Le recenti elezioni in Bielorussia ed in Ucraina sembrano avvenimenti di scarsa importanza, ed invece mostrano l’asprezza dello scontro fra l’est e l’ovest del mondo. L’est – in questo caso – non è l’Islam ma la Russia, che occupa gran parte del cosiddetto “Oriente” del mondo.
L’affermazione di Lukashenko era scontata – ed elezioni vinte con il 93% dei suffragi non mostrano certo una “cristallina” democrazia – ma un’opposizione che non va oltre qualche sporadica protesta dimostra che il sostegno al regime è saldo.
In Ucraina ha vinto la fazione filo-russa, ma di stretta misura. Dopo appena un anno, gli “arancioni” sono già in crisi perché lo “strappo” con Mosca ha evidenziato la debolezza dell’economia ucraina, troppo dipendente dalle forniture russe di metano.
Mentre avanza il nuovo gasdotto che porterà in Europa il gas russo passando nel Baltico – e tagliando fuori, di fatto, Bielorussia, Lituania, Ucraina e Polonia – le classi dirigenti di quei paesi sono chiamate ancora una volta a scegliere fra gli (improbabili) aiuti economici di un’Europa praticamente “ferma” sotto l’aspetto economico, le evanescenti promesse americane – che devono anzitutto fare i conti con la crescita spropositata del debito interno ed estero – e Mosca.
Mentre fluttuano monete ed azioni, pare che la nuova moneta del pianeta sia l’energia: non più l’oro per definire i rapporti di forza, non più il dollaro bensì petrolio, gas e carbone.
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” cantava Fabrizio de André: i patrimoni finanziari ed azionari possono essere oggi le pietre angolari del potere, domani carta straccia. L’energia servirà oggi per riempire il serbatoio dell’auto, domani per portare in vacanza i nostri figli e dopodomani per far funzionare i computer dei nostri nipoti. E questo i russi lo sanno.
Carlo Bertani blog: un piccolo spazio aperto sul mondo, qui e sul sul mio sito, www.carlobertani.it..e adesso http://italianzihuatanejo.blogspot.com/
30 marzo 2006
15 marzo 2006
Il tribunale dei vinti
Non si comminano più sentenze capitali, non è bello, non è politically correct. E’ disgustoso osservare il miglio verde della vita di un condannato: no, meglio una fredda notizia che comunica la morte di Slobodan Milosevic, definito il “satrapo”, il “sanguinario” e via discorrendo.
Nello stesso giorno, il presidente del tribunale che sta giudicando Saddam Hussein dichiara che – qualora – Saddam sia condannato e – ancora qualora – sia condannato a morte, allora fra la sentenza e l’esecuzione non trascorrerà più di un mese.
Stupefacente consecutio d’eventi improbabili, verrebbe da dire: un magistrato previdente ed ossequioso del suo mandato.
La signora Carla Del Ponte – che dirige il tribunale dell’Aia – si è mostrata assai rattristata della morte di Milosevic: senza di lui sarà difficile giungere a delle conclusioni certe, alla tanto osannata verità processuale.
La realtà è diversa: diritto internazionale alla mano, Milosevic aveva dimostrato che quel tribunale non poteva condannare un ex capo di stato catturato come un ladro di polli, che la guerra del 1999 era stata una guerra d’aggressione senza il minimo straccio di giustificazione giuridica sul piano internazionale.
Milosevic era gravemente malato di cuore: qualsiasi tribunale avrebbe dovuto sospendere le udienze per un ricovero ospedaliero – ma così non è stato – e domani ci racconteranno che l’autopsia non ha nulla da rivelare, e che ognuno ha compiuto il suo dovere. L’operazione è riuscita, il paziente è morto.
Ricordiamo che la signora Del Ponte fu colei che avrebbe dovuto ritrovare il famoso “tesoro di Craxi” e che invece non trovò proprio niente: nel frattempo, Craxi era morto. Verrebbe da toccarsi quando la si nomina.
In ogni modo, se si sentisse disoccupata, le ricordiamo che sono tuttora nell’attesa d’essere giudicati Pinochet e la banda di generali argentini che attuarono il “piano Condor”: trentamila oppositori politici uccisi in un decennio nel silenzio totale dei tribunali internazionali. Sempre in America Latina, almeno una mezza dozzina di ex-capataz (Bolivia, Peru, Colombia, Ecuador, ecc) campano tranquilli con accuse di genocidio, traffico d’armi e di droga, corruzione, sterminio di indio, ecc. Dei “battaglioni della morte” salvadoregni la signora sa qualcosa?
