di paglia.
Allora capisco che ci sono delle cose per le quali bisogna nascere, non inventarsi d’essere. Per cortesia rimango ad ascoltarlo, ma dentro di me la decisione è presa: più di un Guzzino, non saprei accudire.
Così m’allontano: i figli sono oramai grandi e non chiedono più d’andare da Ramon, perché altrimenti gli amici li prenderebbero in giro. Ma, se potessero…
Tanti anni dopo ripasso dai giardini sul mare e non ci sono più le panche, sparita la locandina che pareva uno squarcio di pampa, nemmeno l’ombra di Ramon. Se n’è andato anche lui, insieme a Lurisia e la sua fisarmonica, Gilera e la sua moto, Amoruso, le mine, i pony…l’Italia che non c’è più. Che bella che era.
Auguri di Buone Feste a tutti e, in particolar modo, a quelli che credono negli alti principi della nostra Costituzione, nell’empatia fra esseri umani che rispetta le diversità e le scioglie nella positiva socialità e nel comunitarismo.
Articolo liberamente riproducibile nella sua integrità, ovvia la citazione della fonte.
Grazie amico nella Costituzione.
RispondiEliminaHai dimostrato che il tempo, come grandezza fisica, è bidirezionale.
Doc
Caro Carlo,
RispondiEliminaTanti auguri anche a te ed alla tua famiglia.
René.
bellissima immagine di un'Italia che ho solo nei miei ricordi di bambino, e che ora, trentenne, mi manca tanto.
RispondiEliminaV.
Grazie di cuore, amici: anche se non sono cristiano, accetto con onore gli alti valori di quel credo.
RispondiEliminaPiù volte ho confessato di voler smettere di scrivere: non è proprio così, perché se ti "viene" da scrivere scrivi, mica puoi negartelo.
Una riflessione, invece, mi prende da tempo.
Nella bibliografia italiana ci sono moltissime opere di pregio inerenti alla saggistica. Pensiamo alle collezioni di Laterza, Liguori, Il Mulino, ecc, vere "pietre miliari" per gli storici. Rappresentano la nostra storiografia.
Senza nulla togliere a quei lavori (io ne conservo parecchi, e li consulto spesso), nessuno o pochi ne parlano o li citano.
O, almeno, sembrano non lasciare traccia.
Invece, Pavese, i Levi, Guareschi, Pasolini, Calvino...e tanti altri, rappresentano la linfa della nostra cultura. Il nostro "sentire" il tempo. Come i cantautori.
A ciò potremmo aggiungere che un'opera che non si sa nemmeno da chi, come e se fu scritta (i poemi omerici) hanno catalizzato la fantasia di milioni, forse miliardi di persone. E gli esempi potrebbero continuare con tanti altri autori.
Dunque: "spiegare" o "narrare"?
Questo è il problema, direbbe un principe di Elsinore.
Grazie a tutti
Carlo
Auguri anche a te Carlo e a tutti coloro che frequentano questo bolg dai quali ho avuto l' opportunità di ascoltare ed apprendere tante cose, dai quali ho potuto apprezzare le diversità e dai quali ho saputo imparare ad accettare la diversità di pensiero merce ormai rara in un paese dove esprimersi diventa sempre più difficile e dove relazionarsi sembra essere impossibile.Grazie di cuore Carlo per le parole che sai esprimere ti prego di continuare a lasciarne sempre qualcuna per noi.Oggi mi sento di fare un augurio a tutti anche a quelli come il nostro presidente del consiglio che con la finzione ha saputo creare un personaggio senza il quale non avrei mai capito cosa vuol dire la parola ipocrisia nella politica dove oramai i concetti e i modi si sono uniformati, l' augurio è che tramite queste persone si possa finalmente tornare a distinguere cosa sia il bene e il male, cosa voglia dire e quanto sia necessario capire l' altro e fare qualcosa per lui Buon Natale a tutti!!
