28 novembre 2012

Lettera aperta al Ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri



Gentile Ministro Cancellieri,

                                               per fortuna non capita a tutti di dover affrontare il trattamento che ha subito il povero Riccardo Welponer, in autostrada presso Mantova, con l’aggravante che gli autori del pestaggio sono stati due poliziotti. Uno dei quali è ritratto nella foto.

Immedesimiamoci per un istante nella vittima: dallo specchietto giunge un’auto senza insegne di riconoscimento, velocissima e chiede strada. “Eh, un momento…” è la prima reazione di chi guida, soprattutto se stai conducendo un furgone: guarda nello specchietto a destra se la strada è libera, metti la freccia, poi spostati…

Meno che mai t’aspetti, subito dopo, che l’auto ti “chiuda” e ne escano due energumeni i quali ti prendono a botte – fino a farti quasi perdere i sensi – per poi abbandonarti contro il guard-rail.

Fermiamoci un attimo e riflettiamo che, una simile vicenda, frantuma in un secondo le nostre certezze che esista uno stato di diritto: l’habeas corpus, concepito secoli fa dalla giurisprudenza britannica, perde significato, diventa una carta vecchia e scipita. In quel momento, però, pensi ad altro: ma cosa ho fatto? Deve essersi chiesto Riccardo Welponer, perché sono stato trattato in questo modo? Chi erano quei due bastardi che si sentono padroni dell’autostrada e delle vite che vi scorrono? Perché proprio a me? E per quale ragione?

 
La scena non deve aver avuto uno svolgimento così rapido, soprattutto se si riflette che un automobilista di passaggio ha avuto tutto il tempo d’annotare la targa dell’auto “pirata”. Immaginiamo cosa sarebbe successo se i due aggressori fossero stati rumeni o marocchini: no, per fortuna erano poliziotti, quelli che dovrebbero prevenire simili atti.

Subito dopo l’auto riparte a gran velocità ed il povero Welponer (presumiamo) viene soccorso da altri automobilisti: sul posto giunge la Polizia Stradale che raccoglie le prime impressioni dalla vittima la quale viene invitata a denunciare il fatto presso la Squadra Mobile della Questura di Mantova. Proviamo a pensare cosa passa per la testa agli agenti della stradale: “Ma guarda te che delinquenti…”

Welponer si reca in Questura a Mantova e fa denuncia “contro ignoti” perché non sa nulla dei suoi aggressori e, fortunatamente, consegna il numero di targa ricevuto dall’automobilista di passaggio.

Gli uomini della questura di Mantova, appena iniziata la ricerca – immaginiamo – sudano freddo: è un’auto “civetta” della Polizia di Stato. Probabilmente chiamano qualche superiore e chiedono lumi.

Da questo punto in avanti le informazioni si fanno fumose e procederemo più per logica che per conoscenza dei fatti: Riccardo Welponer è il nipote di Nadir Welponer, ex segretario regionale del PD ed è facile credere che Riccardo abbia informato telefonicamente lo zio della vicenda.

Gli uomini della Questura di Mantova si trovano stretti fra la difesa di un collega e quella forma, tutta italiota, del “lei non sa chi sono io”: probabilmente, decidono di comportarsi come Ponzio Pilato (e come la legge prescrive), ossia forniscono al magistrato tutti i dati della vicenda.

A questo si riferisce l’aggressore – Luca Prioli, di Vicenza e segretario regionale del COISP (Sindacato indipendente della Polizia) – quando afferma (1):

Certo è che chi ha fatto il mio nome in relazione a questa vicenda la pagherà cara, perchè nessuno doveva sapere che io mi trovavo in quella macchina...”

Un avvertimento in pieno stile mafioso.

Evidentemente, sperava in una “copertura” istituzionale che non c’è stata ed ora è nei guai, giacché quel rapporto della Questura di Vicenza, oggi, è sul suo tavolo, Ministro Cancellieri.

Che fare?

Se Prioli può giustificare qualcosa – ad esempio la fretta di quella missione – si contraddice, perché i due agenti hanno senz’altro perso più tempo nell’inutile aggressione: se si fossero limitati al classico “vaffa”, nulla di questo sarebbe successo e sarebbero giunti senz’altro prima.

Ma Prioli ha commesso una serie di reati mica da nulla: che ne dice Ministro?

Per prima cosa le lesioni personali (art. 582 C.P.) che comporta una reclusione da tre mesi a tre anni.
Dopo l’aggressione, i due poliziotti se ne sono andati, dimenticandosi che lasciavano una persona ferita (sono medici? potevano giudicare con uno sguardo le condizioni di Welponer?) appoggiata ad un guard-rail.

Perciò, sono colpevoli anche del reato di omissione di soccorso (art. 593 C. P.), che comporta la reclusione fino ad un anno.

 
Stando alle ammissioni dello stesso Prioli, i due stavano trasportando un detenuto: dalle affermazioni di Welponer si evince che gli aggressori erano due, dunque il fantomatico detenuto era solo ed abbandonato a se stesso.

Il reato corrispondente è quello, probabilmente, di omissione d’atti d’ufficio (art. 328 C. P.) che prevede la reclusione da 6 mesi a due anni, sempre che non sia prevista una diversa punizione da regolamenti interni della Polizia per mancata consegna.

Di là delle mere quantificazioni aritmetiche degli anni di galera, c’è un’aggravante: i reati sono stati commessi proprio da persone delegate alla difesa del cittadino. Se il comportamento del Welponer aveva violato qualche norma del Codice della Strada essi potevano multarlo, ma non è concepibile una simile forma di “legge del Far-West”.


Il Prioli dimostra, poi, scarsi rudimenti nella lingua italiana: si è giustificato definendo l’episodio (2) un “alterco” ma – da che mondo è mondo – un alterco è verbale e non lascia la vittima (di percosse) mezza svenuta contro un guard-rail.

 
Insomma, riteniamo che il Prioli ne abbia fatte più di Carlo in Francia, inanellando una serie di reati mica da ridere: sarà lei a giudicare se è ancora meritevole di portare una divisa.

A latere, notiamo che questi comportamenti squadristi da parte della Polizia di Stato si stanno moltiplicando: dalla “madre” di tutte le nequizie – la Uno Bianca – si passa all’azione squadrista della Diaz (“La più grave sospensione dei diritti umani in Italia dal dopoguerra”, come la definisce Amnesty International e, con toni appena più pacati, “puro esercizio di violenza di gravità inusitata” dalla Corte di Cassazione nella sua sentenza), poi arriva il caso Aldrovandi – un ragazzo che torna a casa dopo un concerto e viene massacrato senza un perché – infine Sandri, oggetto del “tiro a segno” di un agente che credeva d’essere Guglielmo Tell. E chissà quanti ne dimentico: lei, in ogni modo, ha tutti i casi nel suo archivio.
Il che, fa pensare che qualcosa non funzioni: troppo stress? Stipendi bassi? Beh, con i tempi che corrono…ma non è una buona ragione per massacrare la gente senza colpa. Ritengo, invece, che si tratti di pessima formazione: un insegnante sa bene che, se prende a schiaffi un ragazzo, viene licenziato. A volte mugugna, perché pensa “se questo fosse mio figlio…” però sa bene cosa significa “l’inviolabilità della persona umana” e si comporta di conseguenza. Perché un agente non lo sa? Perché nessuno glielo ha spiegato: anzi, probabilmente “qualcuno” lasciato capire che ci sarà sempre una sorta d’immunità. Questo non fa parte di quello che “ci chiede l’Europa”? Già…ma guarda. Un governo è responsabile anche delle azioni dei Pretoriani, lo rammenti.

 
A meno che il Prioli non fosse “in missione per conto di Dio”, ma in questo caso preferiamo tenerci gli originali:




 
Fiduciosi nel suo intervento, restiamo in attesa.

 

 

26 novembre 2012


(1)

Primariopoli

La notizia è rimbalzata immediatamente nei satelliti, da lassù è piovuta su tutto il pianeta fino ai più remoti recessi: 3,1 milioni di votanti, 6,2 milioni di euro d’incasso! Un successo internazionale.

