Gli anniversari sono soltanto una bandierina appuntata su un
muro bianco, il muro della Storia. Per un eschimese, un tibetano od un
polinesiano, forse, “cento anni” non significano nulla: noi occidentali, però,
usiamo tenere questo strano registro, nel quale incolliamo un ricordo agli
anni...cose belle, cose brutte...sperando così di rinverdire le prime e di non
ricascare nelle seconde. Lavoro del tutto inutile: visto che, puntualmente, le
prime rimangono un ricordo collegato, in genere, ad una persona che osanniamo
senza mettere in pratica nulla di ciò ci regalò. Le seconde, invece, con una
protervia bestiale le consideriamo solo come “avvenimenti”. Ossia: da
migliorare, da portare a termine “meglio”.
Esattamente 100 anni or sono, proprio nella sera del 30 di
Maggio del 1916, gli equipaggi salivano a bordo e gli scalandroni venivano
ritirati a bordo. Uomini di mare, di un mare duro – che non ammette il minimo
errore senza presentarti il conto – comandanti di navi passeggeri, nostromi di
carboniere, mozzi di pescherecci delle aringhe...prendevano posto nelle scomode
camerate ricavate a fianco dei depositi munizioni, incocciavano l’amaca alla
paratia, dove pochi centimetri oltre c’era già l’elevatore delle munizioni,
quei mostruosi proiettili pesanti tonnellate che sarebbero volati nell’aria per
venti, trenta chilometri, cercando d’uccidere altri uomini come loro. Altri
uomini che magari conoscevano, con i quali avevano forse condiviso notti di
pesca sul Dogger Bank, oppure avevano incontrato in un porto delle
Indie...Batavia, Manila, Singapore...ed erano andati a cena insieme...avevano
mostrato sbiadite fotografie di mogli e fidanzate bevendo birra ghiacciata o
Gin...
Quel giorno la guerra, che separa anche i capelli vicinissimi
per creare una pettinatura, una riga, li conduceva a salire su mostri costruiti
solo per uccidere, incapaci di portare un solo carico di caffè, inutili persino
per pescare un’aringa.
Così, la Grand Fleet,
comandata da Jellicoe, salpava nella notte da Scapa Flow, da Rosyth...mentre
nell’estuario dello Jade e da Wilhelmshaven
partiva la Hochseeflotte (la “flotta d’alto mare”) di Scheer, l’una per
difendere l’onore dell’Impero Britannico, l’altra per difendere quello della
creatura di Tirpitz.
Nella notte, 142 navi da guerra britanniche e 93 tedesche –
dalla grande corazzata al veloce cacciatorpediniere – correvano verso il centro
del Mare del Nord, ignare della presenza del nemico, inconsapevoli che la più
grande battaglia navale della Storia stava per avere inizio. Solo fumosi
dispacci, dubbie intercettazioni radio raccontavano della presenza del nemico,
ma nessuno sapeva “quanto” e, soprattutto, dove.
Gli inglesi scendevano verso Sud a Occidente, i tedeschi
salivano verso Nord ad Oriente e, per un soffio, potevano anche non
incontrarsi: gli Dei sono bizzarri, e muovono le ore e le nebbie a piacimento,
seguendo i loro capricci.
Ma, proprio al centro del Mare del Nord, nei pressi del
Dogger Bank, una “carretta” danese saliva verso Nord col suo carico di legname
e due cacciatorpediniere delle forze esploranti – uno inglese, l’altro tedesco
– la avvicinarono per il riconoscimento: ebbe così inizio la Battaglia dello
Jutland (eng) o dello Skagerrak (ted).
La mattina del 1° Giugno, 176.000 tonnellate di naviglio e
8.650 morti giacevano sul fondo del Mare del Nord, bruciati dal fuoco,
dilaniati dagli scoppi, annegati.
Per la fredda cronaca dei numeri fu una vittoria tedesca:
gli inglesi persero il doppio delle navi e più del doppio degli uomini, ma fu
una vittoria di Pirro, giacché la flotta tedesca non uscì più dalle sue basi e
finì per auto-affondarsi, al termine della guerra, nel 1919.
Il lavoro, per anni, di migliaia di operai – 176.000
tonnellate d’acciaio! – sfumò in un solo giorno, le vite di migliaia di marinai
furono bruscamente troncate: le vedove piansero, le fidanzate accesero un lume
accanto alla fotografia dell’amato. Dopo qualche anno – a dimostrare che la
pragmaticità femminile supera l’orgoglio maschile – probabilmente
dimenticarono, o finsero di dimenticare, sposandosi di nuovo. La specie deve
sempre correre verso nuove tragedie, e ci vuole sempre nuova carne per
alimentarle.
Qualcuno ci guadagnò, come sempre: nei cantieri, nelle
banche...certamente qualcuno si fregò le mani, come fecero i nostri “ghiottoni”
l’indomani del terremoto dell’Aquila.
Solo i venditori di fiori non trassero profitti giacché,
come recita una canzone popolare tedesca, “sulla
tomba del marinaio non crescono le rose”.
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