Da qualche tempo a questa parte, pare che le questioni medio-orientali siano diventate motivo di contesa politica spicciola, di rivisitazione storica assai superficiale: mi riferisco soprattutto agli utenti di Comedonchisciotte.org, dove pare che ogni articolo scateni sempre più risse e sempre meno ragionamenti, al punto che sto chiedendomi se valga ancora la pena di scrivere per quel sito.
Ma scendiamo a bomba sull’argomento.
Per capire cosa sta succedendo nel Medio Oriente (più il Vicino Oriente) bisogna tornare al 2003, quando le truppe americane sbaragliarono l’esercito di Saddam Hussein. Cosa prevedibile, com’era facile prevedere che l’Iraq si sarebbe presto trasformato in una sorte di Vietnam senza jungla: è un leitmotiv delle guerre americane dopo la II G.M, ossia “vincere la guerra e perdere la pace”.
Ciò deriva dall’incapacità di un popolo che non è mai stato colonialista quando tutti lo erano: difatti, guai ancora peggiori – agli USA – li hanno evitati i britannici, che di queste cose se ne intendono. E persino gli italiani.
In poche parole, gli americani credono alla favoletta dei “liberatori” – la loro retorica ne è intrisa, sono una nazione nata da una guerra contro dei colonizzatori – e non riescono a comprendere che, una volta conquistato un Paese, l’unica cosa da fare è giungere a patti con la classe dirigente sconfitta, altrimenti la nazione è ingovernabile.
Nel 2003, George Bush I il Vecchio avvertì il figlio del rischio che lui stesso s’era trovato ad affrontare nel 1991: “liberare” l’Iraq per regalarlo all’Iran. Bush II il Giovane – mal consigliato da personaggi con scarso acume strategico (si noti la defezione di Powell) – non prestò attenzione ai consigli del padre e, di conseguenza, finì in un vicolo cieco.
Tutti ricordiamo lo stillicidio di vittime USA che aumentavano di giorno in giorno, mentre l’inquilino della Casa Bianca mangiava noccioline.
Affermare che l’Iraq sia oggi “pacificato” è una menzogna – nel solo periodo 1-23 Dicembre 2009 sono stati uccisi almeno 13 soldati USA[1], più quelli che muoiono per le ferite e gli invalidi (non dichiarati) – ed Obama ha dovuto spostare molto in là nel tempo il “rompete le righe” in Iraq, con il plauso dei repubblicani ed il dissenso dei democratici. Business is usual.
Ciò nonostante, il numero degli attacchi è sceso: perché?
Poiché, facendo leva sulla maggioranza sciita nel Paese, gli USA hanno appoggiato ed appoggiano gli sciiti e la minoranza curda in funzione anti-sunnita, ottenendo in questo modo una minor conflittualità nei loro confronti, ma giungendo – infine – al paradosso di Bush il Vecchio, ossia “regalare” l’Iraq agli iraniani.
Per quanto riguarda il passato, vorrei ricordare che lo scrivente mai ritenne probabile una guerra contro l’Iran, e tutti gli articoli che scrisse sono ancora là a testimoniarlo. Certo, non si può mai esser certi al 100%, ma per affermare che non ci sarebbe stata guerra – quando tanti sedicenti “analisti” lanciavano un “allarme guerra Iran” la settimana e comunicavano “segreti” spostamenti di Task Force USA – bisognava avere il coraggio delle proprie opinioni. E guerra non c’è stata, meno che mai in futuro.
Quei movimenti navali erano reali, indiscutibili, ma facevano parte della “Naval diplomacy” per convincere l’Iran a “richiamare” il riottoso Moqtada al Sadr all’ordine, e per fornire qualche spaventapasseri utile agli ayatollah iraniani, tanto per fare accettare l’accordo. Si veda, come termine di paragone, la “Naval diplomacy” durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, per rendersi conto di come certi movimenti navali non siano da ascrivere al quadro militare, bensì diplomatico.
In cambio, l’Iran ottenne il via libera per il suo programma nucleare: con una “zampa” in Iraq, gli iraniani sapevano e sanno benissimo che gli USA non sono più in grado di mercanteggiare. Gli USA hanno cercato di coinvolgere la Russia per l’arricchimento esterno ai confini iraniani dell’Uranio – cosa che sarebbe stata gradita ai russi, moneta sonante e la possibilità di “regolare” dall’esterno il programma nucleare iraniano – ma a Teheran non hanno abboccato, stipulando (in chiave energetica e politica) con la Cina la vendita, per 25 anni, del gas iraniano. Più l’eterna alleanza con l’India in chiave anti-pachistana, ed i russi sono stati spiazzati.
Nello scacchiere Medio Orientale, quindi, la situazione trova un compromesso al ribasso il quale, in ogni modo, ha il pregio di rallentare la guerriglia in Iraq. Al prezzo di un Iran che cresce, economicamente e militarmente.
Se cercate la prova del nove, chiedetevi perché l’ENI si è aggiudicata il contratto per il “succoso” giacimento di Zubair – Paolo Scaroni l’ha definito “un bel boccone” – e se Scaroni, vecchia volpe del petrolio, decide di cacciare i soldi per un giacimento nel sud dell’Iraq, sa che i tempi sono maturi per farlo[2].
Se il Medio Oriente, se non altro, piange meno, nel Vicino Oriente si ride poco, anzi.
La repentina decisione di creare una moneta unica nel Golfo (Iran escluso, ovvio) sembra una risposta saudita, sul piano finanziario, alla crescita militare dell’Iran.
