Nave Gru Saipem 7000 di ENI, la più grande al mondo |
Mentre tutti s’accapigliano per comprendere dove il M5S ha sbagliato, oppure è stato carente, c’è un settore dove sono stati completamente assenti e mi spiace doverlo rilevare, senza nessuna scusante.
E’ il settore dell’energia, per il quale i 5S sono stati presenti, in entrambi i governi, con loro rappresentanti nel posto chiave, ossia il Sottosegretariato per l’Energia annesso al Ministero dell’Economia nel quale prima c’era Davide Crippa ed oggi Stefano Buffagni.
E pensare che il settore dell’Energia è sempre stato uno dei cavalli di battaglia del movimento, sin da quando Grillo sbeffeggiava le procedure di sicurezza della centrale di Caorso o mostrava, sul palco, un’automobile ad Idrogeno dal cui tubo di scappamento usciva limpidissima acqua. Oggi, sembrano aver perduto la strada.
C’è da dire che la situazione italiana è molto strana: siamo un Paese che non ha importanti risorse fossili, però abbiamo notevoli risorse rinnovabili, basti pensare al “ventaglio” d’acqua che scende dalle Alpi, da Ventimiglia a Trieste. E che fece sbottare, con gran meraviglia, Jeremy Rifkin quando venne in Italia (si sa, gli statunitensi, in quanto a Geografia…beh…). Giunto a Milano, domandò che montagne erano quelle che si scorgevano in lontananza. Ricevute le adeguate spiegazioni, ribatté sorpreso: “Ma voi, avete problemi d’energia?”. E non aveva torto.
Nel periodo fra le due guerre mondiali si costruirono parecchie dighe per l’idroelettrico: forse per la scarsità di mezzi (che, spesso, erano solo dei terrapieni), forse perché erano aziende private senza adeguati controlli, s’ebbero diverse disgrazie, inondazioni, alluvioni con molti morti. Nel dopoguerra il settore energia venne praticamente nazionalizzato, l’ENEL costruì ottime dighe (compreso il Vajont, che tuttora è in piedi, lì si trattò di un imponente smottamento) costruite in alta montagna che furono per molti anni la spina dorsale del settore elettrico nazionale e che oggi – siccome il cemento non è eterno – dovrebbero essere attentamente verificate, per non finire come il ponte Morandi.
Ovviamente, in quegli anni s’aveva fretta: così si costruirono bacini a livelli molto alti, per sfruttare le alte cadute (turbine Pelton). Le medie cadute…beh…non erano redditizie…il petrolio costava poco…il carbone ancora meno…
Ma il genio italico è veramente sorprendente.
Con il salire dei prezzi dell’energia, anche le cadute minori (turbine Kaplan e Francis) sono diventate interessanti ed è stupefacente notare come piccole o medie aziende (tutte italiane!) forniscano dei “kit” completi per gli impianti idroelettrici: dalla parte burocratica alla realizzazione, chiavi in mano. Ammortamento intorno ai 5-10 anni con durata dell’impianto per 40-50 e scarsa manutenzione. Chi sono i clienti? Privati, amministrazioni, a volte (rare) lo stesso Stato: parliamo di potenze che da decine di KW salgono fino a centinaia di MW.
Un tempo, era l’ENEA a compiere rilevamenti sulle possibili fonti d’energia poi, si spense la luce: negli anni ’90 vi fu ancora una rilevazione di circa 1.000 MW (come una grande centrale nucleare) solo nelle aree d’importanza idroelettrica vicine a luoghi abitati, e quindi facili da impiantare. In alcuni casi, si trattava semplicemente di riattare impianti già utilizzati nella prima metà del Novecento. Poi si scatenò il ventennio Berlusconi-Prodi e calò il sipario.
Subito dopo la guerra, però, siccome eravamo stati “bravi” ad arrenderci per tempo, godemmo di un trattamento di favore (a differenza di Germania e Giappone) e ci fu concesso d’avere una compagnia petrolifera nazionale – oggi l’ENI – che nacque sfruttando lo scarso metano della valle Padana: subito dopo, però, “sbarcammo” in Libia ed iniziammo il lungo percorso che ha condotto l’ENI a diventare una dei principali colossi mondiali.
