Chi ha messo/tirato delle mine/missili/siluri/bombe od
accidenti vari alle due petroliere nel golfo di Oman? Sarebbe bello saperlo, ed
io non lo so: però, una vaga idea ce l’ho, anzi, due. Perché?
Poiché il copione, sempre lo stesso dal “incidente del
Tonchino” del 1964, si ripete nei modi e nei termini di sempre: la Storia non si ripete mai – questo
bisogna averlo bene in mente – però i modi, le tecniche, gli approcci sono
sempre i medesimi, almeno dall’inizio dell’Evo Moderno. Vogliamo provare?
Se c’è fumo c’è arrosto e, qui, l’arrosto non è stato
cercato né desiderato da nessuno dei contendenti: entrambi, avevano tutti i
mezzi per spedire a fondo le due petroliere, ma non l’hanno fatto. Perché?
Poiché non erano ben sicuri che, dall’altra parte, si
sarebbe accusato il colpo senza rispondere: un po’ come gli inutili lanci di
missili da crociera sulla Siria, che già si sapeva sarebbero stati intercettati
ad altissime percentuali dai sistemi antimissile russi. I quali – si noti bene
– non hanno portato in Siria sistemi antiaerei ed antimissile d’ultimissima
generazione – roba buona sì – ma non
all’ultimo grido.
Qual è il punto d’inizio, il giro di boa che ha messo in
dubbio la supremazia americana negli scacchieri internazionali?
Meno che mai la spettacolare Prima Guerra del Golfo, seguita
– in tono minore – dalla Seconda la quale era avvantaggiata da anni ed anni di
miserie in Iraq.
Il vero punto di non ritorno, per le armi a stelle e
strisce, è stato il 1999: il Kosovo, una guerra forse secondaria per gli esiti
e per le modalità utilizzate, ossia la “guerra spettacolo” da mandare in onda a
reti unificate su tutti i canali planetari.
Una guerra viziata, sin dall’inizio, dalla vittoria irachena
del 1991, che aveva fatto credere ad un’alleanza stratosferica di 27 Paesi
contro un mediocre Stato medio orientale, catapultandola in un mito
d’invincibilità, quasi fosse l’ennesima puntata di Guerre Stellari, oppure la
milionesima avventura del Capitano Kirk.
Una guerra giocata in un campo dove l’avversario era senza
alleati, con una Russia al lumicino ed una Cina ancora inesistente sul piano
internazionale.
Eppure, quella guerra qualche risultato lo diede, ad
analizzare attentamente gli eventi.
Oggi, ci hanno mostrato un filmato in b/n dove si vede una
specie di motosilurante che abborda una petroliera e che traffica qualcosa
sulla murata della nave.
Quando l’ho visionato, m’è tornato alla mente il filmato
degli elicotteri Apache “caduti in esercitazione” nei pressi di Tirana: fumose
immagini, rotori impazziti…in altre parole, non si vedeva una mazza.
Il sospetto venne subito, quando s’udirono in diretta – Tg1
– due forti esplosioni: il giornalista, visibilmente imbarazzato, biascicò che
erano state udite due forti esplosioni provenire (così sembrava) dall’aeroporto
di Tirana. Vere le due esplosioni – in quel momento era a Tirana il Ministro
dell’Interno italiano, Rosa Russo Jervolino, e si erano alzati subito da Gioia
del Colle gli F-104 (!) che avevano attraversato l’Adriatico come fulmini – ma
la verità era un’altra.
Due cacciabombardieri J-22 Orao s’erano alzati dalla loro
base nei pressi di Podgoriza e, conoscendo bene l’orografia del territorio,
erano riusciti a volare molto bassi seguendo una valle che “sfociava” già in
territorio albanese: da lì, avevano puntato sull’aeroporto internazionale di
Tirana (dove sostava l’aereo di Stato del Ministro dell’Interno italiano) ed
avevano eseguito un solo passaggio con bombe a frammentazione, distruggendo un
aereo civile della KLA che trasportava, dall’estero, combattenti per l’UCK
albanese ed alcuni elicotteri Apache americani. Da qui la necessità di
“giustificare” la perdita degli elicotteri. I due aerei serbi riuscirono a
fuggire ed atterrarono a Povikne, a Nord di Belgrado, dove furono ricoverati in
un hangar sotterraneo.
