Devo confessare che ho provato una stretta al cuore, fissando lo sguardo di quel ragazzo – Vito Scafidi – morto tragicamente nel crollo del soffitto in un liceo di Rivoli. Sarà perché di qualche morte tragica – dopo tanti anni d’insegnamento – sono stato, ahimè, spettatore attonito e ricordo la triste liturgia di quei casi.
Motorino od auto, talvolta una bieca malattia, strappano ai genitori ed a noi insegnanti qualche giovane vita, un paio d’occhi ammiccanti, talvolta sbarazzini, sempre curiosi sguardi d’adolescente.
Il copione è sempre lo stesso: la bara sistemata al centro di una struttura (talvolta a casa o in ospedale) ed una classe tremante che – appoggiata al muro per lunghe ore – piange, consola, ricorda.
La prima badilata sul viso che la vita ti dà è, in certe circostanze, questa: la perdita, repentina, dell’illusione dell’immortalità. A 17 anni non si muore, non si dovrebbe. Eppure avviene.
Poi, mesi per recuperare il salvabile, cercare – nessuno di noi ha magiche ricette in tasca – di metabolizzare l’accaduto, perché la classe è un organismo vero e proprio, complesso, sempre diverso, che quando perde una mano od un piede urla di dolore.
Se, poi, la morte avviene per mano degli adulti – o, perlomeno, così viene percepita – allora…apriti Cielo! Sale la rabbia contro qualcosa o qualcuno – che è tipico dell’adolescenza, sempre ribelle – e quel qualcosa o qualcuno si trasfigura nella perversa Crudelia Demon, nel malvagio Capitan Uncino, nel sanguinario principe Vlad di turno.
Per noi adulti la questione si pone in altro modo. Se scorriamo le statistiche sulla sicurezza nelle nostre scuole, c’è da rabbrividire[1]: la metà di esse – i luoghi dove inviamo, fiduciosi, i nostri figli – sono luoghi insicuri.
Le testimonianze raccolte dal quotidiano “Repubblica”[2] fioccano a centinaia, da tutte le parti d’Italia, da destra a sinistra, e cadono tutte sulla testa di questa classe dirigente che, per bocca del Presidente del Consiglio, afferma trattarsi di “fatalità”. Sarà come per gli incidenti sul lavoro? Per le tragedie familiari? Per la povertà endemica? Cosa siamo, un popolo destinato antropologicamente alle tragedie?
Scusate: dimenticavo la buona notizia. Finalmente.
Non so se la mia scuola sia provvista proprio di tutte quelle certificazioni (mi pare di sì), ma ne conosco la storia e le vicende degli ultimi tre decenni. C’è qualcosa da imparare.
Anzitutto, la fondazione: 1621, ad opera dei Padri Scolopi. Mura squadrate, spesse, costruite col vecchio criterio di mantenere la base più larga della sommità: come nella mia abitazione (sec. XV), i muri non sono dei parallelepipedi, bensì dei tronchi di piramide.
Non sono un tecnico, ma queste mura hanno resistito ai secoli: perché?
Poiché quando costruire costava tanta, ma veramente tanta fatica – dal raccogliere le pietre nei torrenti per chilometri, fino all’erezione manuale di tutte le impalcature, all’impasto a forza di braccia di tutto quel che serviva – si conservava memoria del sudore e si facevano le cose per bene.
Ho assistito anche alla grande ristrutturazione che avvenne quasi trent’anni or sono, poiché la Preside – donna di classe ed orgogliosa della sua femminilità – riteneva, semplicemente, che quelle faccende fossero “cose da uomini”. Punto e basta.
Non ci furono fumosi “progetti”, “assegnazioni”, “responsabili” – se ben ricordo non ci furono nemmeno dei soldi di mezzo – perché s’andava ancora con il vecchio buon senso. Chiamò in presidenza un paio di docenti e l’assistente tecnico (tutti rigorosamente maschi, ovvio) e chiese loro con gentilezza e signorilità d’occuparsi al posto suo della questione, perché lei – lo ammetteva senza remore – non ci capiva nulla.
Fu una bella esperienza.
C’accorgemmo che il pavimento di un laboratorio “tremolava” un pochino e lo segnalammo al Geometra del Comune: detto fatto, fu organizzata durante le vacanze estive una prova di carico – la quale consiste nel caricare sul pavimento molti sacchi di cemento e poi fare delle misurazioni – dalle quali i tecnici stabilirono che si trattava di normale elasticità della soletta in robusto castagno, ancora perfettamente integro.