Pare che dopo l’ubriacatura elettorale – uno splendido giochino tipo Risiko, dove contano le alleanze predisposte sul campo e poi c’è un solo tiro ai dadi – Bersani e gli altri candidati si siano sentiti, e il succo della conversazione è stato questo:

«Cari amici, vincenti e perdenti, l’obiettivo è stato raggiunto e superato: avevo previsto 2 milioni per scaramanzia, ma sapevo che potevamo arrivare a tre. Adesso viene il bello, ma anche il difficile: dunque…con Lusi siamo riusciti a distribuire fra di noi circa 12 milioni…lo so…sono tempi di ristrettezze e bisogna adeguarsi. Ora, lo ripeto – non siam mica qui a pettinare le bambole – perciò vi faccio una proposta, come attuale segretario e premier in pectore. La scorsa volta è toccato ad un ex-Margherita – Lusi, appunto – stavolta tocca ad un ex-DS. Dobbiamo trovare un altro fesso come Lusi – ma state tranquilli: l’unica cosa che abbonda nel nostro partito sono i fessi (risata) – da nominare pomposamente “tesoriere” poi, ma fra qualche anno, lo facciamo beccare, così i magistrati lo sbattono in galera e buttano via la chiave.”

Pare che il discorso sia stato gradito e seguito da un brindisi: non con spumante della COOP, no, pare proprio che fosse roba francese.



Il Presidente della Repubblica ha desiderato essere il primo a congratularsi: «L’esercizio di democrazia mostrato nelle primarie del PD è alto e qualificante, in grado di sconfiggere le oscure forze dell’antipolitica.»



Le reazioni non si sono fatte attendere e il premier Monti ha subito telegrafato a Bersani: «Successo primarie mostra senza ombra di dubbio capacità di spesa popolo italiano rimane ancora altissima STOP Governo attento a segnale e predisporrà adeguati interventi prelievo finanziario destinazione bilancio STOP Congratulazioni per l’ottimo lavoro svolto/FINE».



Berlusconi, da Malindi, ha mandato a dire ai suoi «Vediamo cosa fa il PD, poi decidiamo cosa fare: anche se i soldi fossero di meno, non vogliamo mica rinunciare. Con quel che mi costano le Olgettine…»



Ma è dall’estero che sono venute le intuizioni più qualificanti, un vero successo – inaspettato – della politica estera italiana.



Il Presidente Obama è stato il primo, dall’estero, a congratularsi:

«Finalmente avete capito come si fa! My God, ve lo abbiamo ripetuto mille volte! Siamo noi che abbiamo studiato il sistema, abbiamo il copyright, al punto da acchiappare, fra me e Romney, 400.000 dollari (2) di sovvenzioni da aziende italiane ! Certo che anche voi ve la cavate bene…my God…sei milioni e due…very, very, well…»



Angela Merkel è andata in brodo di giuggiole: in Costituzione! Le primarie devono essere obbligatorie ogni anno ed essere inserite a pieno titolo nella Costituzione tedesca, al posto dell’oramai obsoleto principio della partecipazione dei lavoratori alle decisioni dell’azienda. Poi, si passerà a tutta l’Europa, dell’euro e non dell’euro, ed i proventi delle consultazioni saranno incamerati tutti dalla BCE.

Ha ottenuto un plebiscito durante una manifestazione oceanica per questa sua mirabolante idea: solo, s’è un poco accigliata quando le hanno fatto notare che le ultime ovazioni di fronte alla porta di Brandeburgo le aveva ricevute Hitler.



Anche il premier egiziano Messi non s’è fatto attendere:

«Allah è grande e Bersanetto è il suo profeta. Grande successo, grande idea: Allah stesso lo ha certamente illuminato. Noi vogliamo fare lo stesso, però abbiamo qualche problema che, in ogni modo risolveremo. Gli egiziani non hanno due euro da dare: sono poveri in canna, anche 10 centesimi sarebbero già troppi. Però, sono bravi costruttori, come la Storia insegna. Ciascuno di loro porterà una pietra: siccome qui potranno votare tutti, e chi è infante od infermo potrà delegare, saranno circa 77 milioni di pietre. Con quelle pietre costruiremo in gran segreto la piramide nascosta, e mai ritrovata, di Tutanlader (un faraone poco conosciuto, ricordato solo per la rovina economica del suo regno) in arabo: Al-lader, Al-Pharaon-ladron, Al-General-ladron, Al-Minister-ladron, Tuti-ladron…da qui il nome occidentalizzato “Tutanlader”. Dopo, quando “scopriremo” la piramide e se avanzeranno pietre, costruiremo un bel resort per i turisti e acchiapperemo dollari ed euro. Soprattutto, però, il tempo che saranno occupati a costruire la piramide non lo utilizzeranno per andare a Piazza Tahir a fare manifestazioni, per correre dietro a democrazia, libertà, benessere e tutte ‘ste minchiate.»



Israele, per il momento, tace. Dapprima la constatazione che i candidati non sarebbero molti e, per lo più, direbbero le stesse cose: dagli ai palestinesi, colpiamo l’Iran! Interessante la proposta di sancire le primarie nei Territori, con una consultazione fra OLP ed Hamas, che potrebbe essere anche sanguinosa e, dunque, aiutare un poco Tzahal nel suo lavoro.



La Cina è perplessa: da molte parti giungono preghiere di maggior democrazia, e le primarie per eleggere i candidati del Comitato Centrale del Partito sarebbero proprio quel che serve. Insomma, una parvenza che fa fine e non impegna. Poi, due miliardi di yuan…



Insomma, le primarie di un piccolo partito guidato da Bettola, sulle montagne piacentine, stanno facendo parlare tutto il mondo. Eh, che dire del genio italiano…


(1) Fotomontaggio di Paolo Bertani.

23 novembre 2012




Ma che belle primarie!


La prima cosa che mi viene in mente quando penso alla parola “primarie” è “primati”, ossia scimmie un po’ evolute, ma sempre scimmioni con poco cervello.

Così, Domenica prossima andranno in onda (è il caso d’usare questa locuzione) le tanto strombazzate primarie del PD, nelle quali il partito conterà gli equilibri interni prima della scissione: quelle del PdL non meritano nemmeno che si sprechi carta per una buffonata.

E’ un fatto che vincerà Bersani – l’apparato è pronto ed oliato solo per questa evenienza – qualora dovesse vincere Vendola l’accelerazione centrifuga verso la scissione dei pro-Monti nei confronti dei contro-Monti subirebbe un incremento imprevisto, ma non cambierebbe niente del loro futuro.

Renzi sarà rottamato: vedremo se Monti e Berlusconi offriranno di più per ritirare il rottame, oppure la città di Firenze se lo dovrà tenere a vita.



Ciò che mi fa pensare ad un’operazione di facciata e senza senso – roba da primati, appunto – è che le primarie non contano nulla: hanno un senso nel sistema elettorale statunitense, che è radicalmente diverso da quello italiano. Pensate: hanno ancora i “grandi elettori”, roba che da noi ricorda imperatori e vassalli.

E’, però, roba “ammericana" come il chewing-gum e la Coca-Cola: prendi ‘sta roba dall’America e buttala nella politica italiana. Già che c’erano, potevano fare le primarie per eleggere il Politburo del Partito: sarebbe stato veramente grandioso.

Perché non contano nulla?



Perché ogni tornata elettorale – sia essa politica oppure amministrativa o, ancora, un referendum – nel sistema legislativo italiano deve essere emanata da un’autorità neutrale (ne esistessero ancora…) come la Presidenza della Repubblica. Inoltre, i risultati vanno al vaglio delle Corti d’Appello: non sarà tanto – ricordiamo “Il portaborse” di Nanni Moretti e le a dir poco “fumose” elezioni del 2006 – ma qualcosa è.