RispondiEliminaPs: Un mio piccolo desiderio: Sarebbe bello incontrarci fuori di qui ciao!
Il mio paradigma definente la qualità della vita si basa sulla qualità dell'insieme delle relazioni che riesco ad avere.
RispondiEliminaUn tempo ero per pochissimi colori, anzi due: il rosso e nero
un tempo ritenevo di essere l'unico artefice della mia scelta
un tempo ritenevo che la logica fosse la "chiave" della vita
un tempo ritenevo talmente necessario da diventare banale chiedere una giustizia sociale
un tempo ascoltavo i "cunti" intorno al camino carico di "fuoco" e ne partecipavo come fossero vita
un tempo ascoltavo i canti delle donne dietro ai mietitori; che contenevano gioia
un tempo pensavo che tutto ciò che accadeva avesse una trama preordinata, normalmente naturale e che questa fosse "normalmente giusta" e da accettare come l'unica possibile
un tempo la diversità di condizione sociale, culturale, religiosa e politica la vivevo come "inevitabile", meglio ineluttabile
e all'interno di tutto questo personaggi del popolo: guerrieri per il popolo (=braccianti, contadini poveri e qualche operaio); poeti/contastorie ; comici e ridanciani delle proprie disgrazie. E poi ci stavano anche gli altri, quelli del potere: il parroco (per il certificato di buona condotta per l'emigrazione), il collocatore comunale (per pregarlo di dargli i 15 gg di alvoro ingaggiato che lo facevano entrare almeno negli elenchi degli occasionali), il daziere (il timbro per il maiale in cambio di "prodotti")
E poi le prime lotte, l'occupazione delle terre e...
e poi ..la mia vita, che sì è totalmente mia, ma che ha avuto sempre come caratteristica principale una buona capacità di ascolto degli altri: è stato ed è un modo per dare qualità all'insieme delle mie relazioni.
Insomma per dirla tutta: il triangolo famiglia-lavoro-casa non e' stato mai esaustivo nel mio cammino, ho sempre avuto bisogno di occuparmi anche di altro..
Per coloro che credono (io sono, mi sento un agnostico: alla Russell) penso che e' giunto il momento che riscoprino il valore rivoluzionario della vita del Christo (la mai clasifica vede prima Christo e subito dopo Marx... : "ama il prossimo tuo come te stesso e poi fa quello che vuoi" può essere considerato equivalente a " a ciascuno il suo secondo i propri bisogni" dell'umanista Marx)
Buona Giornata
Doc
Parli di un'Italia che manca anche a me, pur avendone solo qualche vago ricordo di bambino, perché a metà anni '70, quando andava estinguendosi, iniziavo le elementari.
RispondiEliminaEppure l'essere umano in fondo è sempre uguale, la capacità di sognare o quella di dare solidarietà non è che "non nasca più", è che ce la vogliono togliere a tutti i costi, salvo riesumarla quando accade qualche catastrofe. Ed in effetti in casi eccezionali riemerge, per fortuna. Però stiamo perdendo (o abbiamo già quasi perso, parlando in generale) la capacità di vedere la piccola disgrazia, il piccolo dramma magari dall'altra parte di un pianerottolo o due case più in là.
Di sogni, ma anche di opportunità concrete, ce ne stanno togliendo anche ora. Credo sia inutile andare a riportare proprio a te ciò che stiamo lasciando perdere in campo energetico, tanto per fare un esempio...
Il tempo ce lo portano via di certo. 25-30 anni fa ci saranno stati meno beni materiali ma forse erano distribuiti meglio. Mio padre, con un lavoro confrontabile col mio (a parte che lui era nel privato), non poteva certo permettersi sprechi ma non aveva bisogno di "arrotondare" e mia madre, contenta di fare la madre, poteva stare ad occuparsi dei figli. Stasera andrò a fare un secondo mezzo lavoro e mia figlia mi vedrà tornare abbastanza stanco e poco disposto a prestarle attenzione, fortuna che due o tre volte a settimana posso recuperare. Non lo faccio per andare in vacanza alle Maldive, gli stipendi che girano nella scuola li sai meglio di me e nel privato è ormai anche peggio, quasi sempre.