Pur essendo entrambi i Paesi produttori di petrolio, la loro struttura sociale è profondamente diversa: poco popolosa ed ancorata ad un sistema feudale la Saudi Arabia, paese “giovane” che punta sull’industrializzazione e sui frutti della conoscenza l’Iran.
Ovvio che i sauditi non possono, per loro struttura sociale, competere con l’Iran sul piano della tecnologia e della produzione industriale, e per avere forze militari in grado di controbattere all’Iran devono affidarsi agli eterni alleati, gli USA.
Per questa ragione, il “Gulfo” non sembra avere (a differenza dell’euro) valore di moneta “strategica”: parrebbe più un supporto al dollaro che altro, considerando che le altre monete “in gara” per il mercato dell’energia sono senz’altro più “corpose”: l’euro in primis, ma anche – in futuro – lo yuan cinese ed addirittura il vecchio rublo si fa avanti.
Perciò, una moneta di per sé “esterna” all’area del dollaro, ma ad esso ancorata non da legami finanziari ma strategici, potrebbe essere gradita a Ryad – che potrebbe mettere in campo qualcosa per contrastare l’egemonia iraniana nel Golfo – ma dall’altra anche dagli USA i quali, sapendo benissimo che il dollaro è oramai una moneta “a termine”, almeno per gli scambi petroliferi potrebbero fare affidamento su una moneta “amica”, nel senso che potranno sempre regolare il rubinetto che rifornisce l’aeronautica saudita.
In questo quadro, chi va a soffrire di più è senz’altro Israele.
Tramontato, con la guerra in Libano, il sogno di porsi come crocevia per gli scambi petroliferi dal Nord (Caspio, Kurdistan, ecc) al Sud grazie al porto di Askelon, Tel Aviv si rende conto d’essere la pedina di gambit, da sacrificare per eventi maggiori. E non ci sta.
Le diplomazie israeliana ed americana sembrano esser giunte ad un punto simile a quello del 1956 – la crisi di Suez – quando gli israeliani cercarono in tutti i modi di far entrare gli USA nella partita, ma non ci riuscirono perché quella guerra, per Washington, doveva significare il tramonto delle ex potenze coloniali, GB e Francia. E così fu.
Non si può dire che le due diplomazie siano in conflitto fra loro, ma che corra unità d’intenti è una falsità: gli interessi americani divergono oramai diametralmente dalla nota dottrina della “Eretz Israel”, e Tel Aviv sa che non aggiungerà più un metro quadrato di territorio. Anzi, dovrà difendere il West Bank e Gaza dalle richieste internazionali di uno Stato Palestinese.
Che fare?
Nella prospettiva di non poter attaccare i siti nucleari iraniani – sotto il profilo militare sarebbe una follia: troppo distanti, troppi rifornimenti in volo, ampio margine d’allarme per i difensori, ecc – si prova con la destabilizzazione interna. Funzionò ai tempi di Mossadeq, ma quelli erano altri tempi, una situazione molto diversa.
Sull’Iran si fa tanta confusione, soprattutto perché si finisce per osservarlo con i nostri occhi, occhi occidentali. Se è vero che non potremmo mai accettare di vivere in un Paese come l’Iran – nessuno di noi potrebbe ammettere le impiccagioni – è altrettanto vero che un iraniano non si troverebbe certo a suo agio qui: troppa Storia ci divide.
La società iraniana è – a nostra differenza – vitale perché giovane ed “innamorata” della politica, soprattutto stima un Presidente che ha saputo mettere in primo piano la crescita ed il benessere della nazione rispetto agli interessi stranieri: a ben vedere, avremmo qualcosa da imparare.
Sull’altro versante, è innegabile che certe restrizioni del vivere sociale vadano “strette”: difatti, si fa largo uso d’alcolici nelle feste private, nelle case. Mai in pubblico.
Le ragazze “sfidano” l’obbligo del velo portandolo quasi sulla nuca: sono le naturali pulsioni e contraddizioni di una popolazione giovane che desidererebbe maggior libertà.
Non scambiamo, però, queste richieste come il voler buttare al macero la storia del Paese degli ultimi 30 anni: nessuno vorrebbe tornare indietro, ai tempi dello Scià, salvo pochi reazionari monarchici.
La sfida iraniana diventa quindi interessante sotto il profilo sociale per l’intero mondo musulmano: il problema – che a nostro avviso molti non avvertono – è che non possiamo giudicarlo con il nostro metro! Il termine “Illuminismo” – da noi – ha un preciso significato, mentre laggiù non vuol dir nulla.
Separare l’ambito religioso da quello sociale, senza scadere nella secolarizzazione della dottrina religiosa, e tanto meno relegandola in una Torre d’Avorio è impresa ardua, anche perché gli iraniani ritengono il Credo sciita parte integrante della loro vita.
A differenza dei sunniti, che non hanno quasi organizzazione gerarchica religiosa, il credo sciita è fortemente strutturato: moneta a due facce senz’altro, ma che consente un dialogo fra interlocutori certi.
In mezzo a questo vero e proprio tourbillon sociale, è chiaro che è facile innestare dall’esterno delle parvenze di “rivolta” contro il Governo iraniano: queste rivolte esistono, ma non sono ascrivibili né comprensibili se non all’interno della tradizione del Paese. Ripeto: non con il nostro metro.