Invece, le cosiddette primarie sono soltanto delle consultazioni interne, ma senza nessuna garanzia che il voto per quel candidato sia dato da un elettore non tanto del PD, quanto almeno dell’area di centro sinistra che vorrebbe rappresentare.

Poi, l’aggiunta dei due euro sa di “tassa occulta” per il partito: due milioni d’elettori – ha detto Bersani – quattro milioni di euro che entrano. Che ne faranno? Mah…

Quelli di Casa Pound hanno dichiarato che voteranno Bersani: per carità, liberi di votare chiunque, ma mi sembra un po’ un assurdo. Oppure un gioco politico. Chissà quanti di destra andranno a votare – dietro suggerimento del Partito – per Renzi, oppure per Vendola…insomma, scusate il termine: una cagata.

E veniamo ai programmi.



Veramente, dopo la riga sopra, potremmo lasciare un lungo spazio bianco – a mo’ d’Apollinaire e della sua “pittoscrittura” – perché si sente solo parlare di “dopo-Monti” uguale al prima, oppure di qualcuno che prenderà il posto di Monti per fare le stesse cose. O quasi.

Bersani ha rilasciato un’intervista sulla scuola (1) a Massimo Giannini ed è stato chiaro come l’acqua, nel senso di limpido, inodore ed insapore com’è il liquido più comune. Cambiare? Certo, sicuro. Cosa? Qui inizia la furbizia contadina del segretario del PD: ci sono cose che non ci piacciono…la scuola va lasciata “tranquilla” (ma cosa vuol dire!?!)…minacce no, per carità noi non minacciamo crisi di governo, pensiamo che si possa “ragionare”…

A forza di ragionamenti, siamo finiti per pagare per i giorni di malattia, per andare in pensione quasi a 70 anni, a non avere più un aumento di stipendio da anni, ad avere tagli all’organico che costringono ai salti mortali, decurtazioni ai fondi per le quali, in una scuola, spendere 100 euro è già un problema…lasciarla “tranquilla”?!? Voleva forse dire che, loro, smetteranno di tassarci e di tagliare? Beh, su questo posso quasi essere d’accordo, nel senso che c’è più poco da sciacallare.

Insomma, da tutta la filippica (vedetela in nota) non si ricava un provvedimento concreto, un fatto certo, una legge da cambiare: nulla.

Vorremmo ricordare all’arzillo segretario del PD una frase di Mao: “Il potere nasce dalla canna del fucile”. Per chi non prende nemmeno in considerazione un voto contrario, nasce dalla canna del gas.



Non soddisfatto dalla bella performance sulla scuola – con vicino un Massimo Giannini del quale lodiamo l’intelligenza, un po’ meno il servilismo di vedersi (è un bravo giornalista) relegato a pappagallo ripetente di domande già concordate – ha dissertato sulle pensioni(2).

Anche qui il solito panorama, anche se qualcosa di concreto c’è: l’idea (lo ripete 50 volte) non è quello di cambiare la riforma Fornero, bensì di migliorarla, renderla “perfettibile”. Come?

Agendo sulla flessibilità in uscita, nel senso che – se vuoi andare in pensione “giovane”, diciamo a 62 anni – ti “riduciamo” la pensione, altrimenti vai da “meno giovane”, ossia a 70. Insomma, a 62 anni 800 euro, a 70 1.400: come aveva già dichiarato all’insediamento del governo Monti(3).

Dobbiamo scaldarci e venirti a votare, dandoti 2 euro, per tutto questo? Neanche una parola sulle scandalose pensioni dei parlamentari e dei manager, sulle liquidazioni stellari, sui finanziamenti in chiaro ed occulti ai partiti: ma per chi ci prendi?



Il bello è che l’avvocato nato a Bettola – nomen omen… – non s’accorge nemmeno della trappola nella quale sta per finire oppure, se lo sa, sta tradendo tutti gli elettori della cosiddetta “sinistra” italiana. Cosa sta tramando il commensale del tavolo appresso?

La novità si chiama Montezemolo.

Il bel Lucherino – “libera e bella” per gli amici, dalla nota pubblicità dello shampoo (per il ciuffo) – è stato obbligato a “scendere in campo” quando s’è visto che un altro “bello” – Casini – non tirava fuori un ragno dal buco: nonostante tutti gli sforzi per dimostrare che “Monti è bello”, mettendogli pure insieme Fini e l’altro bello – Cicciobbello-Rutelli – non riuscivano nemmeno a mettere insieme un misero 8% per arrivare al Senato. Cavoli amari, anzi, amarissimi con Grillo intorno al 20%.



La mossa Montezemolo qualcosa frutterà: senz’altro richiamerà voti dalla corazzata in demolizione del PdL – ma quanti? Dove c’è Berlusconi di mezzo non ci si può mai fidare – e allora, allora…che dire dell’ala “cattolica” del PD?



Quanto valga oggi, prima delle elezioni, la ex Margherita è difficile dirlo ma, se si presentasse con l’appoggio incondizionato a Monti, non crediamo che andrebbe oltre un 5%, ad essere ottimisti (per loro).

Allora, si va alla contrattazione interna (le primarie, appunto) – dove, ricordiamo, basta pagare due euro e può votare anche Berlusconi in maschera – per spuntare nei posti in lista il massimo numero di collegi sicuri, in fin dei conti dei nominati.

L’obiettivo al quale puntano i vari Fioroni, Letta (nipote), Tabacci…è raggiungere almeno il 20% di nominati, facendo forza sull’altra “ala” democristiana della Bindi e di Franceschini: insomma, portare via più posti che è possibile all’ala bersaniana. Poi, quando mancheranno una manciata di voti per una maggioranza (questo è il lavoro occulto di Napolitano) di centro (Monti) che va da gruppi ex PdL (la Bertolini, ad esempio), reduci di AN, passa per il centro di Montezemolo, Casini, Fini e Rutelli e termina con Fioroni alla testa di un partito che, nella realtà dei voti, conta circa il 5% (o meno) dei voti del PD – un 2% a livello nazionale – e che si troverà, invece, una quota di parlamentari più alta.



Ci sembra impossibile che Bersani non ci sia arrivato: lo vedremo dopo l’investitura, se farà oppure no i conti all’interno. Chi resterà e chi se ne andrà prima delle elezioni? No…i democristiani sono troppo furbi per fare mosse azzardate e resteranno buoni buonini, come gatti sul cuscino fino alle elezioni.

Perché, Bersani, non li metti alla prova con un’altra proposta di legge sui matrimoni gay?

Non lo farà: ha troppo paura delle scissioni, vorrà dire che tutto il partito diverrà “montiano” e i democristiani, col loro manipolo, continueranno a controllare quello che un tempo era il grande partito della sinistra.



Tutto ciò, che in realtà segue una progressione costante da anni, ha privato il PD del suo elettorato tradizionale: a forza di “correre al centro”, hanno regalato un quinto dell’elettorato a Grillo. Si tratta di un elettorato che il PD non potrà più utilizzare per un progetto comune della sinistra (qualcuno, all’interno del PD, strizza l’occhio), giacché le posizioni sono diventate troppo distanti.



Così, dalla vittoria in tasca che aveva un anno fa, Bersani si troverà in una posizione ambigua: forte sì di un 35% (con Vendola), ma dall’altra parte i giochi sono più vari e possono, all’occorrenza, mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. Basta sostenere Monti.



Facile no?

(1) Fonte: http://www.partitodemocratico.it/doc/244978/bersani-scuola-le-nuove-misure-sono-inaccettabili.htm (2) Fonte: http://video.repubblica.it/dossier/primarie-pd-2012/bersani-perfezioneremo-la-riforma-delle-pensioni/107939/106319 (3) Fonte: http://qn.quotidiano.net/politica/2011/10/28/609224-bersani_pensioni_volontarie.shtml

19 novembre 2012

Il cercametalli e la pepita d’oro


Che piccola gioia possedere un cercametalli: un aggeggio che costa poche decine di euro e ti apre le vie dell’Averno, uno sguardo sul passato che è veramente tridimensionale e senza forma. Puoi trovare la moneta romana a 10 centimetri e la linguetta della lattina di Coca-Cola a 30, in un pudding di date e possibilità che s’intrecciano e si dispongono come i canditi nel panettone.

