“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia”
William Shakespeare – Amleto – Atto Primo – Scena Quinta.
Continuando di questo passo, siamo certi che Giulio Tremonti scoprirà che le galline fanno le uova e che le rose profumano. Dandogli ancora tempo, arriverà a capire come facciano le mucche e fare il latte e, magari, perché il Sole scalda.
L’uomo del Monte x 3 non la smette mai di stupirci; va là – italiani! – ve lo dico io come si vive meglio: con il posto fisso[1]! Lo crediamo bene: lui ce l’ha!
Adesso che abbiamo risolto tutto con il posto fisso, forse non ha più senso parlare di reddito di cittadinanza, d’energia rinnovabile, di truffa sulla moneta…non serve più a niente…oppure sarebbe meglio proporre schede gratis per i telefonini e una moratoria per tutte le infrazioni stradali causate dall’alcolismo? Dai, Giulio.
Ma…sbagliamo o questo Giulio Tremonti è la stessa persona che, solo un anno fa, firmò i famosi decreti dei “100 giorni”, quelli che hanno visto nascere, nella scuola, le classi di 30-40 persone e che hanno cacciato sulla strada decine di migliaia d’insegnanti? O abbiamo sognato? Il sospetto che ci siano in giro dei replicanti – signori miei – a questo punto non è più fantasia.
Oppure, nel miglior stile sovietico, Giulio ha fatto autocritica. Comprendiamo.
Non va più di moda sbattere la gente in Siberia…no…però – a questo punto – vorremmo vedere i fatti. Altrimenti, il replicante che parlava al convegno della Banca Popolare di Milano – facendosi credere il Ministro dell’Economia della Repubblica – in una baita sopra Sondrio dovrebbe andarci da solo. E restarci.
Il lavoro non è un argomento “gettonato”, eppure trascorriamo spesso più tempo al lavoro che con i nostri familiari: ora, se a parlare di lavoro è uno scrittore, passi, ma quando a farlo – ed in modo così esplicito! – è un Ministro dell’Economia, dovrebbe trarne le conseguenze. Oppure scegliere la parte d’Amleto e recitarla fino in fondo, sempre che riesca a reggere il ruolo.
Siccome non crediamo una parola delle riflessioni del nostro bel Amleto da Sondrio, proveremo noi a parlare di lavoro: come sappiamo farlo, visto che non siamo ministri economici.
Come si può parlare di lavoro, di quel che è diventato il lavoro, di cosa potrebbe (e dovrebbe) essere il lavoro, sul perché lavoriamo, per quanto tempo, come…
Quante ore fai? Quanto prendi? Ti fai il culo?
Ecco, forse in questo modo tutti capirebbero – come fanno in TV, che la vincono sempre – però il Web è il luogo dove pochi, fra quelli che non sanno leggere un grafico, arrivano: dunque, parlare di lavoro senza le pelli di salame agli occhi, dovrebbe essere ancora possibile. Sempre che s’abbandoni la triplice domanda appena esposta.
Il primo aspetto da valutare, per quanto riguarda la natura del lavoro, è il fabbisogno energetico: più è elevato, meno lavoro manuale esiste. Le immagini dei cinesi che costruivano le strade a forza di braccia sono oramai storia, come le nostre di quasi un secolo fa: difatti, anche il loro fabbisogno energetico è schizzato alle stelle.
La gran parte dell’energia consumata va a sostituire la forza muscolare umana ed animale, mentre una quota certamente minore viene utilizzata per sostituire l’intelligenza umana, dai semplici computer alla miriade di schede elettroniche utilizzate nelle macchine di processo, ossia nell’enorme “cascata” tecnologica che, partendo dalla macchina che vernicia automaticamente le autovetture, giunge alla macchina che ha costruito quella macchina.
Il fenomeno è noto e possiamo analizzarlo meglio partendo da un dato relativo agli ultimi 30-40 anni: l’occupazione nelle grandi imprese è scesa all’incirca di un punto percentuale l’anno, mentre la produttività è cresciuta pressappoco del medesimo valore.
Senza spilluzzicare i decimali, potremmo semplicemente affermare che le macchine fanno le cose più in fretta dell’uomo e costano di meno: perciò, gli uomini dovrebbero lavorare sempre di meno. Non me lo invento io: basta rileggere Marx, invece ci viene chiesto di lavorare sempre di più. E poi manca il lavoro: per forza! Se lo fanno le macchine…
L’equilibrio ha retto fin quando il capitalismo di matrice keynesiana ha vissuto, ossia fino alle grandi ristrutturazioni industriali degli anni ’70, giacché la “spinta” sindacale era sorretta da molti fattori, quali il gran numero di lavoratori sindacalizzati, l’assenza di un’informazione pianificata in modo spietatamente orwelliano, la presenza di 160 divisioni sovietiche di là dell’Oder.
Ciascuno di quei fattori aveva il suo peso e contribuiva a destinare ai lavoratori una quota consistente dell’aumento di produttività, che si trasformò per decenni in diminuzione dell’orario di lavoro ed in aumento reale delle retribuzioni, mentre il trattamento previdenziale ed assistenziale era sicuramente più favorevole rispetto all’oggi ed a quello che il futuro prospetta.
Se vogliamo scendere un attimo fra gli esempi, ricordiamo che la sanità era praticamente gratuita, che in ospedale s’andava anche “per analisi”, ossia per stilare una diagnosi precisa, e non solo per nascere, per morire o per qualche accidente improvviso. Oggi, ti fanno correre come un pazzo fra le varie strutture, e ti paghi praticamente tutto.
Il trattamento previdenziale era diversificato fra il settore pubblico e quello privato, ma in ogni modo molto vantaggioso rispetto all’oggi: nel pubblico, le famose “pensioni baby” erano un espediente della classe politica per salvaguardare la fedeltà dei ceti medi, mentre chi aveva lavorato nel settore privato – ed aveva iniziato a lavorare presto – a circa 50 anni terminava la propria vita lavorativa, giacché bastavano 35 anni di contribuzione.
Da ultimo, la generazione nata negli anni 20-30 del ‘900 riuscì spesso ad acquistare o costruire una casa, a far studiare i figli, a concedersi quello che oggi è considerato quasi un lusso: due o tre settimane di vacanza, magari in tenda o roulotte, ma vacanze erano.
A fronte di quella situazione – idilliaca, se paragonata all’oggi – il debito pubblico era attestato intorno al 60% del PIL: quindi, quando narrano che sono stati lavoratori le “idrovore” del bilancio pubblico, raccontano solo frottole.
Il punto di “viraggio” di quella situazione possiamo allocarlo fra il 1980 ed il 1990: l’elezione di Ronald Reagan non fu la causa scatenante del processo di mutamento, bensì il suo giungere a maturazione.
La “Guerra Fredda” aveva concesso enormi investimenti alla ricerca militare, soprattutto per quanto riguardava la miniaturizzazione dell’elettronica (missili, ecc), la quale fu gran dispensatrice di una nuova gestione del lavoro, nel quale la fatica umana diventava un nemico da sconfiggere non tanto per questioni etiche, quanto perché meno redditizia. Difatti, proprio negli anni ’80, la FIAT assorbì la COMAU (robotica industriale) e, dopo pochissimi anni, segmenti importantissimi delle catene di montaggio (si pensi alla verniciatura, con quel che si trascinava appresso per problemi di nocività) furono completamente automatizzati.
Fin qui l’aspetto tecnologico e produttivo, che toccava ogni ambito del lavoro, dall’agricoltura ai servizi, passando – ovviamente – per l’industria, i trasporti, la sanità, ecc.
Rimaneva il problema di non cedere più i benefici della maggior produttività ai lavoratori, e non era faccenda così semplice da risolvere.
L’aspetto internazionale del problema è stato, a nostro avviso, poco valutato: ricordiamo che Enrico Berlinguer, prima delle elezioni del 1976, candidamente affermò che «se il PCI avesse vinto le elezioni, l’Italia sarebbe stata naturalmente schierata nel Patto di Varsavia.»
Ovvio che quella frase non può essere presa per oro colato – i mezzi per ovviarla erano molti, il Cile insegna – però la presenza sovietica nel Pianeta richiedeva sempre attenzione sul fronte interno.
Il grande “sogno” di un nemico sconfitto e nella polvere fu realizzato dall’amministrazione Reagan, mentre – precedentemente – la “trappola afgana” di Brezinskji ne aveva creato i prodromi. La fulminea, nuova impostazione americana della difesa – ricordiamo la “Marina delle 600 navi” – condusse l’URSS ad aumentare le spese militari fino al 16,5% del proprio PIL, mandando a catafascio la programmazione sovietica. Zeppi d’armi di tutti i tipi, con l’industria pesante completamente assorbita a costruire “bisonti” di cielo, mare e terra, i russi attendevano per mesi il motore di ricambio per il frigorifero, ed imprecavano.
Terminiamo qui la trattazione dell’aspetto geopolitico del problema – non perché manchino gli argomenti! Le spese militari che giunsero al 7% del PIL statunitense (UE circa 1-2%) con inevitabili ricadute, la “liberazione” al capitalismo selvaggio di tante nazioni prima legate al carro di Mosca, che si rivelò un boomerang proprio per l’industria a stelle e strisce, ecc… – e ci fermiamo qui soltanto perché ci condurrebbe lontano dai nostri obiettivi.
Gli eventi di quegli anni – l’avvento dell’elettronica a basso costo, il crollo dell’URSS, la nuova “informazione libera”, che solo oggi osserviamo nella sua completa acquiescenza al potere – crearono le basi per il passaggio a quello che viene definito “Turbocapitalismo”, “Liberismo selvaggio”, eccetera.
La differenza precipua, rispetto al capitalismo di matrice keynesiana, risiede in un semplice principio: il lavoratore non è più considerato un attore del processo produttivo, non deve accampare diritti, le rappresentanze sindacali possono essere comperate un tanto al chilo od ignorate, nel nome del supremo interesse nazionale. Il che, incrina quella “repubblica fondata sul lavoro” che recita il primo articolo della Costituzione, giacché i Costituenti pensarono al mondo del lavoro come ad un universo dialettico, non un diktat determinato dal “supremo interesse nazionale”, che sa tanto di Ventennio.
Ovvio che questo “interesse nazionale” è un pio eufemismo: si tratta della somma fra gli interessi delle classi dominanti (finanza, industria, ecc) e di quelli dei loro lacché, la Casta politica. Il che, apre uno scenario che riguarda il debito pubblico.
A metà degli anni ’70, il debito pubblico iniziò a “correre”: ovviamente, la colpa fu addossata ai lavoratori (scala mobile, ecc), mentre sfuggì completamente che l’Italia aveva moltiplicato a dismisura la spesa pubblica non nella fornitura di servizi alla collettività, bensì per creare un vasto elettorato – fedele poiché retribuito – mediante la de-localizzazione.
La riforma regionale del 1970 doveva decretare la fine delle Province – della serie: o l’impianto di stampo napoleonico (Province), oppure quello di matrice tedesca (Regioni), poiché mantenerli entrambi sarebbe stato troppo costoso – ed invece avvenne il miracolo. Le Province furono “salvate” assegnando loro una “quota” del personale scolastico (un vero e proprio non sense) ed altre competenze che riguardavano la caccia e la pesca. Di più: nacquero le comunità montane e le circoscrizioni, altre idrovore di soldi pubblici.