D’altro canto, nel quadro geopolitico sopra presentato, cosa rimane da fare alle diplomazie occidentali? Cercare almeno, a mo’ d’arma spuntata, di creare grattacapi a chi governa, pur sapendo che non s’otterranno grandi risultati.
Tutto ciò, però, getta ancor più nella disperazione la situazione palestinese: se il quadro geopolitico non consente ad Israele l’espansione che desiderava, sarà molto difficile strappare delle concessioni su quel fronte.
Anche qui, notiamo come il rapporto Goldstone non sia – ad oggi – ritenuto di sostanziale valore fondante per giungere ad una svolta nella situazione: anch’esso viene usato in chiave diplomatica, come contrappeso alle velleità israeliane di potenza.
Comprendo che il quadro potrà apparire cinico, ma è a questo che dobbiamo riferirci se vogliamo dissertare di questioni geopolitiche. Non è ciò che desidereremmo in un’ottica di pace e di prosperità per tutti, ma è ciò che abbiamo. It’s diplomacy, baby. Rassegnati.
Per ora, accontentatevi degli auguri di Buon Anno.
Copyright 2009, riproduzione vietata. E’ solo possibile scrivere un breve abstract e linkare l’articolo.
Ma scendiamo a bomba sull’argomento.
Per capire cosa sta succedendo nel Medio Oriente (più il Vicino Oriente) bisogna tornare al 2003, quando le truppe americane sbaragliarono l’esercito di Saddam Hussein. Cosa prevedibile, com’era facile prevedere che l’Iraq si sarebbe presto trasformato in una sorte di Vietnam senza jungla: è un leitmotiv delle guerre americane dopo la II G.M, ossia “vincere la guerra e perdere la pace”.
Ciò deriva dall’incapacità di un popolo che non è mai stato colonialista quando tutti lo erano: difatti, guai ancora peggiori – agli USA – li hanno evitati i britannici, che di queste cose se ne intendono. E persino gli italiani.
In poche parole, gli americani credono alla favoletta dei “liberatori” – la loro retorica ne è intrisa, sono una nazione nata da una guerra contro dei colonizzatori – e non riescono a comprendere che, una volta conquistato un Paese, l’unica cosa da fare è giungere a patti con la classe dirigente sconfitta, altrimenti la nazione è ingovernabile.
Nel 2003, George Bush I il Vecchio avvertì il figlio del rischio che lui stesso s’era trovato ad affrontare nel 1991: “liberare” l’Iraq per regalarlo all’Iran. Bush II il Giovane – mal consigliato da personaggi con scarso acume strategico (si noti la defezione di Powell) – non prestò attenzione ai consigli del padre e, di conseguenza, finì in un vicolo cieco.
Tutti ricordiamo lo stillicidio di vittime USA che aumentavano di giorno in giorno, mentre l’inquilino della Casa Bianca mangiava noccioline.
Affermare che l’Iraq sia oggi “pacificato” è una menzogna – nel solo periodo 1-23 Dicembre 2009 sono stati uccisi almeno 13 soldati USA[1], più quelli che muoiono per le ferite e gli invalidi (non dichiarati) – ed Obama ha dovuto spostare molto in là nel tempo il “rompete le righe” in Iraq, con il plauso dei repubblicani ed il dissenso dei democratici. Business is usual.
Ciò nonostante, il numero degli attacchi è sceso: perché?
Poiché, facendo leva sulla maggioranza sciita nel Paese, gli USA hanno appoggiato ed appoggiano gli sciiti e la minoranza curda in funzione anti-sunnita, ottenendo in questo modo una minor conflittualità nei loro confronti, ma giungendo – infine – al paradosso di Bush il Vecchio, ossia “regalare” l’Iraq agli iraniani.
Per quanto riguarda il passato, vorrei ricordare che lo scrivente mai ritenne probabile una guerra contro l’Iran, e tutti gli articoli che scrisse sono ancora là a testimoniarlo. Certo, non si può mai esser certi al 100%, ma per affermare che non ci sarebbe stata guerra – quando tanti sedicenti “analisti” lanciavano un “allarme guerra Iran” la settimana e comunicavano “segreti” spostamenti di Task Force USA – bisognava avere il coraggio delle proprie opinioni. E guerra non c’è stata, meno che mai in futuro.
Quei movimenti navali erano reali, indiscutibili, ma facevano parte della “Naval diplomacy” per convincere l’Iran a “richiamare” il riottoso Moqtada al Sadr all’ordine, e per fornire qualche spaventapasseri utile agli ayatollah iraniani, tanto per fare accettare l’accordo. Si veda, come termine di paragone, la “Naval diplomacy” durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, per rendersi conto di come certi movimenti navali non siano da ascrivere al quadro militare, bensì diplomatico.
In cambio, l’Iran ottenne il via libera per il suo programma nucleare: con una “zampa” in Iraq, gli iraniani sapevano e sanno benissimo che gli USA non sono più in grado di mercanteggiare. Gli USA hanno cercato di coinvolgere la Russia per l’arricchimento esterno ai confini iraniani dell’Uranio – cosa che sarebbe stata gradita ai russi, moneta sonante e la possibilità di “regolare” dall’esterno il programma nucleare iraniano – ma a Teheran non hanno abboccato, stipulando (in chiave energetica e politica) con la Cina la vendita, per 25 anni, del gas iraniano. Più l’eterna alleanza con l’India in chiave anti-pachistana, ed i russi sono stati spiazzati.