Insomma, è un po’ come andare a funghi: quando suona, vuol dire che c’è qualcosa. Anzi, meglio che per il fungo, perché quando l’hai trovato non ti resta altro da fare che raccoglierlo, mentre alla ricerca del passato devi sempre scavare.

E, dopo aver scavato, c’è il contatto con la pelle di un oggetto che da decenni, secoli o – più raramente – millenni non rivedeva la luce e lì si scatenano le sensazioni, le fantasie, i ricordi.



Una volta, ricordo, trovai un dado: almeno, quello che a me – a tatto – sembrava un dado. Era profondo, nella sabbia in riva al fiume e non lo vedevo: allora, aiutandomi con un rastrellino, iniziai a scavare intorno togliendo la sabbia a manate.

Il “dado” era infisso in un altro corpo di ferro, molto grande: continuai a scavare per capire cosa potesse essere.

A poco a poco, avvertii al tatto che la forma che ospitava il “dado” non era piatta, bensì scendeva ai lati: un “colpo” con il cercametalli per definire meglio la forma ed un altro con zappino e rastrello per togliere la sabbia e la ricerca avanzava. Niente: la forma era circoscritta e regolare, non c’era altro intorno ed il “dado” s’ostinava a rimanere ben saldo dov’era.

Tolta ancora un po’ di sabbia (era a circa mezzo metro dalla superficie e stava per scendere il buio), accarezzai l’oggetto con la mano sinistra: ricordo che una grossa radice superficiale m’impediva di vederlo chiaramente.

All’improvviso, scorrendo con il palmo della mano, il gelo.



La forma era inequivocabilmente ogivale ed in testa all’ogiva c’era un “dado”: accarezzai il “dado” e, nonostante le ingiurie del tempo e la mia imperizia, notai che non era semplicemente un dado bensì qualcosa di più complesso che sprofondava nel corpo di ferro sottostante. La spoletta, corrosa dal tempo.

Nella mente comparvero immagini in bianco e nero, ventri scuri che s’aprivano e seminavano il cielo di portatori di morte: decine, centinaia di vani-bombe che s’aprivano, ogni tanto una fumata nera perché un caccia aveva colpito ed il grande B-17 sprofondava come un sommergibile nell’abisso. Ironia della sorte, la superficie dove viviamo, amiamo, ci scontriamo e moriamo per loro era l’ultimo istante.

Accarezzai ancora una volta l’involucro della bomba reso rugoso dal tempo e dalla ruggine ma lasciai stare il detonatore: se era lì e non era scoppiata – ricordo che sopra, alla superficie, c’erano più impronte di trattore che l’avevano calpestata e non poteva essere passata indenne all’alluvione del 1994, chissà da dove veniva – ci poteva rimanere.



Oggi, invece sono lontano dalla Langa e sto cercano monete romane, perché la via dove abito è l’antica Aurelia Romana: a poche decine di metri, a sinistra, c’è un ponte romano che una betoniera guidata da un pazzo ha cercato d’abbattere. Ora è circondato di tubi Innocenti e si chiederà: perché m’hanno inguainato in mezzo alle lance? Un tempo, quegli aghi aguzzi non si ponevano a protezione del castrum?

A destra – mezzo chilometro – c’è il ponte romano sul Rio Basco che ha resistito millenni e sembra nuovo, come un ragazzino che abbia divaricato le gambe per pisciare.

Ma non è giornata: sarà questo tempo pazzo di Liguria, con i suoi acquazzoni improvvisi e le schiarite di sole che ancora brucia la pelle a Novembre, ma non si trova una mazza, a parte i soliti chiodi storti e le linguette delle lattine.

Rimetto l’aggeggio a spalle e m’avvio verso casa.



Mentre scendo lancio un’occhiata alla collina coperta d’olivi e disseminata di case padronali, ciascuna con il suo bravo pezzo d’oliveto intorno, dal quale fanno capolino piccoli orti: su tutte, spicca “Villa Irene” che fu del pittore Sabatelli, ed oggi è attesa da un destino incerto. Quando iniziano a muoversi le ruspe non è buon segno: in ogni modo, Italia Nostra s’è mossa per tempo (la villa è del ‘700).

Non è andata così bene alla residenza originaria del Papa Sisto IV (prima che fosse costruita la sontuosa villa Gavotti), che è poco più sotto: per molti anni è stata usata dal consorzio agrario, mentre oggi il maestoso portone è semplicemente sbarrato. Malamente, con delle tavole inchiodate.

Del pittore si ricordano le lunghe processioni d’amanti dell’alta borghesia che volevano provare – in una sorta di remake dannunziano – l’ebbrezza dell’amore corsaro, della perdizione con l’artista. Chissà se n’erano soddisfatte oppure fingevano tutte. Dei due Papi savonesi (Sisto IV e Giulio II, zio e nipote) rimangono pochi ricordi: le due cappelle sistine (la più nota a Roma, quella meno nota accanto al duomo di Savona, ma veramente pregevole) e qualche nome di via.

Ma questa è storia nota, storia ufficiale: uno che va in giro con un cercametalli non può raccontare storie conosciute e stranote: è una persona abituata ad osservare la Storia da sotto, dall’Averno che tutto custodisce, come la storia della pepita d’oro che è alla base delle vicende della collina.



Per iniziare la nostra storia dobbiamo, però, spostarci un poco all’interno: 9 Km, Stella, la patria di Sandro Pertini, dov’è sepolto in una modesta tomba insieme alla moglie.

Stella fu il primo boccone di Liguria che ingoiai: era il 1978, quando affittai una piccola casa sulla collina da un tizio che meriterebbe non un articolo bensì un libro, Ambrogio Poggi detto “Spagnolo”, solo perché suo nonno era stato in Spagna.

In un giorno di Luglio, un’affaticata “Millecento” del Comune con gli altoparlanti sopra, girava instancabilmente per cantare una canzone unica e monotona, ma grandiosa: “Il compagno Sandro Pertini, nostro concittadino, è stato eletto Presidente della Repubblica”. Già, il “compagno” Pertini.



Qui, permettetemi d’aprire una parentesi per commentare brevemente i rapporti di Sandro Pertini con Stella e, soprattutto, con la città di Savona dove aveva studiato e che considerava, un tempo, un po’ la sua città (anche per questioni familiari).

Chi vorrà, potrà trovare in nota (1) una lunga e circostanziata storia del socialismo savonese, dalla quale emergono figure inquietanti come Alberto Teardo (l’unico veramente temuto da Craxi stesso) ed a Pertini non sfuggivano certo i legami fra socialisti, massoneria e, più tardi, la criminalità organizzata.

Dopo aver ricevuto un lungo dossier sulla situazione (sempre in nota) Pertini decise, probabilmente, che la città era “off-limits” per lui, Presidente della Repubblica e non ci andò più. Negli ultimi anni, racconta una fonte della famiglia a me vicina, non faceva nemmeno più un “salto” in federazione: un saluto alla sorella Marion finché fu viva, una visita al cimitero e via, nuovamente a Roma.

La città di Savona lo contraccambiò e, a tanti anni dalla sua morte – e dopo aver ricevuto in dono la sua collezione di quadri – non esiste ancora una via a lui intitolata, il che la dice lunga sui rapporti poco idilliaci fra “U Sciandru”, Stella e Savona.

Nemo propheta in patria, evidentemente.



Oggi potrebbero chiamarla Stella Pertini e finirla lì (ma qualcuno non vuole), invece esistono Stella S. Giovanni, Stella S. Martino, Stella Gameragna, Stella Corona e Stella S. Giustina. Con, ovviamente, i toponimi minori: S. Bernardo, Contrada, Teglia, il Salto, Ritani, ecc.

