Gentile ministro Grillo,
le confesso
che sono un po’ sorpreso dal dover scrivere ad un “ministro Grillo” che non è
il buon Beppe, ma la vita è strana, e talvolta le sorprese che ci riserva il
Fato sono veramente curiose. Veniamo al dunque.
Lei, essendo medico, è stata giudicata “abile” per il
Ministero della Salute: questo non mi è mai parso un titolo univoco di merito
per sedersi su quella poltrona, poiché la salute è un bene di tutti, non dei
soli medici. Non andrà certo meglio quando a dirigere la Difesa ci sarà un Generale.
In ogni modo, oggi c’è lei ed è a lei che mi rivolgo perché la gestione della
salute pubblica è piuttosto delicata e non è ben gestita, a fronte delle
esorbitanti spese che il sistema le assegna.
E’ stata subito assorbita dal problema dei vaccini il quale,
a mio avviso, era soltanto un modo per gettarla in un contradditorio infinito,
in una diatriba inutile, tanto perché si lasciassero insoluti i grandi problemi
della Sanità italiana: insomma, la solita pagliuzza per nascondere la trave
nell’occhio.
Il primo problema riguarda la sciagurata suddivisione
regionale della Sanità: non io, ma illustri analisti si sono espressi in tal
senso, persino l’ex ministro Lorenzin (1) aveva espresso i medesimi dubbi, perché
la Sanità è il
motivo fondante per la sopravvivenza delle Regioni, non un settore di
competenza regionale. Suvvia, non raccontiamoci balle.
Poi, quando si scassa un meccanismo che funzionava meglio, è
inutile affermare “tornare indietro non si può”: se un sentiero è troppo arduo
e periglioso, tornare indietro è il miglior consiglio da dare.
Se desiderate metter mano all’ordinamento italiano, non
dovete farvi fuorviare da argomenti di scarso interesse, poiché sono alimentati
proprio da chi non vuole che ci mettiate mano. La riforma regionale fu uno dei
disastri più eclatanti della politica italiana: chi sceglie l’ordinamento
regionale (lander) non deve avere un ordinamento napoleonico (province).
Cosa ne dice, oggi, delle Province italiane resuscitate come
“enti di vasta area” e tuttora funzionanti, tutte, e con un ben strano
“ordinamento”, assolutamente estraneo al dettato costituzionale? Sono composte
da un “consiglio” formato solo dai sindaci delle aree delle ex province i
quali, a loro volta, eleggono il loro
presidente.
Salta agli occhi, immediatamente, la loro stridore dal
principio costituzionale, ossia sono persone non elette – il sindaco di Tivoli
(esempio) non ha nessun titolo per decidere qualcosa nella provincia di Roma –
perché è stato eletto dai cittadini di Tivoli, non dai romani.
Hanno trovato il modo di creare dei rappresentanti (?) che
nessuno ha mai eletto. E che deliberano, stanziano somme, acquisiscono somme,
dallo Stato e da altri cespiti (le contravvenzioni stradali, ad esempio) in
piena libertà. Un espediente incostituzionale per mettere delle persone in dei
posti nei quali nessuno ha controllo: ci sarebbe da ipotizzare un reato di
“attentato alla Costituzione” per chi ha progettato ed avallato quelle scelte.
Come vede – essendo lei un politico e non solo un medico –
la interpello a largo spettro, ma torniamo alla Sanità.
L’esborso annuo è intorno ai 100 miliardi di euro: una cifra
iperbolica, ben superiore a quella che veniva stanziata per la sanità statale.
Ma, le Regioni, a parte tanta aria fritta, di cosa si occupano? Scorporando la Sanità (con notevoli
risparmi) non rimarrebbe quasi nulla, se non la velleitaria decisione a voler
contrastare, limare, adattare leggi dello Stato che finiscono per generare
conflitti interminabili di fronte al TAR, al Consiglio di Stato, alla
Cassazione, fino alla Corte dei Conti. Ma si può vivere in un simile casino?