Ci fu poi la necessità di ricavare nuove aule dalle vecchie celle dei frati, abbattendo muri divisori che non erano semplici tramezzi, bensì strutture portanti. Il Geometra voleva realizzare aule più grandi abbattendo due tramezzi, ma l’Ingegnere della Provincia s’oppose poiché riteneva che la cosa avrebbe indebolito la struttura.
Ci furono parecchie discussioni – compresi noi, che tecnici non eravamo – per spiegare, capire, decidere. Alla fine, tutti fummo d’accordo che era meglio avere aule più piccole ma sicure. Vallo a dire alla Gelmini – miss “so tutto io” – che adesso ti mette 30 allievi per classe e non sai dove piazzarli.
Per il tetto, l’impresa che aveva vinto l’appalto ci disse a chiare lettere che spendere 40 milioni per il tetto era come buttarli al vento: «Dando solo una “ripassata”, tante tegole si cambiano e tante se ne rompono camminando: meglio aspettare, metterci più soldi e rifare il tetto da capo».
Seguimmo il suo consiglio e, pochi anni dopo – grazie ad un nuovo stanziamento – fu possibile rifare completamente il tetto. Il quale, gode tuttora d’ottima salute.
Poi venne la nuova stagione dei “Dirigenti Scolastici” i quali – poveretti loro – sono stati nominati pomposamente “Dirigenti” e di tutto devono sapere e capire. Dal Diritto alle ristrutturazioni.
Modesta e recente revisione dei pluviali e delle discese d’acqua dal tetto: tre discese partono dal tetto, diventano due al livello di un terrazzo intermedio e terminano in una sola a terra. Tutte, ovviamente, d’identico diametro. Risultato: allagamento. Ci vuole tanto a capire il problema?
Di chi la colpa?
Di nessuno e di tutti, perché oggi vige la “dittatura degli esperti”, le famose imprese chiamate a ristrutturare con i soldi pubblici le quali – guarda a caso – sono sempre le stesse.
Altro “esperto” fu l’idraulico che piazzò – questa volta a casa mia – una vaschetta zincata per un impianto di riscaldamento fatto con tubi di rame. Provai a balbettare qualcosa sulla pila di Volta. Mi fu risposto che “ne aveva messe tante”. Due anni dopo, vaschetta bucata ed allagamento invernale: quella volta fui io ad imporre una vaschetta di rame, la quale sta benissimo dopo tanti anni.
Insomma, tirando le conclusioni, la bella notizia è che io – a scuola – mi sento sicuro perché la struttura fu costruita in tempi “non sospetti” quando, a parlare di “obsolescenza programmata”, t’avrebbero bruciato sul rogo. Ma, con tutta questa fatica, dobbiamo farla male per poi rifarla?!?
E devo riconoscere che, le persone chiamate a ristrutturarla trent’anni fa, lavorarono bene perché avevano a cuore quel che facevano (uno, era addirittura un ex allievo): ciò non significa che lavorassero per pochi soldi, ma a fronte dei soldi richiesti fornivano una prestazione brillante.
Perché?
Poiché non ci sarà mai nessuna “tabella”, nessun “metodo” meritocratico in grado di competere con la semplice buona volontà, con l’etica professionale di chi desidera fare una cosa al meglio.
Cosa serve, allora?
Per prima cosa ascoltare quel che raccontano gli istituti di statistica da anni: il dato più pericoloso, per il futuro d’Italia, è rappresentato dallo “scollamento” sociale, dalla mancanza d’unità negli intenti, nel “tutti contro tutti” alimentato dall’assenza di vera cultura e dai media asserviti.
Siamo “pappetta" sociale e questo, in una nazione che ha avuto un percorso d’unificazione assai tormentato, concede troppe frecce al rischio di un’involuzione di tipo balcanico.
Se non riusciremo a ricostruire i legami amicali, comunitari, se non saremo in grado di ripartire cancellando di brutto gli ultimi decenni, buttando con gioia nel cesso tutta la paccottiglia che ci hanno propinato sulla “competitività”, sul “merito” (che decidono loro) e tutto il resto finiremo di certo a carte quarantotto.