Troppo distante l’America? Perché non richiamare all’Aia i comandanti del famigerato battaglione Buffalo, che seminò morte e distruzione fra i neri nel Sudafrica dell’apartheid? Potremmo continuare, ma sarebbe noioso e doloroso acclarare la scoperta dell’acqua calda, ossia che la giustizia internazionale si muove in una sola direzione.
Inviamo – metaforicamente – alla signora l’icona delle tre scimmiette: non vedo, non sento e non parlo. Come dicono a Napoli: ma faciteme ‘o piacere…
Nello stesso giorno, il presidente del tribunale che sta giudicando Saddam Hussein dichiara che – qualora – Saddam sia condannato e – ancora qualora – sia condannato a morte, allora fra la sentenza e l’esecuzione non trascorrerà più di un mese.
Stupefacente consecutio d’eventi improbabili, verrebbe da dire: un magistrato previdente ed ossequioso del suo mandato.
La signora Carla Del Ponte – che dirige il tribunale dell’Aia – si è mostrata assai rattristata della morte di Milosevic: senza di lui sarà difficile giungere a delle conclusioni certe, alla tanto osannata verità processuale.
La realtà è diversa: diritto internazionale alla mano, Milosevic aveva dimostrato che quel tribunale non poteva condannare un ex capo di stato catturato come un ladro di polli, che la guerra del 1999 era stata una guerra d’aggressione senza il minimo straccio di giustificazione giuridica sul piano internazionale.
Milosevic era gravemente malato di cuore: qualsiasi tribunale avrebbe dovuto sospendere le udienze per un ricovero ospedaliero – ma così non è stato – e domani ci racconteranno che l’autopsia non ha nulla da rivelare, e che ognuno ha compiuto il suo dovere. L’operazione è riuscita, il paziente è morto.
Ricordiamo che la signora Del Ponte fu colei che avrebbe dovuto ritrovare il famoso “tesoro di Craxi” e che invece non trovò proprio niente: nel frattempo, Craxi era morto. Verrebbe da toccarsi quando la si nomina.
In ogni modo, se si sentisse disoccupata, le ricordiamo che sono tuttora nell’attesa d’essere giudicati Pinochet e la banda di generali argentini che attuarono il “piano Condor”: trentamila oppositori politici uccisi in un decennio nel silenzio totale dei tribunali internazionali. Sempre in America Latina, almeno una mezza dozzina di ex-capataz (Bolivia, Peru, Colombia, Ecuador, ecc) campano tranquilli con accuse di genocidio, traffico d’armi e di droga, corruzione, sterminio di indio, ecc. Dei “battaglioni della morte” salvadoregni la signora sa qualcosa?
Troppo distante l’America? Perché non richiamare all’Aia i comandanti del famigerato battaglione Buffalo, che seminò morte e distruzione fra i neri nel Sudafrica dell’apartheid? Potremmo continuare, ma sarebbe noioso e doloroso acclarare la scoperta dell’acqua calda, ossia che la giustizia internazionale si muove in una sola direzione.
Inviamo – metaforicamente – alla signora l’icona delle tre scimmiette: non vedo, non sento e non parlo. Come dicono a Napoli: ma faciteme ‘o piacere…
08 marzo 2006
Non è più troppo presto
Perché il problema energetico non può più attendere soluzioni?
Le ragioni sono molte, per l’Italia la dipendenza energetica dal petrolio ci sta strangolando, il gas sarà sempre più caro, il carbone richiede lunghi tempi di ristrutturazione delle centrali mentre se decidessimo di tornare al nucleare sarebbero necessari decenni.
Dobbiamo quindi investire in ricerca per trovare metodi di captazione delle energie naturali a basso costo, per sostituire quel 90% d’energia creata con i fossili che finisce per strangolare anche l’economia.
Non possiamo, però, restringere il problema al solo aspetto dell’approvvigionamento nazionale: è la salute del pianeta ad essere a rischio.