Per citare un solo esempio, prima della polverizzazione delle competenze, sul fiume Po aveva voce in merito un solo ente: il Magistrato del Po. Oggi, sono 28 diverse amministrazioni, con il gran caos che ne consegue.
Infine, poiché ancora non bastava, ecco spuntare una miriade di fondazioni ed enti – alcune già esistenti, altre creati ex novo – per avere una sorta di “cassa di compensazione” per i “trombati” oppure per parenti, amici, mammasantissima di turno. Tutto ciò, lo possiamo osservare ogni anno nel consueto “assalto alla diligenza” che è la Finanziaria: ridotti al lumicino i provvedimenti d’assistenza sociale, si moltiplicano le “fondazioni” che ricevono denaro, la stampa pagata direttamente dalla politica, ecc.
Si tratta del necessario frutto per nutrire un elettorato fasullo, certo della propria sicurezza sociale soltanto grazie al voto ed all’appoggio politico: anche le famose pensioni d’invalidità, di democrista memoria, sono tornate a crescere.
In fin dei conti, solo 30 italiani su 100 si sono recati, alle ultime elezioni europee, a sorreggere i partiti di governo: sommiamo tutta la Casta con i suoi aggregati (fondazioni, enti inutili, consulenze, ecc) famiglie, parenti ed amici e capiremo che una buona fetta di quei voti sono comprati.
E il lavoro? E i lavoratori?
Il primo passo, sconfitto l’orso sovietico, fu quello di fare man bassa per tutto ciò che c’era d’appetibile: la famosa “riunione” sul Britannia è storia nota, meno le condizioni di quello che fu “appetito”.
La Società Autostrade – finanziata per decenni dall’ANAS, soldi pubblici, di noi tutti – era una fiorente società pubblica: basso indebitamento, occupazione in calo dell’1% l’anno (tessere autostradali al posto degli esattori, poi Telepass), bilancio ampiamente in attivo: passata di mano per un piatto di lenticchie.
La barzelletta che hanno raccontato per decenni fu che lo Stato, in economia, era uno sfracello: difatti, si guardarono bene dal privatizzare ciò che non conveniva o doveva mantenere un ruolo sociale. Oggi, tentano nuovamente la stessa carta, con le continue pressioni per privatizzare Italcanieri, un’azienda pubblica, florida ed in espansione. Zeppa di “posti fissi”, quelli che oggi – 19/10/2009, teniamolo a mente, magari domani cambiano replicante… – piacciono tanto a 3Monti.
Dopo quelle belle trovate – siccome lo Stato s’era privato di fonti di reddito, ed i boiardi di Stato reclamavano ampia “libertà d’impresa” – giunsero gli accordi sindacali del 1993, i quali sancirono anch’essi il principio del “supremo interesse nazionale”.
Il recupero salariale dell’inflazione fu affidato alla cosiddetta “inflazione programmata”, la quale fu una presa per i fondelli come mai se n’erano viste: “programmo” un tasso d’inflazione (lo desumo dalle analisi dei “guru” economici, me lo faccio dire dal Mago di Forcella, lo invento di sana pianta…) e la differenza sarà – in seguito (!) – recuperata. Ovvio che, quel “seguito”, assommava altra inflazione ed altre perdite di valore delle retribuzioni le quali, dalla fine della scala mobile, hanno perduto circa il 30%, forse più, del loro valore reale.
Tutti gli attori di quella sciagurata rapina ai danni dei lavoratori furono sontuosamente premiati: l’artefice (Ciampi) con la Presidenza della Repubblica, mentre quelli che facevano il “palo” (i sindacalisti venduti) con le presidenze di “succosi” enti. Ma non bastava ancora.
Si narra che l’appetito vien mangiando: ecco allora – benedetto da tutti: Treu, Maroni, Bassanini, Sacconi, ecc – il grande escamotage per privare i lavoratori dell’ultimo appiglio che rimaneva loro per mettere insieme il pranzo con la cena: il contratto di lavoro. Entra in scena la “flessibilità”: come?
Si prende un accurato studio sul lavoro svolto da un docente universitario (Biagi), si opera un sapiente “taglia ed incolla” per prendere tutto ciò che può essere favorevole agli imprenditori e s’eliminano tutte le garanzie per i lavoratori. Quando, poi, il professore si lamenta che il suo lavoro è stato stravolto, che non era quello il frutto del suo pensiero, lo si abbandona e gli si toglie la scorta. Lui, ancora si lamenta perché ha ricevuto minacce: a quel punto, delle “provvidenziali” Brigate Rosse lo ammazzano e, quello che è oggi Ministro delle Attività Produttive (Scajola), lo definisce un “rompicoglioni”. In qualsiasi Paese europeo, un simile elemento – dopo un’uscita del genere – non sarebbe mai più entrato in un’aula parlamentare, ma siamo in Italia.
Ha così inizio l’odissea di tanti giovani, i quali non hanno più ferie pagate, accantonamenti pensionistici, liquidazioni: il bello della faccenda è che, sulla carta, questi diritti ancora esistono mentre, nella realtà, sono stati completamente depotenziati. Quale sarà la pensione di un lavoratore a progetto? Ha solo da sperare nell’assegno sociale.
A quel punto, il disegno d’appropriarsi totalmente degli incrementi di produttività era quasi completato: mancavano ancora due tasselli.
Il primo è la necessità di un vasto sottoproletariato, qualcuno che sia ancor più ricattabile e sul quale (possibilmente) scaricare la rabbia e la frustrazione: ecco all’orizzonte le barche dei migranti, i nuovi schiavi non si devono più rastrellare nella savana! Basta dar fuoco alla savana: arrivano da soli!
Nell’agro casertano e nel foggiano, in agricoltura, si sono consumate pagine da piantagione dell’Alabama del secolo scorso, con tanto di guardiani armati. La stampa qualcosa ha riportato[2], ma basta qualche velina, più il solito rumeno delinquente (al pari del delinquente italiano), per saldare tutti i conti. Mica i giornalisti delle testate di regime e delle TV di partito li strapagano per niente.
Una volta trovato qualche milione di capri espiatori, ecco la nuova puntata: bisogna aumentare l’età della pensione! I conti sono in rosso!
In realtà, prima della controriforma Damiano, l’INPS era in attivo per la parte previdenziale di 1 miliardo di euro l’anno, dopo la riforma Damiano (dati 2007) per ben 17 miliardi di euro. Eppure, altre nubi s’addensano sui lavoratori: l’ultima “puntata” del reality pensionistico è stato portare (da oggi al 2018) a 65 anni l’età di pensionamento delle dipendenti pubbliche. Perché solo quelle pubbliche? E’ ovvio che, giuridicamente, non sta in piedi. La risposta di Sacconi (ma…parlerà con Tremonti? Con quale dei replicanti? Boh…) è stata molto interessante e ci apre uno scenario che, per la definizione odierna di “lavoratore”, è quasi un incubo.
«Perché hanno un lavoro sicuro.»
Ora, stabilire che chi ha un lavoro sicuro debba lavorare più di altri ci sembra un poco stiracchiato, giacché – con questa bella uscita – si fa passare il concetto che un lavoro sicuro sia quasi un privilegio. Da oggi, grazie al buon Giulio, sappiamo che è tornato una buona cosa. Ne siamo felici.
Eppure, lavorare semplicemente tutta la vita (se lo si desidera) in un’azienda, non ci sembra chissà quale concessione: milioni d’italiani delle generazioni precedenti l’hanno fatto. Erano anch’essi privilegiati?
Il furbo Sacconi vuole far credere che il lavoro “normale” – quello che tutti dovrebbero avere, perché “giusto”, “coerente” con lo sviluppo infinito della spirale produzione/consumo, utile a mantenere “giovane” il lavoratore perché vive stimoli sempre nuovi, ecc – sia quel claudicare fra un lavoretto di qualche mese ed un “progetto” di settimane. Il tutto, ovviamente, inframmezzato da periodi di disoccupazione: chi non gode di questo trattamento è un privilegiato, e dunque deve pagare dazio. Purtroppo, questa è stata la vulgata imperante fino a ieri, giacché tutti i media e le forze politiche lo sorreggevano, ma da oggi...
La Costituzione Italiana prevede ben altro per il lavoratore, e pare che il buon Giulio – recatosi da Napolitano per altre questioni – ne abbia ricevuto una copia in omaggio e, finalmente, l’abbia letta. Sentitamente, ce ne rallegriamo.
Ecco quel che Tremonti deve aver scoperto:
Art. 35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la liberta di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.
Art. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa e stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
Art. 37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
Art. 38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera.
A leggere questi articoli, c’è da chiedersi in quale Paese viviamo. Signor Presidente della Repubblica: cos’ha da dire al riguardo dei contratti di flessibilità, con l’art. 36 – “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” – correlato con gli attuali ritmi del lavoro “flessibile”, nel quale le ferie sono, spesso. semplice disoccupazione?
Signori giudici della Corte Costituzionale, cos’avete da dire riguardo all’art. 38 – “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” – in special modo per chi rimane disoccupato? E ancora, l’art. 35 – “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa” – dov’è finita la dignità di mantenere la propria famiglia con 800 euro il mese?
Adesso, caro Giulio, affermi che “la Costituzione non è stata pienamente applicata”: scusa, da una ventina d’anni a questa parte, dove hai vissuto? E le pensioni?
Le riforme pensionistiche italiane (sempre con la scusa del debito pubblico, da loro creato ad hoc, sul quale campano tutti: politici, imprenditori e banchieri) sono peggiori di quelle francesi e tedesche, le quali hanno sì l’età della pensione a 65 anni, ma sono completamente diverse come impianto generale.
In Francia, ad esempio, si può andare in pensione a 60 anni (uomini e donne) scegliendo un minor assegno, mentre in Germania, chi ha avuto periodi di disoccupazione, può andarci a 61 con una riduzione della prestazione. Ovviamente, queste riduzioni sono calcolate sulle loro retribuzioni, ben diverse dalle nostre.
Qualcuno sa, ad esempio, che la maternità in Europa rientra nel calcolo previdenziale, con la riduzione dell’età pensionabile (in genere, un anno per figlio)? Che in Spagna si va in pensione a 61 anni con 30 anni di contributi?
Porre de iure un numero d’anni di lavoro, altrimenti non si potrà andare in pensione – in Italia! – è una barzelletta: quanti anni di lavoro perso, in nero, con truffe d’ogni genere hanno subito gli italiani? Dopo aver chiuso un occhio su tutte le nefandezze del passato, nel 2007, Damiano pose l’asticella a 37 anni di contribuzione per il 2012. Mettere insieme 37 anni non è proprio da tutti, e così si lavora fino a 65: un bel trucco delle tre carte. Se qualcuno, nel frattempo, crepa è tutto grasso che cola per le loro pensioni da nababbi, maturate in 36 mesi, non anni. Compresa quella di Giulio.
Dunque, privare il lavoratore della possibilità di scegliere – almeno nell’arco 55-65 anni, con diverse opzioni sulla fuoruscita: orario ridotto negli ultimi anni, assegno decurtato, ecc – ci porta fuori dal concetto di previdenza e ci fa entrate in quello di “fine pena”, che ha a che fare più con una condanna penale che con il “lavoro” immaginato dai Costituenti.
Senza quasi rendercene conto, per foraggiare i ceti che li sostengono, ci hanno condannati – tutti – a 37 anni: perché? Non avendo mai affrontato, colpevolmente ed in mala fede, la separazione della previdenza (pensioni) dall’assistenza (ad esempio, la cassa integrazione), è ovvio che nei periodi di “vacche magre” si deve allungare la vita lavorativa per far cassa, da destinare ai miseri sussidi che percepiscono i disoccupati.