Fossi almeno uno dei derelitti della Terra... Invece sto sicuramente meglio rispetto ad almeno un 85% della popolazione mondiale. Tra l'altro ho il tempo e la possibilità di scrivere questo intervento. Non è per parlare di me, è per fare un esempio di dove stiamo andando.
Vabbè, tra 3 giorni è Natale, per un po' allontaneremo i pensieri cattivi... Ma sono fortunato, mi vengono di più a Natale che nel resto dell'anno. Buona giornata a tutti.
Carissimi, a volte lasciarsi prendere dai ricordi è così dolce e rilassante. Essi ti cullano, lentamente, senza fretta, e i lontani accadimenti della propria vita, prima celati in qualche recondito angolo dell'animo, riappaiono. E le antiche sensazioni si riaccendono più forti di allora, temprate dal tempo trascorso.
RispondiEliminaPerò... però anche se le feste sono vicine e tutti dobbiamo essere più buoni, vorrei ricordare che là fuori succedono cose strane. Del tipo (la prendo un pò larga):
a scuola "a noi tutti", da piccoli, ci insegnano che siamo tutti uguali, di non fare agli altri.... etc...; poi, sempre a scuola e "a noi tutti", un pò più cresciuti, ci insegnano che la nostra società si fonda sui principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, che ogni uomo ha dei suoi diritti individuali, che abbiamo una Costituzione e via di questo passo.
Molto bello, senza dubbio.
Poi, ad alcuni e non più "a tutti noi" incominciano a dire che "però....", "in certi casi..." "c'è il mercato.." e anche il mercato (non quello sotto casa eh, ma proprio il sistema economico) ha le sue regole, non è che siamo proprio tutti uguali, etc.
E' così arrivano personaggi che scrivono una Costituzione Europea "monstre" (448 articoli!! e mo' chi se li legge...). E invece francesi e olandesi se la sono letta e al referendum hanno votato no. Evidentemente avevano fiutato qualcosa di strano. Allora i grandi burocrati al soldo del Mercato non si arrendono e te la ripropongono, praticamente immutata, sotto forma di trattato lisbonico, così stavolta non c'è più l'ostacolo dei referendum nazionali. Et voilà, les jeux sont faits. Un bel parlamentone di 750 membri, unico organo eletto dal popolo con compiti di controllo (?!), per il resto fanno tutto tra di loro, consiglio commissione, etc. E la BCE se la gode cantandosela e suonadosela da sola alle nostre spalle....
Mica gliela vogliamo far passare liscia?
Comunque, ora devo andare a scrivere le letterina a S.B. per i figlioletti, altrimenti chi glielo dice poi ai miei piccoli consumatori in erba che S.B. ha saltato il giro nel nostro camino per una mia dimenticanza? (S.B. stà per Santo Babbonatale, che avete pensato, eh?)
Accidenti! La vita insegna tante cose. Non mi ero mai reso conto di quanto i cuccioli di uomo siano propensi a consumare in maniera stoica senza se e senza ma. Imparano suuubito!! E' dura rieducarli.
Buone feste a Carlo e tutti voi.
Alex
Non so se servirà a qualcosa, però ricordarci di quell'Italia che non solo "tollerava", bensì accettava la diversità, è un sacrosanto ricordo.
RispondiEliminaMagari servirà a pochi, ma a quei pochi farà scattare qualche domanda, e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno!
Da un po' di tempo sono pessimista: è difficile uscire dal budello nel quale ci hanno cacciati negli ultimi 30 anni, e non so proprio come ne usciremo.
Come ritornare alla gioia di vivere perduta? Oggi, anche i giovani - magari è meno evidente - sono tristi, non hanno più quella sincera voglia di divertirsi, magari con poco, con la partita al campetto, il torneo di ping pong.