Gli oceanografi inglesi dell’Università di Southampton hanno riscontrato che negli ultimi sette anni il flusso della Corrente del Golfo è diminuito del 30%, a causa dello scioglimento dei ghiacci polari che formano una specie di "barriera" d’acqua dolce e fredda, la quale impedisce alla corrente d’avanzare.
Inoltre, grazie ad alcune immersioni effettuate con i sommergibili della Royal Navy, hanno riscontrato che dei 12 "camini" che rappresentavano i luoghi dove la Corrente del Golfo s’inabissava per compiere il percorso inverso verso il Golfo del Messico, ne esistono solo più due.
In sostanza, il grande "termosifone" – che permette al Nord Europa d’avere temperature di 10 gradi circa superiori rispetto a quelle che avrebbero per la loro latitudine – sta svanendo nel totale silenzio dei media.
Stiamo modificando equilibri così grandi che non sapremmo, dopo, come porvi rimedio, giacché nessuno è in grado di modificare un sistema chimico, fisico e biologico che ha le dimensioni della Biosfera.
Cercare d’ottenere dalle classi politiche un intervento per modificare l’approvvigionamento energetico è quindi un compito che tutti dovremmo avvertire come "nostro", in quanto appartenenti alla stessa specie.
Nascondere la testa sotto la sabbia significa soltanto non vedere l’istante nel quale partirà la fucilata del cacciatore.
Le ragioni sono molte, per l’Italia la dipendenza energetica dal petrolio ci sta strangolando, il gas sarà sempre più caro, il carbone richiede lunghi tempi di ristrutturazione delle centrali mentre se decidessimo di tornare al nucleare sarebbero necessari decenni.
Dobbiamo quindi investire in ricerca per trovare metodi di captazione delle energie naturali a basso costo, per sostituire quel 90% d’energia creata con i fossili che finisce per strangolare anche l’economia.
Non possiamo, però, restringere il problema al solo aspetto dell’approvvigionamento nazionale: è la salute del pianeta ad essere a rischio.
Gli oceanografi inglesi dell’Università di Southampton hanno riscontrato che negli ultimi sette anni il flusso della Corrente del Golfo è diminuito del 30%, a causa dello scioglimento dei ghiacci polari che formano una specie di "barriera" d’acqua dolce e fredda, la quale impedisce alla corrente d’avanzare.
Inoltre, grazie ad alcune immersioni effettuate con i sommergibili della Royal Navy, hanno riscontrato che dei 12 "camini" che rappresentavano i luoghi dove la Corrente del Golfo s’inabissava per compiere il percorso inverso verso il Golfo del Messico, ne esistono solo più due.
In sostanza, il grande "termosifone" – che permette al Nord Europa d’avere temperature di 10 gradi circa superiori rispetto a quelle che avrebbero per la loro latitudine – sta svanendo nel totale silenzio dei media.
Stiamo modificando equilibri così grandi che non sapremmo, dopo, come porvi rimedio, giacché nessuno è in grado di modificare un sistema chimico, fisico e biologico che ha le dimensioni della Biosfera.
Cercare d’ottenere dalle classi politiche un intervento per modificare l’approvvigionamento energetico è quindi un compito che tutti dovremmo avvertire come "nostro", in quanto appartenenti alla stessa specie.
Nascondere la testa sotto la sabbia significa soltanto non vedere l’istante nel quale partirà la fucilata del cacciatore.
06 marzo 2006
Il mondo è bello perché strano
Ci sono persone che credono negli UFO, altri nello spiritismo, altri ancora ritengono Silvio Berlusconi un grande statista: il bello della vita è proprio questo, ovvero la speranza che ci sia sempre qualcuno che riesca a divertirci con le sue trovate.
Potrete leggere ciò che scrive il signor "sereupi80" un commento relativo ad un mio post sulla TAV, che troverete più sotto: è stupefacente come i nostri simili riescano a meravigliarci.
Anzitutto s’inizia mescolando la TAV, gli islamici, Cuba, le bestemmie ed altro ancora: io ci avrei aggiunto anche la salsa Tartara e la letteratura norvegese, cosicché il melange era completo.
Secondo quel tizio sarei un “islamofilo” (e che cosa vuol dire?) che difende a spada tratta i barbuti ayatollah e se la prende con un povero Calderoli, colpevole solo d’aver confuso il ruolo di un ministro con quello di un pecoraio che ha lasciato le pecore a Bergamo: sinceramente, non sono nemmeno riuscito a capire cosa vuole quel signore, figuriamoci se è possibile rispondergli.