Nello scacchiere Medio Orientale, quindi, la situazione trova un compromesso al ribasso il quale, in ogni modo, ha il pregio di rallentare la guerriglia in Iraq. Al prezzo di un Iran che cresce, economicamente e militarmente.
Se cercate la prova del nove, chiedetevi perché l’ENI si è aggiudicata il contratto per il “succoso” giacimento di Zubair – Paolo Scaroni l’ha definito “un bel boccone” – e se Scaroni, vecchia volpe del petrolio, decide di cacciare i soldi per un giacimento nel sud dell’Iraq, sa che i tempi sono maturi per farlo[2].
Se il Medio Oriente, se non altro, piange meno, nel Vicino Oriente si ride poco, anzi.
La repentina decisione di creare una moneta unica nel Golfo (Iran escluso, ovvio) sembra una risposta saudita, sul piano finanziario, alla crescita militare dell’Iran.
Pur essendo entrambi i Paesi produttori di petrolio, la loro struttura sociale è profondamente diversa: poco popolosa ed ancorata ad un sistema feudale la Saudi Arabia, paese “giovane” che punta sull’industrializzazione e sui frutti della conoscenza l’Iran.
Ovvio che i sauditi non possono, per loro struttura sociale, competere con l’Iran sul piano della tecnologia e della produzione industriale, e per avere forze militari in grado di controbattere all’Iran devono affidarsi agli eterni alleati, gli USA.
Per questa ragione, il “Gulfo” non sembra avere (a differenza dell’euro) valore di moneta “strategica”: parrebbe più un supporto al dollaro che altro, considerando che le altre monete “in gara” per il mercato dell’energia sono senz’altro più “corpose”: l’euro in primis, ma anche – in futuro – lo yuan cinese ed addirittura il vecchio rublo si fa avanti.
Perciò, una moneta di per sé “esterna” all’area del dollaro, ma ad esso ancorata non da legami finanziari ma strategici, potrebbe essere gradita a Ryad – che potrebbe mettere in campo qualcosa per contrastare l’egemonia iraniana nel Golfo – ma dall’altra anche dagli USA i quali, sapendo benissimo che il dollaro è oramai una moneta “a termine”, almeno per gli scambi petroliferi potrebbero fare affidamento su una moneta “amica”, nel senso che potranno sempre regolare il rubinetto che rifornisce l’aeronautica saudita.
In questo quadro, chi va a soffrire di più è senz’altro Israele.
Tramontato, con la guerra in Libano, il sogno di porsi come crocevia per gli scambi petroliferi dal Nord (Caspio, Kurdistan, ecc) al Sud grazie al porto di Askelon, Tel Aviv si rende conto d’essere la pedina di gambit, da sacrificare per eventi maggiori. E non ci sta.
Le diplomazie israeliana ed americana sembrano esser giunte ad un punto simile a quello del 1956 – la crisi di Suez – quando gli israeliani cercarono in tutti i modi di far entrare gli USA nella partita, ma non ci riuscirono perché quella guerra, per Washington, doveva significare il tramonto delle ex potenze coloniali, GB e Francia. E così fu.
Non si può dire che le due diplomazie siano in conflitto fra loro, ma che corra unità d’intenti è una falsità: gli interessi americani divergono oramai diametralmente dalla nota dottrina della “Eretz Israel”, e Tel Aviv sa che non aggiungerà più un metro quadrato di territorio. Anzi, dovrà difendere il West Bank e Gaza dalle richieste internazionali di uno Stato Palestinese.
Che fare?
Nella prospettiva di non poter attaccare i siti nucleari iraniani – sotto il profilo militare sarebbe una follia: troppo distanti, troppi rifornimenti in volo, ampio margine d’allarme per i difensori, ecc – si prova con la destabilizzazione interna. Funzionò ai tempi di Mossadeq, ma quelli erano altri tempi, una situazione molto diversa.
Sull’Iran si fa tanta confusione, soprattutto perché si finisce per osservarlo con i nostri occhi, occhi occidentali. Se è vero che non potremmo mai accettare di vivere in un Paese come l’Iran – nessuno di noi potrebbe ammettere le impiccagioni – è altrettanto vero che un iraniano non si troverebbe certo a suo agio qui: troppa Storia ci divide.
La società iraniana è – a nostra differenza – vitale perché giovane ed “innamorata” della politica, soprattutto stima un Presidente che ha saputo mettere in primo piano la crescita ed il benessere della nazione rispetto agli interessi stranieri: a ben vedere, avremmo qualcosa da imparare.
Sull’altro versante, è innegabile che certe restrizioni del vivere sociale vadano “strette”: difatti, si fa largo uso d’alcolici nelle feste private, nelle case. Mai in pubblico.
Le ragazze “sfidano” l’obbligo del velo portandolo quasi sulla nuca: sono le naturali pulsioni e contraddizioni di una popolazione giovane che desidererebbe maggior libertà.
Non scambiamo, però, queste richieste come il voler buttare al macero la storia del Paese degli ultimi 30 anni: nessuno vorrebbe tornare indietro, ai tempi dello Scià, salvo pochi reazionari monarchici.
La sfida iraniana diventa quindi interessante sotto il profilo sociale per l’intero mondo musulmano: il problema – che a nostro avviso molti non avvertono – è che non possiamo giudicarlo con il nostro metro! Il termine “Illuminismo” – da noi – ha un preciso significato, mentre laggiù non vuol dir nulla.