Se cercate notizia di questo evento, non meravigliatevi se
non troverete più niente: la “pulizia” è uno dei compiti principali d’ogni
controspionaggio che si rispetti.
Questo per dire come, in presenza di qualsiasi evento
bellico, gli apparati d’informazione sfornano filmati “alla bisogna”: cosa in
cui crede il comune lettore, cosa di cui ride chi ha un minimo di conoscenza di
queste faccende.
Ma ci fu un “dopo”.
Il “dopo” non fu una guerra americana, ma il tentativo –
maldestro – da parte israeliana di conquistare, nel 2006, la parte del Libano a
Sud del fiume Litani, conclusasi assai amaramente per Tzahal e, soprattutto,
per il glorioso battaglione “Golani”, che ebbe numerose perdite di uomini e
mezzi.
Ma, ancor più, ci fu la perdita di una corvetta ed il
danneggiamento di una seconda: cosa che mise fortemente in allarme gli
israeliani, ma anche gli angloamericani. Perché?
Poiché la perdita di un’unità navale moderna non significa
che qualcuno – come narrano a Napoli “ha
cugliuto bbuono o’ tiro” – bensì che “qualcuno” è riuscito ad ingannare le
misure elettroniche di una unità navale di soli 13 anni fa. Una nave dotata del
meglio che esisteva in ambito occidentale: chi aveva fornito quel software?
Hezbollah, ovvio: ma chi forniva Hezbollah? L’Iran,
ovviamente. Già: ma chi forniva l’Iran?
Qui la risposta è più dubbia, ma che non si tratti del
Pentagono è altrettanto ovvio: l’India? Può essere, sono i più abili nel
maneggiare software, e non a caso ogni nuovo aereo russo che viene progettato
(vedi T-50, o Sukhoi-57, o Pak-fa)
vede sempre la partecipazione indiana. Insomma, “qualcuno” dalle parti
dell’India, della Cina o della Russia possedeva – nel 2006 – l’elettronica
necessaria per ingannare una corvetta israeliana oppure i carri armati Merkawa.
E torniamo all’oggi.
Se vogliamo rimanere in ambito militare, possiamo
raccontarci quello che vogliamo: può essere stata una classica false flag
americana, oppure un attacco d’avvertimento (non ci sono state perdite, né di
mezzi e né di vite) iraniano. I motivi?
Di là dell’infinita solfa del nucleare iraniano, vorremmo
ricordare che l’embargo unilaterale statunitense colpisce uno dei gangli vitali
dell’apparato produttivo iraniano: l’industria petrolchimica.
Negletta, dimenticata, è l’industria petrolchimica che ci
fornisce fertilizzanti, medicinali, materie plastiche…e tutta la panoplia che
vediamo sugli scaffali dei supermercati. E l’industria petrolchimica iraniana è
nata nel 1964, ai tempi dello Scià di Persia, che desiderava modernizzare il
Paese.
Il concorrente, nel Golfo Persico, è l’Arabia Saudita, da
sempre alleata degli USA e di Israele: la società petrolifera di Stato – ARAMCO
– ha deciso di buttarsi anch’essa nel petrolchimico…già…nel 2018. Con 54 anni
di ritardo sugli odiati iraniani: vogliamo pensare (male) e chiederci se, per
caso, abbiano chiesto un “aiutino” agli “amici” israeliani ed americani? I
quali, come fecero col Giappone nel 1941, decisero che i negoziati potevano
considerarsi conclusi soltanto se Tokyo accettava le “quote” fisse d’importazione
di petrolio, ferro, carbone…ecc…che Washington aveva deciso. Il seguito lo
conoscete.
Perché, vedete, vendere petrolio è la cosa più facile di
questo mondo: lo pompi in un oleodotto oppure lo carichi sulle petroliere…e
via, intaschi i soldi. Ma il petrolio, oggi, non è più quello dei tempi di
Mattei: il mondo va verso un futuro sempre più elettrico, e la “quota” delle
importazioni che prendevano la via del petrolchimico – fino a qualche anno fa –
era del 5%: oggi è del 12%, per il prossimo anno si prevede un 14%.