Il territorio di Stella è il più vario che si possa immaginare: Gameragna è un posto mediterraneo con le villette bianche in stile messicano dei nuovi ricchi, mentre a S. Martino ed a Corona gli olivi crescono ancora, ma solo grazie al mutamento climatico. Nuove piantagioni si stendono in lunghe file, con i proprietari che osservano le piante e pregustano l’aroma stridulo ed amarognolo dell’olio vero, quello che uscirà dal frantoio. E tutti si domandano: mi sarà concesso abbastanza tempo per assaggiarlo?

A San Giovanni ci sono il Comune, i Carabinieri, la scuola, la farmacia, lo studio medico…insomma, è quasi un posto istituzionale.



In tutti i consessi c’è sempre qualcuno che ha meno fortuna: passerà la vita a chiedersi il perché, perché mai – cose che agli altri scendono sul capo con uno schiocco di dita – a lui costano una fatica di Sisifo.

Così è per Stella S. Giustina: il capriccio di una gola le preclude il Mediterraneo e la sua dolcezza, in cambio riceve il gelo e la neve che scendono da Sassello (uno dei luoghi più freddi e nevosi d’Italia) e, ancor più su, dal Monte Beigua, la “cima” della Liguria con quasi 1.300 metri. Dicono che da lassù si veda la Corsica: lo spettacolo è grandioso, ma io più che delle nubi in lontananza non ho visto.



Ora che abbiamo chiarito la Geografia dei luoghi, dobbiamo fare anche un salto nel tempo per incontrare Bernardo P. (taceremo il cognome per non irritare qualche vivente) all’inizio del secolo. Il Novecento, ovviamente.

Bernardo si sente stretto in quel luogo gelido: lavorare tutta la vita nei boschi a fare il taglialegna? Oppure a rimestare corteccia di castagno nelle vasche della fabbrica di tannino? No, Bernardo ha coraggio ed inventiva: S. Giustina gli va stretta, l’America è là che aspetta ed un giorno s’imbarca da Genova su un “vapore”.

Una storia banale, come tante, all’apparenza: se non esistessero i cercametalli e le vicende nascoste nei meandri della terra.



Bernardo giunge in una New York in fermento: si costruisce di tutto, dalle case ai grattacieli, dalle gallerie ai ponti e non gli è difficile trovare un posto come manovale.

Così, lavora duramente nei cantieri con tanti altri italiani e mette da parte, come un certosino, le paghe settimanali perché Bernardo vuole tornare: al paese ha lasciato la fidanzata e, si sa, le fidanzate non aspettano troppo, rischiando di divenire zitelle nell’attesa di un evento lontano.



Un giorno come un altro trova un pezzo di giornale e riesce a capire che è in atto la più folle corsa del secolo: tutti vanno nel Klondike, su al nord, in Canada, perché lassù pare che l’Oro spunti come i funghi sotto i castagni e la gente si riempie le tasche.

Ci pensa, ci medita poi – tanto un lavoro da manovale si trova sempre, avrà concluso – parte.



Le giornate in treno sono lunghe e fredde: bisogna fare in fretta prima che l’Estate cali, che il gelo del Polo s’impadronisca delle foreste. E dell’Oro.

Giunge a Dawson una mattina di chissà quale anno e subito parte per le immense foreste dove, i fiumi che le attraversano, nascondono il sogno, l’incubo, la speranza.

Non sappiamo quanto tempo vagò per le foreste, ma Bernardo va “a correggere la fortuna” – come molti anni dopo un altro ligure, De André, avrebbe messo in bocca ad un viados brasiliano in Princesa, storie d’emigranti anche quelle – con determinazione, con coraggio, con convinzione. E trova, finalmente.

Cosa trovò e, soprattutto, quanto trovò è un segreto custodito ancora oggi dai nipoti: ma trovò qualcosa di consistente, al punto da convincerlo a tornare a New York e ad imbarcarsi nuovamente per l’Italia. Majin (Maria o Marina, in ligure) mica aspetta per sempre.

Tornato che fu, una notizia lo colse: l’arciprete di Albisola aveva messo all’incanto una collina, proprio dove sto posando i piedi oggi.



Albisola, all’epoca, era un grande, immenso orto che sfamava le popolazioni ben oltre Savona, fino a Genova con fagioli e zucchette, pomodori e peperoni d’Estate spinaci e cavoli d’Inverno, fave e piselli in Primavera, insalate tutto l’anno: “turismo” era un termine addirittura sconosciuto nella lingua dell’epoca. Al più, “viaggiatore”.

Le donne imbarcavano su delle specie di gondole (per remare da sole) le ceste di verdura e così attraversavano il breve braccio di mare che le divideva da Savona: la galleria l’avrebbe portata il fascismo. Gli uomini seguivano identici percorsi con la carbonella, per alimentare le cucine della città borghese oppure legna, vino e grano.

Ancora in tempi recenti (vale a dire a memoria degli attuali vecchi) veniva “U Biundin” (Il Biondino) dapprima con un cavallo e poi con un rombante e puzzolente autocarro da Genova, riempiva sacchi e ceste di fagiolini, fagioli, zucchette e le profumatissime pesche d’Albisola per il famoso mercato orientale di Genova (quello dove furono registrate le voci dei mercanti, al temine della canzone “Creuza de mä”).



Avere della terra, all’epoca, significava ricchezza: nessuno, allora, pensava alla speculazione edilizia semplicemente perché non esisteva.

Non sappiamo come Bernardo tradusse la pepita in denaro: immaginiamo lunghe trattative con gli orafi dell’epoca, obiezioni sulla purezza del materiale, contro-obiezioni con offerte subito proposte ad un altro orafo (così il primo veniva a saperlo) finché la trattativa ebbe buon fine e Bernardo incassò il denaro.

Quanto?

Non lo sappiamo, perché la famiglia custodisce gelosamente il segreto: quanto pesava la pepita?



L’unica risposta veritiera è che la pepita “pesava” quanto la collina che osservate nell’immagine: anzi, l’assenza del grandangolo la penalizza un po’, perché s’estende ancora verso destra. Non dobbiamo, però, fare valutazioni col metro odierno: all’epoca, era terreno agricolo e basta.



Passarono gli anni e nacquero i figli, tanti: sulla collina si coltivava ogni metro quadrato e, da Novembre in poi, si spremevano le olive e si faceva l’olio con il procedimento antico, vale a dire macina a pietra e torchio. Mica viti senza fine e centrifughe, come oggi.

Man mano che i figli crescevano e si sposavano si costruiva una casa: tutto fatto in famiglia, ovviamente, perché il legname veniva dai boschi di S. Giustina, la sabbia e le pietre dal fiume.



Poi venne la guerra che sfoltì un poco il gruppo dei fratelli: Russia ed Albania vollero il loro tributo di sangue e Bernardo questa volta pagò per la Patria, per il Duce e per il Re ed Imperatore, di un Impero che si dissolveva come neve al sole sotto i colpi delle armate britanniche.

Tutto finì e, sulla collina, si contarono i sopravvissuti e si ridistribuirono le case, prima di farne altre: uno dei figli volle tentare l’avventura paterna – questa volta in Argentina – ma non ebbe egual fortuna: finito nel turbine dell’instabilità politica argentina del dopoguerra, tornò con la coda fra le gambe dal padre senza un soldo, con una moglie dai tratti indios ed una vagonata di figli che parlavano spagnolo.



Majin, negli ultimi anni di vita, quando Bernardo se n’era già andato, osservava la collina coi suoi figli nelle loro case che s’industriavano nell’Italia del “miracolo economico”: chi scelse di lavorare come muratore, andava per sei mesi all’estero poi tornava e raccontava storie incredibili di tigri ed elefanti. Portava alla moglie una scatoletta di legno di sandalo e questa ricambiava: quando il marito ripartiva, il pancione era già bello tondo.