Quando, poi, tornano periodi di vacche…diciamo “non fameliche”, perché “grasse”…l’appetito del ceto politico reclama la sua parte, e viene immediatamente compensato trasferendo gli aumenti di produttività al gran calderone della spesa pubblica (soprattutto periferica), mediante la quale – con la consueta pratica tangentizia – campano tutti, imprenditori e politici.
Di là degli aspetti morali o delle pruderie, cos’ha mostrato la vicenda di Berlusconi, delle “escort” e di Tarantini? Che, nel “libro paga” sessuale del faccendiere pugliese della sanità, c’erano tutti: assessori di Vendola compresi. E chi ha pagato migliaia di euro alla D’Addario? Noi, con le nostre tasse: per questa ragione tutti devono essere “soddisfatti”, perché una voce fuori del coro farebbe saltare la baracca.
L’ultimo afflato è quello di legare l’età della pensione all’aspettativa di vita, perché qui s’oltrepassa un altro limite.
"Art. 600 (Riduzione in schiavitù o in servitù):
Chiunque riduce una persona in schiavitù o in servitù è punito con la reclusione da otto a venti anni. Agli effetti della legge penale si intende per schiavitù la condizione di una persona sottoposta, anche solo di fatto, a poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, o vincolata al servizio di una cosa. Agli effetti della legge penale si intende per servitù la condizione di soggezione continuativa di una persona costretta mediante violenza, minaccia o abuso di autorità all'accattonaggio o a rendere prestazioni sessuali o lavorative. La pena è aumentata se i fatti di cui al primo comma sono commessi a danno di minori di anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione".[3]
Riflettiamo un attimo sui termini dell’art. 600: Agli effetti della legge penale si intende per servitù la condizione di soggezione continuativa di una persona costretta mediante…abuso di autorità…a rendere prestazioni…lavorative.
Se in Italia esistesse ancora un sindacato – ossia, se tutte le forze sindacali avessero pari dignità, e non solo la “Triplice” + l’UGL le quali, a parte la CGIL, sono soltanto dei centri servizi e non hanno quasi più seguito sindacale – queste decisioni dovrebbero derivare da accordi stipulati fra le controparti. E non potremmo sostenere quel “abuso di autorità”.
Se, invece, gli accordi sono una truffa, i referendum confermativi pure – al referendum per l’approvazione della “Riforma Damiano” non riuscii a votare, perché aprirono i seggi solo in luoghi “sicuri” – rimane solo l’imposizione de iure, appena camuffata.
Quando il bel faccione di Bonanni compare in televisione – “segretario della CISL” – nella vulgata imperante quello è un segretario sindacale: nel loro database[4] indicano gli iscritti alla CISL nel 2008 in un numero spropositato: 4.427.037. Se fosse vero quel dato, un quarto dei lavoratori dipendenti italiani sarebbero tesserati CISL! Ma chi credono di prendere in giro? Per mettere insieme un simile numero, non basta conteggiare i morti: si deve aggiungere anche il cane del morto!
Se, invece, credete che queste siano balle, guardate i collegamenti in nota su Youtube[5], con una precisazione che riguarda la oramai “nota” imparzialità di questo network: un paio d’anni or sono, erano presenti filmati tratti dalle assemblee interne della FIAT Mirafiori, dove si vedevano i sindacalisti della “Triplice” fuggire dalla presidenza dell’assemblea, incalzati dagli insulti degli operai. Ovviamente, quei filmati sono oggi introvabili, mentre campeggiano decine di filmati “embedded” dei sindacati di regime.
Per il disastro del sindacalismo italiano vale lo stesso discorso fatto per i politici: la grande finanza li ha fatti accomodare nel salotto buono, dove se ne stanno tranquilli e buonini, mentre a prendersi le randellate del liberismo ci vanno altri, quelli che dovrebbero difendere. Stessa cosa per i servizi legali della “Triplice”, che riescono a farti perdere anche le cosiddette “cause vinte in partenza”.
La componente sindacale attiva, oggi in Italia, è rappresentata soltanto da una minoranza della CGIL e, soprattutto, dai COBAS-SdL: l’unica voce che ancora parli il linguaggio dei lavoratori.
Per finire, ricordiamo che Guglielmo Epifani faceva parte della “componente socialista” della CGIL – e lo ha ricordato recentemente Gianni de Michelis “Alla Cgil c’è Epifani, che nel PSI è sempre stato alla mia destra, prima demartiniano poi craxiano”[6] – accomunandolo per appartenenza politica ad altri “socialisti” dell’epoca: Brunetta, Sacconi, Cicchitto. C’è bisogno d’aggiungere altro? Con quale spirito il buon Epifani affronterà una trattativa, avendo come controparte gli amici di un tempo?
Per queste ragioni, che sono soltanto la somma di combine economico-politiche del medesimo ceto, si calpestano i diritti del lavoratori e la Costituzione – caro Giulio, che oggi cerchi di fare lo gnorri – precipitando chi lavora nell’incubo di chi è oramai senza diritti e senza nessuno che possa farli valere: un servo.
Legando la vita lavorativa all’aspettativa di vita, non apparteniamo più all’universale dei lavoratori – ossia diritti e doveri, codificati ed accettati dalle parti – bensì a quello dei servi, e gli oligarchi potranno (fosse la prima volta, ricordiamo i falsi dati promulgati da Brunetta sulle assenze nel pubblico impiego, smentiti dall’ISTAT stessa) “inciuciare” per bene i dati per farci lavorare quanto desiderano.
Indicare un numero di anni fisso per accedere alla pensione, non tiene in conto le differenze fra gli italiani: c’è chi preferirebbe andarci prima con un assegno minore, chi dopo con più soldi. Da cosa dipende? Da moltissimi fattori: avere oppure no una casa di proprietà, le condizioni di salute, figlio o non figli e di quale età, problemi personali, desideri personali, ecc. In fin dei conti, si riduce la diversità fra gli esseri ad una tabula rasa, nella quale tutti devono scontare la stessa pena. E, non dimentichiamo, con uno sviluppo tecnologico che tende a ridurre fortemente la forza lavoro.
E, questa, in che altro modo si può chiamare se non servitù?
Dopo aver fatto a pezzi anche la Costituzione, c’è stato qualche risultato positivo? Il debito pubblico è tornato a correre (andiamo verso il 120% del PIL), l’industria italiana è a pezzi, manca totalmente la capacità di promuovere la ricerca e l’innovazione – che, ricordiamo, era in gran parte patrimonio delle grandi aziende pubbliche (nomi come Ansaldo e tanti altri non dicono nulla?) – mentre, un Paese di vecchietti al lavoro e di giovani disoccupati, affonda.
La totale acquiescenza ai desideri dei poteri industriali e finanziari, non produce migliorie: sicuri di poter ottenere sempre una “revisione” al peggio degli accordi, gli imprenditori italiani guardano più all’accordo con la Casta politico-sindacale che a cercare nuove vie. In altre parole, invece di percorrere la via dell’innovazione – la quale è praticabile solo con personale di qualità, e dunque ben trattato[7] – scivolano a far concorrenza alla Cina od all’India. Il che, è una battaglia persa dall’inizio: difatti, Francia, Germania, e oggi anche la Spagna, non si curano troppo della concorrenza sui beni di scarso contenuto tecnologico od artistico, bensì cercano nuove vie, ossia vendere bene il primato tecnologico, proprio ai Paesi che producono beni di largo consumo.
La cosiddetta opposizione, poi, sul lavoro – che, ricordiamo, è uno degli aspetti più importanti della vita – ha partorito tanti topolini da riempire una fogna. Nessuno degli “oppositori” si pone il problema di fondo: è possibile pensare ad uno sviluppo sempre in crescita, nei secoli dei secoli? Gli infiniti sono soltanto astratti concetti matematici: nella realtà, le Scienze non ammettono processi infinitamente in crescita, giacché il primo fattore limitante (energia, popolazione, cibo, ecc) fa crollare il castello di carte.
Il problema concettuale che gli eredi del PCI si trovano ad affrontare è la revisione del loro pensiero, che da dogmatico non è mai riuscito a diventare dialettico, aperto alla critica: crollata l’URSS, la “chiesa” sovietica, tutto quello che riguardava quel mondo era da dimenticare. Bisognava, ovviamente, trovare una nuova “chiesa” alla quale appartenere: la trovarono nelle ricette liberiste, che tutti sposano da Vendola a D’Alema, da Ferrero a Bersani.
E, per concludere, vorrei proporre una riflessione ai “sancta sanctorum” del signoraggio come unico male: spero di non scatenare un dogmatismo pari a quello dei sostenitori della “crescita infinita”.
Nessuno nega la truffa sulla moneta e, se qualcuno non la conosce, troverà molti siti[8] che la spiegano (meglio sarebbe leggere ciò che scrisse il prof. Auriti): il problema è un altro.
Stabilito che l’emissione monetaria concede un privilegio, oggi goduto dai banchieri, qualora l’emissione tornasse totalmente allo Stato, esso sarebbe goduto da Berlusconi, Fini, Casini, D’Alema, ecc. Contenti così?
Si porta ad esempio Hitler, che effettivamente riportò la potestà monetaria allo Stato, ma come usò quelle risorse? Qualcuno ricorda, per caso, che condusse la Germania al peggior disastro della sua Storia?
Se il debito pubblico, schizzato alle stelle dopo la riforma regionale, il Britannia, la cessione della Banca d’Italia alle banche private, gli accordi sindacali del 1993, ecc, fosse soltanto un dato economico, potremmo chiederci come risolvere il problema del debito per uscirne definitivamente. In realtà, il debito è stato artatamente creato come una spada di Damocle da presentare, ogni giorno, nel piatto degli italiani. In altre parole, se non ci fosse, lo inventerebbero: l’hanno fatto. E’ un dato politico, non economico.
Nel nome del debito, l’oligarchia riesce a far passare ogni bruttura: possiamo credere che la sanità gratuita degli anni ’70, le pensioni d’anzianità con 35 anni di contributi, l’età pensionabile a 55-60 anni (donne e uomini) dipendessero dall’assenza del debito? E se così fosse, chi ha creato quel debito? Perché?
Qui, bisogna intendersi: nessuno nega che l’espropriazione dell’emissione di moneta abbia creato una voragine, ma la ragione di quella scelta è anzitutto l’arma di ricatto che, nelle generazioni, potranno esercitare sui lavoratori. Perché, ad esempio, non si toccano mai le succose “consulenze”, le missioni di guerra all’estero, gli stanziamenti per le “fondazioni”…e si finisce sempre per limitare il potere d’acquisto dei lavoratori e per togliere loro dei diritti?
Perciò – pur concordando che il problema della moneta esiste, e che deve essere sempre più conosciuto – qualsiasi rivoluzione che ci liberi da questa cappa d’oligarchi non potrà che partire dalla ribellione su due temi convergenti: riportare il lavoro alla sua dignità, sancita dalla Costituzione, e ricondurre i lavoratori alla loro, che significa tornare a sedersi intorno ad un tavolo per avere un rapporto dialettico fra esseri umani, non fra feudatari e servi della gleba. L’alternativa?
Andarsene. Oppure, credere all’ennesimo affabulatore: San Giulio da Sondrio.
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William Shakespeare – Amleto – Atto Primo – Scena Quinta.
