09 aprile 2008

La piemontese della coscia

A dir il vero, ero partito per scrivere tutt’altro: ero, come si suol dire, in altre faccende affaccendato. Colpa del Web e del suo irrompere immantinente, senza chiedere permesso.
Basta indugiare un secondo, e concedersi il lusso di una svolazzata sulle agenzie, che ti compare l’ultima follia di questa assurda campagna elettorale, la meno amata – da sempre – dagli italiani.
Di spalla al pezzo forte, ossia alle alchimie politiche di Silvio Berlusconi – che immagina “una Camera alla sinistra qualora Napolitano dovesse dimettersi” – c’è il vero piatto di giornata, ovvero il prorompente ingresso nell’agone politico di una giovane (si fa per dire…) puledra piemontese, tale Daniela Santanché.

E passi che il Cavaliere s’ingozzi di boutade e di cattivo gusto: Napolitano sarà pure un anziano intellettuale partenopeo – forse intento a rileggere Benedetto Croce, forse a sfogliare gli almanacchi di San Gennaro – ma parlare di “dimissioni” di un Presidente della Repubblica, di quella veneranda età, è proprio cattivo gusto. Si fa prima a chiedere il numero di telefono dell’impresa di pompe funebri.
Di spalla alle serie (!) riflessioni politiche del Cavaliere, ecco irrompere la prorompente piemontese della coscia: qui, il lettore avrà bisogno di qualche chiarimento.

La bella manzetta è cuneese di nascita, e quindi abitiamo le stesse terre anche se il sottoscritto – ci tiene a precisarlo – non ha avuto i natali da queste parti.
Anche volendo cercare evanescenti comunanze, bisogna spiegare al lettore di Cosenza o di Gorizia che la provincia di Cuneo è “granda”, e tutto contiene. Da una lato, verso oriente, c’è l’introversa Langa di Pavese e di Fenoglio, con i suoi silenzi che s’interrompono soltanto per le schioppettate di “Un giorno di fuoco”, oppure per le diafane luci della luna e dei falò. E’ una terra dimenticata, separata da aspri colli sia dalla placida pianura piemontese, sia da quel mare di Conte “che non sta fermo mai”. Una Shangri-là con i suoi segreti, con i suoi Kafiri sempre pronti a violarla.
Dall’altra, verso occidente, c’è una vasta pianura che s’incunea, nella sua parte terminale verso la montagna: là sorge una città chiamata – onomatopeico – Cuneo, la quale ha dato i natali alla sopraccitata manza. E non basta: non so se proprio in città o nel circondario, anche a Pinocchio/Ferrero – che si è dilettato per un paio d’anni nel paese dei balocchi chiamato “Solidarietà Sociale” – ed a Mazarino/Damiano, che partì per demolire i lager per lavoratori creati dalla destra e finì per renderli ancora più tetri. A margine, c’è sempre una ministra della Salute della quale sappiamo poco – una biondina cotonata “anni 60”, tale Livia Turco – ed un ex ministro della Salute, tale Costa, che oggi è il Presidente della Provincia, dopo che s’era battuto per anni per l’abolizione delle Province. Come si cambia.

Non vorremmo tediare il lettore oltremodo, ma è necessario precisare che nella “granda” provincia s’alleva una razza di vacche chiamata “piemontese della coscia”, per la precipua specificità di possedere bicipiti copiosi, tali da concupire qualsiasi Pannella digiunatore.
Si fa un gran parlare della “Fiera del Bue Grasso” di Carrù, come dell’apoteosi dei sensi per chi straccia le analisi del colesterolo, convinto d’annacquarle con copioso Barbera d’annata.
Ora che abbiamo tracciato il quadro d’insieme – pur tralasciando particolari piccanti e gustosi, da provincia francese dell’Ottocento – possiamo affrontare il diniego politico della robusta manza nei confronti del Cavalier che tutto puote. In poche parole, la pulzella ha lanciato nell’agone politico il rifiuto per future alleanze, comunicando all’agenzia AGI il 9 Aprile 2008: "Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do...".

Ora, a tutto eravamo preparati, ma che si mischiassero elementi di diritto costituzionale, d’opportunità politica, di grandi strategie per il futuro dell’italico stivale con le negate grazie di una manzetta piemontese “della coscia”, ci sembra un po’ eccessivo: in fin dei conti, forse anche Monica Lewinsky ha avuto una parte nella storia, ma mica ne menava gran vanto. Chissà se, anche grazie ai bollori spenti dalla giovane stagista, il “buon” presidente democratico – così amato dai veltroniani – finì per non invadere la Serbia?