Chi invece s’inventò le attività più strane: uno, addirittura, varò una piccola fabbrica di varechina. Poi il solito: muratori, idraulici, falegnami…quindi i figli crebbero ed i genitori se n’andarono anch’essi…ed oggi chi fa un mestiere sopravvive, chi ha scelto una laurea ha dovuto emigrare. Se è stato fortunatissimo Genova, solo fortunato Milano o Torino…per gli altri…Colonia, Dusseldorf, Parigi…l’Oro della collina torna ad espandersi per il mondo.



Bernardo viene appena ricordato dai nipoti, i pronipoti non sanno più che faccia avesse se non quella della foto sulla lapide, al cimitero, e di Majin si ricorda una frase che è lo stereotipo delle madri italiane. Guardava la collina, Bernardo e poi, pensando ai figli, sospirava: «Mia, Bernardu, se i tegnimmu come i sun» (Sai, Bernardo, ce li teniamo come sono).



La collina, per ora, ha resistito all’attacco dei banchieri: si difende con l’auto-produzione come solo il popolo italiano sa fare, usando i soldi di stipendi e pensioni solo per pagare le mille gabelle che li taglieggiano. Intanto, si contano i chili d’olio ed i quintali di patate, come un tempo: roba vera, che ti fa vivere, non fuffa.



Questa storia è dedicata ai vecchi politici, perché si vergognino d’aver sodomizzato gente del genere ed ai nuovi, quelli di Grillo – che imparino qualcosa – prima di pensare subito alla notorietà ed ai talk-show.



Articolo liberamente riproducibile, ovvia la citazione della fonte.

(1) Vedi: http://www.casadellalegalita.info/altri-speciali/di-qualche-loggia/teardo-story.html 

18 novembre 2012

Un silenzio imbarazzante


Fonte: Agenzia stampa Infopal - www.infopal.it

Un brevissimo post per segnalare soltanto quello che è sotto i nostri occhi e che, sulla nostra stampa asservita, sembra solo un buffetto amorevole.
A stasera, Domenica 18 Novembre 2012, le vittime palestinesi (fonte: Infopal) sono 71 contro 3 israeliane: non si tratta di una disquisizione sui morti, a chi appartengono, chi li ha uccisi, ecc. Semplicemente, quei morti indicano la sproporzione delle forze in campo.

Sulla stampa nostrana si parla ad "armi pari" dei missili palestinesi ed israeliani: a parte che, ad iniziare le ostilità fu un missile israeliano che uccise un alto ufficiale di Hamas, la sproporzione è sotto gli occhi di tutti. 71 a 3, come sempre.

I missili palestinesi sono in gran parte dei razzi, ossia non guidati, che hanno bassissima probabilità di colpire, mentre quelli di Israele sono alta tecnologia da "one shot, one kill".

Non intendo andare oltre, ma una voce di verità non pagata da Tel Aviv esiste ancora in questo Paese fatto di primarie, governi che lasciano/non lasciano, soubrette che aspirano a ministeri e ministeri (vedi l'ultimo caso del MIUR) che sono sempre senza soldi e poi scopri che si spartiscono in mazzette miliardi?

C'è qualcuno in grado di segnalare, almeno, che Israele ha sequestrato una nave d'aiuti battente bandiera italiana? Vale a dire un atto ostile contro l'Italia?
Smettetela per un attimo di far finta di litigare e piangete, almeno, per una volta sui morti innocenti.

16 novembre 2012



Avanti le truppe!




Lo sciopero del 13 Novembre 2012 mi ha fatto tornare alla mente il 14 Dicembre del 2010 quando, un Fini ringalluzzito dai consensi parlamentari, non nascose la sua soddisfazione per le “masnade” scorrazzanti per Roma.

Oggi, la situazione è completamente diversa.

Va beh…lo sciopero era “europeo”, per il lavoro e la scuola, e la Camusso ha imparato la lezione. Andiamo con ordine.



Quando il governo Monti iniziò a stendere i suoi famigerati “Piani qualcosa”, dal ministero di via Nazionale i tecnici dei “tecnici” esaminavano le varie proposte: chi colpire?

La patrimoniale era fuori discussione per la contrarietà del PdL, l’esclusione della prima casa dall’IMU anche e i soldi (a loro dire) non bastavano ancora: dove toccare?

Un grigio funzionario del ministero se ne uscì con l’Uovo di Colombo: «Meglio i cinquantenni a protestare qui, sotto il Ministero, che quella roba giovane dalla quale ti puoi aspettare di tutto.»

Il suo consiglio fu ascoltato e ponderato attentamente: nacque quell’infamia chiamata “riforma Fornero delle pensioni”.

Il ragionamento era giusto: colpire i deboli per ossequiare i forti e, fra i più deboli, c’era la scuola.



La scuola non è mai stata così debole: tolto di mezzo l’unico sciopero che toccava veramente i nervi scoperti – il blocco degli scrutini: oggi c’è la precettazione, anche se la questione legale è un po’ vaga e si basa, tutto sommato, sui soliti rapporti di forze – le lotte, parafrasando Jack Nicholson, “stanno a zero”.

Le ragioni sono, sostanzialmente, due.



La prima è una sorta di disillusione, come un marito/amante scoperto con una ragazzina in un parco, che ti toglie ogni voglia di rivalsa: sei stata sconfitta, le tue rughe e la tua dolcezza hanno avuto la peggio nei confronti dei seni turgidi e dell’innocenza erotica della ragazzina.

Così si sente il personale della scuola: un tempo si sentivano funzionari dello Stato e così erano trattati, con l’abbonamento gratis al treno se dovevi raggiungere una sede disagiata, ed un trattamento previdenziale che consentiva – a qualsiasi età, se non te la sentivi più – di lasciare.

Eccessivo? Forse: ero contrario ai famosi “19 anni, sei mesi ed un giorno” per gli uomini e non ci andai. Sarei in pensione da almeno 15 anni.

Però, oggi siamo al parossismo: perché docenti ultrasessantenni che non ce la fanno più – con tanto di commissioni sanitarie (che, qui al Nord, non sono molto di manica larga) – al massimo vengono “riconvertiti” nelle segreterie, dove finiscono per fare più danni che altro? E i soprannumerari? I “coatti” come me, trasferiti d’autorità a 62 anni?



Il secondo motivo è legato al primo ed è figlio dell’età, come aveva giustamente sentenziato quel bastardo di un funzionario ministeriale: abbandonati da tutti, con un sindacato a dir poco ondivago, che possiamo fare? La barricate a 55 anni? A 60 anni?

Non sono cifre inventate: il 50% degli insegnanti italiani ha più di 55 anni, mentre i pochi “giovani”, che non sono precari, ne hanno 40.

Il precariato è quello, con le sue regole assurde, che ti toglie qualsiasi possibilità di pensione: esempi? Presto detto.

Due colleghi, due situazioni simili: 12 anni di precariato il primo (più vecchio), 20 anni la seconda (più giovane). Anni effettivi di servizio? 9 per il primo, addirittura 12 per la seconda (8 anni persi!): potete facilmente comprendere che non raggiungeranno mai i 42 anni di servizio, e toccherà loro lavorare fino ad età di 67/69 anni.

Sono le regole baby, sembra d’ascoltare la Fornero o quel bellimbusto di Michel Martone, professore universitario a 31 anni perché – a detta di uno di uno dei commissari che lo promosse professore con una sola pubblicazione – “è un raccomandato di ferro”.

Ma…ve lo vedete un insegnante di quasi 70 anni tenere testa ad una scolaresca di quelle odierne, che negli istituti tecnici e professionali rasenta oramai la delinquenza abituale? Oggi hanno il coltello in tasca. Domani?



Per questo la CGIL (messa all’angolo dai COBAS) ha giocato uno dei carichi pesanti: volete la guerra? E guerra sia: il copione lo conoscete.

Se i poveri insegnanti sono oramai considerati come degli operai specializzati con una laurea in tasca – le tabelle per gli adeguamenti al costo della vita sono, appunto, per “operai, impiegati ed insegnanti”, di certo non per “medici, insegnanti e magistrati” – e non hanno più capacità di lotta (ricordiamo il blocco degli scrutini…) come si fa?