Continuando di questo passo, siamo certi che Giulio Tremonti scoprirà che le galline fanno le uova e che le rose profumano. Dandogli ancora tempo, arriverà a capire come facciano le mucche e fare il latte e, magari, perché il Sole scalda.
L’uomo del Monte x 3 non la smette mai di stupirci; va là – italiani! – ve lo dico io come si vive meglio: con il posto fisso[1]! Lo crediamo bene: lui ce l’ha!
Adesso che abbiamo risolto tutto con il posto fisso, forse non ha più senso parlare di reddito di cittadinanza, d’energia rinnovabile, di truffa sulla moneta…non serve più a niente…oppure sarebbe meglio proporre schede gratis per i telefonini e una moratoria per tutte le infrazioni stradali causate dall’alcolismo? Dai, Giulio.
Ma…sbagliamo o questo Giulio Tremonti è la stessa persona che, solo un anno fa, firmò i famosi decreti dei “100 giorni”, quelli che hanno visto nascere, nella scuola, le classi di 30-40 persone e che hanno cacciato sulla strada decine di migliaia d’insegnanti? O abbiamo sognato? Il sospetto che ci siano in giro dei replicanti – signori miei – a questo punto non è più fantasia.
Oppure, nel miglior stile sovietico, Giulio ha fatto autocritica. Comprendiamo.
Non va più di moda sbattere la gente in Siberia…no…però – a questo punto – vorremmo vedere i fatti. Altrimenti, il replicante che parlava al convegno della Banca Popolare di Milano – facendosi credere il Ministro dell’Economia della Repubblica – in una baita sopra Sondrio dovrebbe andarci da solo. E restarci.
Il lavoro non è un argomento “gettonato”, eppure trascorriamo spesso più tempo al lavoro che con i nostri familiari: ora, se a parlare di lavoro è uno scrittore, passi, ma quando a farlo – ed in modo così esplicito! – è un Ministro dell’Economia, dovrebbe trarne le conseguenze. Oppure scegliere la parte d’Amleto e recitarla fino in fondo, sempre che riesca a reggere il ruolo.
Siccome non crediamo una parola delle riflessioni del nostro bel Amleto da Sondrio, proveremo noi a parlare di lavoro: come sappiamo farlo, visto che non siamo ministri economici.
Come si può parlare di lavoro, di quel che è diventato il lavoro, di cosa potrebbe (e dovrebbe) essere il lavoro, sul perché lavoriamo, per quanto tempo, come…
Quante ore fai? Quanto prendi? Ti fai il culo?
Ecco, forse in questo modo tutti capirebbero – come fanno in TV, che la vincono sempre – però il Web è il luogo dove pochi, fra quelli che non sanno leggere un grafico, arrivano: dunque, parlare di lavoro senza le pelli di salame agli occhi, dovrebbe essere ancora possibile. Sempre che s’abbandoni la triplice domanda appena esposta.
Il primo aspetto da valutare, per quanto riguarda la natura del lavoro, è il fabbisogno energetico: più è elevato, meno lavoro manuale esiste. Le immagini dei cinesi che costruivano le strade a forza di braccia sono oramai storia, come le nostre di quasi un secolo fa: difatti, anche il loro fabbisogno energetico è schizzato alle stelle.
La gran parte dell’energia consumata va a sostituire la forza muscolare umana ed animale, mentre una quota certamente minore viene utilizzata per sostituire l’intelligenza umana, dai semplici computer alla miriade di schede elettroniche utilizzate nelle macchine di processo, ossia nell’enorme “cascata” tecnologica che, partendo dalla macchina che vernicia automaticamente le autovetture, giunge alla macchina che ha costruito quella macchina.
Il fenomeno è noto e possiamo analizzarlo meglio partendo da un dato relativo agli ultimi 30-40 anni: l’occupazione nelle grandi imprese è scesa all’incirca di un punto percentuale l’anno, mentre la produttività è cresciuta pressappoco del medesimo valore.
Senza spilluzzicare i decimali, potremmo semplicemente affermare che le macchine fanno le cose più in fretta dell’uomo e costano di meno: perciò, gli uomini dovrebbero lavorare sempre di meno. Non me lo invento io: basta rileggere Marx, invece ci viene chiesto di lavorare sempre di più. E poi manca il lavoro: per forza! Se lo fanno le macchine…
L’equilibrio ha retto fin quando il capitalismo di matrice keynesiana ha vissuto, ossia fino alle grandi ristrutturazioni industriali degli anni ’70, giacché la “spinta” sindacale era sorretta da molti fattori, quali il gran numero di lavoratori sindacalizzati, l’assenza di un’informazione pianificata in modo spietatamente orwelliano, la presenza di 160 divisioni sovietiche di là dell’Oder.
Ciascuno di quei fattori aveva il suo peso e contribuiva a destinare ai lavoratori una quota consistente dell’aumento di produttività, che si trasformò per decenni in diminuzione dell’orario di lavoro ed in aumento reale delle retribuzioni, mentre il trattamento previdenziale ed assistenziale era sicuramente più favorevole rispetto all’oggi ed a quello che il futuro prospetta.
Se vogliamo scendere un attimo fra gli esempi, ricordiamo che la sanità era praticamente gratuita, che in ospedale s’andava anche “per analisi”, ossia per stilare una diagnosi precisa, e non solo per nascere, per morire o per qualche accidente improvviso. Oggi, ti fanno correre come un pazzo fra le varie strutture, e ti paghi praticamente tutto.
Il trattamento previdenziale era diversificato fra il settore pubblico e quello privato, ma in ogni modo molto vantaggioso rispetto all’oggi: nel pubblico, le famose “pensioni baby” erano un espediente della classe politica per salvaguardare la fedeltà dei ceti medi, mentre chi aveva lavorato nel settore privato – ed aveva iniziato a lavorare presto – a circa 50 anni terminava la propria vita lavorativa, giacché bastavano 35 anni di contribuzione.
Da ultimo, la generazione nata negli anni 20-30 del ‘900 riuscì spesso ad acquistare o costruire una casa, a far studiare i figli, a concedersi quello che oggi è considerato quasi un lusso: due o tre settimane di vacanza, magari in tenda o roulotte, ma vacanze erano.
A fronte di quella situazione – idilliaca, se paragonata all’oggi – il debito pubblico era attestato intorno al 60% del PIL: quindi, quando narrano che sono stati lavoratori le “idrovore” del bilancio pubblico, raccontano solo frottole.
Il punto di “viraggio” di quella situazione possiamo allocarlo fra il 1980 ed il 1990: l’elezione di Ronald Reagan non fu la causa scatenante del processo di mutamento, bensì il suo giungere a maturazione.
La “Guerra Fredda” aveva concesso enormi investimenti alla ricerca militare, soprattutto per quanto riguardava la miniaturizzazione dell’elettronica (missili, ecc), la quale fu gran dispensatrice di una nuova gestione del lavoro, nel quale la fatica umana diventava un nemico da sconfiggere non tanto per questioni etiche, quanto perché meno redditizia. Difatti, proprio negli anni ’80, la FIAT assorbì la COMAU (robotica industriale) e, dopo pochissimi anni, segmenti importantissimi delle catene di montaggio (si pensi alla verniciatura, con quel che si trascinava appresso per problemi di nocività) furono completamente automatizzati.
Fin qui l’aspetto tecnologico e produttivo, che toccava ogni ambito del lavoro, dall’agricoltura ai servizi, passando – ovviamente – per l’industria, i trasporti, la sanità, ecc.
Rimaneva il problema di non cedere più i benefici della maggior produttività ai lavoratori, e non era faccenda così semplice da risolvere.
L’aspetto internazionale del problema è stato, a nostro avviso, poco valutato: ricordiamo che Enrico Berlinguer, prima delle elezioni del 1976, candidamente affermò che «se il PCI avesse vinto le elezioni, l’Italia sarebbe stata naturalmente schierata nel Patto di Varsavia.»
Ovvio che quella frase non può essere presa per oro colato – i mezzi per ovviarla erano molti, il Cile insegna – però la presenza sovietica nel Pianeta richiedeva sempre attenzione sul fronte interno.
Il grande “sogno” di un nemico sconfitto e nella polvere fu realizzato dall’amministrazione Reagan, mentre – precedentemente – la “trappola afgana” di Brezinskji ne aveva creato i prodromi. La fulminea, nuova impostazione americana della difesa – ricordiamo la “Marina delle 600 navi” – condusse l’URSS ad aumentare le spese militari fino al 16,5% del proprio PIL, mandando a catafascio la programmazione sovietica. Zeppi d’armi di tutti i tipi, con l’industria pesante completamente assorbita a costruire “bisonti” di cielo, mare e terra, i russi attendevano per mesi il motore di ricambio per il frigorifero, ed imprecavano.
Terminiamo qui la trattazione dell’aspetto geopolitico del problema – non perché manchino gli argomenti! Le spese militari che giunsero al 7% del PIL statunitense (UE circa 1-2%) con inevitabili ricadute, la “liberazione” al capitalismo selvaggio di tante nazioni prima legate al carro di Mosca, che si rivelò un boomerang proprio per l’industria a stelle e strisce, ecc… – e ci fermiamo qui soltanto perché ci condurrebbe lontano dai nostri obiettivi.
Gli eventi di quegli anni – l’avvento dell’elettronica a basso costo, il crollo dell’URSS, la nuova “informazione libera”, che solo oggi osserviamo nella sua completa acquiescenza al potere – crearono le basi per il passaggio a quello che viene definito “Turbocapitalismo”, “Liberismo selvaggio”, eccetera.
La differenza precipua, rispetto al capitalismo di matrice keynesiana, risiede in un semplice principio: il lavoratore non è più considerato un attore del processo produttivo, non deve accampare diritti, le rappresentanze sindacali possono essere comperate un tanto al chilo od ignorate, nel nome del supremo interesse nazionale. Il che, incrina quella “repubblica fondata sul lavoro” che recita il primo articolo della Costituzione, giacché i Costituenti pensarono al mondo del lavoro come ad un universo dialettico, non un diktat determinato dal “supremo interesse nazionale”, che sa tanto di Ventennio.
Ovvio che questo “interesse nazionale” è un pio eufemismo: si tratta della somma fra gli interessi delle classi dominanti (finanza, industria, ecc) e di quelli dei loro lacché, la Casta politica. Il che, apre uno scenario che riguarda il debito pubblico.
A metà degli anni ’70, il debito pubblico iniziò a “correre”: ovviamente, la colpa fu addossata ai lavoratori (scala mobile, ecc), mentre sfuggì completamente che l’Italia aveva moltiplicato a dismisura la spesa pubblica non nella fornitura di servizi alla collettività, bensì per creare un vasto elettorato – fedele poiché retribuito – mediante la de-localizzazione.
La riforma regionale del 1970 doveva decretare la fine delle Province – della serie: o l’impianto di stampo napoleonico (Province), oppure quello di matrice tedesca (Regioni), poiché mantenerli entrambi sarebbe stato troppo costoso – ed invece avvenne il miracolo. Le Province furono “salvate” assegnando loro una “quota” del personale scolastico (un vero e proprio non sense) ed altre competenze che riguardavano la caccia e la pesca. Di più: nacquero le comunità montane e le circoscrizioni, altre idrovore di soldi pubblici.
Per citare un solo esempio, prima della polverizzazione delle competenze, sul fiume Po aveva voce in merito un solo ente: il Magistrato del Po. Oggi, sono 28 diverse amministrazioni, con il gran caos che ne consegue.