Per installare l’industria petrolchimica (che fornisce alti
introiti), prima, bisogna conoscere le basi dell’industria chimica, creare
quadri dirigenziali (e, qui, non è poi così difficile) però bisogna creare
anche copiosi quadri intermedi, avere conoscenze, tecniche, materiali, sistemi
di produzione, ecc.
Può, l’Arabia Saudita – un Paese di 31 milioni di persone,
che anche per guidare un autobus assume un immigrato – confrontarsi con un
Paese come l’Iran, che ha 82 milioni d’abitanti e che la surclassa in ogni
sfera del sapere e della tecnologia? Che ha una popolazione senz’altro più
“vitale” di quella saudita, un sistema di governo più efficiente, se
raffrontato ad una casa regnante con 25.000 nobili “di Stato”?
E poi, poi…c’è sempre lo zampino di Putin…il quale,
stranamente, quando si è parlato di confronto militare fra l’Iran e gli Usa –
che, si noti, hanno perso da tempo quel codazzo di 27 Paesi che li seguirono in
Iraq – ha semplicemente affermato “che lui non può farci niente” se l’Iran va
in guerra contro gli Usa…ma guarda un po’, che strana dichiarazione…
Ci si poteva aspettare la solita manfrina da “nuova guerra
fredda” per un Paese considerato “osservatore” nello SCO, il vecchio Patto di
Shangai…ma un “osservatore” di riguardo, è già si pensa ad un suo ruolo più
“ufficiale”. Niente, non ci può fare niente…o non vuole? E perché?
Perché Putin sa cosa la Russia ha fornito all’Iran il quale – parliamoci
chiaro – di fronte alle armi americane soccomberebbe, già…ma “quanto”
soccomberebbe e, soprattutto, cosa lascerebbe in eredità con la sua sconfitta?
Putin ha venduto all’Iran il sistema antiaereo/antimissile
S-300, lo stesso che ha mantenuto in salde mani russe in Siria, perché conosce
bene l’efficienza di quel sistema. E poi: i missili iraniani? Non sono mica gli
Scud di Saddam Hussein: possono raggiungere Israele quando e come vogliono,
mentre è ancora dubbio se possano raggiungere Napoli, per colpire direttamente
la base della VI flotta.
Cosa ne sarebbe dello Stretto di Hormuz? Quante petroliere
in fondo al mare?
Israele, se colpito, potrebbe rispondere con le armi
nucleari, ma la risposta iraniana sarebbe ad armamento chimico e/o biologico, e
– sinceramente – non so quale preferire. In ogni modo, sul piano politico e
diplomatico, attaccare per primi con armi nucleari sarebbe una mossa sbagliata,
per Israele in primis, perché il “gioco” delle alleanze si romperebbe subito,
con conseguenze imprevedibili.
Come potrete notare, la “scaramuccia” che è andata in onda
nel golfo di Oman si presta ad entrambe le ipotesi: un “avvertimento” americano
all’Iran? Od uno iraniano agli Usa?
Non è poi così importante sapere chi è stato, ma che la cosa
sia avvenuta: oggi, intorno alla faccenda, c’è un silenzio che assorda. C’è da
giurare che le diplomazie stiano girando “a mille” non tanto sull’evento, ma su
tutti i corollari della situazione.
Nel 1941, gli Usa potevano permettersi di mandare al
Giappone un diktat senza condizioni: oggi?
Breve osservazione c'è stata una dichiarazione del capo della CIA prima dell'incidente, in cui dichiarava la disponibilità a trattare con l'IRAN e poi l'attentato.
RispondiEliminaComunque ottimo articolo!
Si tratta di vari "passi" diplomatici associati ad un evento, di per sé, marginale sotto il profilo militare. Più che le roboanti affermazioni, oggi stupisce il silenzio, che anch'esso significa qualcosa. Grazie
RispondiEliminaL'hanno ricevuto, tranquillo. Ciao
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