Di conseguenza, invitiamo la giovane manza a passar oltre ai suoi rigidi principi: Parigi val bene una messa!
Non si leverà mai da noi, che la seguiamo con apprensione, nessun grido di disapprovazione: mai qualcuno ardirà ad accostarla a qualsiasi Violetta della storia o dell’arte, né ad una stralunata epigone di Madame Bovary, tanto meno ad un’enigmatica Mata Hari. Se il sacrificio è necessario per la stabilità della nazione, la signora ricordi che ministerium significa servizio: donna Veronica è signora di gran gusto, e saprà certamente comprendere certi sacrifici fatti nel nome del supremo interesse nazionale, come seppe fare – con gran signorilità – la famiglia Petacci.

Perduto per qualche attimo dalla novità prorompente, accompagnata dalle immagini osé della parlamentare della Destra, m’ero quasi scordato di quel che andavo facendo. Stavo meditando su un breve articolo di Carlo Gambescia dal titolo “Un minimo di chiarezza sulla tesi del superamento della dicotomia destra-sinistra”, pubblicato sul blog dell’autore e ripreso da altri siti e blog. Lo stavo rileggendo e meditando anche alla luce di un libro che ho appena letto, e che mi ha profondamente colpito.
Di là delle negazioni al “dialogo” della Destra, e delle profferte confusionarie della variegata sinistra, c’è qualcuno – in questi mesi occupati da un clamore afono di melensa campagna elettorale – che fa sul serio. Come, del resto, al sempre crescente disinteresse per penosi Festival di Sanremo, rimane l’ancora di salvezza del Premio Tenco per la vera canzone d’autore.

E di vero libro d’autore si deve parlare per affrontare il testo, fresco di stampa, “Alla ricerca della speranza perduta”, di Costanzo Preve e Luigi Tedeschi (Edizioni Settimo Sigillo – euro 25), che – in qualche modo – ci può indicare un sentiero sul superamento della dicotomia destra-sinistra, il dilemma che indicava Gambescia.
Sgomberiamo subito il campo da interpretazioni frettolose e di bassa lega – quali “opposti estremismi che si giungono”, oppure più sofisticate tesi sulla condivisione di un fumoso “piano istituzionale” – perché qui di tutt’altro si parla: siamo al Tenco, non a Sanremo.
Affermare che i due autori riescano ad indicare una risposta alla domanda (implicita) di Gambescia sarebbe fuori luogo, poiché è così tanta l’acqua portata al mulino, in quelle 290 pagine, che non si può contenerla in un catino. Farebbe comodo – lo so – sarebbe comodo, ma ciò che è comodo non presenta crudamente le asperità che c’attendono.
Spezzando una lancia d’ottimismo, potremmo affermare che nella lunga “cavalcata” fra l’analisi critica del Novecento, l’ellenismo che trasuda ad ogni pagina e il pragmatismo di chi avverte la pericolosità degli anni a venire, si può tracciare al minimo un quadro dinamico, ma estremamente preciso, della situazione attuale. Cosa che pochi analisti – oggi – riescono a fare.
Anzitutto si sgombrano macerie: macerie di guerra fredda, di luoghi comuni – soprattutto – di falsi perbenismi e di ammiccanti concessioni al riguardo della globalizzazione.
Senza peli sulla lingua, appare chiaro sin dalle prime pagine che l’attuale fase di globalizzazione viene osservata sia da Destra (Tedeschi) sia da Sinistra (Preve), come il “rullo compressore” dell’economicismo sfrenato, che altro scopo non ha che quello d’omogeneizzare paesi e mercati, con l’unico obiettivo di renderli ricettivi ai desiderata della finanza liberista. E, già questo, è un primo passo.

Tornando a Gambescia – che pone il problema del superamento in termini “descrittivi” e “normativi”, assegnando al primo termine un sentore empirico (di “evidenze sensibili”, potremmo affermare) ed al secondo l’arduo compito di “normare” la transizione verso una piattaforma di sentimenti e progetti condivisi – potremmo almeno affermare che si traccia un sentiero.

Va detto a chiare lettere che entrambi gli autori non avvertono il minimo desiderio di rinunciare al loro passato (cosa, di per sé, insulsa in essere), ma intendono partire dal loro bagaglio culturale confrontandolo punto per punto.
Ecco, allora, dipanarsi nel testo il confronto su guerra e falsi pacifismi, geopolitica “liberata” dai fantasmi del Novecento e, allo stesso tempo, estrapolata proprio dalle vicende storiche del secolo appena concluso: un lungo viaggio senza pelli di salame agli occhi, per essere brevi e concisi.
Un viaggio non facile – avvertiamo il lettore – poiché s’intersecano i richiami ai greci ed a Gentile, a Del Noce (non Fabrizio) ed a De Benoist. Rilievi critici e convergenze dapprima inaspettate, poi da cogliere con sorpresa, quasi con stupore.