Infine, poiché ancora non bastava, ecco spuntare una miriade di fondazioni ed enti – alcune già esistenti, altre creati ex novo – per avere una sorta di “cassa di compensazione” per i “trombati” oppure per parenti, amici, mammasantissima di turno. Tutto ciò, lo possiamo osservare ogni anno nel consueto “assalto alla diligenza” che è la Finanziaria: ridotti al lumicino i provvedimenti d’assistenza sociale, si moltiplicano le “fondazioni” che ricevono denaro, la stampa pagata direttamente dalla politica, ecc.
Si tratta del necessario frutto per nutrire un elettorato fasullo, certo della propria sicurezza sociale soltanto grazie al voto ed all’appoggio politico: anche le famose pensioni d’invalidità, di democrista memoria, sono tornate a crescere.
In fin dei conti, solo 30 italiani su 100 si sono recati, alle ultime elezioni europee, a sorreggere i partiti di governo: sommiamo tutta la Casta con i suoi aggregati (fondazioni, enti inutili, consulenze, ecc) famiglie, parenti ed amici e capiremo che una buona fetta di quei voti sono comprati.
E il lavoro? E i lavoratori?
Il primo passo, sconfitto l’orso sovietico, fu quello di fare man bassa per tutto ciò che c’era d’appetibile: la famosa “riunione” sul Britannia è storia nota, meno le condizioni di quello che fu “appetito”.
La Società Autostrade – finanziata per decenni dall’ANAS, soldi pubblici, di noi tutti – era una fiorente società pubblica: basso indebitamento, occupazione in calo dell’1% l’anno (tessere autostradali al posto degli esattori, poi Telepass), bilancio ampiamente in attivo: passata di mano per un piatto di lenticchie.
La barzelletta che hanno raccontato per decenni fu che lo Stato, in economia, era uno sfracello: difatti, si guardarono bene dal privatizzare ciò che non conveniva o doveva mantenere un ruolo sociale. Oggi, tentano nuovamente la stessa carta, con le continue pressioni per privatizzare Italcanieri, un’azienda pubblica, florida ed in espansione. Zeppa di “posti fissi”, quelli che oggi – 19/10/2009, teniamolo a mente, magari domani cambiano replicante… – piacciono tanto a 3Monti.
Dopo quelle belle trovate – siccome lo Stato s’era privato di fonti di reddito, ed i boiardi di Stato reclamavano ampia “libertà d’impresa” – giunsero gli accordi sindacali del 1993, i quali sancirono anch’essi il principio del “supremo interesse nazionale”.
Il recupero salariale dell’inflazione fu affidato alla cosiddetta “inflazione programmata”, la quale fu una presa per i fondelli come mai se n’erano viste: “programmo” un tasso d’inflazione (lo desumo dalle analisi dei “guru” economici, me lo faccio dire dal Mago di Forcella, lo invento di sana pianta…) e la differenza sarà – in seguito (!) – recuperata. Ovvio che, quel “seguito”, assommava altra inflazione ed altre perdite di valore delle retribuzioni le quali, dalla fine della scala mobile, hanno perduto circa il 30%, forse più, del loro valore reale.
Tutti gli attori di quella sciagurata rapina ai danni dei lavoratori furono sontuosamente premiati: l’artefice (Ciampi) con la Presidenza della Repubblica, mentre quelli che facevano il “palo” (i sindacalisti venduti) con le presidenze di “succosi” enti. Ma non bastava ancora.
Si narra che l’appetito vien mangiando: ecco allora – benedetto da tutti: Treu, Maroni, Bassanini, Sacconi, ecc – il grande escamotage per privare i lavoratori dell’ultimo appiglio che rimaneva loro per mettere insieme il pranzo con la cena: il contratto di lavoro. Entra in scena la “flessibilità”: come?
Si prende un accurato studio sul lavoro svolto da un docente universitario (Biagi), si opera un sapiente “taglia ed incolla” per prendere tutto ciò che può essere favorevole agli imprenditori e s’eliminano tutte le garanzie per i lavoratori. Quando, poi, il professore si lamenta che il suo lavoro è stato stravolto, che non era quello il frutto del suo pensiero, lo si abbandona e gli si toglie la scorta. Lui, ancora si lamenta perché ha ricevuto minacce: a quel punto, delle “provvidenziali” Brigate Rosse lo ammazzano e, quello che è oggi Ministro delle Attività Produttive (Scajola), lo definisce un “rompicoglioni”. In qualsiasi Paese europeo, un simile elemento – dopo un’uscita del genere – non sarebbe mai più entrato in un’aula parlamentare, ma siamo in Italia.
Ha così inizio l’odissea di tanti giovani, i quali non hanno più ferie pagate, accantonamenti pensionistici, liquidazioni: il bello della faccenda è che, sulla carta, questi diritti ancora esistono mentre, nella realtà, sono stati completamente depotenziati. Quale sarà la pensione di un lavoratore a progetto? Ha solo da sperare nell’assegno sociale.
A quel punto, il disegno d’appropriarsi totalmente degli incrementi di produttività era quasi completato: mancavano ancora due tasselli.
Il primo è la necessità di un vasto sottoproletariato, qualcuno che sia ancor più ricattabile e sul quale (possibilmente) scaricare la rabbia e la frustrazione: ecco all’orizzonte le barche dei migranti, i nuovi schiavi non si devono più rastrellare nella savana! Basta dar fuoco alla savana: arrivano da soli!
Nell’agro casertano e nel foggiano, in agricoltura, si sono consumate pagine da piantagione dell’Alabama del secolo scorso, con tanto di guardiani armati. La stampa qualcosa ha riportato[2], ma basta qualche velina, più il solito rumeno delinquente (al pari del delinquente italiano), per saldare tutti i conti. Mica i giornalisti delle testate di regime e delle TV di partito li strapagano per niente.
Una volta trovato qualche milione di capri espiatori, ecco la nuova puntata: bisogna aumentare l’età della pensione! I conti sono in rosso!
In realtà, prima della controriforma Damiano, l’INPS era in attivo per la parte previdenziale di 1 miliardo di euro l’anno, dopo la riforma Damiano (dati 2007) per ben 17 miliardi di euro. Eppure, altre nubi s’addensano sui lavoratori: l’ultima “puntata” del reality pensionistico è stato portare (da oggi al 2018) a 65 anni l’età di pensionamento delle dipendenti pubbliche. Perché solo quelle pubbliche? E’ ovvio che, giuridicamente, non sta in piedi. La risposta di Sacconi (ma…parlerà con Tremonti? Con quale dei replicanti? Boh…) è stata molto interessante e ci apre uno scenario che, per la definizione odierna di “lavoratore”, è quasi un incubo.
«Perché hanno un lavoro sicuro.»
Ora, stabilire che chi ha un lavoro sicuro debba lavorare più di altri ci sembra un poco stiracchiato, giacché – con questa bella uscita – si fa passare il concetto che un lavoro sicuro sia quasi un privilegio. Da oggi, grazie al buon Giulio, sappiamo che è tornato una buona cosa. Ne siamo felici.
Eppure, lavorare semplicemente tutta la vita (se lo si desidera) in un’azienda, non ci sembra chissà quale concessione: milioni d’italiani delle generazioni precedenti l’hanno fatto. Erano anch’essi privilegiati?
Il furbo Sacconi vuole far credere che il lavoro “normale” – quello che tutti dovrebbero avere, perché “giusto”, “coerente” con lo sviluppo infinito della spirale produzione/consumo, utile a mantenere “giovane” il lavoratore perché vive stimoli sempre nuovi, ecc – sia quel claudicare fra un lavoretto di qualche mese ed un “progetto” di settimane. Il tutto, ovviamente, inframmezzato da periodi di disoccupazione: chi non gode di questo trattamento è un privilegiato, e dunque deve pagare dazio. Purtroppo, questa è stata la vulgata imperante fino a ieri, giacché tutti i media e le forze politiche lo sorreggevano, ma da oggi...
La Costituzione Italiana prevede ben altro per il lavoratore, e pare che il buon Giulio – recatosi da Napolitano per altre questioni – ne abbia ricevuto una copia in omaggio e, finalmente, l’abbia letta. Sentitamente, ce ne rallegriamo.
Ecco quel che Tremonti deve aver scoperto:
Art. 35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la liberta di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.
Art. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa e stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
Art. 37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
Art. 38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera.
A leggere questi articoli, c’è da chiedersi in quale Paese viviamo. Signor Presidente della Repubblica: cos’ha da dire al riguardo dei contratti di flessibilità, con l’art. 36 – “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” – correlato con gli attuali ritmi del lavoro “flessibile”, nel quale le ferie sono, spesso. semplice disoccupazione?
Signori giudici della Corte Costituzionale, cos’avete da dire riguardo all’art. 38 – “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” – in special modo per chi rimane disoccupato? E ancora, l’art. 35 – “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa” – dov’è finita la dignità di mantenere la propria famiglia con 800 euro il mese?
Adesso, caro Giulio, affermi che “la Costituzione non è stata pienamente applicata”: scusa, da una ventina d’anni a questa parte, dove hai vissuto? E le pensioni?
Le riforme pensionistiche italiane (sempre con la scusa del debito pubblico, da loro creato ad hoc, sul quale campano tutti: politici, imprenditori e banchieri) sono peggiori di quelle francesi e tedesche, le quali hanno sì l’età della pensione a 65 anni, ma sono completamente diverse come impianto generale.
In Francia, ad esempio, si può andare in pensione a 60 anni (uomini e donne) scegliendo un minor assegno, mentre in Germania, chi ha avuto periodi di disoccupazione, può andarci a 61 con una riduzione della prestazione. Ovviamente, queste riduzioni sono calcolate sulle loro retribuzioni, ben diverse dalle nostre.
Qualcuno sa, ad esempio, che la maternità in Europa rientra nel calcolo previdenziale, con la riduzione dell’età pensionabile (in genere, un anno per figlio)? Che in Spagna si va in pensione a 61 anni con 30 anni di contributi?
Porre de iure un numero d’anni di lavoro, altrimenti non si potrà andare in pensione – in Italia! – è una barzelletta: quanti anni di lavoro perso, in nero, con truffe d’ogni genere hanno subito gli italiani? Dopo aver chiuso un occhio su tutte le nefandezze del passato, nel 2007, Damiano pose l’asticella a 37 anni di contribuzione per il 2012. Mettere insieme 37 anni non è proprio da tutti, e così si lavora fino a 65: un bel trucco delle tre carte. Se qualcuno, nel frattempo, crepa è tutto grasso che cola per le loro pensioni da nababbi, maturate in 36 mesi, non anni. Compresa quella di Giulio.
Dunque, privare il lavoratore della possibilità di scegliere – almeno nell’arco 55-65 anni, con diverse opzioni sulla fuoruscita: orario ridotto negli ultimi anni, assegno decurtato, ecc – ci porta fuori dal concetto di previdenza e ci fa entrate in quello di “fine pena”, che ha a che fare più con una condanna penale che con il “lavoro” immaginato dai Costituenti.
Senza quasi rendercene conto, per foraggiare i ceti che li sostengono, ci hanno condannati – tutti – a 37 anni: perché? Non avendo mai affrontato, colpevolmente ed in mala fede, la separazione della previdenza (pensioni) dall’assistenza (ad esempio, la cassa integrazione), è ovvio che nei periodi di “vacche magre” si deve allungare la vita lavorativa per far cassa, da destinare ai miseri sussidi che percepiscono i disoccupati.