Separare l’ambito religioso da quello sociale, senza scadere nella secolarizzazione della dottrina religiosa, e tanto meno relegandola in una Torre d’Avorio è impresa ardua, anche perché gli iraniani ritengono il Credo sciita parte integrante della loro vita.
A differenza dei sunniti, che non hanno quasi organizzazione gerarchica religiosa, il credo sciita è fortemente strutturato: moneta a due facce senz’altro, ma che consente un dialogo fra interlocutori certi.
In mezzo a questo vero e proprio tourbillon sociale, è chiaro che è facile innestare dall’esterno delle parvenze di “rivolta” contro il Governo iraniano: queste rivolte esistono, ma non sono ascrivibili né comprensibili se non all’interno della tradizione del Paese. Ripeto: non con il nostro metro.
D’altro canto, nel quadro geopolitico sopra presentato, cosa rimane da fare alle diplomazie occidentali? Cercare almeno, a mo’ d’arma spuntata, di creare grattacapi a chi governa, pur sapendo che non s’otterranno grandi risultati.
Tutto ciò, però, getta ancor più nella disperazione la situazione palestinese: se il quadro geopolitico non consente ad Israele l’espansione che desiderava, sarà molto difficile strappare delle concessioni su quel fronte.
Anche qui, notiamo come il rapporto Goldstone non sia – ad oggi – ritenuto di sostanziale valore fondante per giungere ad una svolta nella situazione: anch’esso viene usato in chiave diplomatica, come contrappeso alle velleità israeliane di potenza.
Comprendo che il quadro potrà apparire cinico, ma è a questo che dobbiamo riferirci se vogliamo dissertare di questioni geopolitiche. Non è ciò che desidereremmo in un’ottica di pace e di prosperità per tutti, ma è ciò che abbiamo. It’s diplomacy, baby. Rassegnati.
Per ora, accontentatevi degli auguri di Buon Anno.
Copyright 2009, riproduzione vietata. E’ solo possibile scrivere un breve abstract e linkare l’articolo.
No, non credo che gli amerikani di oggi credano ancora alla favoletta di avere la "missione del liberatore", troppo distante nel tempo, ed ormai sepolta nella memoria storica, il quibus alla base della loro lotta di liberalizzazione anticoloniasta.
RispondiEliminaCerto il potere ha bisogno ancora di sventolare questa bandiera che fa sempre presa su una parte della popolazione;
ma sempre va tenuta presente che la società amerikana, tutta, è intrisa del principio fondamentale che gli "interessi economici amerikani vengono prima di tutto" ;
il che ha guidato l'espansionismo USA in tutto il pianeta supportandolo anche con le più aberranti nefandezze.
E' facile essere daccordo con l'analisi fatta sull'Iran
in base a quello che i ns Tg propinano all'opinione pubblica: basta qualche perche' motivato per arrivare a pensarla in modo opposto
Israele ha bisogno della Palestina per tanti motivi ma non credo alle separazioni di intenti con gli Usa: i dati economici del paese - che a quanto si dice sono simili a quelli della cina e dell'india- fanno pensare che gli Usa avranno ancora bisogno del gendarme di zona cromatizzato da martire..
Gli altri alleati degli Usa, quindi anche l'italia, potrebbero, spinti dalla crisi - che in Italia deve ancora esplodere nella sua virulenza socip-economica-, diminuire gli appoggi "di pace", creando ulterioni problemi ad Obama
Obama, considerato il nuovo, nonostante il riconoscimento preventivo di uomo della pace, è perfettamente agganciato al potere, quello vero. Di sempre.
Quello che mi pare certo e' che nel Vicino e nel Medio Oriente , e con la dovuta attenzione al resto che lo contorna, le due punta di diamante che stanno avendo uno enorme sviluppo tecnologico in settori fondamentali sono l'Iran e Israele. Entrambe, in modo diverso, intrinsecamente "fondamentaliste".
E questo dal mio punto di vista le rende molto pericolose per l'umanita.
Doc
Non credere che la popolazione americana - e l'esercito è professionale, sono quindi volontari - sia così insensibile al richiamo della "liberazione".
RispondiEliminaTutte le vicende dopo la 2 GM indicano che gli USA non sono capaci a svolgere il ruolo di colonizzatori, dunque in rapporto dialettico con le popolazioni, bensì sanno usare il solo metodo "Sand Creek". Il quale funziona con una tribu d'indiani, un po' meno in situazioni complesse.
Sulle similitudini fra l'Iran ed Israele, ritengo che i primi siano in ascesa, i secondi in declino.
Ciao
Carlo
posso lasciare anch'io un commento?
RispondiEliminaCiò che mi è più piaciuto di questo articolo è quella parte riguardante i parametri o, per usare il termine adoperato da Bertani, il "metro" con cui l'occidente valuta, classifica e comprende il suo "altro", in questo caso l'Iran. Ciò che mi è piaciuto meno è il modo nonchè gli esempi utilizzati da Bertani per mettere in risalto la problematica del metro. Non è vero che NESSUN iraniano non si sentirebbe a suo agio nell'occidente, così come non è vero che TUTTI gli italiani sono contro la condanna a morte, e soprattutto non lo sono TUTTI gli iraniani. L'articolo, insomma, è ricco di informazioni utili e interessanti per capire quello che accade nel cosiddetto vicino oriente (a proposito, è vicino solo agli europei ma non lo è a noi, suoi abitanti). I termini quali oriente, occidente, Iran, Italia non sono concetti omogenei, bensì eterogenei così come lo è anche il pensiero umano: ecco perchè lo stesso scrittore dell'articolo può essere molto più (medio)orientale dei miei vicini di casa. Caro Bertani, Le auguro un bel 2009 dalla Giordania. Mahmoud
RispondiEliminaCerto, Mahmoud, hai ragione quando affermi che le entità non sono mai omogenee. Purtroppo, quando si scrive un articolo, si deve per forza generalizzare un po', altrimenti le troppe precisazioni finirebbero per rendere meno "filante" il discorso. E' un prezzo che, inevitabilmente, si paga. In un libro questo non sarebbe accettato, perché nello spazio di un libro si può precisare meglio che in 1.800 battute!