La chiave di volta del libro è il richiamo al comunitarismo, non come risposta avversa e contraria ai sinceri valori internazionalisti e libertari, ma come rinnovato rispetto per le altrui differenze, viste come elemento di comune arricchimento, al di fuori dei facili perbenismi da sacrestia.
Sarebbe troppo sostenere che Preve e Tedeschi siano riusciti a dipanare completamente la matassa ed a renderci – in chiave facilmente fruibile – risposte ai dilemmi esposti da Gambescia: sarebbero caduti, in definitiva, in una sorta di trabocchetto “globalizzante”. In piena contraddizione con le tesi esposte.
Non è quindi un testo per palati raffinati, ma per palati “forti”, ossia disposti ad affrontare e meditare sui mille spunti che si dipanano fra le righe, i quali conducono a nuove riflessioni. Che, però, arricchiscono: proprio da queste pagine, a mio parere, potrebbe partire un dibattito dai toni nuovi, per rifondare – un giorno certamente non vicino – le basi sociali del nostro povero Paese. Che, oggi, s’interroga in prima pagina sulle (im)possibili alleanze fra manze e cavalieri, con annesso ius primae noctis.

Tutto ciò è da serbare e da rimuginare da martedì prossimo in poi, quando qualcuno avrà la sua vittoria di Pirro, ci ammansirà con nuovi proclami di rinnovata fiducia e dipingerà fulgidi futuri. “Chi mi riparlerà di domani luminosi…” recitava Fabrizio de André nel 1968: sono trascorsi 40 anni, e fra qualche giorno torneranno al solito copione.

Qualche parola in più è necessaria per quei piccoli movimenti che hanno deciso di presentarsi alle elezioni, e che da martedì prossimo torneranno nell’ombra. Perché?
Poiché, senza una necessaria fase di riflessione sui valori e sulle istanze della destra e della sinistra (quelle vere, non i teatrini per allocchi con annesse “manzette”), si finirà per continuare a gettare via il bambino con l’acqua del bagnetto.
Fascismo e Comunismo hanno fallito? Bene, non ci resta altro che uno sfolgorante capitalismo iperproteico, globalizzato, intercambiabile: dai capelli brizzolati di Bush agli occhi a mandorla di Hu – Jin – Tao. Questo, vorrebbero farci credere, è ciò che s’intende per “politica internazionale”.
In alternativa, dissertate sulle “alleanze” dettate dalle manze dalla coscia lunga, che “la danno” o “non la danno”: italiani, vi lasciamo scegliere! Più “democratici” di così…

7 commenti:

  1. Salve a tutti,
    un po' di tempo fa proposi di nominare il general Bertani alla guida dell'Italia.
    Noto, con disappunto, che questa opzione non sarà disponibile alle prossime elezioni (salvo ristampe assai frettolose delle schede elettorali, suppongo).
    In compenso è comparsa la Santanchè, che credo abbia provvidenzialmente colmato un vuoto elettrorale per qualche fedele del centrodestra, e che rappresenterebbe invece un vuoto da colmare nel caso di Berlusconi... in tal senso ho buone speranze: le prodezze del cavaliere, si sa, sono leggendarie, almeno quelle verbali, come quando disse di aver sedotto la first lady irlandese per riportare un qualche successo diplomatico, salvo crearle inavvertitamente un leggero imbarazzo.
    Ma torniamo al gen. Bertani: scrivendo "bertani" sulla scheda e facendoci la mia brava "x" sopra, per quando il lavoro possa risultare ben fatto ed esteticamente apprezzabile, temo che abbia a tutt'oggi scarsa rilevanza politica.
    Che fare, allora?
    Allora, seguendo qualche voce lontanissima nel deserto della parcondicio italiana, ho scovato sul web un simbolo sul quale potrebbe essere interessante e saggio porre la mia brava "x", in attesa di Bertani.
    Al centro del simbolo sta scritto: "Per il Bene Comune".
    http://www.perilbenecomune.net/Chi_siamo.html
    Che ne pensate?
    E' ovvio che chi vota per un partito così non vota "per vincere", ma vota per dare voce e forza ad un progetto, ancora allo stato embrionale (a causa della scarsa visibilità mediatica), ma dalle prospettive interessanti se "nutrito" e portato avanti con un minimo supporto democratico (la "x", per l'appunto).
    Per chi fosse interessato a questo progetto politico, questa sera (venerdì) ci sarà un dibattito televisivo di 90 minuti su rai2 in prima serata con 13 dei 15 candidati premier (si dice che l'entità Veltrusconi probabilmente rinuncerà a partecipare all'evento in quanto troppo gonfia e voluminosa), così avrò io stesso l'occasione di ascoltare PER LA PRIMA VOLTA il candidato che mi accingo a votare... purtroppo al momento non ho una connessione a banda larga, e non stò incollato al televisore 24 ore su 24 nella speranza di sentire qualcosa di sensato.
    Fatemi sapere pareri e opinioni se riuscite a fare una scappata sul sito.
    Bye bye
    Simone