Su una cosa, però, è stato chiaro: lancia in resta, si è messo ad irridere coloro i quali ritengono che Milano potrebbe diventare un porto fluviale.
Il problema, talvolta, è spiegare non ciò che potrebbe essere, bensì ciò che in realtà era.
Milano divenne un porto fluviale intorno al 1.200, quando fu completato il collegamento fra il Lago Maggiore, il Ticino, l’Adda ed i Navigli. I Navigli nacquero come fossati per la difesa e furono affidati a metà del XII secolo a mastro Guglielmo da Guintellino per le prime realizzazioni, ma ben presto furono sfruttati come vie di trasporto. In una barca, a quei tempi, si potevano trasportare tonnellate, in un carro quintali. A metà del XV secolo fu completato il Naviglio Pavese e, nel 1819, l’arciduca Ranieri d’Austria inaugurava il collegamento fra il lago Maggiore e Venezia.
Dopo l’unificazione iniziò la grande epopea della ferrovia, ma in altri paesi (Francia, Germania, Belgio, Olanda, Austria, ecc) non fu trascurata la rete fluviale ed oggi la sola Germania ha circa 7.500 Km di canali per la navigazione interna, la Francia 7.000, la Russia ben 105.000. Non dimentichiamo che l’UE ha attribuito alla navigazione sul Danubio la stessa importanza che hanno le reti ferroviarie ed autostradali.
Il Po era e potrebbe tornare navigabile da Casale Monferrato al mare, con diramazioni verso Milano ed il Lago di Garda, e potrebbe così supplire alla drammatica carenza d’infrastrutture della regione padana, nella quale è concentrato il 50% della domanda di trasporto.
Il risultato? In Germania, l’incremento dei costi dalla produzione al grossista è del 3%, in Italia del 5%: proprio il punto della “filiera” nella quale sono importanti i trasporti. L’Italia, una penisola, ha dimenticato la sua rete fluviale e la navigazione di cabotaggio costiero, si è riempita di TIR ed autostrade e non ha risolto nessun problema di trasporto, giacché i costi sono sempre più alti che nel resto d’Europa.
Per risistemare la rete padana di trasporto fluviale basterebbero 500 milioni di euro (non miliardi), e sarebbero probabilmente risparmiati da altri interventi infrastrutturali (raddoppi autostradali, ecc).Le risposte, se vogliamo vederle, ci sono: basta non arroccarsi su posizioni assurde. Comunque, visto che sarei un “islamofilo”, voglio ricordare che il califfo Al-Rashid (Baghdad, 900 d. C. circa) mantenne sotto il controllo dello stato solo due settori: l’esercito e la gestione dei canali. Lo stesso fecero e fanno la maggior parte dei paesi europei, ma noi italiani siamo così furbi che – quando ascoltiamo queste argomentazioni – le irridiamo. Sic stantibus rebus.
Potrete leggere ciò che scrive il signor "sereupi80" un commento relativo ad un mio post sulla TAV, che troverete più sotto: è stupefacente come i nostri simili riescano a meravigliarci.
Anzitutto s’inizia mescolando la TAV, gli islamici, Cuba, le bestemmie ed altro ancora: io ci avrei aggiunto anche la salsa Tartara e la letteratura norvegese, cosicché il melange era completo.
Secondo quel tizio sarei un “islamofilo” (e che cosa vuol dire?) che difende a spada tratta i barbuti ayatollah e se la prende con un povero Calderoli, colpevole solo d’aver confuso il ruolo di un ministro con quello di un pecoraio che ha lasciato le pecore a Bergamo: sinceramente, non sono nemmeno riuscito a capire cosa vuole quel signore, figuriamoci se è possibile rispondergli.
Su una cosa, però, è stato chiaro: lancia in resta, si è messo ad irridere coloro i quali ritengono che Milano potrebbe diventare un porto fluviale.
Il problema, talvolta, è spiegare non ciò che potrebbe essere, bensì ciò che in realtà era.
