Quando, nel 2001, pubblicai “L’impero colpisce ancora” per
Malatempora, avvertii che, lassù in un angolo dell’Asia, qualcosa si stava
muovendo…ma si sa…Malatempora era una piccola casa editrice ed io uno scrittore
sconosciuto. Oggi, quei frutti sono maturati, e l’intero Pianeta ha paura.
La vicenda politica, il dissidio fra Corea del Nord e Stati
Uniti, sta lentamente venendo alla luce: in un quadro di sessant’anni di guerra
fredda ai suoi confini, la Corea
del Nord ha deciso di non fare la fine dell’Iraq e della Libia (che,
ricordiamo, erano insieme nel “Asse del Male”).
Per non finire a gambe all’aria, decise in anni lontani di
promuovere la ricerca in campo missilistico e nucleare ad uso proprio, mentre i
vettori erano, ovviamente, sul mercato internazionale: la Libia, ad esempio, acquistò
missili coreani verso gli anni 2000, per poi distruggere tutto e consegnarsi,
mani e piedi legati, agli USA & Co.
A ben vedere, la
Corea del Nord ha seguito le orme di un altro “Stato del
Male”, ossia l’Iran. Evidentemente, conviene essere “Stati del Male”, perché
gli altri finiscono come sono finiti. Fagocitati dagli appetiti americani.
Quando Trump ha avvertito Pyongyang che uno Stato nucleare
ha degli obblighi (la non proliferazione, il mercato controllato, ecc) ha
sfondato una porta aperta, giacché i coreani non hanno mai venduto bombe
atomiche, bensì missili. Ci sarebbe da chiedersi da dove sono arrivate le
atomiche pakistane, indiane ed israeliane, ma su questo tutti tacciono: il
“club” nucleare è a numero chiuso, e se non ha la tessera giusta non puoi
entrare.
In altre parole, Pyongyang ha falsificato i documenti ed è
entrata dalla porta di servizio. E vuole giocare al tavolo buono, perché è lì
che fioccano i soldini e non si deve parlare di sanzioni.
Dobbiamo aggiungere, perché la stampa ufficiale non lo dice
mai, che sorvolare con un missile il territorio di un’altra nazione non viene
considerato un atto ostile, giacché gli apici di traiettoria sono ben al di
sopra dei rituali 60.000
piedi, la quota più alta raggiunta dai velivoli
militari.
Anche sull’efficacia dei sistemi anti-missile ci sono molti
dubbi: i missili raggiungono gli apici di traiettoria in pochissimi minuti (5-10),
e dunque manca il tempo per organizzare una credibile controffensiva.
I famosi “Patriot” non riuscirono ad intercettare gli SCUD
iracheni, che uccisero circa 150 cittadini israeliani e nemmeno i successivi
tentativi americani di una credibile intercettazione hanno convinto: molti
fallimenti, ed una frettolosa certificazione positiva alla prima
intercettazione. Non mi ha stupito che il Giappone lasciò passare il missile
coreano senza nemmeno provarci. A che pro, poi? La traiettoria era quella di un
missile destinato a finire nell’oceano.
Il punto da chiarire è se i coreani hanno veramente quel che
dicono di avere, oppure se bluffano.
Il programma missilistico iniziò in anni lontani, quando
l’URSS consegnava qualche vecchio SCUD ai suoi alleati, tanto perché si
sentissero “affratellati” nel grande universo socialista dove Mosca,
ovviamente, dominava. Fin qui, nulla d’eccezionale.
Ma il nonno dell’attuale premier “ciuffetto” – Kim-Il-Sung –
era un politico di razza della leva di Mao e di Ho-Chi-Minh, e seppe mettere a
frutto quei piccoli, farraginosi, vecchi SCUD. Questo accadeva fra gli anni ’70
ed ’80.
Da quei primi missili nacque il Rodong1, che era uno SCUD
migliorato con una gittata di 1000-1500 km, mentre gli SCUD iracheni non
raggiungevano certo quelle distanze. Ma siamo negli anni ’90, tempo al tempo.
I coreani mutano strategia: hanno compreso che, se
continuano solamente a raffazzonare qualcosa acquistato all’estero, non
andranno da nessuna parte: ciò distingue la Corea del Nord e l’Iran dall’Iraq e dalla Libia.
In sostanza: capacità interne in termini ingegneristici, elettronici e (poi)
nucleari.
Il grande salto avviene col progetto del Taepodong1, un
missile bi-stadio in grado di raggiungere gittate fra i 2000 ed i 6000 km, in funzione del
carico assegnato. Per questa ragione i coreani hanno puntato molto sulla
miniaturizzazione delle testate, e i risultati degli ultimi lanci sembrano
confermare questo successo tecnologico.
Curioso, poi, il metodo usato per costruire i vari stadi dei
missili, i primi a combustibile liquido (più difficile da trattare) e gli
ultimi con stadi già a propellenti solidi, più sicuri e maneggevoli.
Hanno “composto” – un po’ come giocare con il Lego – i
missili utilizzando come singoli stadi missili più vecchi, con motori più
affidabili: difatti, i lanci falliti sono tutti da attribuire al “flop” dei
sistemi d’accensione automatica dei vari stadi.