Ora, bisogna fare alcune precisazioni.
Se un Paese è produttore di petrolio, lo vende e crea un Ministero per il Petrolio. Se invece un Paese è importatore di materie prime energetiche (Italia) deve creare un ministero per l’approvvigionamento energetico, oppure avere delle figure politiche che si occupino del problema di far arrivare ogni giorno la benzina ai distributori. Non c’è niente di male che se ne occupi un Sottosegretario, ma anche nei precedenti governi ciò avveniva, soltanto che il vero Ministero per l’Energia italiano si chiama ENI e di pubblico c’è ben poco, salvo la golden share del ministero dell’Economia che controlla la società, una joint venture pubblico-privato quotata in Borsa. Le rinnovabili fanno capo al Ministero per l’Ambiente, ma con scarsi risultati: non sarebbe meglio avere un ministero pubblico per l’Energia, come controparte verso il settore di produzione?
Ora, non è mia intenzione scagliarmi contro l’ENI perché non ce ne sarebbe ragione: è una grande compagnia italiana, all’avanguardia soprattutto nei sistemi di ricerca e perforazione, s’è appena aggiudicata lo sfruttamento del più grande giacimento mondiale del Mediterraneo e non si capisce proprio perché dovrei scagliarmi contro questa grande azienda che produce utili ed occupazione.
Ci sono delle questioni di tangenti – è vero – ma il mondo del petrolio non è la San Vincenzo, questo bisogna capirlo: inoltre l’ENI, un paio di decenni or sono, s’accanì (insieme all’ENEL) contro il sistema delle rinnovabili, ma oggi molto è cambiato, in tutti i sensi.
A scagliarsi contro le rinnovabili non sono più decine di giornalisti (a libro paga? probabile, ma non ho le prove), non si spertica più nessun docente universitario: che il mondo del futuro sarà un mondo elettrico l’hanno capito tutti. Resta qualche sito di “nostalgici” del motore a benzina e del treno a vapore…ma che volete…lasciamoli pure dire…l’importante è comprendere che un terzo dell’energia elettrica che oggi adoperiamo è già d’origine rinnovabile, e il bello della faccenda è che se ne sono accorti anche ENEL ed ENI.
Nel 2018 il fabbisogno totale energetico italiano è stato del 18,1% coperto da fonti rinnovabili (sul totale energetico di tutti i settori: elettrico, trasporti, industria, ecc) e, in particolare, del 34,4% del settore elettrico. (1)
Come ben saprete, l’UE ha posto come obiettivo per il 2050 il raggiungimento del 50% di produzione rinnovabile, che è ancora lontano. Ma, oggi, ha messo in campo un mare di soldi per farlo: e sono impianti che iniziano a rendere il giorno dopo che sono installati, che non sono spese “a debito”, perché s’ammortizzano in pochi anni. Sono, anzi, spese “a credito”.
Il primo obiettivo da abbattere è senz’altro la generazione da carbone, che è il più inquinante per l’atmosfera, in quanto non solo generatore di Co2 bensì anche d’ossidi d’azoto ed anidridi solforose, ben più pericolose della semplice CO2.
Non voglio ritornare sul problema del riscaldamento globale: la scienza ha dimostrato che la molecola di CO2 riflette, verso terra, la radiazione infrarossa che “rimbalza” sulla Terra dopo il percorso dal Sole. E’ stato ampiamente dimostrato con precise sperimentazioni di laboratorio, sulle quali non intendo tornare: anzi, altre molecole riflettono ancor più la radiazione infrarossa, ad esempio una molecola di Metano riflette 18 volte la quantità d’infrarossi rispetto ad una molecola d’anidride carbonica.
Perciò, non intendo ritornare sulle solite mene complottiste che menano il can per l’aia – fa più freddo, fa più caldo, c’è meno aumento dei mari, c’è più aumento dei mari, c’è più ghiaccio, c’è meno ghiaccio, ecc – e chi non ha ben chiara la differenza fra meteorologia e clima vada a scassare i cosiddetti da altre parti dove sarà sen’altro più ascoltato, raggranellerà più “mi piace” o commenti, così dormirà più contento.