Milano divenne un porto fluviale intorno al 1.200, quando fu completato il collegamento fra il Lago Maggiore, il Ticino, l’Adda ed i Navigli. I Navigli nacquero come fossati per la difesa e furono affidati a metà del XII secolo a mastro Guglielmo da Guintellino per le prime realizzazioni, ma ben presto furono sfruttati come vie di trasporto. In una barca, a quei tempi, si potevano trasportare tonnellate, in un carro quintali. A metà del XV secolo fu completato il Naviglio Pavese e, nel 1819, l’arciduca Ranieri d’Austria inaugurava il collegamento fra il lago Maggiore e Venezia.
Dopo l’unificazione iniziò la grande epopea della ferrovia, ma in altri paesi (Francia, Germania, Belgio, Olanda, Austria, ecc) non fu trascurata la rete fluviale ed oggi la sola Germania ha circa 7.500 Km di canali per la navigazione interna, la Francia 7.000, la Russia ben 105.000. Non dimentichiamo che l’UE ha attribuito alla navigazione sul Danubio la stessa importanza che hanno le reti ferroviarie ed autostradali.
Il Po era e potrebbe tornare navigabile da Casale Monferrato al mare, con diramazioni verso Milano ed il Lago di Garda, e potrebbe così supplire alla drammatica carenza d’infrastrutture della regione padana, nella quale è concentrato il 50% della domanda di trasporto.
Il risultato? In Germania, l’incremento dei costi dalla produzione al grossista è del 3%, in Italia del 5%: proprio il punto della “filiera” nella quale sono importanti i trasporti. L’Italia, una penisola, ha dimenticato la sua rete fluviale e la navigazione di cabotaggio costiero, si è riempita di TIR ed autostrade e non ha risolto nessun problema di trasporto, giacché i costi sono sempre più alti che nel resto d’Europa.
Per risistemare la rete padana di trasporto fluviale basterebbero 500 milioni di euro (non miliardi), e sarebbero probabilmente risparmiati da altri interventi infrastrutturali (raddoppi autostradali, ecc).Le risposte, se vogliamo vederle, ci sono: basta non arroccarsi su posizioni assurde. Comunque, visto che sarei un “islamofilo”, voglio ricordare che il califfo Al-Rashid (Baghdad, 900 d. C. circa) mantenne sotto il controllo dello stato solo due settori: l’esercito e la gestione dei canali. Lo stesso fecero e fanno la maggior parte dei paesi europei, ma noi italiani siamo così furbi che – quando ascoltiamo queste argomentazioni – le irridiamo. Sic stantibus rebus.
05 marzo 2006
Il trionfo del geriatrico
In questi giorni i partiti stanno preparando le liste elettorali; con la nuova legge elettorale noi elettori non avremo la possibilità di scegliere i candidati, potremo soltanto indicare un simbolo: chi è nella lista di quel simbolo ce lo dovremo tenere e basta.
Ha suscitato sorpresa la candidatura nelle liste dell’Unione di Franca Rame, attrice, moglie e compagna di vita del premio Nobel per la Letteratura Dario Fo.
Fatto salvo che la presenza di Franca Rame qualifica l’Unione in senso positivo, dobbiamo rilevare che queste persone (o, magari, lo stesso Dario Fo) già da tempo avremmo dovuto chiamarle per occupare quegli scranni.
Il problema di questa classe politica è la paura: anche decisi e combattivi avversari del berlusconismo, della P2, della mafia sono chiamati ad entrare in Parlamento quando hanno oramai un’età veneranda. Pochi italiani di grande livello intellettuale sono chiamati a rappresentare il Paese in Parlamento: Leonardo Sciascia fece una breve comparsa alcuni decenni or sono, d’altri – oggi – non ricordo.
Il paese invecchia e ci sono pochi giovani: grazie alle sapienti riforme previdenziali, una generazione stanca arranca nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici. Stufa perché ha visto colleghi giovanissimi andare in pensione, ed ora sa che per controbilanciare quei lontani privilegi dovranno rimanere attaccati alla macchina, alla scrivania, alla cattedra con un catena per ancora molti anni.
Strano paese il nostro, nel quale se non hai almeno sessant’anni sei ritenuto un giovane senza esperienza, una persona della quale non ci si può fidare. Lo stesso discorso vale per un altro premio Nobel, Carlo Rubbia, cacciato dal governo in carica dalla presidenza dell’ENEA, che oggi vive e lavora in Spagna dove sta portando avanti importanti progetti in campo energetico (dei quali, ahimè, avremmo un disperato bisogno).