Quando, poi, tornano periodi di vacche…diciamo “non fameliche”, perché “grasse”…l’appetito del ceto politico reclama la sua parte, e viene immediatamente compensato trasferendo gli aumenti di produttività al gran calderone della spesa pubblica (soprattutto periferica), mediante la quale – con la consueta pratica tangentizia – campano tutti, imprenditori e politici.
Di là degli aspetti morali o delle pruderie, cos’ha mostrato la vicenda di Berlusconi, delle “escort” e di Tarantini? Che, nel “libro paga” sessuale del faccendiere pugliese della sanità, c’erano tutti: assessori di Vendola compresi. E chi ha pagato migliaia di euro alla D’Addario? Noi, con le nostre tasse: per questa ragione tutti devono essere “soddisfatti”, perché una voce fuori del coro farebbe saltare la baracca.
L’ultimo afflato è quello di legare l’età della pensione all’aspettativa di vita, perché qui s’oltrepassa un altro limite.
"Art. 600 (Riduzione in schiavitù o in servitù):
Chiunque riduce una persona in schiavitù o in servitù è punito con la reclusione da otto a venti anni. Agli effetti della legge penale si intende per schiavitù la condizione di una persona sottoposta, anche solo di fatto, a poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, o vincolata al servizio di una cosa. Agli effetti della legge penale si intende per servitù la condizione di soggezione continuativa di una persona costretta mediante violenza, minaccia o abuso di autorità all'accattonaggio o a rendere prestazioni sessuali o lavorative. La pena è aumentata se i fatti di cui al primo comma sono commessi a danno di minori di anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione".[3]
Riflettiamo un attimo sui termini dell’art. 600: Agli effetti della legge penale si intende per servitù la condizione di soggezione continuativa di una persona costretta mediante…abuso di autorità…a rendere prestazioni…lavorative.
Se in Italia esistesse ancora un sindacato – ossia, se tutte le forze sindacali avessero pari dignità, e non solo la “Triplice” + l’UGL le quali, a parte la CGIL, sono soltanto dei centri servizi e non hanno quasi più seguito sindacale – queste decisioni dovrebbero derivare da accordi stipulati fra le controparti. E non potremmo sostenere quel “abuso di autorità”.
Se, invece, gli accordi sono una truffa, i referendum confermativi pure – al referendum per l’approvazione della “Riforma Damiano” non riuscii a votare, perché aprirono i seggi solo in luoghi “sicuri” – rimane solo l’imposizione de iure, appena camuffata.
Quando il bel faccione di Bonanni compare in televisione – “segretario della CISL” – nella vulgata imperante quello è un segretario sindacale: nel loro database[4] indicano gli iscritti alla CISL nel 2008 in un numero spropositato: 4.427.037. Se fosse vero quel dato, un quarto dei lavoratori dipendenti italiani sarebbero tesserati CISL! Ma chi credono di prendere in giro? Per mettere insieme un simile numero, non basta conteggiare i morti: si deve aggiungere anche il cane del morto!
Se, invece, credete che queste siano balle, guardate i collegamenti in nota su Youtube[5], con una precisazione che riguarda la oramai “nota” imparzialità di questo network: un paio d’anni or sono, erano presenti filmati tratti dalle assemblee interne della FIAT Mirafiori, dove si vedevano i sindacalisti della “Triplice” fuggire dalla presidenza dell’assemblea, incalzati dagli insulti degli operai. Ovviamente, quei filmati sono oggi introvabili, mentre campeggiano decine di filmati “embedded” dei sindacati di regime.
Per il disastro del sindacalismo italiano vale lo stesso discorso fatto per i politici: la grande finanza li ha fatti accomodare nel salotto buono, dove se ne stanno tranquilli e buonini, mentre a prendersi le randellate del liberismo ci vanno altri, quelli che dovrebbero difendere. Stessa cosa per i servizi legali della “Triplice”, che riescono a farti perdere anche le cosiddette “cause vinte in partenza”.
La componente sindacale attiva, oggi in Italia, è rappresentata soltanto da una minoranza della CGIL e, soprattutto, dai COBAS-SdL: l’unica voce che ancora parli il linguaggio dei lavoratori.
Per finire, ricordiamo che Guglielmo Epifani faceva parte della “componente socialista” della CGIL – e lo ha ricordato recentemente Gianni de Michelis “Alla Cgil c’è Epifani, che nel PSI è sempre stato alla mia destra, prima demartiniano poi craxiano”[6] – accomunandolo per appartenenza politica ad altri “socialisti” dell’epoca: Brunetta, Sacconi, Cicchitto. C’è bisogno d’aggiungere altro? Con quale spirito il buon Epifani affronterà una trattativa, avendo come controparte gli amici di un tempo?
Per queste ragioni, che sono soltanto la somma di combine economico-politiche del medesimo ceto, si calpestano i diritti del lavoratori e la Costituzione – caro Giulio, che oggi cerchi di fare lo gnorri – precipitando chi lavora nell’incubo di chi è oramai senza diritti e senza nessuno che possa farli valere: un servo.
Legando la vita lavorativa all’aspettativa di vita, non apparteniamo più all’universale dei lavoratori – ossia diritti e doveri, codificati ed accettati dalle parti – bensì a quello dei servi, e gli oligarchi potranno (fosse la prima volta, ricordiamo i falsi dati promulgati da Brunetta sulle assenze nel pubblico impiego, smentiti dall’ISTAT stessa) “inciuciare” per bene i dati per farci lavorare quanto desiderano.
Indicare un numero di anni fisso per accedere alla pensione, non tiene in conto le differenze fra gli italiani: c’è chi preferirebbe andarci prima con un assegno minore, chi dopo con più soldi. Da cosa dipende? Da moltissimi fattori: avere oppure no una casa di proprietà, le condizioni di salute, figlio o non figli e di quale età, problemi personali, desideri personali, ecc. In fin dei conti, si riduce la diversità fra gli esseri ad una tabula rasa, nella quale tutti devono scontare la stessa pena. E, non dimentichiamo, con uno sviluppo tecnologico che tende a ridurre fortemente la forza lavoro.
E, questa, in che altro modo si può chiamare se non servitù?
Dopo aver fatto a pezzi anche la Costituzione, c’è stato qualche risultato positivo? Il debito pubblico è tornato a correre (andiamo verso il 120% del PIL), l’industria italiana è a pezzi, manca totalmente la capacità di promuovere la ricerca e l’innovazione – che, ricordiamo, era in gran parte patrimonio delle grandi aziende pubbliche (nomi come Ansaldo e tanti altri non dicono nulla?) – mentre, un Paese di vecchietti al lavoro e di giovani disoccupati, affonda.
La totale acquiescenza ai desideri dei poteri industriali e finanziari, non produce migliorie: sicuri di poter ottenere sempre una “revisione” al peggio degli accordi, gli imprenditori italiani guardano più all’accordo con la Casta politico-sindacale che a cercare nuove vie. In altre parole, invece di percorrere la via dell’innovazione – la quale è praticabile solo con personale di qualità, e dunque ben trattato[7] – scivolano a far concorrenza alla Cina od all’India. Il che, è una battaglia persa dall’inizio: difatti, Francia, Germania, e oggi anche la Spagna, non si curano troppo della concorrenza sui beni di scarso contenuto tecnologico od artistico, bensì cercano nuove vie, ossia vendere bene il primato tecnologico, proprio ai Paesi che producono beni di largo consumo.
La cosiddetta opposizione, poi, sul lavoro – che, ricordiamo, è uno degli aspetti più importanti della vita – ha partorito tanti topolini da riempire una fogna. Nessuno degli “oppositori” si pone il problema di fondo: è possibile pensare ad uno sviluppo sempre in crescita, nei secoli dei secoli? Gli infiniti sono soltanto astratti concetti matematici: nella realtà, le Scienze non ammettono processi infinitamente in crescita, giacché il primo fattore limitante (energia, popolazione, cibo, ecc) fa crollare il castello di carte.
Il problema concettuale che gli eredi del PCI si trovano ad affrontare è la revisione del loro pensiero, che da dogmatico non è mai riuscito a diventare dialettico, aperto alla critica: crollata l’URSS, la “chiesa” sovietica, tutto quello che riguardava quel mondo era da dimenticare. Bisognava, ovviamente, trovare una nuova “chiesa” alla quale appartenere: la trovarono nelle ricette liberiste, che tutti sposano da Vendola a D’Alema, da Ferrero a Bersani.
E, per concludere, vorrei proporre una riflessione ai “sancta sanctorum” del signoraggio come unico male: spero di non scatenare un dogmatismo pari a quello dei sostenitori della “crescita infinita”.
Nessuno nega la truffa sulla moneta e, se qualcuno non la conosce, troverà molti siti[8] che la spiegano (meglio sarebbe leggere ciò che scrisse il prof. Auriti): il problema è un altro.
Stabilito che l’emissione monetaria concede un privilegio, oggi goduto dai banchieri, qualora l’emissione tornasse totalmente allo Stato, esso sarebbe goduto da Berlusconi, Fini, Casini, D’Alema, ecc. Contenti così?
Si porta ad esempio Hitler, che effettivamente riportò la potestà monetaria allo Stato, ma come usò quelle risorse? Qualcuno ricorda, per caso, che condusse la Germania al peggior disastro della sua Storia?
Se il debito pubblico, schizzato alle stelle dopo la riforma regionale, il Britannia, la cessione della Banca d’Italia alle banche private, gli accordi sindacali del 1993, ecc, fosse soltanto un dato economico, potremmo chiederci come risolvere il problema del debito per uscirne definitivamente. In realtà, il debito è stato artatamente creato come una spada di Damocle da presentare, ogni giorno, nel piatto degli italiani. In altre parole, se non ci fosse, lo inventerebbero: l’hanno fatto. E’ un dato politico, non economico.
Nel nome del debito, l’oligarchia riesce a far passare ogni bruttura: possiamo credere che la sanità gratuita degli anni ’70, le pensioni d’anzianità con 35 anni di contributi, l’età pensionabile a 55-60 anni (donne e uomini) dipendessero dall’assenza del debito? E se così fosse, chi ha creato quel debito? Perché?
Qui, bisogna intendersi: nessuno nega che l’espropriazione dell’emissione di moneta abbia creato una voragine, ma la ragione di quella scelta è anzitutto l’arma di ricatto che, nelle generazioni, potranno esercitare sui lavoratori. Perché, ad esempio, non si toccano mai le succose “consulenze”, le missioni di guerra all’estero, gli stanziamenti per le “fondazioni”…e si finisce sempre per limitare il potere d’acquisto dei lavoratori e per togliere loro dei diritti?
Perciò – pur concordando che il problema della moneta esiste, e che deve essere sempre più conosciuto – qualsiasi rivoluzione che ci liberi da questa cappa d’oligarchi non potrà che partire dalla ribellione su due temi convergenti: riportare il lavoro alla sua dignità, sancita dalla Costituzione, e ricondurre i lavoratori alla loro, che significa tornare a sedersi intorno ad un tavolo per avere un rapporto dialettico fra esseri umani, non fra feudatari e servi della gleba. L’alternativa?
Andarsene. Oppure, credere all’ennesimo affabulatore: San Giulio da Sondrio.