In seconda battuta spendere, ma saper spendere con competenza ed onestà: a cosa serve costruire faraonici ponti ed altre facezie del genere, quando sono le scuole a crollare? Chi va a raccontare ai genitori di Vito Scafidi che si taglia sulla scuola per costruire un ponte che non servirà a niente – il futuro dei trasporti è l’acqua, non la terra, ancor più per la Sicilia – ci andrà quel tizio che ha il coraggio di chiamarla “fatalità”?
Da ultimo, dobbiamo ficcarci in testa che – se non riusciremo a cacciare questa pletora di politici inefficaci ed inefficienti – loro cacceranno noi. Lo stanno già facendo: Vito, se fosse diventato un bravo scienziato od un valente ingegnere, sarebbe dovuto emigrare come tanti suoi simili già stanno facendo.
Un Paese che non sa garantire la sicurezza nelle scuole, che costruisce anche quelle con il criterio dell’obsolescenza programmata – per domani foraggiare nuove tangenti – può attendersi solo nuove disgrazie ed un fosco futuro.
E non tiriamo in ballo il Fato – per favore – perché per gli antichi era cosa assai seria, mica le barzellette da Bagaglino che ci ammansiscono dai teleschermi. Spegniamoli, per favore, spegniamoli, sempre di più.
Motorino od auto, talvolta una bieca malattia, strappano ai genitori ed a noi insegnanti qualche giovane vita, un paio d’occhi ammiccanti, talvolta sbarazzini, sempre curiosi sguardi d’adolescente.
Il copione è sempre lo stesso: la bara sistemata al centro di una struttura (talvolta a casa o in ospedale) ed una classe tremante che – appoggiata al muro per lunghe ore – piange, consola, ricorda.
La prima badilata sul viso che la vita ti dà è, in certe circostanze, questa: la perdita, repentina, dell’illusione dell’immortalità. A 17 anni non si muore, non si dovrebbe. Eppure avviene.
Poi, mesi per recuperare il salvabile, cercare – nessuno di noi ha magiche ricette in tasca – di metabolizzare l’accaduto, perché la classe è un organismo vero e proprio, complesso, sempre diverso, che quando perde una mano od un piede urla di dolore.
Se, poi, la morte avviene per mano degli adulti – o, perlomeno, così viene percepita – allora…apriti Cielo! Sale la rabbia contro qualcosa o qualcuno – che è tipico dell’adolescenza, sempre ribelle – e quel qualcosa o qualcuno si trasfigura nella perversa Crudelia Demon, nel malvagio Capitan Uncino, nel sanguinario principe Vlad di turno.
Per noi adulti la questione si pone in altro modo. Se scorriamo le statistiche sulla sicurezza nelle nostre scuole, c’è da rabbrividire[1]: la metà di esse – i luoghi dove inviamo, fiduciosi, i nostri figli – sono luoghi insicuri.
Le testimonianze raccolte dal quotidiano “Repubblica”[2] fioccano a centinaia, da tutte le parti d’Italia, da destra a sinistra, e cadono tutte sulla testa di questa classe dirigente che, per bocca del Presidente del Consiglio, afferma trattarsi di “fatalità”. Sarà come per gli incidenti sul lavoro? Per le tragedie familiari? Per la povertà endemica? Cosa siamo, un popolo destinato antropologicamente alle tragedie?
Scusate: dimenticavo la buona notizia. Finalmente.
Non so se la mia scuola sia provvista proprio di tutte quelle certificazioni (mi pare di sì), ma ne conosco la storia e le vicende degli ultimi tre decenni. C’è qualcosa da imparare.
Anzitutto, la fondazione: 1621, ad opera dei Padri Scolopi. Mura squadrate, spesse, costruite col vecchio criterio di mantenere la base più larga della sommità: come nella mia abitazione (sec. XV), i muri non sono dei parallelepipedi, bensì dei tronchi di piramide.
Non sono un tecnico, ma queste mura hanno resistito ai secoli: perché?
Poiché quando costruire costava tanta, ma veramente tanta fatica – dal raccogliere le pietre nei torrenti per chilometri, fino all’erezione manuale di tutte le impalcature, all’impasto a forza di braccia di tutto quel che serviva – si conservava memoria del sudore e si facevano le cose per bene.