Temo che per riavere dovremo perdere, perdere molto, e solo la catarsi può liberarci dal guscio che ci hanno imposto ed al quale noi stessi abbiamo acconsentito.
Solo che, di catarsi a costo zero, non ne conosco.
Ciao a tutti
Carlo
Carlo ti faccio gli auguri di Natale a te e famiglia. Una catarsi italiana a mio parere è impossibile, per vari motivi, il principale è che ancora non siamo all'8 settembre. Il potere costituito non si è dissolto come allora e il capo è ben deciso a rimanere in sella con tutti i mezzi, (spero si possa ancora dire senza essere tacciati di istigazione alla violenza), gli italiani anche se sentono i morsi della crisi, quella vera, non quella finanziaria (disoccupazione, stipendi bassi ecc) sono fedeli al loro capo e gli tributano onori e fedeltà. Siamo al gennaio 1925, non a settembre 1943.
RispondiEliminaCiao
Orazio
L'amore per l'Umanità, è una necessità necessario e sufficiente per salvare il pianeta Terra.
RispondiEliminaLo diventa ancora di più dal punto di vista strettamente economico.
Oggi si consumano tutte le risorse annuali della Terra nei primi 10 mesi dell'anno;
ma lo sviluppo ha bisogno di creare sottosviluppo compatibile ed oggi questo già non esiste più;
le tiritere televise si disvelano per quelle che sono: delle balle colossali!
quelle di tremonti sono in esaurimento;
in Italia il berlusconismo è costretto alla manipolazione dell'amore
negli Usa la grande riforma è sempre piu' simile ad un topolino da laboratorio e la politica di Obama somiglia sempre di più alla solita buona politica amerikana.
Infine , cosa fondamentale, l'Amore e' una speranza plausibile per la quale vale la pena spendersi.
Buona giornata e buona speranza a tutti
Doc
Diciamo che i vostri commenti - Orazio e doc - rappresentano il "breve" ed il "lungo" periodo.
RispondiEliminaNon siamo al '43 - è vero - ma nel '25 non c'era un ministro delle finanze che doveva andare ad elemosinare a Pechino (o altrove) per "piazzare" i titoli del debito pubblico. Tremonti è veramente alla frutta.
Di più: fanno colossali promesse di denari per chi accetterà le centrali nucleari, e soldi non ce ne sono.
Questi sono i limiti e gli scogli del breve periodo. Nel lungo periodo dovremo certo fare i conti con la nostra dissolutezza, col dissennato sperpero di tutto che, a ben vedere, è la ragione della nostra infelicità, giacché chi desidera ogni giorno di più è destinato all'infelicità.
La catarsi?
Non guardiamo alla Storia come ad una canzone che si ripete solo un tono più alta: non sappiamo cosa avverrà domani.
Di certo, stiamo "vivendo pericolosamente" e, quando si corre troppo, i pericoli di schianto aumentano. E' pura statistica.
Ciao e...non mangiate troppo, che non serve!
Carlo
Buon Natale, buon Santo Natale a tutti.
RispondiEliminaBellissime immagini, bellissime persone, bellissima vita, descritta in modo molto elegante, direi in punta di penna.
anc'io ho ricordi simili, di persone simili, di 2diversi" amati e mai dimenticati dalla gente:
-uno si chiamava "Gervasi", il suo nome vero non me lo ricordo, al momento, e me ne scuso con lui che, da lassù a noi -tutti- montanari, ci guarda...