Si scatenano le truppe: gli studenti. “Studenti ed insegnanti uniti nella lotta”: ecco il nuovo slogan.



Per carità: gli studenti hanno motivi da vendere per protestare, anche con un telefonino da 500 euro in tasca.

Percepiscono, “a pelle”, che quel mondo – appena sfiorato nei loro primi anni di vita – fatto di certezze e piccole abitudini consolidate, sta crollando: crollano le famiglie, crolla la scuola…di tutto rimane un vuoto simulacro, un costrutto di affetti accigliati e lezioni stantie che sa di muffa.

Questo è ciò che ha meditato la Camusso per non cedere totalmente la piazza ai COBAS: CISL, UIL ed UGL sono oramai sotto la protezione del WWF, per la salvaguardia delle specie in estinzione.

Il pericolo non è virtuale, non si tratta di una minaccia vagheggiata o di un eco che si perde di valle in valle: è reale, composto da urla di paura e di trionfo, nasi rotti e cassonetti in fiamme. E se non fosse possibile fermarlo? Iniziano a chiedersi i politici.



Ma non hanno risposte.

Interessante la risposta del futuro “politico” Briatore: “La povertà, che è sotto i nostri occhi, è un fatto. E un fatto ha sempre una ragione”.

Come mia moglie che sta facendo il ragù: è un fatto, e un fatto ha sempre una ragione. Meno male che qualcuno, a 60 anni, scopre il principio di causa ed effetto: c’è speranza per tutti. Anche per Briatore.

09 novembre 2012




De Gerarchia



La Gerarchia è un elemento fondante di tutti i regimi di destra, al punto che l’omonima rivista fu fondata dallo stesso Benito Mussolini nel 1922: è stupefacente quanto oggi – nel silenzio più assoluto, coperto dal gran frastuono dei media – si stia tornando a dei concetti e a delle prassi di tipo gerarchico. Alcune delle quali – ci teniamo a sottolinearlo – cozzano violentemente contro la Carta repubblicana.

Va detto, anzitutto, che nel concetto fascista di Gerarchia i ruoli erano ben chiari, e soprattutto, bilanciati dalla forza di altri due contrappesi: lo Stato e la Legge, anche se non sempre – per la classica abitudine italiana al “tengo famiglia” od altre scemenze italote – la cosa funzionava.



Vediamo, anzitutto, una definizione di Gerarchia tratta da Wikipedia:



“Una gerarchia (dal greco hieros sacro, arché governo) è un sistema di graduazione e organizzazione delle cose. Diversi campi usano la parola in modi leggermente differenti, ma una definizione particolare racchiude il nucleo di quasi tutti gli utilizzi del termine.”



Successivamente, viene fornito un esempio di gerarchia sociale:



“Re, nobili, proprietari terrieri, piccoli proprietari terrieri, contadini, servi.”



La “scala sociale” – che, ricordiamo, è solo un esempio di Wikipedia – si nota subito che è l’antitesi della democrazia: anzi, assomiglia molto all’organizzazione feudale della società.



Andando avanti, viene presentato un altro esempio su basi logico-filosofiche:



“Ad esempio, se Sara è il capo di Giacomo, allora Giacomo non è il capo di Sara. Quando i due nodi sono in relazione, uno è designato come il "superiore" (detto anche "genitore") e l'altro come il "subordinato" (detto anche "figlio"). Nel caso intuitivo della relazione "è il capo di...", il capo è il superiore e l'impiegato è il subordinato.”



Non a caso, però, si precisa che “Quando i due nodi sono in relazione…” intendendo in questo modo che esista una relazione fra le due entità, nella quale una è preminente sull’altra.

Qui ci sono dei vulnus, non nel concetto generale di Gerarchia: il discorso (come approfondiremo in un altro articolo) è intimamente legato alla natura ed ai compiti del Sindacato, nato proprio per mediare fra le parti ed evitare spiacevoli situazioni di sovrani scapitozzati.

Gerarchia e Democrazia sono due termini antitetici? Eppure anche l’antica democrazia greca manteneva delle impronte gerarchiche.


Col trascorrere del tempo, sono mancati i Re ed i Principi, i vecchi proprietari terrieri non sono nulla al confronto dei manager, dei finanzieri internazionali, delle società petrolifere e minerarie: per questa ragione la Gerarchia ha subito un mutamento. Da elemento statico, conformato ad una società con mutamenti lenti e prevedibili, ha assunto una dinamicità senza pari, al punto che la sua potenza negli attuali equilibri, insieme agli scopi ed i fini per i quali è stata “rimodernata”, quasi sfugge.



Sia chiaro: non stiamo parlando di società segrete di qualsivoglia natura – è un altro paio di maniche – bensì di prassi amministrative che si sono lentamente sostituite alle precedenti con la scusa, sempre su tutte le bocche – del “ammodernamento” del Paese. Il che, non è mai avvenuto – basta fare un salto all’estero per rendersene conto – ma in Italia è evidente se ci si presta attenzione e si bevono le fandonie del potere.

Quand’era? Forse il 2004, quando Silvio Berlusconi – con a fianco il ministro per l’innovazione Lucio Stanca – presentò in pompa magna la carta d’identità elettronica: quanto tempo è passato? Cosa è rimasto? Uno spot pubblicitario e la solita carta d’identità, cartacea, in tasca.



Aprendo una breve parentesi, si possono anche comprendere le motivazioni di tali fallimenti: l’apparato informativo dello Stato è fatiscente (colpevoli anche le continue “riforme” delle pensioni, che mantengono al lavoro gente nata prima della Tv, quando molti cavalli correvano ancora nelle campagne italiane).

In altre parole, non è necessario meditare chissà quali piani mefistofelici affinché la stegocrazia sia supportata da forme gerarchiche antidemocratiche: basta lasciar correre le cose come vanno, senza intervenire.

Le procedure possono anche mutare, le persone no: le tessere sanitarie sono inaffidabili, al punto che – in uno studio medico – vidi un cartello che consigliava di portare anche la vecchia tessera cartacea, ma mille sono gli esempi che si possono portare: le carte Bancomat che s’inceppano già da nuove, le multe fasulle (altro intestatario, altra vettura, ecc), le cartelle delle tasse sbagliate (errori d’omonimia, vizi di notifica), ecc.

Chiudendo la parentesi, l’apparato informativo dello Stato tenta di decollare, ma si schianta al suolo alla prima brezza per ignavia, inabilità, incompetenza e menefreghismo.



Quello che invece funziona, e funziona bene, è l’aspetto gerarchico della faccenda: siccome la Gerarchia è mono-direzionale, gli errori e le disfunzioni finiscono per annegare nel silenzio più assordante.

L’attuale Gerarchia è priva degli attributi aulici di un tempo: non vi è nessuna sacralità, nessun neo-platonismo nel suo incedere. Figlia dei tempi, potremmo definirla una neo-Gerarchia, oppure la farsa dell’impianto originario. Peraltro, adatto ad altri tempi, altre società, altre genti.



Laddove leggi, decreti od altro ancora cozzano violentemente contro la realtà dei fatti, contro le incongruenze plateali ed acclarate, la Gerarchia torna utile alla Casta per sbrigare con uno “sbaglio” – sempre altrui – le proprie contraddizioni.

Un esempio lampante è la presentazione, annuale, del concorso per le borse di studio dell’INPDAP, che giunge ogni anno nelle scuole: mi meravigliai parecchio, perché la presentazione della domanda scadeva l’indomani.

Ovviamente, bisognava allegare una serie di documenti che era impossibile rastrellare in così poco tempo, fra i quali la certificazione ISEE che necessita di un CAF per essere compilata. Perché? E’ sin troppo facile immaginare il motivo: alcuni conoscevano anzitempo la data ed il testo del concorso e provvedevano a consegnare la documentazione.

Poi – stranamente – giungevano pochissime domande ed i fondi…beh i fondi erano superiori alle richieste, dunque…



Se questo caso è un classico dell’amministrazione italiana (nelle gare d’appalto, ecc) l’esempio successivo è anch’esso un esempio “di scuola” per rimediare ad un errore legislativo.