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[1] Fonte: http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/economia/occupazione/tremonti-postofisso/tremonti-postofisso.html
[2] Vedi : http://www.peacelink.it/migranti/a/22949.html
[3] Fonte: http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_2_1.wp;jsessionid=3DADEBD010FFA8A602627B6D6A9D3C91.ajpAL01?previsiousPage=mg_1_2&contentId=SAN31048
[4] Fonte: http://www.cisl.it/Sito-Iscritti.nsf/PagineVarie/Iscritti%5E2008R
[5] http://www.youtube.com/watch?v=MbSmaj7qj2Q oppure http://www.youtube.com/watch?v=Fcr6PTqGYJ4
[6] Fonte: http://www.corriere.it/politica/09_settembre_23/demichelis_57f058c4-a803-11de-94a2-00144f02aabc.shtml
[7] “Puoi raggiungere risultati altamente superiori con un team molto motivato, che dispone di macchinari vecchi e fatiscenti dislocati in un vecchio capannone, rispetto a quello che riuscirai a raggiungere con un team demotivato e privo di stimoli, che ha accesso alle migliori attrezzature e infrastrutture.” Reinhold Würth, imprenditore tedesco che ha costruito, partendo da una ferramenta, un’azienda di levatura mondiale, che occupa 51.000 dipendenti e che spazia dai sistemi di fissaggio ai pannelli solari.
[8] Vedi, ad esempio: http://www.signoraggio.com/index2.html
Bello.
RispondiEliminaRiguardo al signoraggio sono conscio che non è l'unico problema,ma probabilmente è il maggiore.
Subito a ruota la classe dirigente(politici,imprenditori,banchieri).
Ciao,M.
appunto dicevo "chi paga?".
RispondiEliminammh posso offrire un altro spunto? le tue analisi sono perfette! ma hai dimenticato di dire che a leggere la situazione anche i colpevoli, alla maniera del più efferato dei serial killer, lasciano i segni. facilmente leggibili.
ai miei occhi da sbarbo il bipartisan si legge come "dai ce n'è per tutti no? facciamo un po' per uno cosa vuoi litigare per prenderlo tutto! un poco a me e un poco a te e vincono tutti"
Beh, io non faccio molte distinzioni fra classe politica, finaziaria ed imprenditoriale: sono tutti lì per renderci servi e poter sguazzare nei privilegi.
RispondiEliminaIl problema del signoraggio è arma a doppio taglio: a chi assegnare la posizione dominante? Ai Rotshild o a Berlusconi, Prodi, ecc?
Ciao
Carlo
Se Giulio Tr. è sincero e crede in quello che dice lo scopriremo oggi. Infatti, alle camere è in discussione l'emendamento Valditara, che consente lo scivolo di due anni per chi nel pubblico impiego vuole andare in pensione. L'approvazione di questo emendamento renderà possibile a molti docenti di andare in pensione anticipatamente e così molti precari l'anno prossimo non dovranno più salire sui tetti. Se Giulio Tr. darà il suo assenso all'emendamento Valditara allora vorrà dire che non ha fatto solo demagogia, in più avrà posto una zeppa per succedere al magnaccia, non più sopra gli altri. Se non appoggerà l'emendamento Valditara vorrà dire che Giulio parla solo per parlare.
RispondiEliminap.s.
Carlo scusami se negli ultimi tempi non ho più postato commenti sul Blog.
ciao
Non sapevo - Orazio - che l'emendamento Valditara andava oggi in Aula. Hai ragione: staremo a vedere (che, per chi "viaggia" sopra i 58 anni, sai cosa significa...).
RispondiEliminaLo scontro è oramai fra i residui del capitalismo tatcheriano (mal rappresentati, in Italia, da Berluska) ed il nuovo "asse" Fini-Casini-D'Alema (Tremonti?) che si candida alla guida del Paese.
Solo Brunetta non s'è ancora accorto di niente e continua a blaterare sul "lavoro 2.0" o roba del genere.
Solo la regola, da me imposta, che in questo blog non s'insulta nessuno lo salva da qualche epiteto..........................................................................................................che meriterebbe.
Ciao
Carlo
PS: Non preoccuparti: qui non si deve firmare il registro delle presenze!
Il nano minus mi fa schifo, che cosA intende con lavoro 2.0? Il lavoro è lavoro e la sua stabilità, dai tempi dei sumeri, è sempre stata decisiva per il futuro degli uomini.
RispondiEliminaProporrei di rendere precario il suo posto all'università!
Chissà cose direbbe il nano minus?
C'è un'intervista del venesiàn su Repubblica, dove blatera roba del genere...non ti curar di lor ma guarda e passa...
RispondiEliminaCiao
Carlo
Barbara Spinelli, sulla "Stampa" di domenica, parlava del caso di France telecom dove sei manager si sono tolti la vita e uno di questi nella sua lettera d' addio faceva un chiaro riferimento alla sua condizione lavorativa che lo aveva svuotato totalmente di ogni stimolo come se ci fosse un disegno occulto mirato a marginalizzarci svuotandoci delle nostre più elementari funzioni elaborative e analitiche nel lavoro ovvero rendendoci solo dei robot inespressivi e funzionali alle pratiche aziendali.Naturalmente tutto ciò avviene in Francia dove le leggi sul lavoro permettono qualcosa in più e dove, malgrado la destra governativa, alcuni temi come l' educazione ( quindi la scuola) la previdenza (pensioni) e fatemi dire anche la giustizia (processi e tribunali) vengono affrontati in maniera diversa.Oramai il mondo del lavoro è una entità vuota dove si agisce in maniera meccanica svuotati da ogni stimolo e non riesco proprio a capire dove ci potrà portare tutto ciò, nessuna azienda potrà mai trarre giovamento dall' avere dipendenti scoglionati e pronti a fregarti alla prima occasione.Ciò è e resta solo un arrancare , un vivere di espedienti che malgrado i richiami elettoralistici di Tremonti non ha futuro.Carlo mi hai stordito questo articolo è un pezzo della Treccani, però, al solito eloquente, forse ha ragione Bondi a sostenere ( come oggi scrive in una lettera al direttore sulla Stampa) che una parte della sinistra si erge a concessionaria della cultura e che il post comunismo ha portato solo ad una desolazione belligerante di intellettuali starnazzanti pronti ad inveire contro Berlusconi e non capire quale sia l' effettivo merito del suo successo non riuscendo cosi a capire l' Italia e gli Italiani che oramai vivono in una landa corrotta e desolata.Ciò che mi domando io è più semplice,ovverro:Come è stato possibile che malgrado le tue sagge parole e quelle di altri bravi intellettuali certa gente (come Bondi, Tremonti,Brunettaetc..) possano ancora parlare.Non é che dall' altra parte non ci sia nessuno che voglia ascoltare?
RispondiEliminaCaro Marco: "dall'altra parte", come dici tu, ci sono persone come D'Alema che si fa una barca da 800.000 euro presso la Popolare di Lodi dell'amico Fiorani, e c'è un Violante (vedi il film della Guzzanti, ma c'è anche su Youtube) che chiede a Berlusconi - in Parlamento! - perché si comporta così nonostante ci fossero state "ampie rassicurazioni" (quando governava la sx) sulle sue televisioni. Si sono fatti comprare: altrimenti, perché non fecero una legge sul conflitto d'interessi, come c'è in tutti i Paesi sviluppati? Perché il PD naviga male? Perché non ha un segretario? No: perché la gente che li votava s'è stufata. Spiace, ma così è.
RispondiEliminaCiao e grazie
Carlo
Ineccepibile, pienamente d' accordo ma mi spiegheresti anche perchè tanta gente vota per questa destra idealizzando come salvatore della patria un corruttore che non ha niente a che fare con la politica? Sarà mica perchè siamo il paese delle vallette e del bar dello sport? Mettiamola cosi: Quanta gente credi sarebbe disposta ad ascoltarti se tu avessi la possibilità di apparire senza essere bravo a farlo?Il verbo non è tutto Carlo ciao.
RispondiEliminaTe lo spiegop io. L'Italia dal tempo del patto Gentiloni è un paese di dx e Giolitti lo sapeva bene. Gli italiani sono moderati, molto moderati, anche se muoiono di fame votano per i loro affamatori perchè non si sentono di appartenere ai meno abbienti. "Che diamine", dicono, "io appartengo alla buona borghesia e quindi voto a dx. Non sono mica un poveraccio come gli altri."
RispondiEliminaCaro Carlo, articolo da salvare e conservare.
RispondiEliminaPerò non riesco a spiegarmi il senso di quest'improvvisa "folgorazione sulla via di Damasco" di Tremonti, ora gli va dietro perfino il Berlusca, con sommo orrore della Marcegaglia. E Tremonti a sostenere che se avesse previsto tutte quelle reazioni se la sarebbe forse risparmiata. "Ma s'io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto ed attuali conclusioni"... E che il "Guccio" mi perdoni!
Boutade? Lapsus? Propaganda? Semplice bisogno di un po' d'aria per le corde vocali? Ci credono davvero? Va da sè che quest'ultima è l'ipotesi nettamente più debole di tutte, vedremo presto cosa faranno in concreto (secondo me, nulla). Se son rose fioriranno, insomma, ma già il fatto che sia quasi novembre induce ad un doveroso scetticismo. Anche perché dare la nostra attuale legislazione sul lavoro in mano alla Confindustria è stato un po' come mettere in mano ai militari le ricerche sulla fissione nucleare negli anni intorno al 1940: non ne faranno mai a meno, spontaneamente.
E se ci stessero banalmente "pigghiandu p'u culu"?
Grazie Orazio la tua conferma da lustro alla poca stima che nutro nei confronti dei miei connazionali che è ancora più bassa di quella nei confronti della classe politica.Giunge ora la notizia che è stata bocciata la risoluzione portata in sede europea da quel poco che resta della sinistra Italiana e non contro la libertà di stampa, non mi aspettavo certo un aiuto dall' europa ma questa bocciatura seppur di misura mi sa tanto di esportazione dei nostri pessimi valori in Europa.Forse la nostra destra non è peggio delle altre e sinceramente ( e non per idealismo) tutto ciò mi fa veramente schifo.
RispondiEliminaVorrei sottoporre alla vostra attenzione le ultime "uscite pubbliche" di Tremonti (le troverete su Repubblica, oppure mettete come parole chiave Tremonti, Aspen, D'Alema, Lecce...altro) e scoprirete che il nostro bel farinello sta provando a ricostruirsi una verginità, in vista del dopo Berluska. Chi sono i pretendenti? E' oramai chiaro: una santa alleanza fra Fini, D'Alema, Tremonti (che si tira dietro un pezzo del PdL) e Casini, più qualche anima perduta. Magari il ceppalonico.
RispondiEliminaScommettiamo un caffé?
Ciao a tutti
Carlo
Accetto la scommessa. Il mandrillo di villa Certosa non si farà mettere da parte senza reagire. E' andato da Putin (ex capo del KGB) per prendere lezioni su come mantenere il potere ed ottenere aiuti contro i suoi nemici esterni ed interni al PDL. Non mollerà e trascinerà alla rovina il paese.
RispondiEliminaCiao Carlo,
RispondiEliminaa Davide1969 vorrei dire: ci credono davvero.
Come? Perché? Se leggi bene l'articolo di Carlo troverai la risposta, non solo fra le righe ma proprio ben dichiarata: hanno bisogno di un popolo di schiavi che li mantenga.
A quanti, fra i miei amici, mi chiedono cosa ne penso di questa ennesima "tremontolata" sempre rispondo, vogliono creare una base sicura sulla quale affondare la vanga per raccogliere le patate d'oro.