Senza contare le inutili complicazioni che tale scelta ha
generato: per prendere una decisione sul fiume Po, si devono consultare e ricevere
il consenso da ben 18 amministrazioni diverse! Un tempo, decideva il Magistrato
del Po.
I Parlamentari italiani sono i più pagati del mondo, su
questo ci sono pochi dubbi: si può dissertare fin che si vuole su alcuni emolumenti
dei congressisti statunitensi, ma – almeno qui in Europa – il confronto è
sconfortante.
E’ quindi giusto “regolarizzare” gli emolumenti dei
parlamentari italiani, ma sarebbe sciocco pensare che questo “taglio”
conducesse a risultati importanti: se si vuole, veramente, incidere sui costi
inutili e sugli sprechi, bisogna razionalizzare la catena degli amministratori.
Come non capire che la catena decisionale in campo sanitario,
un tempo ridotta a singoli, è stata moltiplicata per 20? Un tempo, avemmo pure
un Duilio Poggiolini, con tutta la corruzione conseguente, ma oggi ne abbiamo 20 a decidere sulle questioni
dei farmaci!
E poi, la suddivisione regionale della sanità ha condotto
alla regionalizzazione forzata degli italiani: è al corrente che un medico
appartenente ad un sistema regionale con gran difficoltà può avere un paziente
di un’altra regione?
Ovvio che la cosa non interesserà chi abita a Roma e Milano,
ma gli abitanti che vivono “a cavallo” dei circa 10.000 km di confini
regionali, quando traslocano nel comune vicino – per quanto riguarda il
mantenimento del proprio medico – devono passare le forche caudine: corse alla
ASL, documenti da far firmare al medico, ritorno alla ASL, validazione dei
documenti…e questo ogni nuovo anno!
Non è una questione di lana caprina: visto che è miseramente
fallito il piano di un database nazionale, consultabile e trasferibile –
mediante la semplice tessera sanitaria – da un luogo ad un altro, è
comprensibile che ogni paziente finisca per fidarsi solo del proprio medico. E
ci sono anche molte, altre ragioni (fiducia personale, conoscenza dell’anamnesi
approfondita dei singoli, amicizia, altro…) perché una persona che si sposta di
qualche chilometro preferisca tenersi il proprio medico.
Non parliamo poi delle prestazioni specialistiche e dei
rilievi analitici: apriti cielo! Se l’ospedale della “vecchia” regione dista
solo una decina di chilometri, ti fanno mille problemi e ti chiedono, senza
nessuna remora di decenza: “Perché non va all’Ospedale di Distantopoli?”
Tutto prova quel che già dicevo: la sanità regionale non è
altro che un corposissimo cespite di fondi per rimpinguare le mille altre
“attività” della Regione. A questo punto, anche i continui “risparmi” che
vengono attuati – meno medici, meno infermieri, chiusura di ospedali e di singoli
reparti – non sono altro che il tentativo di prendere più fondi possibile, per
poi spenderne il meno possibile. E i “risparmi”? Beh…sfogliate le pagine dei
giornali alla pagina giudiziaria…
Ma c’è un altro problema, ben grave, che attanaglia la sanità
italiana.
In 35 anni d’insegnamento – all’incirca 200 classi condotte
alla maturità, circa 5000 liceali – ho notato un solo caso di un allievo,
figlio di medico, che scelse un’altra facoltà.
Con cadenza costante, tutti i figli di medici s’iscrivevano
a Medicina, se fallivano il test d’ingresso s’iscrivevano a Biologia, così –
appena passato l’esame d’ammissione, l’anno successivo – potevano iscriversi
con l’abbuono di un certo numero di esami (oggi, “crediti”).
A volte ci fu addirittura la riapertura dei termini per il
test d’ingresso in una nuova sezione “ridotta” (o “speciale”) dove, guarda a
caso, tutti gli iscritti erano figli di medici. O, anche, l’aumento degli
ammessi se “certi” non l’avevano passato.