RispondiEliminaNoto che il blog si sta, sempre di più, internazionalizzando!
Auguri a te ed a tutto il Pianeta
Carlo Bertani
ZZZZzzz---CRRRrrr-zzz-Crrr---zzzZZZZ
RispondiEliminacontact..contact...
esserci anyone ?
ZZZZzzz---CRRRrrr-zzz-Crrr---zzzZZZZ
ZZZZzzz---CRRRrrr-zzz-Crrr---zzzZZZZ
RispondiEliminaSalve! Io telefono da casa.
Scusare mio no buono scrivere terrestre moderno.
Essere pur vero quello che tu scrivere, Carlo, ma da quassù tue considerazioni su diplomazia terrestre apparire molto distanti et mucho prive di senso...
A dicere il vero un pò tutte vicende umane assumere contorni più sfumati, meno netti, et loro evolversi et loro succedersi perdere completamente qualsasi significato razionale.
Essere assurdo quello facete laggiù su vostro pianeta! Ricco di risorse, very comfortable. No così facile trovare un posto simile in medio tante galassie!
E invece di godere di sue cose, et di cercare sua preservatio, state lì a darvele di sancta ragione per vedere chi riuscire a ciulare più risorse per poi potere consumare tutte in più breve tempo possibile.
Ma!
Speramus in novo anno.
Prospero año et felicitate omnibus,
E.T.
ZZZZzzz---CRRRrrr-zzz-Crrr---zzzZZZZ
Alex :-)
"se vogliamo dissertare di questioni geopolitiche." non dovremmo dimenticare che la la prima guerra del golfo fù scatenata, non per regalare l'iraq all'iran....ma semplicemente perche Saddam,il 2 agosto del 1990 invase il KWAIT...(le cui catene di "distributori di benzina"IN iTALIA si chiamano "Q8")paese che rappresenta ancora il TAPPO che impedisce all'IRAQ di avre uno sbocco sicuro, dall'ingerenza dell'iran e dell'arabia saudita, sul golfo persico.
RispondiEliminaL 'invasione scatenata da G.W.BUSH contro l'iraq terminò infatti dopo che gli iraqueni furono scacciati dal Q8.(non conquistarono infatti bagdad,come alcuni ancora rimproverano)
Aprendo una carta geografica si percepisce immediatamente che L'iraq è attualmente uno stato cuscinetto tra iran ed emirati arabi che rispecchiano ancora le vecchie sfere di influenza da "guerra fredda" per cui, l'ran rappresenta gli interessi della ex urss ora russia,e gli emirati arabi gli interessi occidentali....
Kr...Kr...Krrrr - ALEX - Krrr...concordiamo in pieno, considerazione su stupidità dei Gaioti, troppo stupidi, potebbero essere terminati a breve Kr Krrrr...attento a peperoncino giallo su pianeta VBN32 di Orione: rosso poco piccante, giallo terrificante!
RispondiEliminaDa Gaia, passo e chiudo.
CB
Per Amicone: la situazione è senz'altro complessa. In ogni modo, il futuro dell'Iraq dopo la partenza degli americani (quando?) potrebbe rispecchiare proprio la questione che poni. Nell'impossibilità di rimanere "cuscinetto", si potrebbe giungere ad una spartizione fra Iran e Siria. C'è però l'incognita Kurdistan: che direbbe la Turchia?
RispondiEliminaCiao
Carlo Bertani
scusi se commento qui al post di BARNARD su CDC...MA QUEI PIRLA MI CENSURANO I COMMENTI!!!
RispondiEliminaAlle volte per analizzare la presenza di determinate malattie mentali si ricorre alla tecnica dell'associazione di parole
per verificare quale sia il livello di "estraniazione dalla realtà" del paziente da analizzare.
Attraverso le immagini e i pensieri che un paziente associa ad una parola si tenta di verificare quanto questa abbia perso il suo significato reale, lasciando il posto al "significato proiettato" che questa ha assunto nella mente del paziente
presumibilmente a causa di traumi emotivi precedenti che necessitano di essere identificati e rimossi al fine di restituire al paziente una percezione della realtà priva di fantasticherie patologiche.
Barnard associa istintivamente alla parola nazismo,il termine sadismo!Se appare plausibile che un internato in un campo di concentramento, che sia stato violentato da una guardia,compia una simile associazione di idee, appare misterioso il processo mentale che ha portato barnard a tale parallelo.
Dal vocabolario "sadismo"indica perversione sessuale che consiste nel trarre piacere erotico dall'infliggere sofferenze al
partner.Allora perche Barnard lo usa per definire il nazismo?