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  2. Bellissimo il "vuoto da colmare" per Berlusconi - Simone - la mia vescica quasi quasi cedeva...
    Anch'io avevo pensato al "Bene comune", mi avevano anche scritto per chiedere appoggio. Sono gente seria e motivata.
    Il problema è che, prima di presentarsi alle elezioni, bisogna creare un movimento (anche sul Web) che lo sorregga, altrimenti si raccoglie lo 0,1% e si torna a casa delusi, a motteggiare.
    Stiamo lavorando ad Italianova.org, il sito è quasi pronto e se ci sono persone disposte a lavorarci (siamo, per ora, in 6-7) la porta è aperta.
    Non un nuovo sito, ma uno spazio di discussione dal quale elaborare una piattaforma politica sensata, che sia condivisa da tanti.
    Poi, con la "reazione a catena" del Web, diventare qualcosa di proponibile, non un partito creato dall'oggi al domani prima delle elezioni.
    I contenuti, sia chiaro, sono quasi gli stessi di molti partitini che si presenteranno domenica (e che martedì prossimo torneranno nell'ombra): cambia il metodo.
    Grazie
    Carlo Bertani

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  3. Anonimo1:30 PM

    Ciao Carlo,
    Grazie per la costante attenzione che mi riservi. Che,come tu sai, ricambio sempre con piacere.
    Ho visto alcuni commenti a questo tuo post sul sito amico di Donchisciotte. E, dispiace dirlo, deludenti. E come se invece di leggere e cercare capire quel che tu scrive (ma capita anche con i miei post), i nostri interlucotori "annusassero" il post. E poi giù con lo sciabolone del beduino... Peccato!
    Un abbraccio,
    Carlo

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  4. Che vuoi farci - Carlo - prima un po' mi dispiaceva...ora ci ho fatto il callo. Probabilmente, vanno giù con lo sciabolone del beduino perché vogliono scrivere un commento e non lo sanno fare.
    Prima della risposta, in genere, è necessario comprendere la domanda.
    Pazientiamo.
    Ciao e grazie
    Carlo Bertani

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  5. In effetti, votare "Per il Bene Comune" è senz'altro una strada in salita.
    Vorrei però fare alcune riflessioni, senza avere ancora in mente una conclusione sensata, e vediamo cosa ci salta fuori...
    1) mi inquieta un po' (un po' molto, a dire il vero) la tendenza dell'elettore che, pur condividendo al 99,9% il programma di un partito, finisce per votarne un altro che gli piace meno, sacrificando, come al solito, l'idealismo sull'altare del realismo. Questo avviene indubbiamente per una serie di motivi relativamente sensati, però una democrazia che incentiva questo meccanismo, a mio modo di vedere, puzza di cadavere, e non poco. L'elettore, accettando che il suo voto venga sviato, si rende in parte complice di questo giochetto perverso in nome di una sorta di "realismo" basato su una realtà che è stata plasmata così com'è spesso e volentieri dai suoi stessi aguzzini/manipolatori
    2) sarebbe tanto più semplice nominare un gen. Bertani alla guida del paese, non sulla base di una forza militare, ma sulla base della forza generata dalla fiducia dei suoi sostenitori in quanto persona capace e onesta. La nostra cultura sedicente "democratica" però rende questa idea assai difficile da attuarsi e assai sgradevole al cittadino medio
    3) una buona fetta dell'elettorato è affascinata dalla forza, dal denaro, dal potere... se sono questi i suoi miti, volterà le spalle ad una proposta ragionevole e sensata per inseguire il suo sogno e le sue speranze, anche se non sono altro che illusioni preparate ad arte per questo "tipo" di elettore plasmato dalla cultura di massa. Il successo di Berlusconi, per sua stessa ammissione, è frutto di una buona campagna di marketing. Si vende agli italiani l'Italiano Vincente, e molti comprano
    4) è più facile governare un branco di pecore con un cane che un branco di cani con una pecora, anche se la pecora sarebbe una buona guida, mentre il cane tende a sbranarsi una qualche pecora qua e là. "Più facile" però non è un sinonimo di "preferibile". Il buon leader è colui che incarna la risolutezza del cane e la natura mite della pecora
    5) la realtà creata dall'uomo non è altro che la realizzazione di un'idea, che spesso si concretizza tramite lo sforzo, l'impegno e la fiducia delle persone