Ho assistito anche alla grande ristrutturazione che avvenne quasi trent’anni or sono, poiché la Preside – donna di classe ed orgogliosa della sua femminilità – riteneva, semplicemente, che quelle faccende fossero “cose da uomini”. Punto e basta.
Non ci furono fumosi “progetti”, “assegnazioni”, “responsabili” – se ben ricordo non ci furono nemmeno dei soldi di mezzo – perché s’andava ancora con il vecchio buon senso. Chiamò in presidenza un paio di docenti e l’assistente tecnico (tutti rigorosamente maschi, ovvio) e chiese loro con gentilezza e signorilità d’occuparsi al posto suo della questione, perché lei – lo ammetteva senza remore – non ci capiva nulla.
Fu una bella esperienza.
C’accorgemmo che il pavimento di un laboratorio “tremolava” un pochino e lo segnalammo al Geometra del Comune: detto fatto, fu organizzata durante le vacanze estive una prova di carico – la quale consiste nel caricare sul pavimento molti sacchi di cemento e poi fare delle misurazioni – dalle quali i tecnici stabilirono che si trattava di normale elasticità della soletta in robusto castagno, ancora perfettamente integro.
Ci fu poi la necessità di ricavare nuove aule dalle vecchie celle dei frati, abbattendo muri divisori che non erano semplici tramezzi, bensì strutture portanti. Il Geometra voleva realizzare aule più grandi abbattendo due tramezzi, ma l’Ingegnere della Provincia s’oppose poiché riteneva che la cosa avrebbe indebolito la struttura.
Ci furono parecchie discussioni – compresi noi, che tecnici non eravamo – per spiegare, capire, decidere. Alla fine, tutti fummo d’accordo che era meglio avere aule più piccole ma sicure. Vallo a dire alla Gelmini – miss “so tutto io” – che adesso ti mette 30 allievi per classe e non sai dove piazzarli.
Per il tetto, l’impresa che aveva vinto l’appalto ci disse a chiare lettere che spendere 40 milioni per il tetto era come buttarli al vento: «Dando solo una “ripassata”, tante tegole si cambiano e tante se ne rompono camminando: meglio aspettare, metterci più soldi e rifare il tetto da capo».
Seguimmo il suo consiglio e, pochi anni dopo – grazie ad un nuovo stanziamento – fu possibile rifare completamente il tetto. Il quale, gode tuttora d’ottima salute.
Poi venne la nuova stagione dei “Dirigenti Scolastici” i quali – poveretti loro – sono stati nominati pomposamente “Dirigenti” e di tutto devono sapere e capire. Dal Diritto alle ristrutturazioni.
Modesta e recente revisione dei pluviali e delle discese d’acqua dal tetto: tre discese partono dal tetto, diventano due al livello di un terrazzo intermedio e terminano in una sola a terra. Tutte, ovviamente, d’identico diametro. Risultato: allagamento. Ci vuole tanto a capire il problema?
Di chi la colpa?
Di nessuno e di tutti, perché oggi vige la “dittatura degli esperti”, le famose imprese chiamate a ristrutturare con i soldi pubblici le quali – guarda a caso – sono sempre le stesse.
Altro “esperto” fu l’idraulico che piazzò – questa volta a casa mia – una vaschetta zincata per un impianto di riscaldamento fatto con tubi di rame. Provai a balbettare qualcosa sulla pila di Volta. Mi fu risposto che “ne aveva messe tante”. Due anni dopo, vaschetta bucata ed allagamento invernale: quella volta fui io ad imporre una vaschetta di rame, la quale sta benissimo dopo tanti anni.
Insomma, tirando le conclusioni, la bella notizia è che io – a scuola – mi sento sicuro perché la struttura fu costruita in tempi “non sospetti” quando, a parlare di “obsolescenza programmata”, t’avrebbero bruciato sul rogo. Ma, con tutta questa fatica, dobbiamo farla male per poi rifarla?!?
E devo riconoscere che, le persone chiamate a ristrutturarla trent’anni fa, lavorarono bene perché avevano a cuore quel che facevano (uno, era addirittura un ex allievo): ciò non significa che lavorassero per pochi soldi, ma a fronte dei soldi richiesti fornivano una prestazione brillante.
Perché?
Poiché non ci sarà mai nessuna “tabella”, nessun “metodo” meritocratico in grado di competere con la semplice buona volontà, con l’etica professionale di chi desidera fare una cosa al meglio.