Anni 2000, compare un nuovo missile, il Taepodong2, missile
tri-stadio, e i giochi si fanno più seri, perché il missile ha una gittata di
4500-9000(?) km, sempre in funzione del carico assegnato.
E’ probabilmente un missile di questo tipo ad aver
attraversato l’isola di Hokkaido (Giappone) per poi cadere in mare, ed è con
questo tipo di missile che le minacce all’isola di Guam hanno preso corpo. Ma
non finisce qui.
Tutti s’aspettavano il Taepodong3, un vero ICBM in grado di
raggiungere i 13000 km
di gittata, ma tutto tacque su questo nuovo progetto.
Con gran furbizia, i coreani decisero di spostare
l’obiettivo dei missili, da missili balistici a vettori spaziali, e sono riusciti
con due lanci – nel 2012 e nel 2016 – a mettere in orbita qualcosa.
Ma, ai coreani, importava poco mettere in orbita qualsiasi
cosa (attività considerata lecita): semplicemente, lavorando sul nuovo missile
– definito Unha – hanno acquisito il know-how per costruire i grandi ICBM,
necessari per raggiungere il rango di vera potenza nucleare.
Oggi, qual è dunque la situazione?
Premettendo che i coreani stendono molte cortine fumogene su
nomi e dati dei loro missili, con i missili Rodong potrebbero colpire agevolmente
la Corea del
Sud, e con i Taepodong1 il Giappone. Con il Taepodong2 possono, probabilmente,
raggiungere Guam, dove sono stanziati migliaia di soldati statunitensi.
Ma anche senza un attacco a Guam, un attacco nucleare sulla
Corea del Sud e sul Giappone (dove gli USA hanno grandi basi militari) sarebbe
disastroso. E gli USA lo sanno: difatti, i consiglieri militari di Trump hanno
cercato in tutti i modi di fargli capire che sì, “tutte le opzioni sono sul
tavolo, ma non sono praticabili”.
Putin ha affermato grosso modo la stessa cosa, ed anche i
cinesi chiedono che la vicenda confluisca in una trattativa, fermo restando che
il rango di potenza nucleare, oramai, alla Corea del Nord va riconosciuto.
Spero vivamente che i coreani lancino il loro missile Unha
in versione ICBM con un lancio di prova nell’oceano: questo metterebbe fine ai
dubbi (se possono oppure no raggiungere il continente americano), anche se la
prospettiva di una guerra nucleare “lampo” – che, comunque, lascerebbe milioni
di persone uccise, ferite, a vivere in un ambiente non più ospitale – dovrebbe
bastare per scendere a patti.
Nella visione statunitense, la Corea del Sud sta lentamente
scivolando verso la figura del vecchio Vietnam del Sud, ossia di una propaggine
americana nel continente asiatico. E’ una visione vecchia, da Risiko, di un
uomo vecchio come Trump, che non considera il nuovo mondo multipolare che,
invece, sia la Russia
e sia la Cina
ben capiscono.
L’Europa? Quando si è materializzata la paura d’essere anche
noi sotto “l’ombrello” nucleare coreano, la Francia ha avuto un ritorno di fiamma d’antica
“grandeur”. Ma tutto è finito lì.
Scatenare una guerra nucleare senza che vi sia una ragione di
tipo economico o geopolitico –e, ribadisco, per quanto mi sforzi non riesco a trovarne
di coerenti con i rischi che si correrebbero – mi sembra una follia: ma forse
stiamo solo parlando di bulli di paese, che hanno l’arma nucleare al posto del
coltello. Pronti, entrambi, a richiudere la lama al primo sguardo ammiccante:
così andrà a finire.
State tranquilli e godetevi questi ultimi scampoli di una
legislatura frizzante come un succo di melanzana, con uno spruzzo di birra
tedesca e due patatine americane come contorno. Una vera delizia.
Ma certo, Augusto, la risposta statunitense sarebbe terrificante, cancellerebbe la Corea del Nord dalla faccia della terra. E' il destino che già fu dei gas: le armi nucleari, più che una deterrenza, non possono essere. Ciao
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RispondiEliminaSono d'accordo con Augusto.
Dopo aver visto la fine di Gheddafi, Saddam Hussein, Mubarak e qualche altro dittatorello africano, Ciccio Kim fa sapere al mondo che lui è meglio lasciarlo stare.
Comunque, in questo momento, l'unico statista saggio mi sembra Putin, e tu sai che simpatia possa io provare per l'ex-capo del KGB.
Ciao.
Putin si dimostra il leader mondiale più equilibrato. Gorbaciov puntò su di lui, dicendo "E' la nostra ultima speranza". Forse fu lui lo sponsor di Putin? Certo, bisogna riconoscere che scelsero bene. Per certi versi, ha costruito una bella copia dell'URSS, anche se non può mai abbassare la guardia. Per altri versi, i suoi sono anche colpi bassi, che in una democrazia non verrebbero mai accettati...malatempora currunt...i migliori di oggi sono tutti ex stalinisti, vedi Chavez...gli altri sono proprio impresentabili: che fare? Ho due gatti, mi toccherà addestrarli...
RispondiEliminaCiao a tutti
Carlo