Anche la destra cade nel medesimo errore, giacché non si comprende proprio perché una persona come Marcello Veneziani – con il quale si può anche essere in disaccordo su tutto – non entri in Parlamento: a ben vedere, è la “testa pensante” più raffinata che potrebbero presentare. D’altro canto, se hanno “fatto fuori” un costituzionalista del calibro del prof. Fisichella, si può capire perché ritengano Veneziani un potenziale pericolo.
Giovani italiani emigrano all’estero perché sanno che le loro ricerche serviranno solo ad ingrassare il palmares del barone di turno, sanno che in questo paese il giovane è visto più come un pericolo che come un’opportunità: aria nuova, fresca, idee rivoluzionarie. Vade retro Satana.
Auguriamo ogni bene a Franca – per la sua lunga e sincera militanza, sul palcoscenico e nella vita – ma ci piacerebbe vederla seduta accanto ad una giovane – trenta, quarant’anni – per esser certi che quell’esperienza e quella determinazione nel difendere lo stato di diritto delle persone, la dignità dei lavoratori, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, una equa ripartizione della ricchezza e la laicità dello Stato non diventino il solo bagaglio di una vita, ma siano trasmesse alle nuove generazioni. Altrimenti, ahi noi.
Ha suscitato sorpresa la candidatura nelle liste dell’Unione di Franca Rame, attrice, moglie e compagna di vita del premio Nobel per la Letteratura Dario Fo.
Fatto salvo che la presenza di Franca Rame qualifica l’Unione in senso positivo, dobbiamo rilevare che queste persone (o, magari, lo stesso Dario Fo) già da tempo avremmo dovuto chiamarle per occupare quegli scranni.
Il problema di questa classe politica è la paura: anche decisi e combattivi avversari del berlusconismo, della P2, della mafia sono chiamati ad entrare in Parlamento quando hanno oramai un’età veneranda. Pochi italiani di grande livello intellettuale sono chiamati a rappresentare il Paese in Parlamento: Leonardo Sciascia fece una breve comparsa alcuni decenni or sono, d’altri – oggi – non ricordo.
Il paese invecchia e ci sono pochi giovani: grazie alle sapienti riforme previdenziali, una generazione stanca arranca nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici. Stufa perché ha visto colleghi giovanissimi andare in pensione, ed ora sa che per controbilanciare quei lontani privilegi dovranno rimanere attaccati alla macchina, alla scrivania, alla cattedra con un catena per ancora molti anni.
Strano paese il nostro, nel quale se non hai almeno sessant’anni sei ritenuto un giovane senza esperienza, una persona della quale non ci si può fidare. Lo stesso discorso vale per un altro premio Nobel, Carlo Rubbia, cacciato dal governo in carica dalla presidenza dell’ENEA, che oggi vive e lavora in Spagna dove sta portando avanti importanti progetti in campo energetico (dei quali, ahimè, avremmo un disperato bisogno).
Anche la destra cade nel medesimo errore, giacché non si comprende proprio perché una persona come Marcello Veneziani – con il quale si può anche essere in disaccordo su tutto – non entri in Parlamento: a ben vedere, è la “testa pensante” più raffinata che potrebbero presentare. D’altro canto, se hanno “fatto fuori” un costituzionalista del calibro del prof. Fisichella, si può capire perché ritengano Veneziani un potenziale pericolo.
Giovani italiani emigrano all’estero perché sanno che le loro ricerche serviranno solo ad ingrassare il palmares del barone di turno, sanno che in questo paese il giovane è visto più come un pericolo che come un’opportunità: aria nuova, fresca, idee rivoluzionarie. Vade retro Satana.
Auguriamo ogni bene a Franca – per la sua lunga e sincera militanza, sul palcoscenico e nella vita – ma ci piacerebbe vederla seduta accanto ad una giovane – trenta, quarant’anni – per esser certi che quell’esperienza e quella determinazione nel difendere lo stato di diritto delle persone, la dignità dei lavoratori, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, una equa ripartizione della ricchezza e la laicità dello Stato non diventino il solo bagaglio di una vita, ma siano trasmesse alle nuove generazioni. Altrimenti, ahi noi.