Cosa serve, allora?
Per prima cosa ascoltare quel che raccontano gli istituti di statistica da anni: il dato più pericoloso, per il futuro d’Italia, è rappresentato dallo “scollamento” sociale, dalla mancanza d’unità negli intenti, nel “tutti contro tutti” alimentato dall’assenza di vera cultura e dai media asserviti.
Siamo “pappetta" sociale e questo, in una nazione che ha avuto un percorso d’unificazione assai tormentato, concede troppe frecce al rischio di un’involuzione di tipo balcanico.
Se non riusciremo a ricostruire i legami amicali, comunitari, se non saremo in grado di ripartire cancellando di brutto gli ultimi decenni, buttando con gioia nel cesso tutta la paccottiglia che ci hanno propinato sulla “competitività”, sul “merito” (che decidono loro) e tutto il resto finiremo di certo a carte quarantotto.
In seconda battuta spendere, ma saper spendere con competenza ed onestà: a cosa serve costruire faraonici ponti ed altre facezie del genere, quando sono le scuole a crollare? Chi va a raccontare ai genitori di Vito Scafidi che si taglia sulla scuola per costruire un ponte che non servirà a niente – il futuro dei trasporti è l’acqua, non la terra, ancor più per la Sicilia – ci andrà quel tizio che ha il coraggio di chiamarla “fatalità”?
Da ultimo, dobbiamo ficcarci in testa che – se non riusciremo a cacciare questa pletora di politici inefficaci ed inefficienti – loro cacceranno noi. Lo stanno già facendo: Vito, se fosse diventato un bravo scienziato od un valente ingegnere, sarebbe dovuto emigrare come tanti suoi simili già stanno facendo.
Un Paese che non sa garantire la sicurezza nelle scuole, che costruisce anche quelle con il criterio dell’obsolescenza programmata – per domani foraggiare nuove tangenti – può attendersi solo nuove disgrazie ed un fosco futuro.
E non tiriamo in ballo il Fato – per favore – perché per gli antichi era cosa assai seria, mica le barzellette da Bagaglino che ci ammansiscono dai teleschermi. Spegniamoli, per favore, spegniamoli, sempre di più.
[1] Fonte: http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/maltempo/allarme-bertolaso/allarme-bertolaso.html
[2] Fonte: http://redazione-repubblica.blogautore.repubblica.it/2008/11/23/le-scuole-sono-sicure-racconta-la-tua-esperienza/
E' nata ContrAgorà - http://contragora.blogspot.com/ - un blog collettivo formato, oltre che dal sottoscritto, da Carlo Gambescia, Barbara Albertoni (Cloro), Marco Cedolin, Antonio Saccoccio, Miguel Martinez, Nicola Vacca, Stefano Moracchi, Guido Aragona, Truman Burbank e Valter Binaghi.
L'idea è nata dall'Appello alla Rete che lanciammo per la crisi economica, ed ora proseguirà come luogo dove posteremo i nostri pezzi, a volte solo su Contragorà, altre in parallelo sui nostri blog.
L'idea è nata dall'Appello alla Rete che lanciammo per la crisi economica, ed ora proseguirà come luogo dove posteremo i nostri pezzi, a volte solo su Contragorà, altre in parallelo sui nostri blog.
E' importante, a mio avviso, essersi trovati - pur avendo storie personali diverse - per impiantare questo piccolo, nuovo luogo d'aggregazione e discussione sul Web.
Lunga vita a ContrAgorà!
Ciao,
RispondiEliminanon appena ho intravisto la notizia, su repubblica.it, ho immaginato che, avresti scritto sul tuo blog, ed eccoti puntuale.
Non ho voluto leggere la notizia, ma ho avuto il triste piacere di leggere il tuo post.
Sinceramente non avevo capito che un ragazzo era morto (non guardo la tv dal '93, non leggo i giornali da quando è morto Montanelli, sfoglio raramente repubblica.it mi informo solo tramite la rete, principalmente ng, forum, blog e simili...)...
Io ho tre figli io e mia moglie li abbiamo voluti (se non ci fossero stati tre angosciosi aborti probabilmente ne avremmo almeno 4) perché amiamo la vita ed i bambini.