La comunicazione che ero soprannumerario giunse per e-mail nel circuito SISSI – le comunicazioni segrete ai Dirigenti Scolastici del Ministero (anche questo un bell’esempio di “glasnost”) – e fu stata pubblicata sul registro, per la firma, intorno al 20 Maggio 2012. La scadenza? 25 Maggio 2012.

Niente paura: le signorie vostre, entro la scadenza dei termini (bonariamente “dilatati” al 31/5/2012 – sic!), faranno domanda per essere immessi nei ruoli degli insegnanti di sostegno.



Questa faccenda del sostegno mi puzzava, perché era avvolta nella carta del sopruso e dell’ingiustizia: nei confronti nostri? No! Dalle parti degli insegnanti di sostegno – gente preparata, che aveva seguito più corsi universitari – ci si sentiva presi per il c…: ma come, questi arrivano, fanno un corso on line di 120 ore più 8 (otto!) in presenza e sono certificati insegnanti di sostegno?

Siamo seri: gli insegnanti di sostegno hanno ragione, da vendere.

Ma come giustificare i “risparmi” operati dalla Gelmini (e sposati in pieno da Profumo) sul personale? Negli Istituti Tecnici le classiche 2 ore settimanali di laboratorio (Fisica, Chimica, Informatica, ecc.) sono state ridotte ad una: immediatamente, migliaia di soprannumerari. Eppure erano e sono ore d’insegnamento qualificanti, le uniche nelle quali gli studenti possono misurarsi con oggetti, procedure, metodi, ecc: vabbuò, fate un comunicato stampa nel quale sottolineate l’importanza della pratica sperimentale – pare d’ascoltare Profumo – e, contemporaneamente, cacciateli così risparmiamo.

“Er Batman”, Formigoni, Lusi, Penati…che c’entrano? Altro capitolo di bilancio.



In questa guerra dei poveri fra soprannumerari, precari, docenti di sostegno ed altri poveri sfigati – una guerra dolorosa, pare di tornare lassù, in “Un anno sull’altipiano” a sparare su poveri fantaccini bosniaci, inviati da Franz Josef lontano dalla loro terra a morire – ciascuno deve obbedire e fare la sua parte. Ossia la classica “domandina”: così faccio anch’io subito, entro il 31 Maggio 2012.

Poi, giunge il “ciclone” Bondi con la sua Spending Review – un tecnico nominato da un altro tecnico, una meraviglia di democrazia – e tutto diventa fumoso: dobbiamo fare un’altra domanda? La facciamo.

La prima versione non va bene perché non correttamente compilata con “l’apposito” software (Acrobat Reader 11, ah, ah, ah): niente paura, la rifaccio e tutto va bene, ma…

Si invia di nuovo l’allegato 2, modulo domanda, che sostituisce quello inoltrato nella mail di seguito riportata.

Per puro errore materiale non era stata inserita la classe C510 tra quelle in esubero.



XY

Dirigente Ufficio N

Direzione Generale per il Personale Scolastico

Ministero Istruzione, Università e Ricerca



Al che, rispondo nel modo più logico e semplice possibile:



Scusate un chiarimento: chi appartiene a classe di concorso diversa dalla C510, oggetto dell'ultima versione della domanda, deve inviare nuovamente la domanda (avendola già inviata)?

Grazie

Con i miei più cordiali saluti

Carlo Bertani



Risponde WZ, alto papavero regionale dell’istruzione:



SI. Grazie. WZ



A questo punto, come usa dire, m’incazzo una riga e rispondo:



Scusi dott. WZ, ma cos'è, uno scherzo?

Lei mi risponde il 30 per una scadenza del 31? Avendo già io inviato la domanda?

Non è colpa mia se sbagliate a fare le domande tre volte il dì, ma le assicuro che ci sarà un ricorso. Aspettatevelo pure: questa non è serietà.

Saluti

prof. Carlo Bertani



Niente paura: la Gerarchia è protetta da indirizzi di e-mail mono-direzionali, cosicché partono solo ordini ai quali si deve obbedire. Sieg Heil!



This is an automatically generated Delivery Status Notification.

Delivery to the following recipients failed.

WZ.ge@istruzione.it



Finito: la Casta – mediante la Gerarchia truffaldina – ha ottenuto il suo scopo: ha mescolato le carte al punto che, se non hai presentato per tempo la domanda (eh certo, siamo tutti lì fino a mezzanotte del 31 ad aspettare le loro comunicazioni) che vuoi?



La Gerarchia ha cominciato ad impazzare man mano che hanno scoperto il mezzo elettronico come simil-rapporto con l’utenza: a loro non fregava nulla della modernizzazione del Paese, bastava sostituire un luogo dove c’era un bancone e si potevano battere i pugni per avere giustizia con un luogo asettico, lontano, impersonale e difficile da utilizzare, soprattutto per le scarse nozioni informatiche degli italiani.

E-bay, Paypal? Tutte creature estere.



Quando, poi, c’è il rischio di perdere dei soldi – semplicemente la cessazione di un servizio – si scatenano: in Italia non è possibile che una persona si trasferisca, cambi operatore telefonico, oppure – più semplicemente – passi a miglior vita. Qualcuno deve continuare a pagare e, per questo, sono pagate profumatamente le varie “autority" che hanno il compito di proteggere i bilanci delle varie società, affinché non abbiano a soffrire. E che gli italiani continuino ad essere spremuti.

La principale attività italiana è diventata il call centre, un luogo dove – nonostante gli sforzi dei poveri addetti – nove volte su dieci non si riesce a concludere nulla. Allora provi via Internet, come ho fatto io per comunicare alla RAI la morte di mia madre e, ovviamente, la cessazione di un servizio.

Riesco a trovare (con difficoltà) la pagine delle cessazioni per decesso e scrivo:



Immediata la risposta:




Questo scoraggia chiunque: lo sanno. Provo tre volte, poi lascio perdere e tornerò alla via cartacea fatta di raccomandate, bolli, atti di notorietà e soldi, sempre soldi da sborsare.

Così è tutta la pubblica amministrazione: zeppa d’errori, malfunzionamenti, carcasse informatiche che vagano nell’Averno del Diritto sbeffeggiandolo e ridendo per la loro incapacità, coperta da dirigenti nominati de lege (partitica).



Anni fa, m’incaponii e riuscii a far multare Telecom Italia (4,5 milioni di euro) per abuso di posizione dominante, ma fu uno sforzo mica da poco con lettere, e-mail, comunicati, ecc.

Allora, la Casta moltiplica le occasioni di scontro: il confronto fra il cittadino e lo Stato non è ad armi pari, poiché dovresti avere uno stuolo di segretarie ed un archivio per tenere loro testa. Lo sanno, e ci vignano.

Sulla pubblica amministrazione regnano personaggi da operetta, come Brunetta o Patroni Griffi: l’unico imperativo è come licenziare, far fuori personale, mica rendere un servizio al pari di Francia o Germania. Di questo, non gliene frega nulla: ditemi, nell’ultimo decennio, un esempio – giunto dalla P.A. – d’ammodernamento veramente utile ai cittadini.



Vittorio Feltri ha detto una cosa giusta nell’ultima puntata di Servizio Pubblico: Grillo può essere un buon bulldozer per spazzare via questa immondizia politica ed amministrativa e bene fa a mettere delle regole, come quella di non partecipare ai talk-show. Da uomo di spettacolo, sa bene quali rischi si corrono e non vuole che i suoi giovani imberbi siano subito confusi con gli stupidi che vanno in Tv a sbraitare ed insultare.



Dopo? Dopo sarà più dura per la Casta, e lo sanno: dovranno governare con ancor più italiani contro, questa volta in Parlamento. Sempre che Grillo non faccia Bingo e ci riesca: sarebbe un altro paio di maniche ed un diverso scenario, tutto da inventare.



Lo so che soffriamo mille ingiustizie, ma uno spiraglio c’è: sfruttiamolo.