Comprendo che lei, medico, si sentirà un pochino a disagio
se le chiedo di marginalizzare il potere dell’Ordine dei Medici all’interno
delle strutture sanitarie nazionali. Attenzione: il medico è e resterà sempre
la figura di spicco per quanto riguarda le questioni sanitarie, solo che non
deve più avere il potere di scegliersi i suoi collaboratori. Che saranno,
sempre, figli o nipoti d’altri medici: a buon rendere, ovvio.
La soluzione?
Concorsi. Concorsi nazionali dove – se si vuole farlo – si è
in grado d’impedire qualsiasi tentativo di nepotismo. Pesanti sanzioni penali
per chiunque venga sorpreso – e provato – a camuffare i risultati dei concorsi.
Basta minacciare l’espulsione dall’Ordine.
Ma, la migliore cosa che si può fare, è rendere la
possibilità a tutti gli studenti che vogliono accedere a Medicina di poterlo
fare, alzando però l’asticella delle conoscenze apprese e delle competenze
dimostrate. I migliori, faranno carriera perché bravi.
Questo andazzo porta i (pochi) specialisti che lavorano
nella sanità pubblica ad essere in qualche modo “evasivi” – se non si tratta di
questioni gravi, con pericolo di vita – con diagnosi più sfumate, che
alimentano dubbi ed incertezze. Perché? Poiché il sistema privato è separato da
quello pubblico, ma i parenti medici (il nepotismo!) che lavorano negli studi privati…meglio
tenerseli buoni, magari domani ci sarà posto anche per me…
Insomma, la vogliamo finire con queste pratiche del numero
chiuso nelle facoltà? Si contravviene alla libertà d’apprendimento, sancita
dalla Carta Costituzionale.
Poi, massacriamo pure agli esami di Anatomia e di Biochimica
come un tempo: avremo la certezza d’avere la classe medica migliore del mondo,
non per censo, ma per merito.
Anche fra gli infermieri – che oggi hanno un ruolo più
importante di un tempo – si nota una rarefazione: è ben vero che, quando c’è un
concorso pubblico, sono sempre migliaia per centinaia di posti. Ma andate a
vedere nelle strutture private: rumene, ungheresi, cubane, argentine,
ecuadoregne, croate, russe…c’è il mondo nel settore infermieristico privato. E,
in quel caso, c’è anche il problema della lingua: non sono riparatrici di
computer, sono quelle che girano per i reparti, e che a colpo d’occhio devono
capire come state.
Tutto questo avviene non per questioni salariali (i salari
sono pressappoco uguali) ma per il diverso contratto che, nel pubblico,
garantisce più diritti. E non parliamo poi delle Operatrici Sanitarie (OS) dove
veramente stiamo raschiando il fondo del barile, con veloci corsi privati che
tutto danno per poco tempo e denaro. Garanzie, dopo? Eh…
Termino dandole un consiglio più “politico”.
Se volete veramente andare a toccare i veri sprechi – gli
stipendi dei parlamentari, nazionali, europei e locali – ma anche le mille
“scrivanie” che non servono a niente, c’è da fare una ricerca certosina, con
molta attenzione, per non fare errori.
Dopo, però, non fate il solito decreto legge: fate una
comune legge d’iniziativa parlamentare e portatela in aula. Vedrete chi ci sta
e chi non ci sta: e lo vedranno anche gli italiani.
Saluti ed auguri di buon lavoro.
Grande come sempre Carlo Bertani. Competente, filosofico, chiaro.
RispondiEliminaI presidi di Roma minacciano di non aprire le scuole perché nei paraggi oltre gli spacciatori di color marrone e beige circolano i RATTI ! I simpatici topoloni possono
stare tranquilli. Hanno vaccinato tutti, anche i neonati ! Possono tranquillamente scorazzare in santa pace e bene.
Ciao ex collega,
RispondiEliminaCredo che il numero chiuso a medicina lo abbiano tolto. Lo si farà gradualmente, ma si farà.
Un abbraccio.
P.S.
Mi è mancata la 'storiella' natalizia che solitamente pubblichi sul blog. Quella sullo specchio del Rabbino la racconto ai miei alunni ogni tanto. :)