    La conclusione... ehm... dunque... mah...
    Penso che sia necessaria una sintesi tra realismo e idealismo, e la mia sintesi è la seguente:

    -utopia: siamo in una vera democrazia, ho la possibilità di votare per qualunque candidato rispecchi il mio pensiero politico e sociale e il mio voto darà forza alle mie idee

    -realtà imposta: più il mio voto si allontana dalle 2 grosse coalizioni, più sarà inutile a raggiungere un qualsivoglia obiettivo politico

    Se accetto la realtà imposta, voterò Veltroni (o al massimo Di Pietro), che mi piace poco ma un po' di più di Berlusconi. Così però darò forza a questa realtà imposta seguendo logiche perverse di partito.
    Se invece voto "Per il Bene Comune", il mio voto sarà anche "disperso", da un certo punto di vista, ma sarà un microscopico contributo contro questo assurdo stato di cose. E' un modo concreto per affermare: la mia idea di società conta di più, per me, della realtà distorta che tu, sistema politico malato, stai cercando di farmi digerire.
    Nel caso di "Per il Bene Comune", non è che da martedì tornerà nell'ombra, perchè dall'ombra non si è mai mosso (escludendo i simpatici motteggi della parcondicio di Vespa, suppongo).
    Se 10 milioni di italiani si recheranno alle urne, il mio voto, come quello di chiunque, conterà comunque la bellezza di uno 0,00001%.
    Visto il mio peso piuma, penso che almeno eviterò la beffa di buttarlo in uno dei 2 mucchi predestinati.
    Bye bye
    Simone

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  6. Concordo con te, Simone, e la mia scelta di non recarmi al voto è pressappoco pari alla tua.
    E' da martedì in poi che si ricomincia, quando tutti gli "0,000001%" come noi saranno delusi.
    Qui, dovremo iniziare: spero che la tua "penna al vetriolo" sia con noi su Italianova. Sono le sole katane che ci restano: al minimo, avremo onorato noi stessi.
    Grazie
    Carlo Bertani

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  7. Grazie per l'invito e in bocca al lupo per Italianova, che suona come un VERO progetto democratico. Anche se sarà difficile da coordinare in maniera costruttiva, è di certo un'iniziativa interessante e potenzialmente utile.
    Volevo aggiungere che, ascoltando i vari candidati premier, ho notato che in molti portano avanti idee e proposte valide, dall'estrema destra, passando per il centro fino all'estrema sinistra.
    Un grosso problema è la scarsa coordinazione interna ed esterna dei tanti partitini e partitoni, e nel caos vincono il libero mercato, la legge del più forte e l'interesse personale.
    Se Italianova sarà in grado di accogliere, "deframmentare" e migliorare le tante proposte, tendenze e aspirazioni, potrà rendere un ottimo servizio alla politica e quindi al paese.
    Nel frattempo uno scarabocchio su un pezzo di carta non mi sento proprio di negarlo ai poveri Montanari & co. Considerato il loro programma (che mi sembra ottimo) e l'impegno e il coraggio nell'accettare una sfida elettorale con mezzi e risorse così impari... se da un punto di vista prettamente strategico li considero dei pazzi ingenui, da punto di vista umano almeno un tentativo l'hanno fatto, e per una giusta causa. Visto che qualcosina ina ina posso farla per loro, penso che la farò, come gesto di solidarietà e amicizia, senza aspettarmi niente in cambio, se non la soddisfazione di aver votato il partito che più mi rappresenta.
    Capisco anche il tuo punto di vista, Carlo (B.), tanto più che il progetto di Italianova sarà più facile da gestire partendo da una situazione di neutralità nei confronti di questo o quel partito.
    Buona domenica a tutti.
    Bye bye
    Simone
    P.S.: qualcuno mi può spiegare perchè si vota con una matita e non con una penna? Parlandone con mia madre, mi ha suggerito che se mi sbaglio così è possibile correggere... la qual cosa potrebbe avere implicazioni più o meno inquietanti, a seconda di chi esegue la correzione. Mah?!

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