Si sono accorti che i cococo, i 'progetti' il popolo intero delle partite iva sono sì degli schiavi ma 'portano' poche patate, hanno sempre -quando vanno incontro allo Stato Padrone- il sacco vuoto. Invece e certamente i lavoratori fissi portano tante patate, ogni mese, ogni anno per 30 e più anni. L'unico però e che gli devi dare qualcosina indietro nella loro vecchiaia...ma per questo qualche buona pasticca, per la pressione, per il colesterolo, presa per qualche anno, potrebbe aiutare...(sic.) (ieri parlavo con una zia di mia moglie che mi raccontava di come il suo marito cardiopatico -da poco in pensione-
dopo una vita piena di lavoro, lavoro ecc, avesse tirato le cuoia, secondo lei, non già per colpa del cuore ma per tutti gli effetti indesiderati delle numerose pasticche che, i medici, gli dicevano di assumere quotidianamente).
Il posto fisso, acquista case (o almeno fa mutui ventennali pagando sempre tutte le rate), beni e servizi, perché fa figli perché vuole bene al Suo Paese. Il popolo delle partite iva, in genere, quando si accorge che deve lavorare almeno 12 ore al giorno, sette giorni alla settimana, si sente tradito dal 'suo' 'paese' e cerca -sempre più spesso- di non farsi trovare quando lo stato gli presente il conto.
Se queste cose non le sapesse proprio il tremontello, leader indiscusso dei suoi sostenitori, un popolo di 'elusori' (oggi sono buonisimo) di tasse, io non saprei dirvi chi le possa sapere meglio.
Di nuovo grazie, Carlo, per la tua opera, sagace e puntuale.
Salutations.
RA
Non credo, Orazio, che il mandrillone riuscirà nel suo intento (sono sicuro di vincerlo quel caffé..eh,eh...)perché, se così fosse, il pelato sarebbe un vero dux. Invece fu soltanto una pedina tollerata per non dar spazio, nel 1994, ad una sinistra (Occhetto) ai loro occhi poco affidabile. Gli stessi poteri (vedi gli attacchi del Times, organo dei conservatori britannici) lo stanno scaricando e poco potrà (e vorrà) fare Putin per salvarlo. Correrà l'eterno adagio "Franza o Spagna, pur che se magna" e ci dimenticheremo presto delle sue bizzarrie.
RispondiEliminaAvremo così un quadrumvirato forte, che ce la metterà nello stoppino peggio ancora. D'Alema si comprerà la Vespucci (dirà che era un'occasione...) e Casini diventerà Papa, Fini sarà Ducetto e Tremonti Genio della Lampada. Io berrò il caffé e ti lascerò andare alla cassa.-))
La tua teoria, Roberto, mi lascia perplesso: vero quel che dici, ma in un contesto di ritorno ad un capitalismo keynesiano. Siamo certi che sia possibile attuarlo, considerando gli aspetti internazionali?
Può essere, ma bisognerebbe - prima - rifondare totalmente l'apparato produttivo italiano. Cosa fattibile. Più difficile "riformare" le teste dell'imprenditoria italiana. Qui, la vedo dura.
Ciao a tutti
Carlo
ciao, stavo scrivendo un pezzo sull'uscita tremontiana quando ho letto il tuo.
RispondiEliminaho cancellato quasi tutto lasciando (http://controinformoperdiletto.blogspot.com/2009/10/articolo-uno.html)
quasi solo un invito a leggere il tuo e un tributo alle cose che dici e a come le dici.
Grazie - "Cugino" - è importante elaborare e rielaborare i contenuti del Web: è un nuovo modo di fare cultura, che ci distingue dall'apatia della classe politica.
RispondiEliminaSperèm...
Ciao
Carlo Bertani
Volevo, nei limiti ovviamente dell'ironia, fare una precisazione ai vostri commenti che tendono a descrivere il popolo italiano come "stupido" tranne pochi eletti che sanno le cose.
RispondiEliminaPrima di tutto la televisione sì è un mezzo potente di persuasione, è vero mostra solo schifezze e potrebbe far veder altro di interessante, la gente non si rende conto di quello che accade veramente e eccetera eccetera, ma nonostante questo la gente non si preoccupa minimamente di maria de filippi. c'è un nugolo di donne che piange guardando amici e postini e basta finisce lì. gli uomini invece sono più pratici e badano semplicemente alla saccoccia. alla gente non frega niente delle ideologie. non frega niente della collettività. non frega niente dell'ambiente. il padre di famiglia spera solo di avere i soldi per soddisfare la moglie (e quindi poter, spero di non bestemmiare in questa sede, eiaculare quelle due o tre volte a settimana tanto per darsi pace) e i figli (essere considerato figo). allora vota chi reputa in grado di soddisfare il principio "soldi". purtroppo, e dico purtroppo, si tratta di essere solo pratici. la maggior parte della gente "sa" quello che vuol dire palinsesto televisivo e idee razziste ma non se ne preoccupa più di tanto perchè reputa queste cose un optional.
chi vota berlusconi chi è? semplice secondo me provare a fare una generalizzazione. due sono le grandi categorie. i traditi dal PD o cmq dal centrosinistra e gli invasati. i primi sono quelli che nella loro vita dicevano "va beh mo voto a sinistra tanto sono per il popolo mi tuteleranno in qualche modo" e ora sono completamente adirati con quel mondo alieno ai principi che professa (e carlo ne ha spiegato ampiamente il perchè nei suoi commenti).i secondi sono quelli che dicono "berlusconi già è ricco di suo non ruberà allo stato come craxi e quindi la sinistra. inoltre ha fondato dal nulla un impero è capace di gestire lo stato come un'azienda". io sono convinto che la gente sappia la differenza tra stato e azienda. ma non se ne preoccupa di evidenziarlo perchè pensa solo ai soldi sol-di.
quindi gli intellettuali devono scendere dal piedistallo e parlare di cose pratiche. secondo me. senza offendere nessuno ovviamente con il mio "scendere dal piedistallo" eh, da intendere ironicamente.
la visione "la sinistra ruba" non è da collegarsi solo a quello che ho scritto prima. no. per la gente la sinistra stanca perchè ha creato un mondo di fannulloni pagati dallo stato. e non occorreva brunetta per venirlo a dire. tutti sanno che gli ospedali non vanno, le scuole fanno schifo, le aziende pubbliche fanno schifo. ma non si tratta solo di questo! no! la gente è stufa pure di lavoratori socialmente utili, comunità (comodità) montane, stuolo di centri simili in cui la gente si parcheggia a non fare niente. e nella visione delle "cose" è la sinistra ad aver creato questo mondo. questo peso. ecco perchè gli AN votano berlusconi nonostante sia un liberale e completamente quindi estraneo ai loro conservatorsmi. parlo della gente AN non di Fini&company
RispondiEliminaComprendo il tuo sfogo, ma non mi ci ritrovo. Quanti articoli ho scritto sull'energia? Per cercare di creare ricchezza dall'energia, invece di regalarla ai boiardi di Stato? Anche questo articolo, in fondo parla di lavoro, di come ci hanno fregati.
RispondiEliminaSono d'accordo sulla tua disanima sulla televisione, ma io non posso far altro che scrivere: non ho un canale televisivo a disposizione.
Sul fatto che tutto il "pubblico" poi non funzioni, ho qualche dubbio: dipende, da posto a posto.
Sono stato curato bene e male in strutture pubbliche, bene e male in quelle private: credo capiti a tutti. Quello che non accetto da Brunetta è che venga a dare a me ed a tanti altri dell'assenteista, quando lui è stato il campione d'assenteismo dei nostri parlamentari europei.
Ciao
Carlo
Anche se critico nei confronti dei miei connazionali comunque credo che dei distinguo vadano sempre fatti.Il nostro paese e asservito storicamente ai poteri forti e non ha mai avuto un coscenza propria ed è per questo che la gente ha sempre optato più che in altri stati ad attaccarsi al treno dei più forti. Dice bene Ladnag quando invita gli intellettuali ( specie quelli di sinistra) a scendere dal piedistallo ed usare un linguagio più semplice, più vicino alla gente, che, come spiega l' ottimo Barnard sul suo ultimo articolo pubblicato (Come morimmo) è stato la forza delle destre e delle grandi lobby internazionali che hanno cosi saputo imporre nuovi canoni alla parola democrazia portandoci all' apatia tramite il consumismo, impostoci sia con i media sia con le nuove dottrine economiche propagandate nelle grandi università ( a chi non lo ha letto suggerisco caldamente di farlo lo dico dopo verlo sempre criticato ottimo gioralista se lasciasse da parte rancori e confronti personali).Ciò non credo che sia il caso di Carlo al quale auguro che un giorno il suo pensiero possa arrivare a tutti e mi auguro anche che un giorno abbia la fortuna di poterlo conoscere visivamente per poterlo apprezzare o magari criticarlo di più conoscendo meglio il suo profilo umorale e umano che purtroppo i blog spesso nascondono dietro una tastiera ciao a tutti.
RispondiEliminaCarlo vorrei un tuo parere.
RispondiEliminaSecondo te il Mandrillo ha rinviato di mezza giornata il rientro in Italia per atterrare nottetempo a Milano per?
A) Doveva collaudare il nuovo lettone con alcne ragazze del KGB.
B) La mafia russa lo ha trattenuto per fargli firmare dei contratti a loro vantaggiosi.
Beh, adesso che non sono più considerato nella schiera degli intellettuali, le cose vanno meglio. Ci sono sempre stato stretto.
RispondiEliminaPerò, mi sembra che sia io, sia Barnard, parliamo un linguaggio semplice, per tutti.
Altri non ci riescono, ma è un loro limite: ciò non significa che le cose che raccontano non siano interessanti. L'uso del linguaggio è tutto, ma non tutti lo usano al meglio.
Per quanto riguarda Orazio, credo che oramai siamo incamminati sulle scommesse e così continuiamo.
Credo anch'io che le ipotesi A e B sono possibili, se non probabili ma - visto che a Mosca splendeva il sole - ritengo che Pelatone abbia atteso il "lavoro" di Letta & soci per metterci una pezza con Tremonti.
Mi sbaglierò?
Ciao a tutti
Carlo
avevo virgolettato soltanto per enfatizzare. non stavo criticando apertamente qualcuno in particolare ma un certo atteggiamento diffuso: asserire che il popolo italiano è stupido. per carità è vero!! siamo completamente analfabeti e ... è risaputo.
RispondiEliminavolevo solo dire che il discorso da analizzare, secondo me (sempre), è più sottile. l'uomo italiano tende ad essere pratico. tutto qua.
Oggi Bossi avrebbe detto che lui è favorevole a Tremonti vicepremier. Fini ieri ha avvisato il nano che in caso di Tremonti vicepremier sarebbe come ridurre la sua autorevolezza in seno al governo e nel paese. Ma possiamo credere che in nano accetterà una tale evenienza?
RispondiEliminaIl nano è attaccato al potere con il "bostik" e non risparmia colpi a nessuno, vedi il caso Marrazzo. Solo un babbeo può credere che non vi sia stato complotto. Di chi?? Lascio a voi immaginare.
Siamo veramente alla frutta, l'orizzonte è plumbeo e non si scorgono navi che possano portare soccorso.
RispondiEliminaQuesta è la situazione, amici miei, ma è inutile cercare di prevedere come si manifesterà il naufragio, perché la Storia riserva sempre delle sorprese.
Comunque, m'avessero raccontato - 20 anni fa - che avrei assistito ad un simile scempio, non c'avrei creduto.
Ciao a tutti
Carlo