Nel più muto silenzio dei nostri sottosegretari, però, si sta almanaccando un contorto meccanismo mentale per continuare a bruciare combustibili fossili pompando la CO2 sottoterra. E dove?
Sotto il mare Adriatico e la pianura Padana: non è uno scherzo e nemmeno una bufala.
La vicenda iniziò molti anni fa all’interno dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), vicenda che non voglio rinvangare perché sono storie del 2007 (2), se non per dirvi che il leitmotiv era chiaro: se riusciamo ad “infilare” la CO2 nel sottosuolo, dove c’era (probabilmente) un tempo il metano già estratto, magari ne possiamo trovare dell’altro e ci facciamo belli. Come sono bravi! Ci liberano della cattiva CO2!
Ora, immettere da un serbatoio della CO2 nel sottosuolo non è difficile né pericoloso: l’anidride carbonica è un gas inerte. Il vero problema è dove trovarla, perché nell’aria è presente all’incirca intorno alle 600 ppm (parti per milione), dove ci fa il bello scherzo di trattenere la radiazione infrarossa, ma separarla dall’aria non è facile ed è costoso. Questo processo viene eseguito in rari casi per riempire le bombole di CO2 per scopi tecnici (saldatura, ecc) oppure, in Olanda, ne immettono un po’ sotto le serre per accelerare la crescita delle piante ma…qualcuno ha fatto il calcolo di quanto costerebbe estrarne dall’aria milioni di tonnellate? Perché se ne estrai solo qualche tonnellata il gioco non vale la candela. (3)
Eppure, il progetto va avanti, senza considerare i costi. Greenpeace s’è mostrata contraria a queste scelte, per un motivo che è semplicissimo da capire: perché devo spendere del denaro per acchiappare della CO2 e farla sparire sotterra, mentre più semplicemente posso costruire dei sistemi (eolici, solari, idroelettrici, geotermici, a biomasse) che producono energia senza far aumentare il tasso del gas in atmosfera?
Insomma, invece di macinarci il cervello cercando il mezzo per farla sparire, non sarebbe più semplice non produrla? Per quella che già c’è, ci pensano i vegetali a consumarla.
Ma qui c’è il terzo incomodo.
Maledizione avere una barca a vela, maledizione andar per l’Adriatico, maledizione andar per bettole e scovare gente che ha voglia di chiacchierare, maledizione guardarsi attorno anche quando si è a terra, maledizione saper ragionare. La più grossa, senz’altro.
Perché se prendete il largo dal delta del Po verso la Croazia, vi apparirà una selva. Questo è matto da legare: oh, Bertani, siamo in mare!
Aspettate…una selva di isole galleggianti, piattaforme petrolifere, anzi, gasiere.
Appena sotto l’orizzonte da terra, c’è una lunga sfilza che inizia appena sotto Venezia e termina poco prima del Conero: è il sistema del Metano, il sistema che garantisce l’approvvigionamento di Metano all’Italia. Discreto, quasi nascosto.
Sono senz’altro più di una ventina: un tempo estraevano Metano ma, accortisi che il livello della superficie sotto il mare s’approfondiva, hanno smesso. In buona sostanza, la pianura Padana sta “su” perché sotto c’è pressione di gas che la sorregge: se n’era già accorto Enrico Mattei, che smise le perforazioni nella zona di Cortemaggiore perché la pianura Padana rischiava di finire sotto il mare.
Allora, per non abbandonarle al loro destino, le adoperano come terminal: la nave giunge da chissà dove, carica di Metano liquido a bassissime temperature, poi lo rilascia nel metanodotto che va a terra. E va bene, ci serve del Metano e lo compriamo.
Già che ci siamo, però, visto che ci passa proprio sui piedi…costruiamo qualche modesta centrale termoelettrica a terra, per generare energia elettrica con Metano appena sbarcato, a basso costo: ce ne sono circa 25, da Chioggia a Ravenna ed oltre.