Se c'è una cosa che assolutamente non riesco a comprendere e che mi devasta come un tumore, è la morte di un giovane, di un bambino, di un ragazzo di un neonato di un 'feto'...(che orrenda parola)...
Per me non ci sono giustificazioni di nessun genere, quando una giovane vita è spezzata per ragioni 'adulte' lontane da lui, è chiarissimo che noi adulti siamo tutti, in egual misura, responsabili. Ogni volta che abbiamo accettato un sopruso, una ingiustizia ancor piccola, abbiamo 'aggirato' le norme, ovvero abbiamo permesso che certa 'gentaglia' continui a comportarsi come tale, abbiamo gettato le basi per un' altra ingiustizia, che è pian piano divenuta un sopruso, una violenza, un omicidio...di un piccolo...
Anch'io vivo in un piccolo paesello sulle colline, quasi montagna (l'altezza media è 500 m ma il punto più alto del comune è circa 1000 metri). Abbiamo delle scuole piccole ed 'anziane'.
L'unica scuola nuova è stata chiusa due anni fa per mancanza di bambini. Il Geometra del Comune (che geometra, come me, non è più, essendo invece Ingegnere...) ancora si preoccupa personalmente dello stato degli edifici scolastici, le ditte sono tutte artigiane 'locali', i loro figli frequentano le scuole...forse 'speculeranno' un po' sui prezzi, ma si guardano bene dal far cadere la scuola sulla testa dei figli, sono edifici vecchi, un po' stazzonati, ma solidi...anche da noi 'tremano' i pavimenti ma è la giusta elasticità del 'giunco' (cit.), e delle giovani gambe che li percuotono...
C'era il piazzale della scuola pieno di buche ed in parte 'sterrato'...con la pioggia poteva diventare pericoloso per le decine di bambini delle 'elementari' che vi passavano la 'ricreazione'.
Noi genitori avevamo, singolarmente, chiesto un intervento di risanamento...
5 anni fa 'erano le elezioni comunali, io ero in una lista civica che tentava di 'scalzare' quella del sindaco.
Allora mi sono detto (anche in veste di presidente del consiglio di istituto): "è il momento propizio"...Ho aspettato le 'udienze' e mi sono fatto il giro dei genitori con una bella 'petizione' che tutti, tutti quanti, hanno sottoscritto...
La mattina dopo sono andato nell'ufficio del sindaco...
Adesso il piazzale è pavimentato, il prato è stato ripiantato, le buche sono state riempite, ha fatto tutto una ditta 'Artigiana' specializzata che ha realizzato proprio un bel lavoro, che si vede è destinato a durare...
Io ho perso le elezioni ed il sindaco è ancora in carica, però i ragazzi hanno avuto un beneficio e siamo stati tutti contenti (nell'occasione ho fatto anche 'risistemare' la sala mensa con una petizioncella 'accessoria' alla prima)...
Ti saluto
RA
Ciao Carlo, ti leggo sempre e ammiro sia la forma che la sostanza di ciò che scrivi. Ottimo articolo come al solito. Mi ha particolarmente scioccato, di tutta questa vicenda, la terribile indifferenza non solo della classe dirigente di questo Paese, ma del Paese intero. E' successa una cosa terribile, incredibile, sconcertante. Ma è come se non fosse successo niente. Un morto ammazzato che si perde in un mare di chiacchiere, nelle televisioni la notizia data come se fosse l'ultimo stiramento di Bobo Vieri o peggio ancora la zampa rotta di uno di quei graziosi animali più o meno selvaggi che sempre più insistentemente occupano i telegiornali. Oggi, è come se tutto questo non fosse mai successo. Questo mi lascia incredibilmente scioccato, triste e, a 25 anni, comincio ad avvertire in tutto il suo peso la penosissima eredità che i nostri genitori hanno lasciato alla mia generazione, e il durissimo lavoro che ci toccherà fare per venirne fuori. Oggi posso affermare che il futuro non è un posto migliore. Oggi, vedo nero e sono triste. Ciao, Francesco.