Premettiamo che, poverino,non è colpa sua, e anzi, è una patologia purtroppo comune a milioni di persone ma che ha una causa
molto ben definita e si chiama "propaganda"(attività volta alla diffusione di concetti,teorie o posizioni
ideologiche,politiche,religiose al fine di CONDIZIONARE"il comportamento e la psicologia collettiva di un vasto
pubblico.)nella quale ricade anche la "storia" quando il suo studio e analisi perde il suo carattere scientifico ed assume,
appunto quello di propaganda delle inequivocabili ragioni di chi dalla storia risulta uscito predominante.Ci sarebbe da
scrivere un libro intero sulle cause e concause per le quali barnard itilizza questo bizzarro parallelo(come la
introduzione forse lascia intendere MA CHE MI RIFIUTO DI CONTINUARE),ma forse,un atto strabiliante come quello di leggere la mente di un estraneo con un atto prodigioso di telepatia cibernetica , tentando di ipotizzare quale sia "la immagine"esatta che ricorre nella mente di barnard nel momento che
viene nominato il termine nazismo, potrebbe supplire alla lunga e noiosa trattazione (che mi rifiuto di fare) al fine di aprire uno squarcio nelle menti ottenebrate dalla malattia.Caro Barnard,la notte sogni per caso quei documentari su hitler che ogni tanto piero angela propala su quark e che narrano delle presunte perversioni sessuali di cui hitler sarebbe stato affetto con la moglie, con tanto di inquietante sottofondo musicale ?
Il punto e': perchè ha bisogno di esternare qui, qualcosa - che ovviamente è fuori tema- dovrebbe dovrebbe riguardare (eventualmente) il pensiero e/o opinioni di Barnard?
RispondiEliminaMica e' per similitudine di problematiche?...
Doc
P.S.approfitto per augurare buon anno a tutti
Non ho cancellato il tuo intervento, Amicone, non perché la problematica che citi sia di scarso peso, quanto perché non è giusto postare dei commenti per un altro destinatario. Oltretutto, che non c'entra nulla con l'articolo proposto.
RispondiEliminaQuindi, amichevolmente t'invito a non farlo più su uesto blog, altrimenti mi vedrò costretto a cancellare il post.
Ciao
Carlo Bertani
Carlo la tua analisi sul Medi oriente è valida e in gran parte condivisibile. Ho alcuni punti che vorrei farti notare, uno è che gli americani sono un popolo che gradisce poco combattere e come al tempo della guerra del Vietnam si rivolterebbe ad una coscrizione obbligatoria. Gli USA hanno una formidabile marina un'ottima aviazione e una pessimo, per non dire inetto esercito di terra è questo il loro tallone d'Achille che li sta portando lentamente alla rovina militare. Su Israele ritengo come te che non cederanno un metro di territori conquistati in Cis-Giordania. Però il dilemma è quanto Israele è pronta ad usare le sue bomba atomiche che dicono essere una trentina e quanto sarà consentito dagli USA, specie se il tentativo di sostituire la dirigenza iraniana attuale con una alla Quisling, come penso Moussavi sia. Se invece il potere riuscirà a reprimere la rivolta allora procederà a dotarsi di un numero sempre più grande di bombe atomiche e Israele entrerà nel panico con imprevedibili conseguenze.
RispondiEliminaCiao
Orazio
p.s.
Il caffè, purtroppo, l'ho già vinto.
Il vero problema e' che questi mentecatti dell'umanesimo fanno passare per "sante ragioni" quelle che, utilizzando una tautologia, sono equiparabili a crimini di guerra:
RispondiEliminail diritto di israele ad esistere viene utilizzato per far passare lo sterminio dei civili; la difesa dei alestinesi come terrorismo tout court;
il diritto alla sicurezza nazionale
degli USA fa passare gli altri paesi, non allineati o non alleati degli usa, come aree canaglie o colluse con esse e quindi passibili di rappresaglie; e per farlo si utilizza tutto lo scenario possibile, anche di tipo farsesche:e queste scene vengono etichetate, timbrate come evidente, palese attentato terroristico (si pensi all'assurdita dell'innesco tentato seduto armeggiando ...nelle mutande)
Quello che non capisco e' cosa c'e' dietro la nuova sceneggiatura che lentamente, con il solito regista, viene mano mano messa su..
Perche' il nuovo nemico primario, indicato - e minacciato- da Obama e' lo Yemen?
Dipende anche dal fatto che le aste sul petrolio sono finite o quasi e quindi gli interessi si spostano altrove?
O il tutto serve a depistare l'attenzione dai crimini commessi da israele, finalmente dichiarati esistenti anche dall'onu?
Come la presunta spontanea ribellione del "popolo" in iran con lo stesso colore usato per buttare giu' lo scia'?
o... semplicemente sono diventato cronicamente paranoico?
Buona domenica
Doc
A mio parere, Orazio, non si tratta di una questione di disparità fra le forze armate USA. La crisi degli eserciti iniziò già con la 1° GM, con la fine dei modelli ricalcati sugli eserciti napoleonici.
RispondiEliminaMarina ed Aviazione consentono una prosecuzione della "politica delle cannoniere", con la fanteria devi scendere a terra.
E' un vero peccato che nessun editore accettò di pubblicare il libro che scrissi sul Kosovo (era pronto nel 2000), perché approfondiva proprio questo punto, mettendo in evidenza come gli USA avrebbero perso qualunque conflitto a terra. Quella guerra "drogò" i neocon, facendoli credere invincibili.