Gervasi, con i suoi cani randagi almeno quanto lui, è l'esatta iconografia del giramondo, di una vita dedita al viaggio esteriore ma sopratutto interiore, di un'anima mai placa, mai ferma, sempre sospesa fra un passo ed un'altro, viva solo nel movimento e nella ricerca di nuovi orrizzonti...quando tornava al paesello, dopo mesi o anni passati da girovago nelle mani della più assoluta provvidenza...incuteva una paura sana e curiosa, con il suo ampio cappello, il suo bastone, i suoi cani 'feroci' perché mai addomesticati...si sedeva sulla scalinata, di sbieco, e raccontava i suoi viaggi, le persone i luoghi...come descrivev le situazioni lui, la sua "fotografia" delle cose e delle persone...ci metteva molto più dei 16 milioni di colori del desktp di windows...
Qualcuno ha scritto ul libro sulla sua storia...ma averlo conosciuto era tutta un'altra cosa.
-La "Badoglia" il cui nome non ho mai saputo...era la compagna di viaggio di Gervasi, la sua alter ego femminile, anche se lei era molto schiva e non raccontava mai, viveva come una barbona a differenza di lui che sembrava un nobile armeno...ma aveva una dolcezza unica e ormai anziana, passava le giornate facendo 'ricicalggio' di "spazzatura" era sempre sommersa di decine sdi sacchettini pieni di "roba"...era la compagna per i 2 km di cammino da casa mia al paese...
Qualcuno (mio padre) ha messo in un libro anche un racconto su di lei...ma non è -aconra- la stessa cosa...
Grazie Carlone, grazie ancora.
RA
A volte mi chiedo, Roberto, quando ci avranno ben ben "globalizzati", rifiniti tutti con lima e spazzola dopo esser passati nello stampino, cosa rimarrà?
RispondiEliminaUn mondo di fotocopie erranti.
A quel punto, il suicidio di massa sarà inevitabile.
Ciao e auguri
Carlo
Carlo, permettimi, prima di Natale, di dirti che hai commesso un errore. infatti chi ci governa oggi è più in sella che mai perchè ha incassato il pizzo dello scudo fiscale sui patrimoni rientrati e quindi ha le casse piene e può permettersi di fare promesse sulle centrali nucleari e altro. Gli italidioti saranno, forse un po' più ricchi, ma sicuramente malati di cancro.Il nano ha il baricentro basso e quindi sta benissimo in sella, noi stiamo e staremo male.
RispondiEliminaCiao
Orazio
Lo scudo è poca cosa, credimi, con i proventi dello scudo non ci fai nemmeno mezza centrale.
RispondiEliminaComunque, a me la cosa costerà un caffé, e - se mi toccherà pagarlo -anni di sciagure a tutti!
Comunque, le Idi di Marzo non sono mai state fauste per i condukator.
Ciao
Carlo
La biada di questa finanziaria è costituita da due filoni entrambi sabbiosi:
RispondiElimina-quello dello scudo (che risate per gli evasori cronici, per i produttori della gomorra italica!!!)
-quello del prestito "forzato" (quindi debito) dell'inps al creativo 3monti
E all'orizzonte nulla di buono per l'Italia: alcuni bubboni devono ancora scoppiare, altri, già scoppiati, produrranno effetti a breve e medio termine
Dal lato della moralita pubblica poi si è avuto un acccumulo, anzi un surplus aggiuntivo ( e' in arrivo il gemello per salvare tutti gli altri): l'opposizione del segreto di stato (inciucio pd/pdl del 2007) per salvare Pollari( molto stimato da d'alema!!) e Co.
Infine un mio caro, vecchio e speciale amico,Rocco, soleva sempre dirmi:
Donato devi sperare , sempre; ricordati che quando sembra che tutte le porte sono chiuse e' allora che arriva sempre la luce...
E' stata una grande perdita per me ma aveva ragione: le mie esperienze ne sono una testimonianza a cui potete credere sulla (mia)parola
Ancora buona Speranza a tutti
Doc
Eh - Donato - la speranza è la "benzina" che tutti utilizziamo, ogni giorno, prelevandola dal proprio serbatoio, perché quello dello Stato...come ben ricordi, truffe e nient'altro.
RispondiEliminaChiediamoci, però: a che punto sta la lancetta del serbatoio?
Ciao
Carlo