Bisogna però fare qualcosa con ‘sti rompi..glioni degli ambientalisti…ci sono questi qua dell’INGV che da vent’anni soffiano sul fuoco: vogliono mettere la CO2 sotto terra…se funziona, fosse anche poca roba va bene, tanto per dire che facciamo qualcosa…altrimenti questi, in mare, ci piazzano le pale eoliche sulle piattaforme!
Ed ecco, pronto all’uso, il progetto per il primo “campo” di generatori eolici in mare italiano: di fronte a Rimini! Tranquilli, appena sotto l’orizzonte, così Sgarbi non vede nulla e, dal suo cesso, non ci lancia improperi.
Chi ha avuto l’idea di piazzare degli aerogeneratori di fronte a Rimini è un po’ analfabeta…non sa leggere!
Si veda quello che prevede l’Atlante Eolico italiano (4) per quelle aree: c’è troppo poco vento! Non sarebbe economico farlo lì!
Le uniche aree italiane di mare degne di nota sono la Sardegna sud-occidentale, la Sicilia occidentale e le aree ad est del Molise e della Puglia settentrionale. Stop.
Veniamo a noi: quali sono gli investimenti per l’eolico off-shore (in mare) di Germania e Gran Bretagna?
D’accordo: loro godono di venti molto forti e costanti, ma anche noi nelle zone che prima ho indicato troviamo venti generosi e costanti.
La Gran Bretagna ha varato un piano poliennale da 41 miliardi di sterline, mentre la Germania prevede 31 miliardi di euro.
Non preoccupatevi per problemi tecnici: i pali sono galleggiati ed ancorati con tre ancore anche su alti fondali. Oggi, le potenze variano fra i 6 ed i 9 megawatt per torre e impianti di questo genere forniscono numeri ben diversi da quelli da 1-3 megawatt che ci sono a terra e che impressionano Sgarbi: sono numeri che cambiano le percentuali della produzione energetica, che nessuno vedrà mai da terra e che l’ENI stessa potrebbe già oggi cooperare ad installare grazie alla Saipem 7000, la più grande gru galleggiante del mondo. Con buona pace di vuole sotterrare la CO2 sotto terra.
Se volessimo impiantare – finalmente – il sistema termodinamico di Carlo Rubbia abbiamo un luogo perfetto dove installare i pannelli: le autostrade! Coprendo le autostrade, si viaggia al fresco, si risparmia sui condizionatori e si genere energia! E’ un po’ troppo per i sottosegretari? Non saprei.
Quello che vi sto raccontando è che, per non finire sempre in tangenti od in mafie all’arrembaggio, deve esistere una struttura di controllo: un ministero pubblico per l’Energia può andar bene?
Così va il mondo e vanno le cose: l’ENI, che solo vent’anni fa vedeva l’eolico come il fumo negli occhi, oggi ha varato la più grande nave-gru del mondo e la sta usando per impiantare in mare aerogeneratori al largo della Scozia.
Molti sono oramai convinti che il M5S sia un partito finito: probabilmente lo affermano più per paura, ossia per i valori che il Movimento aveva ed ha immesso, rinnovando il lessico politico contro la corruzione. Perciò, non guardo i sondaggi oggi, ma vorrei vedere quelli che ci saranno fra un paio d’anni se il Movimento riuscirà a comprendere i mezzi per incidere nella realtà politica del Paese. Ne ho esternato qualche semplice esempio.
Se i nostri sottosegretari se n’accorgessero, invece del loro affannarsi bulimico su come riordinare i loro parlamentari per farli apparire come una formazione da grande squadra, il problema sarebbe risolto: se si vuole fare una squadra, prima degli uomini, servono le idee.
Questo è il compito di un buon politico, e non perdere tempo a fare messaggi a raffica su Facebook: imparate da Conte.
(2) https://comedonchisciotte.org/il-paese-dei-mandarini/
(3) https://www.repubblica.it/ambiente/2013/04/30/news/co2_sottoterra-57440458/