Oggi solo la Cina possiede ancora un esercito "napoleonico", ma i modelli s'evolvono verso scenari d'automatismi nell'assassinio di massa chiamato guerra. Pensiamo ai Predator, già lo raccontavo nel 2000, con tutti i limiti dei sistemi automatici, che non possono presidiare un territorio.
Non credo che le testate israeliane saranno mai lanciate: con la sconfitta in Iraq - perché di sconfitta mascherata si tratta - l'Iran è il vero ago della bilancia, e nessuno riuscirà a scalzare gli ayatollah, credimi, quel popolo ha troppi brutti ricordi nei rapporti con l'Occidente ma, a differenza dei più, non fu mai colonizzato.
PS: hanno cambiato l'inno del PdL, ed è sparita la parola "Silvio" da "meno male che Silvio c'è". Controlla se hai i 90 centesimi nel portafogli.
Ti anticipo subito - doc - che ti ruberò in qualche articolo l'espressione "mentecatti dell'umanesimo", perché è una delle più centrate che ho letto negli ultimi anni.
Non credo che dietro a questo pateracchio delle mutande con l'esplosivo ci sia chissà quale strategia.
Almeno, ai tempi di James Bond, nelle mutande c'era ben altro, perché erano mutandine femminili.
Prendiamo, a caso, un Presidente che si fa eleggere con voti democratici e poi deve portare avanti la stessa strategia del suo predecessore repubblicano: che fa?
Qualcosa bisogna pure inventarsi.
Non vedo più dei Kissinger e dei Gromiko sulla scena internazionale, e neppure degli Andreotti.
Il vecchio mondo sta franando loro addosso, perché le rinnovabili stanno per costare meno dei fossili, perché le bombe atomiche nulla possono contro le fucilate (già lo disse Kennedy).
Qualcosa esiste: i Rifkin, le Transition Town, migliaia di "quattro amici al bar" come noi, su migliaia di blog.
Quanto resisteranno ancora i mentecatti dell'umanesimo?
Non lo so, caro amico, e mi fa tanta paura quel crollo, perché - per resistere - hanno dovuto fare piazza pulita di tutti i possibili Delfini.
500 anni di Storia stanno per finire: le caravelle tornano in porto per essere demolite. Che faranno i nuovi zar orientali?
Ciao a tutti
Carlo
Carlo se non ti hanno pubblicato il libro sul Kosovo perché non ne metti almeno alcuni capitoli sul blog? A proposito si parla dell'Italia che bombardava la sua telecomserbia che Prodi aveva da poco acquistato? Un colpo di genio politico di baffino.
RispondiEliminaSi parla che l'esercito serbo era intatto dopo settimane di bombardamenti?
Si parla che i tagliagole dell'UCK nel frattempo erano stati sgominati dall'esercito serbo? Tagliagole? Ma radicali li incensavano come la milizia più demopcratica d'Europa.
Ciao
Orazio
Ti basti sapere che, in 10.000 missioni aeree, sono riusciti a distruggere il 40% dell'aeronautica serba.
RispondiEliminaVuoi sapere il numero dei corazzati serbi distrutti dagli aerei USA? Mi pare fossero 13, o giù di lì. In 10.000 missioni.
Ho troppe cose da fare per mettermi a rivedere quel libro: dovrei andare in pensione, ma non ho ancora la "finestra"!
Ciao
Carlo
Caro Carlo te ne vai in pensione? Una brutta notizia per la scuola italiana. Ve ne state andando tutti quelli della vecchia guardia e ci, mi, lasciate soli a noi cinquantenni che avremo come colleghi molti precari e giovani trentenni che mi sembrano poco inclini alla lotta a più all'insalivamento dei dirigenti scolastici. Libertà d'insegnamento, diritti dei lavoratori nella scuola da tempo hanno poco corso nelle nostre scuole statali.
RispondiEliminaPer quanto riguarda lo Yemen hai visto gli USA? Pochi giorni fa parlavano di fare sfracelli in questo paese, oggi dicono che non hanno mai pensato di attaccarlo. Si saranno fatti due conti su quanti uomini disponibili hanno? Quanti carri, artiglieria e altro? Obama a volte mi sembra Belrusca un giorno dice una cosa e l'altro se la rimangia.
Già me lo vedevo il La Russa offrire un contingente italiano di alcune migliaia di soldati. Ma anche lui dove avrebbe preso uomini e mezzi? Dal sacco di Babbo Natale? o dalla calza della befana? Magari avrebbe riproposto la leva obbligatoria.
Noi in Italia siamo fritti con il Brunetta che minaccia di trasformare l'Italia in un paese fondato sulla speculazione finanziaria e non sul lavoro.
La scommessa, scusa la ripetizione, l'ho vinta io abbondantemente.
Ciao
Orazio
No, Orazio, non ci vado ancora perché non posso, giacché per una lunga storia m'hanno fregato due anni di contributi.
RispondiEliminaComunque, fosse per l'italica scuola, c'andrei domani.
Sapessi come cambia quando t'avvicini ai 60!
Non te ne frega più nulla, non hai nemmeno più voglia d'ascoltare i ragazzi. I pochi che ancora ci riescono, a quell'età, dovrebbero essere pensionati d'autorità perché mai cresciuti.
A volte osservo queste nuove leve delle Lingue Osannanti e non so se ridere o piangere. Poveri ragazzi, nelle mani dei Senza Palle firmaprogetti.
Comunque, aspetta: sono una persona d'onore e, se alle Idi di Marzo...pagherò, non prima...
Ciao
Carlo