RispondiEliminaCaro Carlo,
RispondiEliminad'accordo con te dalla prima all'ultima riga, ma per davvero, non così per dire. Io ho notato una cosa: qualsiasi vecchia costruzione, diciamo fino al dopoguerra, sta sempre bene nel suo contesto fosse la città o la campagna. Adesso solo obbrobri. Il problema ha origine, secondo me, nel Movimento Moderno, il quale crea il concetto di unità abitativa ovverosia il minimo spazio architettonico composto da uno o più ambienti sistematicamente legati e nel loro insieme indipendenti e tali da consentire la funzione dell'abitare. Perciò l'unità abitativa corrisponde per il Movimento Moderno alla singola abitazione, che può corrispondere anche al concetto più antropologico di casa. Ma la casa non può essere una unità abitativa, la casa è anima, dolore, felicità. E'un unicum indissolubile con la vita dell'uomo.
Un caro saluto.
Nihil
Eh, Roberto, ricordo un vecchio aforisma Zen. Un padre di famiglia si recò da un noto sciamano per farsi fare un amuleto per la sua famiglia.
RispondiEliminaLo sciamano, dopo qualche giorno, gli consegnò un papiro dove c'era scritto "Che tuo padre muoia prima di te, e tu prima di tuo figlio".
L'uomo rimase di sasso "Ma...ti sembra un amuleto?".
"Perché, preferiresti il contrario?"
E'interessante l'uso che definirei "leninista" che hai fatto della tua campagna elettorale: quando non si possono raggiungere le vette, ci si può accontentare (per il momento) di una buona sorgente.
E' un po' lo spirito di ContrAgorà: siamo pochi, c'è lo strapotere dei media, eppure le cose vogliamo raccontarle lo stesso a modo nostro.
Vedi, Francesco, ho provato a raccontare cosa succede a noi poveri sergenti, che queste cose le viviamo in prima linea, con i ragazzi.
Seppellimmo Cinzia la mattina di Natale: da quel giorno, per me non c'è più stato Natale senza una lacrima.
Cosa vuoi che sappiamo, che capiscano questi tromboni stonati, che vivono solo negli Stati Maggiori?
Siamo carne da cannone: sta a noi lottare per liberarci.
Il tuo commento, Nihil, apre a riflessioni più vaste. La casa è anche l'icona della famiglia, e con l'urbanizzazione quasi coatta la casa diventa un alveare, un cubicolo senz'anima, come dici bene. Il problema è quindi a monte: per avere abitazioni con "anima", dobbiamo contrastare la tendenza all'inurbamento, oggi non più necessaria. Forse ricostruendo la struttura politico/amministrativa del nostro Paese? Eh...
Ciao a tutti
Carlo Bertani
Sante parole, Carlo, tanto più che vengono da un insegnante di lungo corso...
RispondiEliminaMi fanno venire in mente che ci sono delle carenze che sono dei sintomi di imbarbarimento bello e buono: va bene la crisi economica, va bene la geopolitica, e tante altre cose interessanti, ma qui si sta via via perdendo l'abc su una corretta gestione delle infrastrutture essenziali. E se questa perdita non verrà in qualche modo fermata la decadenza è assicurata.
Luca
Bravo, bella riflessione. Posso segnalarla?? Sono un dirigente scolastico, ora in Brasile, e nel mio libro LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA dedico un capitolo alla certificazione CBS (Certificazione di Buon Senso).... Il tuo intervento si qualifica in questo senso.
RispondiEliminaGrazie ancora.
Gianfranco dott Zavalloni
Ufficio scuola e cultura
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Come si fa a non essere d' accordo con chi vive la scuola giorno dopo giorno come te? Forse l' unica cosa che ha bisogno questo paese è di riprogrammare le competenze.Il ministro della pubblica istruzione non dovrebbe esser dato ad un avvocato ma a chi lo vive da dentro e cosi per gli altri settori cruciali dello stato.Comunque a proposito del tutti contro tutti ,scusandomi se devio un pò da questo triste e importante riflessione posso domandarti cosa ne pensi delle riflessioni di Barnard su Saviano non credi che anche ciò possa portare al tutto contro tutti mettendo in discussione anche quei pochi che hanno cercato di esporsi? Un saluto a tutti.
RispondiEliminaSante parole anche le tue, Luca. Dott. Zavaloni, la ringrazio per il suo apprezzamento e potrà usare ovviamente il materiale come più le aggrada. Non mi piace, Marco, toccare l'argomento "Barnard" perché credo sia un bravo giornalista, solo che in questo momento sento rabbia in lui (per carità, giustificata per come lo hanno trattato) e l'ira non è mai buona consigliera.
RispondiEliminaGrazie a tutti
Carlo Bertani